mercoledì, Aprile 2, 2025
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Nuovo percorso per la nascita di molecole complesse nello spazio

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Un gruppo di scienziati ha scoperto un nuovo modo per creare strutture a base di carbonio nello spazio utilizzando una tecnica  innovativa presso il Dipartimento di Energia Lawrence Berkeley National Laboratory (Berkeley Lab).

Grazie a questa tecnica hanno identificato diversi metodi attraverso i quali molecole a catena chiusa note come idrocarburi policiclici aromatici, o IPA, possono formarsi nello spazio. Lo studio tuttavia è ancora in corso.

Gli IPA che si formano sulla Terra a causa delle emissioni prodotte dalla combustione dei combustibili fossili, potrebbero fornire indizi sulla formazione della chimica della vita nello spazio interstellare. Gli IPA rappresentano circa il 20 percento di tutto il carbonio nella nostra galassia e hanno i mattoni chimici necessari per formare strutture di carbonio 2D e 3D.

Nell’ultimo studio, pubblicato su Nature Communications, gli scienziati hanno realizzato molecole a catena chiusa contenenti carbonio combinando due specie chimiche altamente reattive, i radicali liberi, cosi chiamati perché contengono elettroni spaiati. Lo studio ha infine mostrato come questi processi chimici potrebbero portare allo sviluppo di IPA come il grafene, contenenti carbonio e nanostrutture 2D. Il grafene è un materiale che ha uno spessore di un solo atomo di carbonio.

Va chiarito che lo studio ha mostrato un modo per collegare un anello molecolare pentagonale con un anello molecolare esagonale e convertire anelli molecolari a cinque facce in anelli a sei facce, un modo per avere una gamma più ampia di grandi molecole IPA.

Questo è qualcosa che qualcuno ha provato a misurare sperimentalmente ad alte temperature ma non è mai fatto prima“, ha affermato Musahid Ahmed, uno scienziato della divisione di scienze chimiche del Berkeley Lab.

Ahmed ha portato avanti gli esperimenti di miscelazione chimica presso l’Advanced Light Source (ALS) di Berkeley Lab con la collaborazione del professor Ralf I. Kaiser dell’Università delle Hawaii a Manoa. “Riteniamo che questo sia l’ennesimo percorso che può dare origine agli IPA“.

Anche in studi precedenti il gruppo di ricerca ha identificato altri percorsi per lo sviluppo degli IPA nello spazio suggerendo che i percorsi chimici che portano alla vita possono percorrere strade diverse. Gli esperimenti presso l’ALS del Berkeley Lab – che produce raggi X e altri tipi di radiazione a supporto di molti tipi diversi di esperimenti hanno utilizzato un reattore chimico portatile che combina sostanze chimiche e poi le espelle per studiare quali reagenti si sono formati.

I ricercatori hanno utilizzato un fascio di luce su una lunghezza d’onda nota come “vuoto ultravioletto” o VUV, prodotto dall’ALS, accoppiato con un rivelatore per identificare i composti chimici che vengono proiettate fuori dal reattore a velocità supersoniche. Lo studio ha combinato i radicali chimici CH3 (radicale metilico alifatico) con C9H7 (radicale 1-indenile aromatico) a una temperatura di circa 2.105 gradi Fahrenheit per produrre molecole di un IPA noto come naftalene (C10H8) che è composto da due benzene che formano un doppio anello.

La conclusione è stata che se ci sono le condizioni, la sostanza si può formare nei pressi di stelle ricche di carbonio. Il naftalene, come chiarisce lo studio, era stato teorizzato ma non dimostrato a causa della mancanza di un ambiente ad alta temperatura che sfidava le capacità tecnologiche.

I radicali hanno vita breve: reagiscono con sé stessi e reagiscono con qualsiasi altra cosa che li circonda“, ha spiegato Ahmed. “La sfida è capire come si generano due radicali contemporaneamente e nello stesso posto, in un ambiente estremamente caldo. Li abbiamo riscaldati nel reattore, si sono scontrati e hanno formato i composti, quindi li abbiamo espulsi dal reattore“.

Ralf I. Kaiser ha dichiarato: “Per diversi decenni, le reazioni dei radicali radicali sono state ipotizzate per formare strutture aromatiche nelle fiamme di combustione e nello spazio profondo, ma non ci sono state molte prove a supporto di questa ipotesi“. Ha aggiunto: “Il presente esperimento fornisce chiaramente prove che reazioni tra radicali a temperature elevate formano molecole aromatiche come il naftalene“.

Mentre il metodo utilizzato in questo studio ha cercato di specificare come si formano nello spazio alcuni tipi di composti chimici, i ricercatori hanno notato che i metodi utilizzati possono anche coadiuvare studi più ampi sulle reazioni chimiche che coinvolgono radicali esposti ad alte temperature, come nei campi della chimica dei materiali e sintesi dei materiali.

Fonte:  Scitechdaily.com

“Upload Me to the Moon”: quella che potrebbe diventare presto una nuova moda

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Sei tra coloro che hanno inviato il proprio nome su Marte con il rover ed il lander della NASA o oltre l’orbita di Plutone a bordo della sonda New Horizon?

Questa che si sta profilando adesso, allora, è un’occasione che difficilmente vorrai perdere.

Già, perché quella di imprimere l’impronta del proprio piede sulla Luna rimane un’ambizione impossibile per tutti noi di età superiore ai due anni. Ma per soli 99 dollari potresti essere in grado di depositarvi il tuo DNA.

Una startup chiamata LifeShip si sta preparando a lanciare una campagna Kickstarter per inviare il codice sorgente biologico (il DNA) dei suoi finanziatori sulla Luna. Un investimento di meno di cento dollari potrebbe garantire che il tuo DNA non solo arrivi sulla Luna ma vi rimanga, al sicuro e non molestato dalla minaccia di disastri naturali o da un olocausto nucleare, per millenni.

È economico? Beh, il DNA non occupa molto spazio, o dovremmo dire spazio, quando si fa l’autostop per il nostro più grande satellite naturale. LifeShip sta lavorando con Arch Mission per perfezionare un sistema per imballare i campioni di DNA in blocchi di resina epossidica per la conservazione durante il viaggio, l’atterraggio e la successiva sopravvivenza tra i polverosi crateri lunari.

Arch Mission è l’organizzazione che ha prodotto la Lunar Library – un archivio analogico e digitale della storia umana e della civiltà salvata su dischi di nichel, che è stato inserito nella missione israeliana Beresheet all’inizio di quest’anno. Lanciato su un razzo Space X, l’archivio – e la sonda su cui si trovava – è precipitato sulla superficie lunare a causa di un malfunzionamento del lander israeliano.

Accanto alla Biblioteca lunare, Arch Mission aveva incluso una piccola quantità della sua resina epossidica sperimentale contenente milioni di cellule di esseri umani e altri organismi, oltre ad un certo numero di tardigradi, causando successivamente un po’ di controversie.

Il fondatore di LifeShip, Ben Haldeman, assicura ai potenziali partecipanti preoccupati di contaminare l’inesistente sistema ecologico della Luna che il DNA non può contaminare nulla: non è vivo, tanto per cominciare.

Al momento si sta cercando di capire se l’ambra artificiale di Arch Mission sia in grado di proteggere il suo carico microscopico da danni da radiazioni. Come ha detto alla rivista IEEE Spectrum: “Conserveremo il DNA essicato e avremo molte migliaia di copie del DNA di ogni persona. Se le radiazioni ne danneggeranno alcune, avremo abbastanza ridondanza da salvaguardare i nostri clienti”

Arch Mission insiste sul fatto che “l’ambra” è ancora in fase di sviluppo, ma Haldeman desidera iniziare a inviare kit di raccolta del DNA fai-da-te entro la fine di quest’anno. Se tutto andrà secondo i piani, LifeShip potrebbe iniziare a inviare regolarmente carichi di DNA sulla Luna, sembra che molte persone siano entusiaste della possibilità di avere il proprio codice genetico archiviato in una sorta di backup fuori dalla Terra, al sicuro per un milione di anni o due.

Certo, questa iniziativa somiglia molto a certe imprese in cui fantasiosi e spregiudicati imprenditori vendono alla gente certificati che rivendicano la proprietà di un appezzamento di suolo lunare, ma, in questo caso, un po’ di voi potrebbe effettivamente arrivare fisicamente sulla Luna. 

Non solo zona abitabile: i limiti minimi per la vita

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Se fossimo sulla superficie della Luna, che ha un diametro di circa 3400 Km, noteremo che l’orizzonte è molto più vicino rispetto all’orizzonte che osserviamo dalla superficie terrestre. Il rapporto tra le dimensioni della Terra e della Luna è di circa 1/4. Questo vuole dire che la Luna è 4 volte più piccola della Terra. Il suo orizzonte quindi é molto più vicino di come apparirebbe agli stessi occhi di un osservatore che si trovasse a osservare l’orizzonte terrestre. Ma la Luna è priva di atmosfera e di acqua liquida in superficie, in definitiva è un corpo che non può sostenere la vita, appartenendo a quella categoria di oggetti celesti troppo piccoli che non hanno sufficiente gravità per mantenere un’atmosfera.

Ma che dimensioni minime può avere un pianeta (o un satellite) per essere abitabile?

In un recente articolo, i ricercatori dell’Università di Harvard hanno descritto un nuovo limite di dimensioni minime per i pianeti che possono mantenere l’acqua liquida in superficie per lunghi periodi di tempo, estendendo la cosiddetta zona abitabile detta anche zona di riccioli d’oro per pianeti piccoli, a bassa gravità. Questa ricerca espande l’area di ricerca della vita nell’universo e fa luce sull’importante processo di evoluzione atmosferica sui piccoli pianeti.

La ricerca è stata pubblicata su The Astrophysical Journal.

Quando le persone pensano ai bordi interni ed esterni della zona abitabile, tendono a pensarci solo spazialmente, il che significa quanto il pianeta sia vicino alla stella“, ha detto Constantin Arnscheidt, primo autore del documento. “Ma in realtà, ci sono molte altre variabili per l’abitabilità, inclusa la massa. Stabilire un limite inferiore per l’abitabilità in termini di dimensioni del pianeta ci dà un vincolo importante nella nostra continua caccia agli esopianeti e alle esolune abitabili“.

I pianeti sono considerati abitabili se capaci di mantenere l’acqua liquida in superficie per un tempo sufficiente a consentire l’evoluzione della vita, indicativamente per circa 1 miliardo di anni. Gli astronomi cercano questi pianeti abitabili entro una determinata fascia di distanze da specifici tipi di stelle: le stelle più piccole, più fredde e meno luminose del nostro sole hanno una zona abitabile molto più “stretta“ delle stelle più grandi e più calde.

Il limite interno della zona abitabile è definito da quanto un pianeta può essere vicino a una stella senza che una fuga atmosferica da effetto serra porti all’evaporazione di tutta l’acqua presente in superficie. Ma, come hanno dimostrato Arnscheidt e i suoi colleghi, questa definizione non ha valore per i pianeti a bassa gravità.

Una fuga atmosferica da effetto serra si verifica quando l’atmosfera assorbe più calore di quello che riesce a irradiare nello spazio, impedendo al pianeta di raffreddarsi e portando infine a un galoppante riscaldamento che fa evaporare i suoi oceani e i suoi mari.

Tuttavia, quando i pianeti diminuiscono di dimensioni durante la fase di riscaldamento, le loro atmosfere si espandono, diventando sempre più grandi rispetto alle dimensioni del pianeta stesso. Queste grandi atmosfere funzionando come una sorta di termostato, aumentano sia l’assorbimento che l’irradiazione del calore, permettendo al pianeta di mantenere una temperatura stabile. Questo consente  ai pianeti a bassa gravità di evitare un effetto serra in fuga, consentendo loro di mantenere l’acqua liquida in superficie mentre orbitano in prossimità delle loro stelle.

Quando i pianeti sono troppo piccoli, tuttavia, perdono del tutto le loro atmosfere e l’acqua liquida presente in superficie si congela o vaporizza. I ricercatori hanno dimostrato che esiste una dimensione al di sotto della quale un pianeta non può mai essere abitabile, almeno per come intendiamo noi “abitabile“, il che significa che la zona abitabile è limitata non solo alla distanza della stella, ma anche alla dimensione del pianeta.

I ricercatori hanno scoperto che se un pianeta è più piccolo del 2,7 percento della massa della Terra, la sua atmosfera fuggirà prima che abbia la possibilità di mantenere acqua liquida superficiale, proprio come succede alle comete.

I ricercatori sono stati anche in grado di stimare le zone abitabili di questi piccoli pianeti attorno a determinate stelle. Sono stati creati due scenari per due diversi tipi di stelle: una stella di tipo G come il nostro sole e una stella di tipo M modellata su una nana rossa nella costellazione del Leone.

I ricercatori hanno risolto un altro mistero di vecchia data nel nostro sistema solare. Gli astronomi si chiedevano da tempo se le lune ghiacciate di Giove, Europa, Ganimede e Callisto, potrebbero essere abitabili se le radiazioni del Sole fossero sufficienti. Sulla base di questa ricerca, queste lune sono troppo piccole per mantenere acqua liquida in superficie, e sarebbe così anche se fossero più vicine al Sole.

I mondi acquatici a bassa massa sono un’affascinante possibilità nella ricerca della vita, e questo documento mostra quanto sia diverso il loro comportamento rispetto a quello dei pianeti simili alla Terra“, ha affermato Robin Wordsworth, professore associato di scienze ambientali e ingegneria presso SEAS e autore senior dello studio. “Una volta che saranno possibili osservazioni per questa classe di oggetti, sarà entusiasmante provare direttamente queste previsioni“.

Questo documento è stato scritto da Feng Ding, un borsista post dottorato presso la Harvard John A. Paulson School of Engineering and Applied Sciences e Graduate School of Arts and Sciences.

Questo lavoro è stato supportato dalla NASA Habitable Worlds concessione NNX16AR86G.

Fonte: Università di Harvard 

Occasioni Amazon: la nostra selezione di oggi

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La prima foto a colori della cometa interstellare rivela la sua coda sfocata

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Gli astronomi hanno pubblicato la prima, spettacolare, fotografia di quella che sospettano essere una cometa interstellare.

L’immagine, a colori, ha permesso agli astronomi di individuare una coda di cometa, che è il prodotto dei gas che fuoriescono dalla sua superficie riscaldata dall’esposizione alla luce solare. Questa coda è unica tra i sospetti visitatori interstellari del nostro sistema solare. Come sappiamo, però, finora sono solo due gli oggetti sospettati di avere un’origine interstellare che sono stati individuati nel sistema solare: questa cometa, chiamata Cometa C/2019 Q4 (Borisov), e ‘Oumuamua, che ci è apparso come un asteroide a forma di sigaro privo di qualunque emissione visibile di gas dalla sua superficie.

L’immagine è stata ripresa nella notte tra il 9 ed il 10 settembre usando lo Spettrografo Gemini Multi-Object sul Gemini North Telescope sul Mauna Kea delle Hawaii.

Questa immagine è stata possibile grazie alla capacità di Gemini di regolare rapidamente le osservazioni nell’inquadrare oggetti come questo, che hanno finestre di visibilità molto brevi“, ha dichiarato Andrew Stephens, che ha coordinato le osservazioni all’Osservatorio gemini, in una nota.
La cometa è stata scoperta dall’astronomo dilettante russo Gennady Borisov il 30 agosto. In questo momento il suo percorso nel cielo terrestre la avvicina al Sole, rendendola difficile da osservare perché è meglio visibile al crepuscolo. Nei prossimi mesi, la cometa dovrebbe spostarsi più lontano dal sole, rendendo più facile la visione.
Gli astronomi non sono certi che questa cometa abbia un’origine al di fuori del nostro sistema solare, perché il suo percorso attraverso lo spazio non è ben definito. Finora, tuttavia, i dati suggeriscono che il stia percorrendo un’iperbole, il che significa che si sta immergendo nel sistema solare prima di volarne di nuovo fuori.
La maggior parte delle comete e asteroidi tracciati nel sistema solare hanno orbite ellittiche, che vanno da orbite quasi circolari a forma di uovo a orbite lunghe.

Lo Pterosauro gigante del Canada

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Milioni di anni fa, un rettile volante grande quanto un aereo si librava nei cieli di quello che oggi è il Canada.

Adesso, questa enorme specie di pterosauro gigante, parte di un gruppo noto come azhdarchids, ha finalmente un nome: Cryodrakon boreas, dalle antiche parole greche che si traducono in “drago freddo dei venti del nord“.

Cryodrakon boreas

Fossili di borodrakon borea sono stati scoperti decenni fa e si pensava appartenessero a un altro azidaride nordamericano: Il Quetzalcoatlus, uno dei più grandi animali volanti conosciuti. Ma la scoperta di ulteriori fossili negli ultimi anni ha fatto capire agli scienziati che i fossili rappresentavano una nuova specie,  la prima nuova specie di pterosauro gigante scoperta in Canada.

La ricostruzione, grazie a un nuovo studio, è basata sulle dimensioni di un enorme osso del collo che si ritiene appartenga a un animale adulto, il pterosauro appena descritto probabilmente aveva un’apertura alare di circa 10 metri, rendendolo paragonabile in dimensioni al suo mostruoso cugino azhdarchid Quetzalcoatlus.

Lo studio afferma che i fossili di Cryodrakon provenivano dal Parco Provinciale dei Dinosauri in Alberta e risalgono tra i 77 e i 74 milioni di anni fa, nel il periodo Cretaceo (145,5 – 65,5 milioni di anni fa). L’autore dello studio David Hone,  professore senior e direttore del programma di biologia alla Queen Mary University di Londra, ha spiegato che l’Azhdarchids abitava tutti i continenti tranne l’Antartide e l’Australia. Questi animali sono noti per avere teste di grandi dimensioni, colli lunghi, gambe lunghe e piedi larghi.

Nonostante ciò, rimangono un numero limitato di fossili di questi giganti volanti.

I fossili vengono conservati quando i resti degli animali vengono sepolti in strati di sedimenti e grazie a batteri che distruggono la materia organica. Molti dei resti meglio conservati risalenti a milioni di anni fa appartenevano ad animali che vivevano vicino a mari o fiumi e gli pterosauri allora (incluso il Cryodrakon) vivevano principalmente nell’entroterra, ha spiegato Hone.

E le loro ossa sono follemente sottili, quindi sono molto rare“, ha aggiunto. “Siamo fortunati ad avere tutto il materiale buono che abbiamo“.

Che aspetto aveva il C. boreas in vita? Il paleoartista David Maas ha illustrato lo pterosauro con uno disegno distintivo rosso e bianco che sarà probabilmente immediatamente riconoscibile per qualsiasi canadese. Viste dall’alto con le ali spiegate, i segni sulla schiena e le punte delle ali del Cryodrakon ricordano fortemente la bandiera canadese, fino all’iconica foglia d’acero al centro.

Ovviamente i colori sono stati scelti  per creare qualcosa di divertente, in quanto non ci sono prove fossili dei colori o dei motivi che potevano adornare l’animale. Tuttavia, ha affermato Honein realtà è una combinazione di colori plausibile“.

Non è nulla di ridicolo o impossibile in base a ciò che sappiamo sui colori dei grandi uccelli viventi“, ha  aggiunto Hone.

I risultati sono stati pubblicati online il 9 settembre nel Journal of Vertebrate Paleontology.

Gli ultimi studi sull’espansione accelerata potrebbero aver tolto due miliardi di anni all’età dell’universo

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A quanto pare, l’universo sembra ogni giorno più giovane.

I nuovi calcoli sulla costante di Hubble suggeriscono che l’universo potrebbe essere un paio di miliardi di anni più giovane di quanto stimato finora dagli scienziati, e persino più giovane di quanto suggerito da altri due calcoli pubblicati quest’anno che già avevano tagliato centinaia di milioni di anni dall’età del cosmo.

Le enormi oscillazioni delle stime degli scienziati – anche questo nuovo calcolo potrebbe essere approssimato di qualche miliardo di anni – riflettono approcci diversi al difficile problema di capire l’età reale dell’universo. Gli scienziati stimano l’età dell’universo usando il movimento delle stelle per misurare la velocità con cui questo si sta espandendo.

Se l’universo si stesse davvero espandendo più velocemente di quanto ritenuto finora, ciò significherebbe che è arrivato alle sue dimensioni attuali più rapidamente e quindi deve essere relativamente più giovane. Il tasso di espansione, chiamato costante di Hubble, è uno dei numeri più importanti in cosmologia.

L’età generalmente accettata dell’universo è di 13,7 miliardi di anni, calcolata in base al valore della costante di Hubble ricavato 70 anni fa.

Inh Jee del Max Planck Institute for Astrophysics della Germania, autore principale dello studio sulla rivista Science ha calcolato un valore per la costante di Hubble di 82,4, che porterebbe l’età dell’universo a circa 11,4 miliardi di anni.

Jee, per fare i suoi calcoli, ha usato dati ricavati attraverso una cosa chiamata lente gravitazionale, in cui la gravità devia la luce e avvicina gli oggetti lontani permettendo di valutarne la distanza.

Jee e gli altri scienziati coinvolti nello studio, però, avvertono che pur essendo sicuri del loro risultato, potrebbero esserci alcune incertezze relative al fatto che hanno usato solo due lenti gravitazionali (le uniche disponibili), e quindi il margine di errore potrebbe essere così grande che è possibile che l’universo sia molto più vecchio di quanto calcolato, invece che molto più giovane.

L’approccio di Jee, in ogni caso, ha fornito il terzo risultato diverso per il valore della costante di Hubble nel giro di poco tempo.

Abbiamo una grande incertezza sul modo in cui le stelle si muovono nell’universo“.

Una tecnologia che permette di produrre energia elettrica rinnovabile grazie al freddo della notte

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Due anni fa, in una gelida notte di dicembre su un tetto della California, una piccola luce brillava debolmente con un piccolo aiuto dall’aria gelida della notte. Non era un bagliore molto luminoso, ma sufficiente a dimostrare che è possibile generare energia rinnovabile dopo il tramonto del sole.

Lavorando con gli ingegneri della Stanford University Wei Li e Shanhui Fan, lo scienziato dei materiali dell’Università di California, Aaswath Raman, ha messo insieme un dispositivo che produce una tensione elettrica incanalando il calore residuo della giornata nell’aria che si va raffreddando.

Il nostro lavoro mette in luce le molte opportunità rimanenti per produrre energia sfruttando il freddo esterno come risorsa di energia rinnovabile“, afferma Raman.

cella di potenza notturna(Aaswath Raman)

Pensiamo che questo potrà costituire la base di una tecnologia complementare al fotovoltaico. Anche se la potenza erogata sarà sempre sostanzialmente inferiore, questo sistema può funzionare anche nelle ore in cui le celle solari non possono“.

Con tutti i meriti dell’energia solare, questa non è una fonte di energia in grado di funzionare 24-7. Certo, possiamo immagazzinarla in una batteria grande o usarla per pompare l’acqua in un serbatoio per utilizzarla anche quando sarà buio, ma fino a quando non avremo soluzioni più economiche, la notte sarà un momento senza produzione per l’energia solare rinnovabile. La maggior parte di noi torna a casa dal lavoro mentre il sole sta tramontando, ed è allora che sono richiesti picchi di energia soddisfare le nostre esigenze di riscaldamento, cucina, intrattenimento e illuminazione.

Sfortunatamente, spesso dobbiamo ancora rivolgerci ai combustibili fossili per colmare il deficit di corrente. Per coloro che vivono scollegati dalla rete elettrica, questo significa molte limitazioni e pochi lussi.

Shanhui Fan capisce bene la necessità di una fonte di energia rinnovabile notturna. Ha quindi lavorato su una serie di dispositivi simili, tra cui, di recente, ad una tecnologia che sfrutta il calore emanato di notte dalla superficie terrestre per produrre energia elettrica.

Questo dispositivo alternativo sfrutta il buon vecchio effetto termoelettrico.

Utilizzando un materiale chiamato termocoppia, gli ingegneri possono convertire una variazione di temperatura in una differenza di tensione. Ciò richiede qualcosa di relativamente caldo da un lato e un luogo da cui l’energia termica possa sfuggire dall’altro.

La teoria è la parte facile: la vera sfida è quella di organizzare i materiali giusti in modo tale da generare una tensione dai nostri circuiti di raffreddamento che produca energia utile.

Per contenere i costi, il team ha utilizzato oggetti semplici e pronti all’uso, molto semplici da reperire per chiunque.

Dopo avere messo insieme un generatore termoelettrico economico, lo hanno collegato con un disco di alluminio nero esposto all’aria come dispersore di calore. Il generatore era collocato all’interno di un involucro di polistirolo sigillato con una finestra trasparente alla luce infrarossa e collegato a un singolo minuscolo LED.

Schema del dispositivo termoelettico notturno(Aaswath Raman)

La scatola, dopo essere stata esposta tutto il giorno al Sole, è stata lasciata raffreddare su un tetto, mentre la temperatura dell’aria scendeva appena sotto lo zero. Mentre il calore fluiva dalla terra verso il cielo, il piccolo generatore riusciva a produrre giusto la corrente sufficiente ad accendere una luce tremolante nel piccolo led collegato.

Nel migliore dei casi, il dispositivo ha generato circa 0,8 milliwatt di potenza, corrispondenti a 25 milliwatt di potenza per metro quadrato.

Potrebbe essere sufficiente per far funzionare un apparecchio acustico. Metti insieme più fili e potresti essere in grado di far divertire il tuo gatto con un semplice puntatore laser. Chiaramente, non stiamo parlando di enormi quantità di energia.

Essendo un prototipo, però, stabilisce un fantastico punto di partenza. Secondo il team, con le giuste modifiche e le giuste condizioni, una produzione di 500 milliwatt per metro quadrato non non è impossibile.

Oltre che per l’illuminazione, riteniamo che questo potrebbe essere un approccio ampiamente abilitante alla generazione di energia, particolarmente adatto per località remote e ovunque sia necessaria la generazione di energia durante la notte“, afferma Raman.

Mentre cerchiamo idee grandi e brillanti per guidare la rivoluzione verso le energie rinnovabili, è importante assicurarsi di non lasciare che le soluzioni più piccole e semplici come queste scivolino via silenziosamente nella notte.

Questa ricerca è stata pubblicata su Joule.

Un teenager con malattia correlata all’uso della sigaretta elettronica ora ha i polmoni di un uomo di 70 anni

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Se il caso di Adam Hergenreder è qualcosa da seguire, le recenti preoccupazioni sulle sigarette elettroniche non sono uno scherzo.

Lo studente e atleta di 18 anni di Gurnee, in Illinois, è stato ricoverato in ospedale dopo un avere “svapato” per un anno e mezzo. Ora, secondo i medici, ha i polmoni simili a quelli di un 70enne.

Guarda il video di Adam Hergenreder qui sotto:

Come riportato dalla CNN, Hergenreder ha dichiarato: “È spaventoso pensarci, quel piccolo dispositivo ha fatto questo ai miei polmoniEro un wrestler prima di questo e potrei non essere mai più in grado di lottare perché è uno sport molto fisico e i miei polmoni potrebbero non essere in grado di sostenere questo sforzo… è triste“.

La misteriosa malattia legata allo svapo ha fatto puntare l’attenzione dei media statunitensi sull’industria delle sigarette elettroniche: come riportato dal Los Angeles Times, i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) stanno attualmente indagando su 450 casi di gravi malattie polmonari per stabilire il legame con la pratica dello svapo. L’hanno definito “un focolaio“.

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La maggior parte dei casi riguarda persone di età compresa tra 18 e 25 anni: secondo The Guardian, circa 9 milioni di adulti e 3,6 milioni di adolescenti negli Stati Uniti usano sigarette elettroniche.

Tuttavia, nonostante gli investigatori stiano ancora lavorando per identificare la causa definitiva delle malattie, l’amministrazione Trump si sta muovendo per vietare i liquidi aromatizzati per le sigarette elettroniche.

A seguito di un incontro alla Casa Bianca di mercoledì (11 settembre) con consulenti tra cui il segretario alla salute e ai servizi umani Alex Azar e il commissario per l’amministrazione e somministrazione dei farmaci (FDA) Norman Sharpless, Trump ha detto ai giornalisti che le sigarette elettroniche sono “un problema“.

Presidente Donald Trump US America White House

Come riportato da Bloomberg, Trump ha dichiarato: “Non è solo un problema in generale, ma in particolare per quanto riguarda il rispetto dei giovani. Stiamo pensando di fare qualcosa di molto, molto forte al riguardo“.

Azar ha aggiunto che la FDA pubblicherà presto una guida normativa per rimuovere dal mercato i prodotti di vaporizzazione aromatizzati.

I funzionari sanitari hanno anche confermato sei morti – in California, Illinois, Indiana, Minnesota, Oregon e Kansas – mentre un altro uomo nello Utah è attualmente in coma indotto.

Uomo in coma a causa dello svapo

Come riportato dal Los Angeles Times, la direttrice della sanità pubblica della contea di Los Angeles, Barbara Ferrer, ha emesso il seguente avvertimento: “Oggi lanciamo un avviso a tutti i residenti sull’uso di questi dispositivi come potenzialmente dannosi per la corretta funzionalità polmonare, smettette di svapare ora“.

Dopo che il numero di casi è raddoppiato nell’arco di una sola settimana, i funzionari del Centers for Disease Control (CDC) hanno anche invitato le persone a smettere di utilizzare le sigarette elettroniche.

Come riportato da People, il responsabile del CDC, dott.ssa Dana Meaney-Delman, ha dichiarato: “Mentre questa indagine è in corso, le persone dovrebbero considerare di non utilizzare prodotti per sigarette elettroniche. Le persone che usano i prodotti per sigarette elettroniche devono monitorare se stessi per i sintomi, ad esempio tosse, respiro corto, dolore toracico, nausea e vomito – e cercare prontamente assistenza medica per eventuali problemi di salute”.

Berretto da ragazza svapo

Sharpless ha anche fatto eco alle richieste di ulteriori regolamenti sulle sigarette elettroniche aromatizzate, affermando che useranno tutta la loro autorità per “affrontare la crisi sanitaria“.

Come riportato dalla CNN, Sharpless ha dichiarato: “L’enorme progresso che abbiamo compiuto nel ridurre il consumo di tabacco da parte dei giovani negli Stati Uniti è messo a repentaglio da questo nuovo problema derivante dell’uso delle sigarette elettroniche. Nessuno vuole vedere i giovani diventare dipendenti dalla nicotina e continueremo a utilizzare la portata della nostra autorità di regolamentazione in modo ponderato e approfondito per affrontare questa crescente crisi della salute pubblica“.

La verità sui cambiamenti climatici è documentata attraverso i dati di secoli di vendemmie francesi

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Se non credi alle parole di uno scienziato quando ti dice che le ultime estati sono state caratterizzate da un caldo anomalo, che ne pensi di un vignaiolo? Come dice un proverbio “In vino veritas“, ovvero “nel vino sta la verità“. I registri che sono stati recentemente pubblicati, di un periodo di 6,5 secoli di vendemmie, rivelano che i recenti cambiamenti del clima in Europa occidentale non si erano mai visti prima.

Gli abitanti della Borgogna prendono cosi sul serio il loro vino che hanno registrato il periodo di raccolta annuale per 664 anni, direttamente o nei registri dei pagamenti alle vendemmie e nei rapporti del consiglio.

Il dott. Thomas Labbé dell’Università della Borgogna ha analizzato numerosi archivi, per scoprire le date in cui si effettuava la raccolta intorno a Beaune. Grazie a ciò è riuscito a fare la più lunga raccolta mai pubblicata, partendo dal 1354, praticamente da quando la Guerra dei 100 anni, se fosse stata una persona, non sarebbe stata abbastanza grande per bere vino.

Labbé e riuscito a confermare, grazie al confronto delle date del raccolto insieme ai record di temperatura locali da quando erano disponibili, che le estati calde e secche hanno sempre provocato una raccolta dell’uva anticipata rispetto a quelle più fresche e umide.

“La registrazione è divisa in due parti”, ha affermato Labbé in una nota. Per oltre 600 anni la data media del raccolto è stata il 28 settembre. Dal 1988 invece la data media è passata al 15 settembre, indicando quindi condizioni molto più calde.

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Questa pagina delle spese della Chiesa di Notre-Dame di Neaune, rivela le date in cui i vendemmiatori hanno lavorato nel 1385. Archivi dipartimentali della Costa d’Oro, 2918/24, Thomas Labbe.

“Non prevedevamo che l’aumentare delle temperature dalla metà degli anni ’80 si sarebbe visto cosi chiaramente all’interno dell’elenco”, ha affermato il professor Christian Pfister dell’Università di Berna, autore insieme a Labbé dello studio dei dati pubblicato nel “Climate of the Past”. “Il cambiamento che sta portando ad un rapido riscaldamento globale si distingue molto chiaramente dopo il 1988. Con questo studio le temperature eccezionali degli ultimi 30 anni diventano evidenti a tutti.”

content 1567086626 vinyardI vigneti della Borgogna sembrano idilliaci, ma rivelano la velocità dei cambiamenti climatici allo stesso modo di un ghiacciaio che si scioglie. Olivier Duquesne via Flickr CC-by-SA 2.0

I climatologi sono scettici nell’utilizzare un singolo luogo per rappresentare l’intero globo. Ci possono essere vari fattori per cui un certo luogo si differenzia da altri. Tuttavia, le prove raccolte da Labbé parlano molto chiaramente. Esiste anche un altra raccolta di dati che dura da molto tempo ed ha un immenso significato culturale, essa raccoglie i tempi dei festival giapponesi dei fiori di ciliegio, ancora più lungo ma meno completo.

I raccolti del vino riportano le temperatura dal mese di aprile a quello di luglio. I dati dei fiori di ciliegio invece riconducono al periodo primaverile. Esistono anche altri registri, tra essi troviamo quello del congelamento di un lago giapponese e dello scongelamento di un fiume scandinavo. Essi mostrano come gli inverni in quelle regioni sono recentemente diventati come i secoli precedenti.

Le misurazioni dei cambiamenti climatici a lungo termine possono essere fatte anche attraverso gli anelli degli alberi, le stalattiti e le stalagmiti. Tuttavia tutte queste fonti rimangono comunque meno precise dei dati raccolti da Labbè.