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SpaceX ha lanciato nello spazio 64 satelliti, utilizzando con successo per la terza volta lo stesso razzo Falcon 9

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SpaceX ha fatto ancora la storia del volo spaziale.

Un razzo Falcon 9 con un primo stadio già utilizzato due volte è stato lanciato ieri, 3 dicembre 2018, dalla Base dell’aeronautica militare statunitense di  Vandenberg, in California, trasportando 64 minuscoli satelliti in orbita.

SpaceX aveva già riutilizzato molte volte i primi stadi dei suoi Falcon 9 ma quest’ultimo lancio ha segnato la prima volta che un booster ha spinto carichi utili in orbita in tre diverse occasioni. Il successo del lancio è un traguardo importante per SpaceX, che mira a riutilizzare i suoi razzi ripetutamente e frequentemente. L’obbiettivo della società fondata da Elon Musk è di arrivare a riutilizzare tutti i booster almeno 10 volte. Un tale rapido riutilizzo potrebbe ridurre notevolmente i costi dei voli spaziali, aprendo i cieli all’esplorazione, ha dichiarato il  CEO dell’azienda Elon Musk.

Secondo i tecnici di SpaceX questo primo stadio dovrebbe essere in grado di volare almeno ancora una volta. Il booster, dopo aver esaurito il suo compito, è tornato a terra atterrando dolcemente, circa 8 minuti dopo il decollo, sulla nave drone di SpaceX “Just Read the Instructions“, che lo attendeva nell’oceano Pacifico, al largo delle coste californiane.

SpaceX ha anche tentato di recuperare al volo la carenatura della punta del razzo, si tratta del cono protettivo che costituisce l’ogiva del razzo durante il lancio e serve a proteggere il carico utile. Quando il Falcon 9 arriva ad una certa quota, la carenatura che costituisce la punta del razzo si apre in due metà e ricade verso l’oceano, dove l’attende la nave di recupero Mr. Steven, una barca dotata di una grande rete che tenta di recuperare al volo le due sezioni di carena, proprio come se fossero farfalle da catturare con un retino apposito. Anche questa volta, come nei precedenti tentativi, Mr. Steven non è riuscito a catturare al volo le due sezioni di carena che sono scese nell’oceano appese ad un paracadute.

In ogni caso, SpaceX ha comunicato che è in corso il recupero delle due parti dell’ogiva, il cui riutilizzo permetterebbe di risparmiare i circa 6 milioni di dollari di costi della loro produzione. Su Twitter Elon Musk ha comunicato che: “Le falene del Falcon hanno mancato la rete, ma si sono abbassate dolcemente nell’acqua, il signor Steven le sta recuperando, il piano è di asciugarle e di lanciarle di nuovo, non c’è niente di male in una piccola nuotata“.

Un razzo SpaceX Falcon 9 viene lanciato dalla base aerea di Vandenberg in California il 3 dicembre 2018, trasportando 64 satelliti in orbita sulla missione SSO-A: Smallsat Express.

Il razzo di SpaceX Falcon 9 lanciato dalla base aerea di Vandenberg, in California, il 3 dicembre 2018, trasportando 64 satelliti in orbita per la missione SSO-A: Smallsat Express. Credit: SpaceX

La missione di oggi, denominata “SSO-A: SmallSat Express“, ha stabilito anche altri tre record, come rilevato da Emre Kelly di Florida Today. Il primo stadio del Falcon 9 è diventato il primo booster a decollare da tutti e tre i siti di lancio orbitali SpaceX attualmente operativi. Questo primo stadio ha contribuito a lanciare il Bangabandhu Satellite-1 del Bangladesh dal Pad 39A del Kennedy Space Center (KSC) della NASA lo scorso maggio, ha sollevato il  satellite indonesiano per telecomunicazioni Merah Putih  dalla base di Cape Canaveral in agosto. (il KSC e la Cape Canaveral Air Force Station sono adiacenti tra loro sulla Space Coast della Florida.)

La missione SSO-A, che è stato organizzato dalla società Spaceflight con sede a Seattle, è stata anche il 19 ° lancio orbitale di SpaceX del 2018. Il precedente massimo della compagnia per un solo anno era 18, fissato lo scorso anno.

E poi ci sono quei 64 satelliti, il maggior numero di veicoli spaziali mai lanciati in orbita su un singolo razzo dal suolo americano. (Il record internazionale è 104,  fissato a febbraio 2017 dall’India Polar Satellite Launch Vehicle, o PSLV.)

I 64 satelliti si sono separati dal secondo stadio del Falcon 9 meno di 45 minuti dopo il decollo. Questi nuovi abitanti dell’orbita terrestre sono molto diversi e interessanti. Uno dei cubesat, chiamato Enoch, porta un “vaso canopo” d’oro contenente un busto di Robert H. Lawrence Jr., il  primo astronauta afroamericano che non arrivò mai nello spazio, morendo tragicamente in un incidente durante l’addestramento nel dicembre del 1967 all’età di 32 anni.

Un altro progetto artistico era presente tra gli oggetti messi in orbita, l’Orbital Reflector. Si tratta di un satellite che schiererà una scultura lucente e autogonfiante, progettata per catturare la luce del sole e attirare verso il cielo lo sguardo di milioni di persone. Orbital Reflector è un’installazione temporanea, ricadrà nell’atmosfera terrestre e brucerà completamente entro poche settimane, come hanno spiegato i membri del team che ha gestito il progetto.

A bordo c’era anche l’Elysium Star 2 cubesat, di proprietà della startup Elysium Space di San Francisco. L’Elysium Star 2 trasporta i resti cremati dei clienti che hanno pagato 2,490 dollari, per un “memoriale delle stelle cadenti“, in pratica, la possibilità che le proprie ceneri siano trasformate in stelle cadenti che bruceranno in atmosfera, visibili dalla Terra. Se Elysium Star 2 funzionerà come previsto, sarà la prima missione orbitale di successo di Elysium Space.

Ci sono anche altri cubi più “tradizionali”, tra cui altri tre “Dove“, veicoli di osservazione della Terra costruiti dalla prolifica compagnia di San Francisco Planet.

I 64 satelliti della missione SSO-A, secondo quanto riportato nella descrizione della missione, sono 49 cubesats e 15 “microsat”, secondo una  descrizione della missione Spaceflight. Sono oltre 24 i piccoli satelliti lanciati per conto di organizzazioni internazionali, che hanno coinvolto un totale di 17 paesi.

Molti dei carichi utili sono stati sviluppati da gruppi universitari e alcuni sono stati addirittura costruiti da studenti liceali.

Il lancio di oggi era previsto per la metà di novembre, ma è stato ritardato più volte in modo che SpaceX potesse eseguire ulteriori controlli sul razzo e attendere che i forti venti che tiravano sopra Vandenberg cessassero.

Già domani, SpaceX lancerà una capsula Dragon 2 carica di rifornimenti e strumenti destinati alla ISS.

La Russia annuncia che fonderà una colonia lunare entro il 2040

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La Russia stabilirà una colonia lunare entro il 2040, lo ha annunciato l’agenzia spaziale federale russa. Secondo alcuni funzionari, le ultime disposizioni ricevute impongono all’agenzia di programmare con priorità assoluta una missione con equipaggio umano in grado di effettuare un allunaggio. Lo scopo ultimo sarebbe quello di creare una base lunare nel più breve tempo possibile.

La notizia arriva subito dopo che la NASA ha rivelato che intende riportare l’America sulla luna “per rimanerci” utilizzando imprese private per gestire l’attività.

Russia will establish a moon colony by 2040, the federal space agency announced. According to the agency, getting a human-crewed landing to set up a lunar base is the top priority (stock)

Per conseguire questo difficile traguardo, già fallito dalla Russia in era sovietica durante gli anni ’60, ROSCOSMOS, l’agenzia spaziale russa, intende avviare una strategia in tre fasi.

questa strategia includerà il lancio di una stazione orbitale (non è stato detto se in orbita lunare o terrestre), cui seguirà una missione con e, successivamente, la costruzione di una base permanente. Un portavoce ha detto che l’agenzia ha individuato “regioni uniche con condizioni favorevoli per la costruzione di basi lunari” utilizzando un satellite.  “L’attuazione del programma lunare partirà al più presto e prevede che a colonia lunare diventi stabile entro il 2040.”

L’annuncio è stato fatto durante una riunione congiunta del Consiglio scientifico e tecnico di ROSCOSMOS e del Consiglio spaziale dell’Accademia delle scienze russa. Secondo alcuni funzionari, l’obiettivo dei programmi lunari è quello di garantire che gli interessi nazionali russi siano rispettati nello spazio.

I problemi di esplorazione della Luna sono ora l’obbiettivo principale del programma del nostro Consiglio dello Spazio. E si tratta di una questione davvero seria“, ha affermato il presidente dell’Accademia Russa delle Scienze, Alexander Sergeev. “Sappiamo di avere risorse limitate e la situazione geopolitica non favorisce l’attrazione di molte altre risorse“.

The announcement was made at a joint meeting of the Moscow-based Scientific and Technical Council of Roscosmos and the Space Council of the Russian Academy of Sciences. Pictured is Dmitry Rogozin, Director General of the Roscosmos State Corporation at the conference

Una misteriosa ondata di scosse sismiche ha recentemente scosso la Terra

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Gli scienziati non riescono a spiegare uno strano evento sismico che ha scosso il pianeta l’11 novembre e che è stato rilevato dai sensori di terremoto di tutto il mondo.

Anche la causa di questo misterioso disturbo rimane sconosciuta, sembra, però, in qualche modo legata a uno sciame sismico in corso che sta colpendo l’arcipelago di Mayotte nell’Oceano Indiano da diversi mesi.

Non penso di aver mai visto niente del genere“, ha detto al National Geographic il sismologo Göran Ekström della Columbia University, sull’anomalia dell’11 novembre.

Quasi un anno e mezzo prima di questo strano evento, i sismologi furono sorpresi da un altro tipo di anormale attività sismica nella stessa area: uno sciame di centinaia di piccoli e frequenti terremoti  con epicentro a circa 50 chilometri dalla costa orientale di Mayotte .

646 mayotte vibrazione misteriosa 2                          Lo sciame del terremoto (BRGM)

L’arcipelago, situato all’incirca a metà strada tra l’Africa e il Madagascar, è governato dalla Francia, ma è anche rivendicato dalla nazione insulare delle Comore.

La mattina del 10 maggio, questa regione è stata scossa da un terremoto verificatosi senza preavviso, seguito da una serie di centinaia di tremori che ancora vanno avanti.

Il più drammatico di questi, un evento di magnitudo 5.8 avvenuto il 15 maggio, è stato il più grande terremoto mai registrato nel bacino delle Comore. Da allora è seguito uno sciame sismico fatto di scosse di lieve intensità, con una scossa di magnitudo 5.1 verificatasi pochi giorni fa.

Gli sciami sismici sono eventi spesso allarmanti per la frequenza di piccole scosse di lieve entità ma non sempre sono davvero pericolosi.

In questo caso, un’analisi preliminare dello sciame sismico effettuata dei ricercatori dell’École normale supérieure di Parigi suggerisce che i tremori non possono essere spiegati dal solo movimento tettonico, il che significa che anche l’attività vulcanica nella regione deve essere coinvolta.

Il che ci porta all’11 novembre.

View image on TwitterMeno di tre settimane fa, all’improvviso si è verificato un evento particolare: i geologi hanno registrato una strana, lunga e piatta vibrazione con carattere costante, senza, cioè, le fluttuazioni ed i picchi tipici dell’attività sismica.

Invece, questo “segnale atipico a bassa frequenza“, come lo ha definito il Bureau de Recherches Géologiques francese (BRGM), si è ripetuto con onde regolari ogni 17 secondi, per un totale di circa 20 minuti ed è stato rilevato dalle stazioni sismiche fino a 15.000 chilometri di distanza.

“Ci sono molte cose che non sappiamo”, ha detto al National Geographic il ricercatore Nicolas Taillefer, capo dell’unità sismica e rischio vulcanologico del BRGM . “È accaduto qualcosa di completamente nuovo, che le nostre stazioni non avevano mai registrato.”

La migliore delle ipotesi attualmente sul tavolo è che la vibrazione anomala sia stata legata ad attività vulcanica, forse a causa di un enorme movimento di magma verificatosi sotto l’Oceano Indiano.

Se è così, questo potrebbe anche spiegare qualcos’altro: L’isola di Mayotte non è fermo.

Le letture GPS indicano che da luglio, dopo l’inizio dello sciame, l’isola si è spostata di circa 60 mm verso est e 30 mm verso sud.

Secondo un’analisi, questo movimento potrebbe essere dovuto allo svuotamento di un bacino di magma nelle vicinanze, anche se sarebbero necessarie ulteriori ricerche per verificarlo.

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Se questa ipotesi fosse corretta, nessuno può dire con certezza cosa potrebbe accadere, ma i modelli indicano che Mayotte potrebbe continuare a muoversi finché lo sciame persiste.

Per quanto riguarda se incontreremo di nuovo il segnale misterioso, nessuno lo sa.

Queste osservazioni supportano l’ipotesi che si sia verificata una combinazione di effetti tettonici e vulcanici, provocati, probabilmente, da una scossa che potrebbe aver provocato il crollo di qualche camera magmatica generando un movimento ondulatorio nel magma contenutovi. L’ondata di scosse sismiche a bassa frequenza potrebbe essere stata generata dal movimento del magma. Insomma, un fenomeno geologico che coinvolge una sequenza sismica e un fenomeno vulcanico“, spiega il BRGM .

Questa ipotesi dovrà essere confermata da futuri studi scientifici“.

NASA: entro la fine del prossimo decennio una base permanente sulla Luna e poi Marte. Con l’aiuto dei privati

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La NASA ha avviato un nuovo sforzo per incoraggiare le imprese private negli Stati Uniti a entrare nello spazio. Jim Brindestine, direttore della NASA ha annunciato che nove società di proprietà privata saranno in grado di presentare un’offerta per contratti di consegna di forniture sulla Luna. E, secondo alcune fonti, questa notizia è solo l’inizio di qualcosa di molto più grande.

Queste le società spaziali aggiunte alla lista dei fornitori della NASA:

  • Astrobotic Technology, Inc .: Pittsburgh
  • Deep Space Systems: Littleton, Colorado
  • Draper: Cambridge, Massachusetts
  • Firefly Aerospace, Inc .: Cedar Park, Texas
  • Intuitive Machines, LLC: Houston
  • Lockheed Martin Space: Littleton, Colorado
  • Masten Space Systems, Inc .: Mojave, California
  • Moon Express: Cape Canaveral, in Florida
  • Orbit Beyond: Edison, New Jersey

Stiamo facendo qualcosa che non è mai stato fatto prima“, ha detto  Bridenstine. “Quando torneremo sulla luna, saremo protagonisti di mercato fiorente che agirà tra la Terra e la luna. Vogliamo più fornitori in competizione. Benvenuti nella competizione.”

Le società sopra nominate entreranno a far parte del Commercial Payar Services Program (CLSP) della NASA. Cercheranno di aggiudicarsi contratti per consegnare carichi utili sulla luna, dove la NASA intende costruire le infrastrutture necessarie per stabilire una presenza duratura e continuativa nel prossimo futuro.

Un concetto di macchine intuitive per un lander lunare commerciale.
Un lander lunare commerciale.

Bridenstine ha aggiunto che il mantenimento di una presenza lunare sarà la “risposta alla comunità scientifica” che ha manifestato l’esigenza di eseguire esperimenti a lungo termine sulla luna. Per onorare questa richiesta, Bridenstine ha aggiunto che le missioni saranno supervisionate dalla direzione delle missioni scientifiche della NASA, non dalla direzione delle operazioni e missioni esplorative.

La NASA non intende abbandonare la sua vocazione per l’esplorazione, è per questo che sta progressivamente lasciando le attività in orbita bassa ai privati e intende concentrarsi sulla realizzazione del Lunar Gateway, il cui primo modulo, quello di comando e controllo, sarà posizionato in orbita cislunare nel 2022, sull’istituzione di una base permanente sulla superficie lunare che permetterà una presenza umana continuativa per la ricerca scientifica e lo studio delle tecnologie necessarie ad inviare esseri umani su Marte.

Insomma, una conferenza stampa in parte deludente; non si sono indicate date ma è presumibile che le prime missioni automatiche partiranno sul finire del 2020 mentre perchè un’astronauta possa nuovamente “posare le suole dei suoi stivali sulla Luna” andremo probabilmente verso la metà degli anni ’20. La conferenza stampa è sembrata soprattutto mirata a sottolineare gli aspetti commerciali della svolta impressa dalle “direttive spaziali del presidente Trump“.

Detto della conferenza, c’è molto altro dietro questo annuncio per la fiorente industria spaziale commerciale. Les Kovacs, portavoce di Firefly Aerospace, una piccola compagnia missilistica inserita da oggi tra i fornitori della NASA, ha affermato che questo annuncio fa parte di un quadro molto più ampio nell’ambito delle prospettive aperte ai viaggi spaziali.

La NASA ha sostanzialmente affermato che vuole lasciare spazio nell’attività di orbita inferiore alle imprese commerciali e che intende guardare oltre la Luna e, forse, anche oltre Marte“, dice Kovacs. “Vogliono fare esplorazione, perché questa è la loro vocazione fondamentale. Ciò significa che tutta l’attività di orbita più bassa che era la fornitura delle forze armate, del governo, delle agenzie civili sta lentamente andando a passare allo spazio commerciale “.

Il Lunar Gateway costituirà anche un’occasione di business per le aziende che operano nell’orbita bassa della Terra. In una nota che ha accompagnato l’annuncio, la NASA ha aggiunto che il primo elemento di questo gateway sarà lanciato nel 2022 un Power and Propulsion Element (PPE) che “non solo avvantaggerà la NASA, ma anche l’industria satellitare commerciale nazionale per mantenere il vantaggio globale“.

Il focus della NASA è stato a lungo, e resta, l’esplorazione, ed è questa l’idea alla base di missioni come l’atterraggio InSight su Marte e le prossime missioni su Marte del 2020. Queste sono missioni sponsorizzate dal governo e la NASA è ancora focalizzata sull’esplorazione e sulla scienza, ma è stata anche incaricata dal governo federale di sviluppare le sue attività con partner privati, per una maggiore efficienza coniugata con l’ottimizzazione delle spese.

Stiamo vedendo gli inizi di un mondo che tu, io, e tutti quelli che leggeranno questo articolo non hanno mai visto prima“.

L’uragano di Materia Oscura, se esiste, non è un pericolo. Probabilmente ha attraversato il nostro pianeta senza produrre effetti per tutta la durata della storia umana

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Alcuni siti hanno riportato la notizia come una spaventosa storia dai risvolti sensazionalistici. In realtà, la materia oscura interagisce a malapena con la materia visibile e, se gli scienziati hanno ragione, siamo circondati da essa da sempre, da quando esiste l’uomo e da ancora prima.

L’uragano di materia oscura non produce vento, non genera luce, non ha su di noi ed il nostro mondo effetti visibili o percepibili.

Ogni secondo circa cento miliardi di neutrini passano attraverso ogni centimetro quadrato del nostro corpo e neanche ce ne accorgiamo. e neanche loro si accorgono di noi. Per fermarne la metà occorrerebbe una lastra di piombo dello spessore di un anno luce e la maggior parte della materia oscura rischia di essere più difficile da individuare dei neutrini, gli scienziati provano da anni ad individuarla e ancora non ci sono riusciti.

Questa è un’immagine teorica di quello che sta succedendo, non è cosa succede in realtà ma può servire ad farsi un’idea di come funziona la faccenda:

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(C. O’Hare; NASA / Jon Lomberg – I punti gialli sono le stelle di una galassia cannibalizzata dalla Via Lattea che si muovono in un flusso e il punto rosa siamo noi. Il bagliore giallo illustra la materia oscura che accompagna quelle stelle che, se gli scienziati ragione, sta fluendo attraverso il nostro sistema solare e attraverso la Terra proprio adesso.)

Tutto questo sta accadendo in termini cosmologici, le stelle che ci passano davanti – a distanze di molti anni luce – si muovono oltre il ritmo con cui le stelle si muovono attraverso il cielo. Ad occhio, non vediamo nemmeno le stelle muoversi se non da un secolo all’altro, quindi questo “uragano” deve aver soffiato sulla Terra per tutta la storia umana almeno e per molto più tempo.

Sembra che la diffusione di alcune paure relative a questo “uragano” di materia oscura nasca da un articolo pubblicato sulla rivista Cosmos che riporta erroneamente le parole dei ricercatori suggerendo che potrebbero esserci effetti futuri dovuti alla materia oscura.

I ricercatori hanno scritto:

Qui, richiamiamo l’attenzione su un nuovo straordinario stream, S1, recentemente scoperto nei dati dello Sloan Digital Sky Survey (SDSS) e del satellite Gaia. Un flusso coerente di DM associato a S1 colpisce il sistema solare come uno schiaffo in piena faccia.”

La rivista Cosmos le ha citate come:

Mentre il flusso S1 “colpisce il sistema solare come uno schiaffo in faccia”, scrivono gli autori, “la sua struttura controrotante aumenterà drasticamente la quantità di materia oscura che sembra provenire dallo stesso angolo di cielo del vento di materia oscura standard” I ricercatori sostengono che la materia oscura ci colpirà come un ‘uragano’

Tutto questo significa solo che i ricercatori sperano che ci sia presto una maggiore possibilità di individuare la materia oscura. Ad esempio, un neutrino può viaggiare attraverso una lastra di piombo che riuscirà a fermare solo la metà di essi. La materia oscura è sfuggente molto più dei neutrini.

La collisione con la materia oscura avviene da sempre, ci siamo già dentro da molto tempo.

Sono anni che cerchiamo di idividuare la materia oscura ma tutto ciò che abbiamo, finora, è una prova indiretta della sua esistenza derivata dal modo in cui le stelle orbitano nelle galassie e varie altre linee di evidenza che suggeriscono che le galassie abbiano più massa di quanto la materia visibile spieghi, e dimostrano anche che l’universo sembra essere costituito da una materia diversa dalla materia ordinaria.

Questa è la sinossi su cui stanno lavorando tutti: Uragano di materia oscura

Lo studio originale: Uragano di materia oscura: misurazione del flusso S1 con rilevatori di materia oscura; arxiv.org paper.

Ambiente: gli sbagli di Rubbia

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Come è noto, molti di coloro che ritengono non valide, o addirittura volutamente basate su prove artefatte, le teorie che sostengono l’origine antropica dei mutamenti climatici portati dal riscaldamento globale, utilizzano spesso come argomento un intervento tenuto in parlamento dal senatore e premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia, un intervento basato, come vedremo, su affermazioni slegate dalla realtà e basate su vere e proprie leggende.
Questo articolo di Claudio della Volpe, ricercatore e docente in chimica-fisica, con circa 200 pubblicazioni alle spalle, ci spiega come mai Carlo Rubbia commise una serie di errori madornali nel suo decantato intervento. Certo, il professor Rubbia ha vinto un premio Nobel in tempi non lontani dall’assegnazione del Nobel per la medicina a Montagner, il quale, come sappiamo, nonostante il prestigioso riconoscimento, negli ultimi decenni si è scoperto ardente sostenitore della cosiddetta medicina omeopatica, ormai squalificata completamente dall’OMS, arrivando a pubblicare lavori senza capo né coda, privi di effettivi riscontri scientifici, a sostegno di questa tesi.
Insomma, l’aver vinto un premio Nobel non è garanzia di infallibilità, così come ci dimostrò, nel caso dell’intervento di Rubbia, questo interessante articolo scritto da Claudio della Volpe in risposta proprio a Rubbia.

Una Rispostina a Rubbia

Di Claudio della Volpe

Pubblicato su “la chimica e l’industria | anno XCVIII n° 1 | GENNAIO/FEBBRAIO 2016, 63”

Wilhelm Ostwald è uno di quei nomi che tornano ripetutamente nella nostra vita di chimici, non solo perché sviluppò alcune teorie od equazioni ancor oggi valide, dopo oltre un secolo, ma anche perché svolse un ruolo fondamentale nello sviluppo della “cultura” chimica e, più in generale, scientifica nel suo Paese e in tutto il mondo.

Ostwald vinse il Nobel per la Chimica nel 1909; eppure ancora pochi anni prima era un convinto assertore di una teoria energetica ed “anti-atomica” che aveva esposto e difeso a partire almeno dalla famosa conferenza di Lubecca degli scienziati e medici tedeschi del 1895. Si convinse ad abbandonare quelle posizioni solo dopo gli esperimenti di J. Perrin, anch’egli Nobel nel 1926 per il suo lavoro sulla struttura discontinua della materia; aveva determinato fra l’altro il numero di Avogadro e la dimensione degli atomi.

Ma nessuno di noi si sentirebbe di criticare banalmente le asserzioni di Ostwald o di considerarlo “in ritardo” rispetto alle concezioni atomistiche moderne; era un periodo di grande fermento spirituale e scientifico in cui si gettarono le basi della meccanica quantistica e della scienza moderna e queste contraddizioni c’erano tutte: Boltzmann si era suicidato nel 1906 a Duino e non vinse mai il Nobel (come non lo vinse Poincaré, che pare non avesse scoperto nulla di cruciale); una veneziana come Agnes Pockels  ancora nel 1891 dovette rivolgersi a Lord Kelvin per pubblicare su Nature le prime misure di tensione superficiale fatte con l’antenato del trough di Langmuir e degne di questo nome (Fig. 1). Da allora ne è passata acqua sotto i ponti se, per esempio, oggi abbiamo come presidenti, attuale della Società Italiana di Fisica e prossima ventura di quella di Chimica, due donne.

Perché vi racconto questa storia? Perché anche  oggi abbiamo scienziati di indubbio valore, anche loro premi Nobel o comunque molto famosi, che però criticano alcuni dei risultati fondamentali della ricerca moderna; il 26 novembre 2014 per esempio Carlo Rubbia, Nobel per la Fisica nel 1984 per aver contribuito alla scoperta dei portatori della cosiddetta “interazione debole” e nominato successivamente Senatore a Vita della Repubblica, ha sostenuto in un intervento in Senato  che:

Ai tempi dei Romani, ad esempio, Annibale ha attraversato le Alpi con gli elefanti per venire in Italia. Oggi non ci potrebbe venire, perché la temperatura della Terra è inferiore a quella che era ai tempi dei Romani. Quindi, oggi gli elefanti non potrebbero attraversare la zona dove sono passati inizialmente. C’è stato il periodo, nel Medioevo, in cui si è verificata una piccola glaciazione; intorno all’anno 1000 c’è stato un aumento di temperatura simile a quello dei tempi dei Romani. Ricordiamo che ai tempi dei Romani la temperatura era più alta di quella di oggi; poi c’è stata una mini-glaciazione, durante il periodo del 1500-1600. Ad esempio, i Vichinghi hanno avuto degli enormi problemi di sopravvivenza a causa di questa miniglaciazione, che si è sviluppata con cambiamenti di temperatura sostanziali.

Ora a parte le testimonianze di livello liceale di Polibio e Livio sulla neve incontrata da Annibale sulle Alpi, i dati climatologici (fra gli altri la famosa mummia del Similaun o i dati glaciologici di Gabrielli) raccontano storie del tutto diverse. La temperatura al tempo dei Romani non era assolutamente maggiore che nel nostro periodo, anzi era inferiore (un solo elefante dei 37 di Annibale sopravvisse all’inverno padano) ma soprattutto il periodo caldo medioevale e la cosiddetta piccola età glaciale difficilmente avrebbero potuto dare fastidio ai Vichinghi, la cui epopea si situa tutta fra l’800 e il 1066 [U. Büntgen et al., 2500 Years of European Climate Variability and Human Susceptibility, Science, 2011, 331, 579] (Fig. 2).

Dice ancora RubbiaVorrei ricordare ad esempio – chiedo al Ministro conferma di questo – che dal 2000 al 2014, la temperatura della Terra non è aumentata: essa è diminuita di -0,2 °C e noi non abbiamo osservato negli ultimi 15 anni alcun cambiamento climatico di una certa dimensione. Questo è un fatto di cui tutti voi dovete rendervi conto, perché non siamo di fronte ad un’esplosione esplosiva della temperatura: la temperatura è montata fino al 2000: da quel momento siamo rimasti costanti, anzi siamo scesi di 0,2 °C. È giusto, Ministro?”.

Nessun climatologo si arrischierebbe a definire “climatico” un trend di soli 14 anni, per altro riportato in modo sbagliato: la temperatura media della Terra, secondo i dati più accettati nel 2000 era superiore di 0,57 °C alla media 1951-1980 mentre nel 2014 lo era di 0,89 °C, ossia 0,32 °C IN PIÙ.

Rubbia non è un caso isolato; sono sulla stessa linea parecchi colleghi fisici o chimici famosi, alcuni dei quali scrivono comunemente su questa rivista; ma anche la presidente della SIF, Luisa Cifarelli, allieva di Zichichi, che recentemente si è rifiutata di sottoscrivere un documento che dichiarava che è certo che l’umanità abbia un effetto sul clima e che è estremamente probabile che sia essa all’origine dell’attuale riscaldamento globale. Ora, mi dirà qualcuno che conosco, dove è la differenza fra il diritto di Ostwald di rifiutare la teoria atomica e quello della Cifarelli di rifiutare la teoria climatologica attuale o di Rubbia di stravolgere la storia del clima?

Beh, è presto detto. Ostwald era uno dei protagonisti della chimica e della fisica della sua epoca, era uno che pubblicava cose che sono rimaste dopo più di 100 anni proprio nel settore in cui esprimeva poi dissenso e la scienza del primo Novecento viveva grandi contrasti. Oggi, viceversa, non ci sono climatologi attivi che neghino l’evidenza del ruolo umano sul clima o che neghino almeno la possibilità che il ruolo dell’uomo sia decisivo; viceversa nessuno dei colleghi italiani che negano tale ruolo pubblica attivamente nel settore climatologico; anzi, a dire il vero, la cultura italiana del settore è abbastanza indietro; basti pensare che in Italia, unico Paese in Europa, non c’è una laurea in meteorologia o in climatologia, le previsioni e perfino i dati meteo passano ancora obbligatoriamente per l’aeronautica militare; si tratta di una situazione di arretratezza culturale che si paga duramente e che è alla base di polemiche così prive di fondamento.

Anche noi chimici non abbiamo fatto un gran figurone sul tema della COP21 durante la sua preparazione; comunque la SCI nel Consiglio Direttivo del 12 dicembre ha deliberato di costituire un gruppo di lavoro allo scopo di redigere un documento sul tema dei cambiamenti climatici che possa rappresentare la posizione ufficiale della SCI.

Una seconda rispostina a Rubbia

Nel post, intitolato “Una rispostina a Rubbia,” Claudio della Volpe, dell’Università di Trento, ha commentato sulle molteplici inesattezze ed errori di un intervento a ruota libera di Carlo Rubbia al Senato. Della Volpe commenta soltanto sugli errori di climatologia, ma non sulle soluzioni che Rubbia tira fuori per il cambiamento climatico. Sfortunatamente, se Rubbia ha cominciato male il suo intervento lanciandosi in ardite speculazioni sugli elefanti di Annibale, lo finisce forse peggio con le sue considerazioni sul gas naturale che meritano decisamente un’ulteriore “rispostina.”

Nel suo intervento, Rubbia sostiene che ci sono enormi riserve di  gas naturale, citando i clatrati di metano contenuti nel permafrost. Su questa base, Rubbia dichiara che le energie rinnovabili sono completamente inutili e che un processo che lui sta studiando ci permette di ottenere energia dal gas naturale senza emettere gas serra. Il processo consiste nel trasformare il metano in carbonio (“grafite,” secondo Rubbia) e idrogeno.

Cominciamo dal fatto che nessuno è mai riuscito a estrarre metano dal permafrost, se non a livello di test sperimentali. Così, queste “enormi riserve” al momento, si trovano soltanto sulla carta. Di certo, se fossero facili da estrarre qualcuno le avrebbe già estratte.  Poi, il processo di combustione incompleta che trasforma metano in idrogeno e “carbon black” (detto normalmente “nerofumo” in italiano) è cosa nota da molto tempo. Il problema è che trasformare il gas naturale in questo modo è sfavorito dal punto di vista termodinamico, ovvero richiede energia invece di produrla. E’ anche vero, tuttavia, che si può recuperare energia dalla combustione dell’idrogeno prodotto con un bilancio finale che è teoricamente positivo, ovvero produce energia. Ma bisogna vedere con quanta efficienza lo si può fare nella pratica. Dai dati disponibili, sembra che nella migliore delle ipotesi il processo non sia più efficiente di quello della “sequestrazione” tradizionale del CO2. Non per niente, questo processo non è mai stato utilizzato per produrre energia ma solo per produrre nerofumo e/o idrogeno.

Anche assumendo che ci sia qualche vantaggio energetico nella combustione incompleta del metano, ci sono comunque dei problemini sui quali Rubbia glissa alla grande. Supponiamo di realizzare questo processo su una scala tale da avere un effetto sul cambiamento climatico. Siamo a parlare di qualcosa come 10 miliardi di tonnellate di carbonio in forma di CO2 prodotte tutti gli anni dalla combustione dei combustibili fossili. Questa è la quantità che dobbiamo eliminare, o perlomeno ridurre sostanzialmente. Ora, se lo potessimo trasformare in carbonio solido, è vero che non genererebbe riscaldamento globale. Ma dove la cacciamo questa enorme massa di robaccia? Di certo, se siete preoccupati dell’inquinamento da nanoparticelle (e dovreste esserlo) non sembra proprio una buona idea crearne qualche miliardo di tonnellate in più; circa un fattore mille più grande dell’attuale produzione di nerofumo. E tenete conto che il nerofumo è un materiale tossico e potenzialmente cancerogeno. Forse lo potremmo trasformare in grafite, riducendone il volume e la pericolosità (questa sembra essere l’idea di Rubbia, che non menziona il nerofumo, ma solo la grafite). Ma questo richiede alte temperature e sarebbe un ulteriore costo energetico.

E, infine, che sia grafite o nerofumo, questa massa enorme di carbonio rimarrebbe comunque un materiale infiammabile. Dovunque ci possa venire in mente di metterlo, c’è il rischio di incendi. E se questa roba prende fuoco si trasforma in CO2 e siamo al punto di partenza: abbiamo lavorato tanto per niente – anzi, per fare di peggio. Potremmo forse mettere tutto questo carbonio sottoterra? Certo, aiuterebbe a ridurre il rischio, ma a un ulteriore costo energetico: vi immaginate le immense gallerie che dovremmo scavare? E, anche così, non vuol dire che il rischio di incendi verrebbe eliminato. Lo sapevate che ci sono delle miniere di carbone che sono in fiamme da decenni e non si riesce a spegnerle? Il problema degli incendi è un ostacolo fondamentale anche per altri schemi di rimozione del carbonio dall’atmosfera, per esempio per l’idea di trasformarlo in “biochar” e sparpagliarlo nel terreno. E’ per questo che in questo campo si parla quasi esclusivamente di sequestro del CO2 che, pur con tutti i problemi associati, non rischia di prendere fuoco.

Alla fine dei conti, non è privo di senso esplorare l’idea di una combustione incompleta del metano che potrebbe essere utile per qualche scopo. Ma non la si può presentare come la soluzione ovvia al problema climatico, glissando su tutti i problemi associati e sostenendo nel contempo che le rinnovabili non servono a nulla. Insomma, in queste cose ci vorrebbe un po’ più di serietà e di rigore, soprattutto da parte di un premio Nobel.

Fonte: https://ugobardi.blogspot.com

Gli inverni freddi non significano che il riscaldamento globale non sta accadendo

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Quante volte ci è capitato sentir parlare qualcuno dei mutamenti climatici e dell’aumento delle temperature? E quanti di loro dimostrano di non credere al riscaldamento globale perché fa freddo? Per molte persone, l’esperienza sembra dimostrare che i cambiamenti climatici non sono un’emergenza e che, forse, non è nemmeno in atto il tanto strombazzato riscaldamento globale…

A loro difesa si può dire che è un errore facile e molto comune quello di prendere una breve porzione di tempo in una regione localizzata e usarla per fare ampie affermazioni sui modelli climatici a lungo termine del pianeta nel suo complesso. Sembra intuitivo che se il pianeta si sta riscaldando, anche gli inverni dovrebbero diventare più caldi.

Ma questa idea in realtà non ha alcun supporto scientifico ed è un errore pericoloso che può sminuire e distrarre dalla vera scienza sui cambiamenti climatici.

In effetti, gli studi dimostrano in realtà che è vero il contrario.

Le condizioni più calde dell’Artico  coincidono effettivamente con inverni più freddi in regioni lontane, una correlazione che dimostra che il cambiamento climatico globale non è così intuitivo come molti potrebbero altrimenti immaginare.

Uno studio del 2017 condotto da un team internazionale di ricercatori ha scoperto che le conseguenze di questi inverni più freddi e asciutti stanno riducendo la produttività delle colture a basse latitudini.

Più anidride carbonica nell’atmosfera con un clima mediamente più caldo, dovrebbero, secondo molti, essere una buona notizia per le piante, specialmente quando lo scioglimento del permafrost libera nuovi terreni. Questo non è del tutto scorretto, almeno per quanto riguarda i climi settentrionali.

Ma, quando si tratta di regioni più distanti, l’impatto dei cambiamenti climatici nell’Artico sulla crescita delle piante nelle aree temperate non è ben studiato. A notevoli distanze potrebbe non sembrare molto importante ciò che succede nell’Artico ma i ricercatori sanno fin troppo bene che non fa molta differenza quando si parla di clima.

El Niño è un classico esempio di ciò che i climatologi chiamano teleconnessione, dove un’anomalia in una parte del mondo, come un cambiamento della pressione atmosferica attorno all’isola pacifica di Tahiti, può essere collegata a un’anomalia a migliaia di chilometri di distanza, come l’alta pressione intorno a Darwin, in Australia.

Negli ultimi decenni, l’Artico ha vissuto più della sua giusta quota di riscaldamento grazie a un fenomeno chiamato amplificazione artica. La diminuzione del ghiaccio marino, correnti oceaniche più calde e un aumento del vapore acqueo atmosferico indicano che le temperature sono aumentate il doppio rispetto alle latitudini settentrionali.

Questi cambiamenti sono stati anche associati a inverni più rigidi molto più a sud, un effetto a catena che spesso confonde coloro che pensano che, grazie al riscaldamento globale, si possa andare in giro vestiti più leggeri.

Questa recente ricerca ha dimostrato come le temperature sopra la media dell’Artico portino a una minore crescita delle piante e ad una minore captazione del biossido di carbonio negli ecosistemi nordamericani. Lo studio ha confermato la connessione tra i fenomeni meteorologici anomali nel Nord America e il riscaldamento artico. Per verificarlo, sono stati utilizzati una serie di modelli dettagliati denominati Coupled Model Intercomparison Project Phase 5 (CMIP5) per identificare un collegamento tra le anomalie e un calo della produttività primaria lorda.

In altre parole, sembra che un caldo Artico produca inverni più freddi e con meno precipitazioni, riducendo la capacità delle piante di assorbire CO2 di circa il 14%. “Anche se stiamo parlando dell’Artico, ha impatti immediati su ciò che viviamo alle basse latitudini“, ha detto Anna Michalak del Carnegie Institution for Science degli Stati Uniti al National Geographic .

Le conseguenze di ciò in termini di assorbimento del carbonio non è ancora stato determinato.

Saranno necessarie ulteriori ricerche per capire quanto possa essere diffuso questo effetto, il che significa che sono necessari più dati per sostenere i modelli esistenti.

Nel frattempo, i risultati di questa ricerca potrebbero implicare la necessità di individuare e considerare colture più resistenti al gelo e più resistenti alla siccità in previsione di inverni più freddi e secchi in futuro.

Una cosa è certa: il riscaldamento globale non conosce confini. Siamo tutti sulla stessa barca.

Questa ricerca è stata pubblicata su Nature Geosciences .

Insight è su Marte!

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Ore 20.56: InSight ha inviato la prima foto da Marte, sembra che tutti i sistemi funzionino correttamente dopo l’atterraggio.

I controllori di missione della NASA-JPL hanno ricevuto un segnale dal lander InSight dalla superficie di Marte tramite MarCO un segnale acustico dalla radio X-Band di InSight. Nelle prossime ore, gli ingegneri controlleranno la salute della nave spaziale.

Ore 20.54: Touch down confirmed! InSight è su Marte. InSight ha comunicato: “Do it!”

Ore 20.47: InSight ha iniziato la sua fase di ingresso, discesa e atterraggio su Marte. Entro sette minuti dall’entrata nell’atmosfera, si prevede che il veicolo spaziale dispieghi il suo paracadute, separato dal suo scudo termico, aprendo le sue gambe di atterraggio, accendendo il suo radar di atterraggio e accendendo i suoi retrorazzi mentre si separa dal suo guscio posteriore. Il touchdown è previsto verso le 20:54

Ore 20.46: I CubeSat nello spazio profondo – Mars Cube One A e B – hanno iniziato a trasmettere le comunicazioni dalla navicella InSight mentre atterra su Marte. Le trasmissioni dei Marco possono essere interrotte durante il processo di atterraggio, ma i loro segnali non influiscono sul fatto che InSight completi le sue attività.

Ore 20.40: Il lander InSight si è separato dal palco dal sistema di navigazione. Sta ora girando per orientare il suo scudo termico in preparazione delle fasi di di entrata, discesa e atterraggio su Marte.

Ore 20.00: I controllori della missione del Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, in California, hanno completato gli aggiustamenti finali per l’atterraggio della navicella InSight della NASA su Marte. L’ingresso atmosferico è previsto intorno alle 20:47, il touchdown, circa sette minuti più tardi

Oggi, 26 novembre 2018, la navicella spaziale InSight della NASA entrerà nell’atmosfera di Marte e tenterà di posizionare delicatamente un lander sulla superficie del Pianeta Rosso in un tempo inferiore a quello necessario per far bollire un uovo. Il team che guida le fasi di ingresso, discesa e atterraggio (EDL) di InSight, ha sede presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, in California, insieme ad un’altra parte del team posizionata al Lockheed Martin Space di Denver, ha pre-programmato la navicella per eseguire una sequenza specifica di attività per renderlo possibile. A causa della distanza tra Marte e la Terra, non sarà possibile effettuare interventi durante la fase di discesa della sonda e tutto sarà nelle mani del software che guida la navicella secondo il programma preinstallato.

Quello che segue è un elenco delle fasi che il veicolo spaziale, dovrà completare, assumendo che tutto vada esattamente come pianificato e che gli ingegneri della NASA non apportino modifiche dell’ultimo minuto nelle ore precedenti lo sbarco. L’andamento delle fasi di atterraggio saranno comunicate a Terra solo se la navicella spaziale Mars Cube One (MarCO), un minisatellite per telecomunicazioni giunto su Marte insieme ad InSight, fornirà un affidabile relè di comunicazione da InSight alla Terra. Il principale percorso di comunicazione per i dati ingegneristici di InSight durante il processo di atterraggio è il Mars Reconnaissance Orbiter della NASA e il Mars Odyssey. Le informzioni trasmesse da queste sonde saranno disponibili solo diverse ore dopo l’atterraggio.

Se tutto va bene, MarCO impiegherà alcuni secondi per ricevere e formattare i dati prima di inviarli sulla Terra alla velocità della luce. Il tempo necessario affinchè un segnale radio attraversi la distanza tra Marte è la Terra è oggi di otto minuti e sette secondi. Di seguito sono elencati i vari step dell’atterraggio con l’ora prevista per la confermq dell’esito dell’attività.

  • 11:40 PST (14:40 EST) – Separazione dal palco di crociera che ha portato la missione su Marte
  • 11:41 PST (14:41 EST) – Rotazione per orientare correttamente il veicolo spaziale per l’ingresso nell’atmosfera
  • 11:47 PST (14:47 EST) – Ingresso atmosferico a circa 12.300 mph (19.800 km/h), inizio della fase di ingresso, discesa e atterraggio
  • 11:49 PST (14:49 EST) – Il picco di riscaldamento dello schermo termico di protezione raggiunge circa 2.700 ° F (circa 1.500 ° C)
  • 15 secondi dopo: decelerazione del picco, con il riscaldamento intenso che causa possibili interruzioni temporanee nei segnali radio
  • 11:51 am PST (14:51 EST) – Distribuzione del paracadute
  • 15 secondi dopo – Separazione dallo scudo termico
  • 10 secondi dopo: distribuzione delle tre gambe del lander
  • 11:52 PST (14:52 EST) – Attivazione del radar che rileva la distanza dal suolo
  • 11:53 am PST (2:53 pm EST) – Prima acquisizione del segnale radar
  • 20 secondi dopo – Separazione dal guscio posteriore e dal paracadute
  • 0,5 secondi dopo – I retrorazzi, o motori di discesa, si accendono
  • 2,5 secondi dopo – Inizio della “svolta gravitazionale” per portare il lander nell’orientamento corretto per l’atterraggio
  • 22 secondi dopo – InSight inizia a rallentare a una velocità costante (da 17 mph a 5 miglia orarie costanti, o da 27 km / ha 8 km / h) per il suo atterraggio morbido
  • 11:54 PST (14:54 EST) – Atteso atterraggio sulla superficie di Marte
  • 12:01 PST (15:01 EST) – “Beep” dalla radio X-Band di InSight direttamente sulla Terra, che indica che InSight è vivo e funziona sulla superficie di Marte
  • Non prima delle 12:04 PST (3:04 pm EST), ma probabilmente il giorno successivo – Prima immagine di InSight sulla superficie di Marte
  • Non prima di 17:35 PST (20:35 EST) – Conferma da InSight tramite l’orbiter Mars Odyssey della NASA che gli array solari di InSight hanno dispiegato

Un certo numero di partner europei, incluso il Centre National d’Études Spatiales (CNES) e il Centro aerospaziale tedesco (DLR), stanno supportando la missione InSight. Il CNES ha fornito lo strumento Seismic Experiment for Interior StructureSEIS ), con contributi significativi dall’Istituto Max Planck per la ricerca sul sistema solare (MPS) in Germania, l’Istituto svizzero di tecnologia (ETH) in Svizzera, l’Imperial College e l’Università di Oxford negli Stati Uniti Kingdom e JPL. La DLR ha fornito lo strumento Heat Flow e Physical Properties Package ( HP 3 ), con contributi significativi del Centro di ricerca spaziale (CBK) dell’Accademia delle scienze polacca e di Astronika in Polonia. Il Centro di Astrobiologia spagnolo (CAB) ha fornito i sensori del vento.

L’entrata, la discesa e l’atterraggio (EDL) iniziano quando l’astronave raggiunge l’atmosfera marziana, circa 80 miglia (circa 128 chilometri) sopra la superficie, e termina con il lander, si spera sano e salvo, sulla superficie di Marte sei minuti dopo.

Per InSight, questa fase include una combinazione di tecnologie ereditate dalle passate missioni Mars della NASA come Phoenix Mars Lander. Questo sistema di atterraggio pesa meno degli airbag utilizzati per i rover gemelli o la speciale gru utilizzata dal Mars Science Laboratory. L’hardware di atterraggio meno pesante ha permesso di posizionare su InSight un più elevato numero di strumenti scientifici.

Rispetto a Phoenix, tuttavia, l’atterraggio di InSight presenta quattro ulteriori sfide:

  • InSight entra nell’atmosfera a una velocità inferiore – 12.300 miglia all’ora (5,5 chilometri al secondo) contro 12.500 miglia all’ora (5,6 chilometri al secondo).
  • InSight ha più massa che entra nell’atmosfera – circa 1.340 libbre (608 chilogrammi) contro 1.263 libbre (573 chilogrammi).
  • InSight atterra ad un’altezza di circa 4.900 piedi (1.5 chilometri) più alta di Phoenix, quindi ha meno atmosfera da usare per la decelerazione.
  • InSight atterra durante l’autunno dell’emisfero settentrionale su Marte, quando si sa che le tempeste di sabbia sono cresciute in proporzioni globali in alcuni anni precedenti.

Alcune delle modifiche al sistema di ingresso, discesa e atterraggio di InSight, rispetto a quello utilizzato da Phoenix, sono:

  • InSight utilizza uno scudo termico più spesso, in parte per gestire la possibilità di essere colpito da una tempesta di sabbia.
  • Le sospensioni del paracadute di InSight utilizzano materiale più resistente.

La sequenza di ingresso, discesa e atterraggio si divide in tre parti:

  • Entrata – La navicella è controllata da piccoli razzi durante la discesa attraverso l’atmosfera marziana, verso la superficie.
  • Paracadute Discesa – La navicella InSight rallenta con un grande paracadute, scarica il suo scudo termico e estende le sue tre gambe per assorbire l’urto con il terreno.
  • Discesa a motore – Una volta che il lander si separa dallo scudo termico e dal paracadute, i 12 motori di discesa del lander si accendono e il software di guida a bordo rallenta il veicolo spaziale fino al touchdown.

Come la NASA saprà quando InSight toccherà il suolo

L'immagine mostra i dati di inoltro di MarCO CubeSats
Questa immagine mostra i dati di trasmissione MarCO CubeSats dal lander InSight della NASA mentre entra nell’atmosfera di Marte.
Crediti: NASA / JPL-Caltech

Qual è il suono di un touchdown su Marte?

Se sei al Jet Propulsion Laboratory della NASA, sembra di aver vinto il Super Bowl: acclamazioni, risate e un sacco di urla.

Ma nei minuti precedenti, il team InSight della NASA monitorerà i segnali radio del lander Mars utilizzando una varietà di veicoli spaziali – e persino radiotelescopi qui sulla Terra – per scoprire cosa sta succedendo a 91 milioni di miglia (146 milioni di km) di distanza.

Poiché questi segnali vengono catturati da diversi veicoli spaziali, vengono trasmessi alla Terra in modi diversi e in momenti diversi. Ciò significa che il team di missione può sapere subito quando InSight toccherà o potrebbero dover attendere fino a diverse ore.

Ecco come la NASA ascolterà per il prossimo sbarco su Marte il 26 novembre.

Radio Telescopi

Mentre il lander InSight scende nell’atmosfera di Marte, trasmetterà semplici segnali radio chiamati “toni” sulla Terra. Gli ingegneri si sintonizzeranno da due postazioni: l’Osservatorio Green Bank della National Science Foundation a Green Bank, West Virginia e l’istituto Max Planck per la radioastronomia di Effelsberg, in Germania. I loro risultati saranno trasmessi a Mission Control presso JPL e agli ingegneri di Lockheed Martin Space a Denver.

Questi toni non rivelano molte informazioni, ma i tecnici della radio possono interpretarli per tenere traccia degli eventi chiave durante l’ingresso, la discesa e l’atterraggio (EDL) di InSight. Ad esempio, quando InSight distribuisce il proprio paracadute, uno spostamento di velocità modifica la frequenza del segnale. Questo è causato da quello che viene chiamato effetto Doppler, che è la stessa cosa che si verifica quando si sente una sirena cambiare di tono mentre passa un’ambulanza. Cercare segnali come questi consentirà al team di sapere come sta procedendo l’EDL di InSight.

Mars Cube One (MarCO)

Due veicoli spaziali di dimensioni valigie volano dietro InSight e tenteranno di trasmettere i suoi segnali sulla Terra. Appartenendo a una classe di veicoli spaziali chiamata CubeSat, i Marco sono stati testati come mezzo per future missioni per inviare dati a casa durante l’EDL.

I Marco sono tecnologia sperimentale. Ma se funzionano come dovrebbero, la coppia trasmetterà l’intera storia di EDL mentre si sta svolgendo. Ciò potrebbe includere un’immagine di InSight della superficie di Marte subito dopo che il lander ha toccato terra.

Intuizione

Dopo averlo toccato, InSight essenzialmente urlerà: “L’ho fatto!” Sette minuti dopo, la navicella lo dirà di nuovo – ma un po’ più forte e più chiaro.

La prima volta, comunicherà con un segnale acustico che i radiotelescopi cercheranno di rilevare. La seconda volta, invierà un “bip” dalla sua più potente antenna a banda X, che ora dovrebbe essere puntata verso la Terra. Questo segnale acustico include un po’ più di informazioni e arriverà solo se il veicolo spaziale sano e salvo. Se la Deep Space Network della NASA riceve questo segnale acustico, sarà il segno che InSight è sopravvissuto all’atterraggio. Gli ingegneri dovranno aspettare fino a prima serata per scoprire se il lander ha spiegato con successo i suoi pannelli solari.

Mars Reconnaissance Orbiter (MRO)

Oltre a MarCO CubeSats, la MRO della NASA sorvolerà Marte, registrando i dati di InSight durante la discesa.

MRO manterrà i dati che registra durante l’EDL mentre scompare sopra l’orizzonte marziano. Quando torna dall’altra parte, riprodurrà i dati che gli ingegneri dovranno studiare. Entro le 15:00 PST (6 pm EST), dovrebbero essere in grado di mettere insieme la registrazione di MRO dell’atterraggio.

La registrazione di MRO è simile alla scatola nera di un aereo, il che significa che potrebbe anche rivelarsi importante se InSight non viene toccato correttamente.

2001 Mars Odyssey

Il veicolo spaziale a vita più lunga della NASA su Marte trasmetterà anche i dati dopo che InSight ha toccato terra. Odyssey trasmetterà l’intera storia della discesa di InSight su Marte, oltre a un paio di immagini. Trasmetterà anche la conferma che gli array solari di InSight, che sono vitali per la sopravvivenza della nave spaziale, sono completamente schierati. Gli ingegneri avranno questi dati poco prima delle 17:30 PST (8:30 pm EST).

Odyssey servirà anche come relay di dati per InSight durante le operazioni di superficie, insieme a MRO, Mars Atmosphere della NASA e missione Volatile Evolution (MAVEN) e Trace Gas Orbiter dell’Agenzia spaziale europea.

È il giorno di InSight. Oggi la sonda scenderà su Marte: la sequenza di atterraggio e lo streaming in diretta della NASA

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C’è una grande attesa per la discesa verso la superficie di Marte del lander della NASA InSight, un’attesa che non c’era negli anni scorsi quando scesero su Marte i rover Spirit, Opportunity e Curiosity. La ragione di questo rinnovato interesse dell’opinione pubblica verso l’esplorazione spaziale sta, probabilmente, nella spettacolarizzazione dei lanci iniziata con SpaceX dell’istrionico Elon Musk, strategia cui si sono rapidamente adeguate le agenzie spaziali. Ricordiamo tutti, lo scorso anno, la diretta dell’ESA per lo sfortunato tentativo di discesa del lander Schiaparelli e la grande folla radunatasi a Cape Canaveral lo scorso febbraio in occasione del lancio inaugurale del falcon Heavy si SpaceX.

Nel frattempo si sono aggiunte notizie come quella della scoperta di acqua liquida nelle profondità del polo sud di Marte o l’individuazione di precursori organici nel suolo che hanno stuzzicato l fantasia e la curiosità della gente.

Anche per questo motivo, oggi nella sala operativa della NASA da cui viene gestita la missione InSight trapela grande nervosismo. L’attenzione generale è puntata sul lander che esplorerà il sottosuolo di Marte come per nessun’altra missione prima e sono tantissime le cose che porebbero ancora andare male.

La NASA trasmetterà le fasi finali dell’atterraggio in diretta streaming sui suoi canali. Per chi fosse interessato, da questa pagina potrete assistere dalle 20.00 alle fasi prima dell’ingresso in atmosfera.

https://www.youtube.com/NASAJPL/live

 

Circa un terzo delle missioni indirizzate verso Marte non sono sopravvissute al tentativo di atterraggio. Gli ingegneri aerospaziali considerano l’atterraggio su Marte una delle più grandi sfide del sistema solare.

Occorrono migliaia di passaggi per passare dall’orbita bassa di Marte al suolo, attraversando l’atmosfera e in ognuno di questi step può andare male qualcosa che potrebbe far fallire la missione“, ha dichiarato Rob Manning, l’ingegnere capo del Jet Propulsion Laboratory della NASA.

Il lander inizierà ufficialmente la sua discesa su Marte alle 20.40 e atterrerà alle 20:54.

Ecco, minuto per minuto,  le fasi più più importanti della sequenza di atterraggio di InSight:

20:40 UTC: Il lander InSight, protetto da una capsula d’ingresso, si separa dalla navicella che lo ha portato su Marte.

20:41 UTC: La capsula di ingresso si orienta per l’ingresso in atmosfera con la giusta angolazione – circa 12 gradi rispetto alla superficie.

20:47 UTC: La capsula inizia a solcare i primi strati dell’atmosfera marziana a poco meno di 20.000 Km/h.

20:49 UTC: Lo scudo termico protettivo della sonda raggiunge la sua temperatura massima di circa 1.500 gradi Celsius. Una temperatura sufficiente a sciogliere l’acciaio.

15 secondi dopo: InSight rallenta rapidamente. L’intenso calore causato dall’attrito in questa fase potrebbe causare un blackout temporaneo delle comunicazioni radio.

20:51 UTC: InSight dispiega il suo paracadute supersonico.

15 secondi dopo: sei cariche esplosive liberano la sonda dallo scudo termico.

10 secondi dopo: le tre gambe di InSight escono dagli alloggiamenti e si preparano per sostenere l’atterraggio.

20:52 UTC: Un radar di atterraggio si accende per misurare costantemente la distanza di InSight dal suolo.

20:53 UTC: i primi segnali radar vengono ricevuti ed elaborati dal software di controllo, aiutando InSight a modificare il suo assetto e adattarlo per l’atterraggio.

20 secondi dopo: InSight si stacca dal guscio posteriore e dal paracadute, quindi inizia a scendere in caduta libera.

Mezzo secondo dopo: i retrorazzi del lander (o motori di discesa) si accendono.

2,5 secondi dopo: il robot usa i suoi retrorazzi per orientarsi per l’atterraggio.

22 secondi dopo: la sonda raggiunge la velocità di arrivo di 8 Km/h.

20:54 UTC: Touchdown! InSight raggiunge la superficie di Marte.

21:01 UTC: Il segnale “Sono vivo e vegeto” trasmesso dal sistema radio di InSight raggiunge la Terra.

20:04 UTC (anche se forse molte ore dopo): InSight scatta la sua prima foto sulla superficie di Marte.

20:35 UTC: l’orbiter Mars Odyssey della NASA conferma che i pannelli solari di InSight si sono spiegati: la missione di InSight può cominciare.

Starship (ex FBS): SpaceX chiede alla FCC una licenza per voli sperimentali per i prossimi due anni

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SpaceX ha presentato una domanda di licenza alla Federal Communications Commission per coprire i test di volo di quello che potrebbe essere il veicolo di lancio della prossima generazione, presso il sito di lancio della società nel sud del Texas.

La  richiesta, datata 19 novembre e pubblicata su un database FCC accessibile al pubblico il 21 novembre, cerca una licenza di comunicazione sperimentale per coprire le trasmissioni da e verso un veicolo fuoristrada non specificato, un veicolo di atterraggio verticale (VTVL) che la compagnia intende far volare sul suo sito di lancio in costruzione sulla costa del Golfo del Messico vicino a Brownsville, in Texas.

Durante i test, il veicolo “decollerà, salirà verticalmente a bassa quota e poi tornerà al suo punto di atterraggio originale“, secondo la descrizione allegata all’applicazione. SpaceX non ha risposto a richieste di commento sulla domanda di licenza FCC il 23 novembre.

SpaceX sta progettando i test di bassa e alta quota del veicolo. Durante i test a bassa quota, che si svolgeranno tre volte alla settimana, il veicolo salirà a non più di 500 metri di quota per voli della durata di circa 100 secondi. I test ad alta quota, che si svolgeranno settimanalmente, vedranno il veicolo salire a quote fino a 5000 metri per voli di durata fino a sei minuti.

L’applicazione non nomina il veicolo o fornisce altri dettagli tecnici a riguardo. Tuttavia, per l’identificazione di questo veicolo il candidato principale sembra essere lo stadio superiore, o Starship, del veicolo di prossima generazione di SpaceX. In pratica, dovrebbe essere quello che fino a pochi giorni fa era conosciuto come BFS, ovvero la porzione superiore del veicolo di lancio riutilizzabile di prossima generazione di SpaceX, ufficialmente conosciuto fino all’inizio di questa settimana come Big Falcon Rocket o BFR. In una serie di tweet del 19 novembre, l’amministratore delegato di SpaceX, Elon Musk ha annunciato che la parte superiore del BFR, d’ora in poi sarà chiamata Starship, mentre la parte inferiore, il lanciatore, sarà chiamato Super Heavy.

Musk e altri funzionari di SpaceX avevano, in precedenza, affermato che i test iniziali di “lancio” di ciò che ora viene chiamato Starship sarebbero iniziati alla fine del 2019 nel sito del Texas meridionale. Nella richiesta non è specificato quando inizieranno i voli di test, ma la società ha dichiarato di aspettarsi di aver bisogno della licenza sperimentale per due anni.

Se si trattasse davvero di una versione sperimentale della Starship, i test pianificati sembrano ricalcare le orme dello sviluppo, da parte della compagnia di Musk, della versione del razzo Falcon 9 in grado di atterrare ed essere riutilizzato. Due veicoli di sviluppo, denominati Grasshopper e F9R Dev, basati sul primo stadio del Falcon 9, effettuarono una serie di voli di prova a bassa quota presso l’impianto di collaudo della società a Mcgregor, in Texas. Questi test, che si conclusero con la perdita del veicolo F9R Dev durante un volo dell’agosto 2014, dimostrarono la capacità del veicolo di effettuare atterraggi sfruttando i motori, consentendo l’atterraggio ed il recupero del primo stadio del Falcon 9 dal dicembre 2015.

Anche per i test del Grasshopper e dell’F9R Dev, fu richiesto un permesso sperimentale all’Amministrazione federale per l’aviazione, una versione semplificata di una licenza di lancio destinata ai test suborbitali dei veicoli riutilizzabili.