mercoledì, Aprile 2, 2025
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Grazie alla sonda Cassini trovati composti organici idrosolubili su Encelado

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La defunta sonda Cassini, a due anni dalla sua morte, incenerita dal lungo tuffo suicida nell’atmosfera di Saturno, riesce ancora a stupire con l’enorme mole di dati che ci ha fornito. Gli scienziati hanno scoperto gli ingredienti base della vita nei pennacchi emessi come geyser dalla Luna di Saturno Encelado.

Una nuova analisi dei dati in possesso della NASA ha rivelato la presenza di composti organici nei pennacchi di acqua liquida espulsi nello spazio dall’oceano sotto la crosta ghiacciata di Encelado.

Questi composti, che comprendono azoto e ossigeno, svolgono un ruolo chiave nella produzione di aminoacidi ⁠- molecole complesse che fungono da elementi costitutivi delle proteine. Senza proteine, la vita come la conosciamo sulla Terra non potrebbe esistere.

I ricercatori sospettavano da tempo che l’oceano sotto la superficie di Encelado potesse ospitare gli ingredienti per la vita. In precedenza, erano già state rilevate molecole organiche provenienti dalla luna ghiacciata, ma questa è la prima volta che qualcuno le ha rilevate dissolte nell’acqua.

È fondamentale, poiché significa che nelle acque profonde di Encelado questi composti potrebbero subire reazioni chimiche producendo aminoacidi.

Questi risultati sono stati pubblicati sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Questo lavoro mostra che nell’oceano di Encelado ci sono blocchi reattivi in ​​abbondanza, e questo aumenta le probabilità che Encelado possa ospitare la vita“, ha detto Frank Postberg, coautore dello studio, in un comunicato stampa.

Da Encelado, attraverso getti caldi simili ai geyser che fratturano la spessa crosta di ghiaccio che ricopre un oceano sottostante, si riversano regolarmente nello spazio getti d’acqua e ghiaccio.

Gli scienziati della NASA dietro il nuovo studio, hanno analizzato i dati sulla composizione chimica di quei pennacchi e hanno trovato diversi nuovi composti organici, alcuni contenenti azoto e altri contenenti ossigeno.

Questi composti potrebbero essere il segno che Encelado potrebbe avere una sua versione della storia della creazione. Nel profondo degli oceani terrestri, l’acqua di mare si mescola al magma che fuoriesce dalle fessure del fondo oceanico. Tale interazione produce sfiati idrotermici fumosi che possono arrivare a temperature prossime ai 370 gradi Celsius.

Questi sfiati emettono acqua calda ricca di idrogeno, alimentando reazioni chimiche che trasformano i composti organici in amminoacidi. Questi aminoacidi possono quindi impilarsi l’uno sull’altro come mattoncini di Lego per formare proteine, che sono elementi cruciali per replicare le informazioni genetiche che creano la vita.

Questo processo consente alla vita di svilupparsi senza l’assistenza della luce solare. Questo è importante perché la superficie del ghiaccio di Encelado è altamente riflettente e filtra quella poca luce solare che la luna riceve, quindi qualsiasi forma di vita ci fosse eventualmente nell’oceano della luna di Saturno, dovrebbe essersi sviluppata nel buio.

Gli scienziati ritengono che le possibili prese d’aria idrotermali nell’oceano sotterraneo su Encelado potrebbero funzionare in modo simile a quelle sulla Terra.

Se le condizioni sono giuste, queste molecole provenienti dall’oceano profondo di Encelado potrebbero rappresentare le stesse reazioni che vediamo qui sulla Terra“, ha dichiarato Nozair Khawaja, che ha guidato il gruppo di ricerca. “Non sappiamo ancora se gli aminoacidi sono necessari per la vita oltre la Terra, ma trovare le molecole che formano gli aminoacidi è un pezzo importante del puzzle“.

Questi composti dovrebbero sciogliersi nell’acqua dell’oceano per interagire con le aperture idrotermali e produrre vita. Fino ad ora, gli scienziati non erano sicuri se i composti organici su Encelado lo facessero. “Qui stiamo trovando blocchi organici più piccoli e solubili – potenziali precursori di aminoacidi e altri ingredienti necessari per la vita sulla Terra“, ha dichiarato Jon Hillier, un altro coautore dello studio, nel comunicato.

Altro da imparare dai dati di Cassini

I dati utilizzati per giungere a questi risultati provenivano dalla missione Cassini della NASA. La sonda fu stata lanciata nel 1997 e ha trascorso 13 anni ad esplorare Saturno e le sue lune.

Nel settembre 2017, la missione si è conclusa quando gli scienziati hanno intenzionalmente inviato il veicolo spaziale a precipitare nell’atmosfera di Saturno. Lo hanno fatto per evitare che eventuali microorganismi terrestri presenti nella sonda potessero contaminare Encelado o Titano, l’altra luna di Saturno che potrebbe anche ospitare la vita.

Cassini ha scoperto che Encelado nasconde un oceano globale di acqua salata liquida sotto la sua superficie e ha fotografato getti di quell’acqua sparati nello spazio. La sonda ha attraversato quei pennacchi e ha raccolto dati sulla loro composizione nel 2008.

Gli scienziati ritengono che l’enorme mole di dati raccolti da Cassini dovrà continuare ad essere studiata ed approfondita ancora per decenni.

Intanto, la NASA prevede di inviare una sonda su Titano, che è un altro obiettivo primario nella ricerca della vita aliena a causa dell’abbondanza di composti organici che vi sono stati individuati. la nuova missione dovrebbe arrivare su Titano nel 2034.

Fonte: Business Insider.

Sempre più aspre le discussioni tra gli scienziati riguardo le caratteristiche necessarie per l’abitabilità degli esopianeti

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Poco meno di un mese fa, gli scienziati hanno annunciato di avere individuato in K2-18b un esopianeta a 110 anni luce da noi con vapore acqueo nell’atmosfera. Fondamentalmente, il pianeta si trova posto nella “zona abitabile” della sua stella (la regione attorno a una stella che è abbastanza temperata per permettere la presenza di acqua liquida sulla sua superficie).

L’uso di questa definizione è, però, piuttosto controverso. Anche se è abbastanza certo che su K2-18b gli esseri umani non potrebbero vivere, essendo un pianeta sub-nettuniano, sono in corso accese discussioni tra gli esperti sul fatto se sia possibile che una qualche forma di vita microbica estremofila possa esservisi sviluppata.

insomma, K2-18b probabilmente è nella zona abitabile della sua stella ma non si trova un accordo sulla possibilità che sia davvero abitabile.

Questo disaccordo è in parte dovuto al fatto che non c’è un consenso sul tipo di pianeta che è K2-18b, ma anche anche al fatto che ci sono molti modi diversi di definire l’abitabilità. Alcuni scienziati ritengono che una superficie rocciosa sia essenziale. Altri pensano che forme di vita microbiche potrebbero svilupparsi anche in un’atmosfera adatta.

Ovviamente, tutto questo non costituisce una sorpresa: abitabilità è un termine vago e anche un po’ gergale. Se chiedessimo a un centinaio di scienziati di definire ciò che rende abitabile un pianeta, otterremmo cento risposte diverse.

Gran parte della discussione è stata guidata da ciò che è noto e quale tecnologia ci servirebbe per elaborare modelli al computer di questi pianeti“, afferma Rory Barnes, astronomo e astrobiologo presso il Virtual Planet Laboratory dell’Università di Washington.

In precedenza, i dati forniti dalle osservazioni astronomiche erano estremamente limitati. Ad esempio, nel 2007 gli scienziati scoprirono Gliese 581c, il primo esopianeta roccioso individuato nella zona abitabile. “All’epoca, questi erano i due requisiti di cui le persone avevano bisogno per alzarsi dal letto la mattina e pensare che c’era qualcosa a cui valeva la pena prestare attenzione“, afferma Barnes.

L’acqua è essenziale per la vita come la conosciamo, quindi la sua presenza è stata considerata da sempre il primo requisito per selezionare quali nuovi mondi dovrebbero attirare la nostra attenzione. D’altra parte, non si possono trascurare altre esigenze della vita come la conosciamo, come una fonte di carbonio, una fonte di energia e sostanze nutritive essenziali, come ha spiegato Stephanie Olson, una ricercatrice planetaria dell’Università di Chicago.

Un pianeta privo di queste altre cose è praticamente inabitabile come Plutone

Inoltre, un pianeta non deve risiedere nella zona abitabile per essere abitabile. La luna Europa di Giove, e le lune di Saturno, Titano ed Encelado, sono solo alcuni esempi di possibili “mondi oceanici” che suscitano l’interesse degli astrobiologi nonostante siano ben al di fuori della zona abitabile del sole.

Parte del problema è che abbiamo isolato in modo inappropriato queste indagini da altre scienze. “Dico sempre agli astronomi che se vogliono sapere cos’è l’abitabilità, studia la biologia“, afferma Abel Méndez, un astronomo planetario e direttore del Planetary Habitability Laboratory dell’Università di Puerto Rico ad Arecibo. Molti sono preoccupati che gli astronomi stiano applicando in modo inappropriato lezioni di biologia e scienze del clima ai mondi extraterrestri e che questo sia ciò che sta causando così tante controversie.

Al contrario, “esiste il pericolo di essere troppo incentrati sulla Terra“, afferma Barnes. “Comprendiamo come la Terra funzioni davvero bene e potremmo ingannarci nel pensare che certe firme siano automaticamente un segno di vita o neghino la possibilità della vita. La vita potrebbe esistere su Titano o Europa, o forse anche su Venere, ma non siamo pronti a trovarla se si baserà su una chimica diversa da quella derivata dalla nostra esperienza.

Migliorare il nostro approccio significa che abbiamo bisogno di migliorare lo scambio di formazione e dati tra i diversi campi della scienza. Questo ci porta al Virtual Planet Lab, fondato nel 2001 per capire come si forma e si evolve un pianeta abitabile e come possiamo effettivamente osservare quel processo su un vero esopianeta. La formazione del lab, che comprende scienziati del clima, ricercatori dell’atmosfera, informatici, biologi, geofisici e astronomi, riflette l’approccio multidisciplinare che la scienza planetaria dovrebbe perseguire.

Il laboratorio ha recentemente presentato VPLanet, un software aperto che simula l’evoluzione di un pianeta per miliardi di anni, principalmente (anche se non esclusivamente) per valutare se quel pianeta è, o una volta era, potenzialmente abitabile e possa supportare l’acqua liquida sulla sua superficie.

I modelli di VPLanet tengono conto di una serie di diverse dinamiche, tra cui processi interni e geologici, l’evoluzione del campo magnetico, clima, fuga atmosferica, effetti di rotazione, forze di marea, orbite, formazione ed evoluzione delle stelle, condizioni insolite come i sistemi di stelle binarie e perturbazioni gravitazionali da corpi di passaggio. Altri ricercatori possono programmare nuovi moduli che simulano altri processi fisici e collegarli al software.

Uno strumento come VPLanet ha lo scopo di aiutare ad individuare quali pianeti delle zone abitabili (e altri buoni candidati) vale la pena di studiare in profondità con gli strumenti esistenti e quelli nuovi che presto saranno attivi. Ma i suoi tentativi di caratterizzare la storia di un pianeta potrebbero anche spingerci a guardare alcuni esopianeti che normalmente non considereremmo. Tendiamo a pensare alla storia della Terra come ua qualcosa di unico e particolare, ma Barnes ha suggerito che potrebbe effettivamente essere un’esperienza abbastanza comune per molti altri esopianeti che stiamo identificando ora.

“I pianeti in orbita attorno a stelle a bassa massa, come Proxima b, hanno probabilmente subito una notevole evoluzione“, afferma Barnes. La luminosità delle loro stelle ospiti è diminuita molto rapidamente, inoltre sono stelle che emettono più radiazioni di fascia alta dannose per le atmosfere planetarie e inducono più effetti di marea sui pianeti in orbita. queste sono solo alcune delle cose che potrebbero indurci a scartare un pianeta come potenzialmente adatto alla vita.

Altri modelli possono aiutarci a riconoscere diversi tipi di dinamiche che potrebbero promuovere o ostacolare la vita. Alcuni hanno rivisto i limiti della zona abitabile sulla base di una scienza climatica più approfondita. Recentemente Olson è stato coautore di un documento che ha esaminato quale tipo di dinamiche oceaniche potrebbe essere fondamentale per sostenere un ciclo nutrizionale favorevole alla vita. La semplice presenza di un oceano, sostiene, non stabilisce se un nuovo mondo sia abitabile o meno. Senza, ad esempio, abbastanza forza di rotazione o un’atmosfera densa, un oceano non sarebbe significativo per avere maggiori prospettive di abitabilità.

Alla fine abbiamo bisogno di migliorare la rappresentazione della biologia nei nostri modelli“, afferma Olson. “I biologi hanno i loro modelli, gli scienziati del clima hanno i loro giocattoli, e poi ci sono gli astronomi. Dobbiamo trovare il modo di accoppiare i dati“.

Ma i modelli sono solo una parte dell’equazione. Dobbiamo anche ottenere osservazioni migliori di questi mondi. Vogliamo vedere se un pianeta ha un’atmosfera densa composta dai tipi di elementi importanti per la vita. Vogliamo cercare la presenza di biosignature come il metano che sono prodotte da processi biologici. Strumenti come i telescopi spaziali Hubble e Kepler della NASA hanno avuto un impatto enorme, ma le loro capacità sono già al limite (Kepler è stato ritirato l’anno scorso e Hubble è ormai al massimo delle sue possibilità).

Il successore di Hubble, il James Webb Space Telescope, ci aiuterà a spingere la nostra comprensione di questi esopianeti a nuovi livelli. La sua ottica impareggiabile e la capacità di fare osservazioni senza pari agli infrarossi significa che dovrebbe essere in grado di caratterizzare le atmosfere di esopianeti distanti con poca difficoltà. Il telescopio spaziale ARIEL dell’ESA, previsto per il lancio nel 2029, è specificamente progettato per osservare le strutture chimiche e termiche delle atmosfere degli esopianeti.

Méndez pensa anche che sia saggio essere aperti al rilevamento di tecnosignature quando pensiamo all’abitabilità, forse sotto forma di emissioni radio, luci o prodotti chimici della produzione industriale. “Esistono altri modi per guardare un sistema e vedere alcune indicazioni della vita“, afferma.

Ma il fatto è che “l’unico vero modo per capire se un posto è abitabile non è misurare queste diverse variabili: è trovare la vita“, sostiene Méndez. “In biologia, questa è la risposta finale. Non c’è altro modo di farlo”.

Insomma, per ora tutto quello che capiamo e sappiamo è solo un’approssimazione, una valutazione della potenziale abitabilità. Quindi, inevitabilmente, le discussioni continueranno.

Viaggio nel tempo, sarà mai possibile? Ecco cosa sappiamo

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Tutti noi viaggiamo nel tempo, in qualsiasi momento e qualunque cosa stiamo facendo.

Ovviamente si tratta del viaggio inevitabile verso il futuro ma la domanda che molti si pongono è se sia possibile tornare nel passato.

Per quanto ne sappiamo, non esiste alcun meccanismo conosciuto che consenta di trasmettere fisicamente materia o informazioni dal presente al passato. Il viaggio nel tempo richiede di andare più veloce della velocità della luce, un’impresa al di fuori della nostra portata. Quindi è altamente improbabile che il viaggio verso qualsiasi punto nello spazio-tempo possa effettivamente essere realizzabile nel futuro prossimo o remoto.

Detto questo, sembrerebbe che il caso sia chiuso ma ci sono due ragioni per cui è importante parlare di viaggi nel tempo. La prima è che il viaggio nel tempo ci affascina e praticamente chiunque vorrebbe avere l’occasione di tornare indietro e cambiare qualcosa. La seconda è che è particolarmente interessante sfidare una delle più grandi incognite della fisica: il tempo.

Perché il tempo scorre in un’unica direzione? Non lo sappiamo.

Deve sempre andare avanti? Forse, ma non ne siamo veramente sicuri.

Il tempo è continuo o quantizzato? È costituito da unità piccole e limitate? Non lo sappiamo.

Grande è la nostra ignoranza rispetto al tempo.

La relatività ci dà (qualche) speranza di poter tornare al passato?

Questa ignoranza ha conseguenze sulle nostre teorie. Una volta formulate le teorie, ai ricercatori piace giocare con loro e spingerle al limite, possibilmente superare questo limite. I buchi neri e il Big Bang erano una volta semplici idee, al fuori dalla relatività generale.

Potrebbe succedere lo stesso per i viaggi nel tempo? È improbabile, ma nell’interesse della correttezza esistono soluzioni speciali che consentono la creazione di regioni in cui è possibile ingannare la fisica e andare più veloci della luce.

Si può cominciare pensando ad una soluzione che permetta di descrivere il tempo come una curva chiusa: in questo modo sarebbe possibile viaggiare nel tempo semplicemente perché il tempo è un ciclo che si ripete. Pensiamo al film “Ricomincio da capo” in cui il protagonista, un meteorologo inviato come reporter al Giorno della marmotta, si trova intrappolato in un loop temporale che lo costringe a rivivere continuamente la stessa giornata…

Insomma, si potrebbe vedere il tempo come un Groundhog Day ma con più matematica.

Una soluzione alternativa potrebbe essere quella di creare un wormhole, un ponte tra due punti distinti e distanti nello spazio e nel tempo. L’unico problema è che entrambe le ipotesi richiedono condizioni che, almeno per ora, non abbiamo visto nell’universo conosciuto.

Un’altra soluzione è un po’ più forte. Potresti tecnicamente muoverti più veloce della luce comprimendo letteralmente lo spazio-tempo in modo tale da coprire enormi distanze in brevi intervalli di tempo. Questo è il principio alla base del motore di Alcubierre uno speculativo motore a curvatura con cui un veicolo spaziale potrebbe la velocità della luce comprimendo lo spazio davanti a sé e dilatandolo alle proprie spalle.

Se questo non è abbastanza folle, un’altra soluzione che potrebbe consentire il viaggio nel tempo richiede un cilindro infinitamente lungo che ruota su sé stesso. Mentre gira, il cilindro torcerebbe lo spazio-tempo attorno al proprio asse e ciò consentirebbe a un’ipotetica macchina del tempo di spostarsi indietro o avanti nel tempo seguendo percorsi specifici intorno all’oggetto. L’unica condizione richiesta è che il cilindro rotante abbia una lunghezza infinita, cosa realisticamente impossibile.

Cosa ci dice la meccanica quantistica

Sotto molti aspetti, la relatività non lavora bene con la meccanica quantistica e il tempo è proprio uno di questi. Quasi tutti i tentativi di creare una macchina del tempo quantistica finiscono sempre per violare alcuni principi chiave della teoria della relatività.

Alcuni ricercatori sono stati in grado di risolvere uno dei problemi del tempo, il cosiddetto paradosso del nonno. Come è noto si tratta una storia secondo la quale si viaggia nel tempo con lo scopo di uccidere il proprio nonno, cosa che impedirebbe al protagonista di esistere e quindi di viaggiare nel tempo per uccidere il nonno. In sostanza, con il viaggio nel tempo non dovrebbe essere possibile poter cambiare gli eventi. La soluzione proposta dalla meccanica quantistica è quella di inviare un quanto di informazioni (qubit) indietro nel tempo, ma non nel proprio vero passato bensì in un universo parallelo, creando un sistema quantistico complesso, in cui il qubit esiste e non esiste.

Ma nel mondo dei quanti è stata scoperta una regola che suggerisce che il viaggio nel tempo è davvero impossibile. I ricercatori hanno scoperto nuclei a forma di pera che violano alcune leggi piuttosto solide della fisica fondamentale. Queste leggi si aspettano che la fisica delle particelle sia simmetrica in determinate trasformazioni. Ad esempio, se si modifica l’aspetto del sistema in uno specchio speciale che inverte tutte le direzioni, la fisica delle particelle dovrebbe comunque comportarsi allo stesso modo, rispettando la cosiddetta simmetria di parità. La stessa cosa accade guardando indietro o avanti nel tempo, per via della simmetria temporale. Lo stesso accadrebbe sostituendo la materia con l’antimateria, a causa della simmetria della carica.

Ma capovolgendo i nuclei a forma di pera, questi non sembreranno più uguali e, al tuo sguardo, avranno un aspetto diverso a seconda che li guardi da davanti o da dietro oppure da sinistra o da destra. Questa è una violazione della simmetria.

Solitamente tali violazioni vengono risolte combinando insieme i due aspetti grazie alla simmetria Charge-Parity ma questo è uno dei pochi esempi in cui il CP viene violato. Ciò implica che anche la simmetria temporale viene violata combinando il CPT. Questa violazione può essere risolta solo se il tempo ha una direzione molto specifica.

 Tutto sommato, il viaggio nel tempo sembra un affare piuttosto complicato, pieno di incognite e parecchio disordinato. Non possiamo provare oltre ogni dubbio che è impossibile, ma non è che abbiamo molte prove che ne suggeriscono la fattibilità.

Ovviamente, non capendo bene il tempo stesso, ci mancano ancora molti pezzi di questo complicato puzzle.

Questo non significa che la ricerca sui viaggi nel tempo sia sprecata, cercando di comprendere meglio tutti gli aspetti del Tempo potremo effettivamente arrivare a capire meglio le teorie correnti.

Un nuovo modello dell’antico clima terrestre sta dipingendo un’immagine preoccupante del nostro futuro

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Per prevedere il futuro, può aiutare guardare al passato.

Ciò è particolarmente vero quando si tratta di cambiamenti climatici: studiare l’aspetto del pianeta milioni di anni fa può dare un’idea di ciò che possiamo aspettarci se il riscaldamento globale continuerà ad aumentare.

In uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances, gli scienziati hanno simulato il clima dell’Eocene, che la Terra ha attraversato circa 50 milioni di anni fa. Allora, il mondo era di circa 4 gradi più caldo di oggi.

I risultati del modello, in linea con le prove geologiche, suggeriscono che quando i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera aumentano, ulteriori aumenti di CO2 hanno un impatto ancora maggiore sul clima di quanto non avrebbero altrimenti. Ciò non è di buon auspicio per il nostro futuro climatico.

La simulazione delle condizioni di un mondo ormai lontano può rendere più accurati i modelli climatici che gli scienziati usano per prevedere il futuro del cambiamento climatico.

Usiamo costantemente questi modelli climatici per fare proiezioni future. E il clima futuro, lo sappiamo, potrebbe essere molto diverso da quello che stiamo vivendo e osservando“, spiega Jiang Zhu, dell’Università del Michigan e autore principale dello studio.

Durante l’Eocene l’atmosfera aveva più del doppio della concentrazione di anidride carbonica di oggi. Ma fino ad ora, i modelli non sono riusciti a simulare correttamente quelle condizioni.

Quindi, Zhu e i suoi coautori hanno optato per un modello su cui l’International Panel on Climate Change (IPCC) ha fatto affidamento nel suo rapporto del 2014 (la valutazione più recente del gruppo).

I calcoli di quel modello si sono rivelati corrispondenti a ciò che gli scienziati già sapevano sulla base di prove geologiche: che la Terra aveva temperature più calde a livello globale durante l’Eocene, con solo una piccola differenza di temperature tra i poli e l’equatore. L’eocene iniziò con un aumento della temperatura da 5 a 9 gradi Celsius.

Prima ancora che l’Eocene iniziasse, i livelli globali del mare erano stimati da 40 a 100 metri più alti di quanto non siano attualmente. Quindi il livello del mare continuò ad aumentare per milioni di anni a causa della mancanza di ghiaccio sui poli. Nel circolo polare artico, all’epoca, c’erano coccodrilli, palme e squali tigre.

L’Eocene potrebbe darci indizi su ciò che verrà

Se non riusciremo a frenare le emissioni di gas serra entro la fine del secolo, si prevede che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre potrebbe raggiungere 1.000 parti per milione; è lo stesso livello del primo Eocene.

Attualmente siamo a 415 parti per milione, il livello più alto mai visto da quando esiste l’uomo.

L’Eocene non è l’unica era nella storia della Terra che è importante studiare per anticipare meglio i futuri cambiamenti climatici. Uno studio pubblicato l’anno scorso suggerisce già nel 2030 il clima globale sarà molto simile a quello che si verificò durante l’era pliocenica.

Zhu ha spiegato che il suo studio mostra come l’uso di una combinazione di dati geologici e modelli climatici possa fornire l’immagine più chiara del passato e del futuro.

Alieni: c’è chi pensa che ci stiano osservando da moltissimo tempo tramite sonde posizionate in orbita solare

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James Benford, un fisico che collabora con il programma SETI, sostiene che è possibile che un’antica civiltà aliena stia spiando la Terra da milioni di anni.

Questa opinione non vuol dire che Benford sia convinto che gli alieni siano tra noi, ma che, mentre un tale evento resta estremamente improbabile, è tecnicamente nel regno delle che vi sia qualche tecnologia aliena appoggiata sui cosiddetti corpi co-orbitali, in attesa di essere scoperta.

Ogni tanto, circa due volte ogni miliardo di anni, un’altra stella si avvicina al Sole entro un raggio di anno luce e, secondo quanto Benford sostiene in una ricerca pubblicata su The Astronomical Journal, è tecnicamente possibile che una civiltà avanzata possa essersi trovata abbastanza vicina da lanciare una spedizione esplorativa nel nostro sistema solare.

Essenzialmente sto parlando di archeologia extraterrestre“, ha spiegato Benford a Live Science.

Naturalmente, parliamo di un’ipotesi basata du una serie di assunti non dimostrati: l’esistenza della vita extraterrestre, lo sviluppo di tecnologie avanzate, la presenza della vita su uno dei pianeti in orbita intorno ad una di quelle stelle passate vicino al nostro sistema solare e l’interesse per la Terra.

Quanto è probabile che vi sia una sonda aliena su uno di questi co-orbitali? Ovviamente estremamente improbabile“, ha commentato a Live Science il fisico e astrobiologo dell’Arizona State University Paul Davies.

Fonte: Futurism.com 

Uno studio controverso suggerisce che dovremmo “infettare” Marte con la vita

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Come immagini saranno i primi coloni su Marte? 

Forse saranno le menti migliori e più brillanti che il nostro mondo possa offrire: persone provenienti da paesi di tutto il mondo con diversi gradi e decenni di formazione in astrofisica, oppure, come già successo nella storia, ci andranno pochi scienziati, tecnici ed operai specializzati mentre il grosso dei coloni sarà costituito dagli ultimi: persone in cerca di una nuova occasione, avventurieri folli e coraggiosi e gente che sfugge alla giustizia.

O, forse, i primi terrestri ad abitare Marte saranno sostanzialmente un gran numero di batteri.

Un articolo pubblicato il mese scorso sulla rivista FEMS Microbiology Ecology sostiene che i “coloni primari” del Pianeta Rosso dovrebbero essere “microrganismi“: batteri, virus e funghi che supportano molti dei processi della vita qui sulla Terra.

Jose Lopez, professore alla Nova Southeastern University e uno degli autori del documento, propone un approccio alla colonizzazione planetaria che inizia con un piano sullo studio dei microbi che potrebbero sostenere la vita in ambienti extraterrestri.

La vita come la conosciamo non può esistere senza microrganismi benefici“, ha spiegato in un comunicato stampa. Per sopravvivere su pianeti sterili sterili, dovremo portare con noi i microbi necessari a supportarci“.

Cerchiamo di essere chiari: l’idea presentata nel documento va in netto contrasto con le rigide linee guida di non contaminazione cui la NASA e tutti i programmi spaziali hanno aderito strettamente per decenni – politiche che esistono per una buona ragione.

Quando si tratta di inviare nello spazio sonde, rover e strumentazione varia, in genere tutto è accuratamente sterilizzato e protetto da germi e contaminanti, proprio come un ospedale che prepara i suoi bisturi per un intervento chirurgico, per evitare di contaminare gli ambienti che stiamo cercando di studiare.

Ma Lopez e colleghi sostengono che l’introduzione di microbi utili potrebbe effettivamente dare il via al processo di terraformazione di Marte e sostenere la vita nel duro ambiente del Pianeta Rosso.

L’introduzione dei microbi su Marte non deve essere considerata accidentale ma inevitabile“, si legge nel documento. “Ipotizziamo la quasi impossibilità di esplorare nuovi pianeti senza trasportare e/o consegnare viaggiatori microbici“.

Sulla Terra, i microrganismi sono fondamentali per molti dei processi che sostengono la vita, come la decomposizione e la digestione – e persino il clima terrestre. Il documento sostiene che i migliori microbi da trasportare su Marte per iniziare il lavoro potrebbero essere gli estremofili, organismi che riescono a tollerare gli ambienti più estremi e prosperarvi, come i tardigradi.

Gli appassionati di Marte pronti a fare le valigie e passare al “Pianeta B” non dovrebbero trattenere il fiato nell’attesa della possibilità di emigrare.

C’è ancora molta ricerca da fare prima di iniziare a lanciare germi sul Pianeta Rosso. La biologia potrebbe andare in tilt su Marte, dove gli organismi sarebbero esposti a radiazioni eccessive e probabilmente i coloni umani si evolverebbero a ritmi allarmanti per far fronte al duro ambiente.

Gran parte del documento sostiene la necessità di un cambiamento nell’atteggiamento nei confronti della possibilità di contaminare i pianeti extraterrestri con i nostri microorganismi, considerandoli positivi e non pericolosi contaminanti. Ma i ricercatori non sanno ancora quali microorganismi potrebbero aiutare piuttosto che complicare gli sforzi per terraformare Marte.

Il documento sostiene che tutti, da Elon Musk a Jeff Bezos alla NASA, dovrebbero pensare ad un “cambiamento di paradigma provocatorio” nelle nostre politiche per la colonizzazione spaziale.

Questo richiederà tempo per prepararsi e discernere“, ha detto Lopez. “Non stiamo sostenendo di inoculare indiscriminatamente microorganismi su Marte, ma di farlo solo dopo ricerche rigorose e sistematiche sulla terra“.

La decisione di introdurre o meno i microbi in primo luogo dipende dal nostro obiettivo finale: se la nostra missione è colonizzare e terraformare Marte – questo è il piano di Elon Musk, allora Lopez sostiene che non dovremmo avere paura o farci scrupoli ad introdurre microrganismi utili che possono aiutare a iniziare a formare le basi della vita biologica.

Dopotutto, i primi coloni del nostro pianeta non erano umani, anfibi o persino piante; primi abitanti della Terra per molti anni furno microrganismi monocellulari

E hanno fatto un lavoro abbastanza buono, vero?

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Futurism. Leggi l’articolo originale.

Il Sole diventerà un buco nero?

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Il Sole diventerà un buco nero? No, è troppo piccolo.

Il Sole dovrebbe essere circa 20 volte più massiccio per porre fine alla sua vita trasformandosi un buco nero. Le stelle di quelle dimensioni o più grandi, alla fine possono esplodere in una supernova prima di collassare in un buco nero, un oggetto con un’attrazione gravitazionale così forte che nulla, nemmeno la luce, può sfuggirgli.

Alcune stelle più piccole riescono diventare delle supernovae, ma restano troppo piccole per diventare buchi neri: finiscono per collassare in strutture super-dense chiamate stelle di neutroni dopo essere esplose in un supernova.

Ma il Sole non è abbastanza grande per questo destino: ha solo circa un decimo della massa necessaria per diventare una stella di neutroni.

Quindi, cosa accadrà al Sole?

Tra circa 6 miliardi di anni finirà per diventare una nana bianca, un residuo piccolo e denso di ciò che era, che brillerà per il calore residuo. Il processo inizierà tra circa 5 miliardi di anni, quando il sole inizierà ad esaurire il suo carburante.

Come la maggior parte delle stelle, durante la fase principale della sua vita, il Sole genera energia fondendo atomi di idrogeno nel suo nucleo. Tra circa 5 miliardi di anni, il Sole sarà prossimo all’esaurimento dell’idrogeno nel suo nucleo e inizierà a collassare.

A questo punto, il Sole comincerà a fondere elementi più pesanti, presi dal guscio esterno del nucleo, insieme alla fusione dell’idrogeno in un guscio avvolto attorno al nucleo. Quando ciò accadrà, la temperatura della nostra stella aumenterà e gli strati esterni dell’atmosfera del Sole si espanderanno così tanto nello spazio da inghiottire la Terra.

Per quel momento, la Terra sarà già inabitabile da tempo e il Sole vivrà una fase da Gigante rossa. Durerà in questo stato circa un miliardo di anni e, alla fine, il Sole collasserà in una Nana bianca.

Con il tempo, quello che un tempo era stato il Sole, si raffredderà progressivamente, trasformandosi un un grande sasso scuro e freddo.

E questo è il destino che colpirà la nostra stella.

Fonte: Phys.org tramite il Goddard Space Flight Center della NASA

La NASA porta il tuo nome su Marte con la missione Mars 2020: oggi scade il termine per iscriversi

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Chiamata finale di imbarco per Marte!

La NASA, come è ormai abitudine nelle ultime missioni, sta dando agli appassionati la possibilità di inviare un po’ di sé su Marte. Per la precisione, ancora per oggi, è possibile inviare il proprio nome sul Pianeta Rosso, nome che sarà inciso su un chip fissato alla scocca del rover Mars 2020.

Ma non rimane molto tempo.

Il termine ultimo per l’iscrizione è le 23,59 di questa sera, ora della costa est americana.

Per riuscire a farlo è necessario registrarsi sulla pagina web dedicata della NASA, a quel punto il tuo nome verrà stampato su un chip tramite un raggio di elettroni. Quel chip verrà quindi fissato sul rover Mars 2020.
Sarà anche possibile scaricare una carta d’imbarco stampabile come souvenir:

 

carta d'imbarco per Marte

Secondo quanto riferisce la NASA, ad oggi sono stati già inviati oltre 10 milioni di nomi.

La missione della NASA Mars 2020 farà il paio con la Missione ESA ExoMars 2020, entrambe la missioni esploreranno il sottosuolo marziano alla ricerca della vita.
Il lancio è previsto per luglio 2020, non appena si aprirà la finestra di lancio verso il Pianeta Rosso.

Entro due anni potremmo sapere se su Marte c’è o c’è stata vita. Ma il mondo è “preparato” per una simile notizia?

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Siamo vicini a trovare la vita su Marte, ma il mondo non è pronto per le implicazioni “rivoluzionarie” di questa scoperta?

Il dottor Jim Green,  Chief Scientist della NASA, ritiene che i due rover che saranno inviati su Marte l’anno prossimo dalla NASA e dell’Agenzia spaziale europea (ESA) potrebbero trovare prove della presenza, attuale o passata, della vita sul Pianeta Rosso entro pochi mesi dal loro arrivo su Marte, previsto nel marzo 2021.

Il rover exomars, intitolato a Rosalind Franklin, cercherà la vita extra-terrestre perforando prelevando campioni nel terreno marziano fino alla profondità di due metri.

Quei campioni saranno quindi frantumati ed esaminati in un laboratorio mobile al suo interno alla ricerca di materiale organico. Secondo il dottor Green, le implicazioni dell’eventuale scoperta saranno rivoluzionarie, al livello della rivoluzione copernicana, “inizierà una nuova linea di pensiero. Non credo che siamo preparati per un risultato del genere risultati“, ha spiegato. “Sono stato preoccupato per questo perché penso che siamo vicini a fare questa scoperta e agli annunci relativi“.

Il rover Mars 2020 della NASA perforerà le formazioni rocciose del pianeta e seminerà il pianeta con capsule di campioni che una futura missione recupererà e porterà sulla Terra.

Il dottor Green ha aggiunto che la scoperta della vita su Marte fornirà agli scienziati una nuova serie di domande da esplorare. Quello che accadrà dopo porrà una serie completamente nuova di domande scientifiche. Quella vita sarà simile alla nostra? Saremo in qualche modo imparentati?” Ha detto. “La vita può spostarsi da un pianeta all’altro o bastano una scintilla e il giusto ambiente per generare vita?

All’inizio di quest’anno, gli scienziati hanno scoperto che potrebbe esserci un vasto e attivo sistema di acqua che scorre sotto la superficie di Marte, mentre uno studio pubblicato di recente afferma che Venere potrebbe essere stata abitabile per 2-3 miliardi di anni prima che la sua atmosfera diventasse troppo densa e calda circa 700 milioni di anni fa.

Non c’è motivo di pensare che non ci siano civiltà altrove, perché stiamo trovando esopianeti praticamente ovunque“, ha detto.

Le dichiarazioni di Green sono arrivati ​​meno di 24 ore prima che l’imprenditore Elon Musk presentasse il prototipo della Starship, una nave spaziale progettata per trasportare merci e uomini su Marte o altri pianeti nel sistema solare e poi tornare sulla Terra.

Certo, un messaggio del genere da parte di un personaggio del calibro del responsabile delle missioni scientifiche della NASA potrebbe far pensare a qualcuno, in particolare agli appassionati delle cospirazioni, che alla NASA, per il momento l’unica agenzia spaziale ad avere messo piede su Marte con lander e rover, si sa più di quel che dicono e che stanno cominciando a mettere le mani avanti per quando l’ESA sarà a sua volta su Marte.

In realtà, si tratta solo di ottimismo. Le ultime scoperte effettuate dai vari orbiter, lander e rover di stanza su Marte stanno disegnando sempre più l’immagine di un pianeta con un passato, sia pure lontano, in cui certamente sono state presenti le condizioni per ospitare la vita come la conosciamo e si ritiene abbastanza probabile che exomars e Mars2020 riusciranno a dare una risposta definitiva alla domanda che gli uomini si pongono da oltre un secolo.

Nel frattempo, l’esplorazione va avanti e si avvicina sempre più il momento in cui gli uomini torneranno ad uscire dall’orbita terrestre, prima verso la Luna poi verso Marte.

Perché per esplorare le nuove frontiere non bastano i robot, occorre andarci di persona.

Un altro passo verso la Luna e Marte: presentato il prototipo della Starship

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La Starship di Elon Musk potrebbe raggiungere l’orbita entro un anno – e costare miliardi di dollari in meno di quanto inizialmente previsto.

Il CEO di SpaceX ha dichiarato due anni fa di prevedere che lo sviluppo sarebbe costato tra i 2 ed i 10 miliardi, invece Musk ha dichiarato sabato che il costo rientrerà nella fascia bassa di quello spettro, “probabilmente più vicino a due o tre [miliardi] che a 10“, ha detto alla CNN durante la conferenza tenuta presso le strutture di SpaceX a Boca Chica, in Texas, dove Musk ha anche svelato il prototipo del razzo alto  metri.
Durante la presentazione, Musk ha anche detto che i primi passeggeri potrebbero salire a bordo della nave stellare e viaggiare in orbita entro un anno.
Il prototipo, assemblato in un mese, indica l’attività che si è svolta negli ultimi 10 mesi nei cantieri di SpaceX.
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La Starship MK1 o la sua gemella potrebbe raggiungere l’orbita in meno di sei mesi, secondo quanto ha dichiarato Elon Musk durante una presentazione presso la struttura della compagnia nel sud del Texas.(SpaceX)
Nel prossimo futuro, SpaceX prevede di effettuare una serie di test sul suo prototipo, iniziando con un breve volo fino alla quota di 20 chilometri. Entro sei mesi, SpaceX spera di tentare di inviare un volo senza equipaggio nell’orbita terrestre, un’impresa per compiere la quale sarà necessario impiegare il suo nuovo lanciatore pesante, il SuperHeavy, come primo stadio della Starship.
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L’astronave è infatti progettata per lanciarsi nello spazio in cima al Super Heavy, un mostruoso booster a razzo che, dopo la separazione, rientrerebbe a terra pronto per essere riutilizzato, nella migliore tradizione di SpaceX
Per le missioni lunari, quelle verso Marte o per qualsiasi altra destinazione nel sistema solare, la Starship, che ha una capacità di carico di 150 tonnellate e 100 passeggeri, escluso il propellente, verrebbe lanciata con pochissimo carburante per renderla più leggera e, una volta in orbita, si aggancerebbe ad una nave cargo lanciata precedentemente per fare “il pieno“, per poi puntare con i serbatoi pieni, verso la destinazione. SpaceX e NASA stanno collaborando attivamente al sistema di rifornimento orbitale.
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Una volta in orbita, la Starship si aggancerebbe ad una nave gemella in configurazione cargo per fare rifornimento di carburante. – Credit: SpaceX
Il complesso SuperHeavy+Starship sarà completamente riutilizzabile, il che, secondo Musk, è il “sacro Graal” dell’esplorazione spaziale che permetterà di rendere sostenibile l’impiego della nave stellare, che dovrà anche sostituire in poco tempo i razzi Falcon 9 e Falcon Heavy per i lanci commerciali.
In base a quanto ha spiegato Musk, Starship verrà costruita in diverse versioni che verranno impiegate in funzione del tipo di payload.
Avremo una versione della Starship per il trasporto di merci e passeggeri verso la Luna, Marte e, probabilmente, anche verso la Stazione Spaziale Internazionale, una versione cargo per il rifornimento di carburante in orbita, un altro tipo di cargo per il trasporto di satelliti e, probabilmente, anche una versione esclusivamente passeggeri per il trasporto in pochissimo tempo di persone da un punto all’altro della Terra.
Musk ha parlato per anni per anni della sua visione di un veicolo spaziale in grado di viaggiare su altri pianeti, e i progetti nel tempo hanno subito revisioni significative.
Analisti e critici si sono chiesti in più occasioni se SpaceX possa davvero finanziare un simile progetto.
Lo scorso gennaio, SpaceX ha tagliato circa il 10% della sua forza lavoro per risparmiare denaro, rilevando che progetti come la Starship “hanno fatto fallire altre organizzazioni“.
Costruire un’astronave con un budget relativamente ridotto è fondamentale per la visione di Musk.
Durante la prima presentazione approfondita in cui ha presentato il suo progetto per rendere l’umanità una specie interplanetaria cominciando con la costruzione di colonie su Marte, Elon Musk ha affermato che il più grande ostacolo all’invio di esseri umani alla scoperta di altri mondi non è tecnologico ma finanziario.
Nella conferenza di aggiornamento tenutasi sabato scorso, Musk ha spiegato che la scelta di costruire la Starship in acciaio inossidabile è stata la chiave per rendere il design più economico e più durevole.
Potrebbe essere la migliore decisione di progettazione che abbia mai preso“, ha concluso.