mercoledì, Aprile 2, 2025
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La culla dell’uomo?

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Uno studio pubblicato su Nature sostiene che la patria ancestrale di tutti gli esseri umani oggi viventi sia da individuare nel Botswana.

Nello studio gli scienziati hanno analizzato il DNA mitocondriale, informazioni genetiche che passano lungo la linea femminile, di oltre 1.200 persone attraverso una miriade di popolazioni in Africa.

Esaminando quali geni sono stati preservati nel DNA delle persone nel tempo, gli antropologi hanno determinato che gli esseri umani anatomicamente moderni sono emersi in quella che una volta era una lussureggiante zona umida del Botswana, a sud del fiume Zambezi.

Gli scienziati sono sostanzialmente concordi sul fatto che gli esseri umani moderni (Homo sapiens sapiens) siano nati in Africa circa 200.000 anni fa, ma rimangono incerti sul luogo esatto che ne ha visto la genesi.

Il nuovo studio pare rispondere alla domanda confutando, inoltre, l’idea che i nostri antenati siano originari dell’Africa orientale, come sembrano suggerire alcune limitate prove fossili.

L’antropologa Vanessa Hayes, autrice senior del nuovo articolo, ha dichiarato in una conferenza stampa che i risultati suggeriscono che lo studio del DNA mitocondriale di “tutti coloro che camminano oggi” riconduce a questa ancestrale “patria umana”.

Attraverso lo studio del DNA mitocondriale, i ricercatori sono stati in grado di capire che ogni persona viva oggi discende da una donna che viveva nell’attuale Botswana circa 200.000 anni fa.

La regione da cui proveniva questo antenato, chiamata zona paleo-umida Makgadikgadi-Okavango, era vicino al moderno Delta dell’Okavango e costellata di laghi e vegetazione.

L’analisi del team, che comprendeva anche ricostruzioni del clima dell’area in quel momento, ha rivelato che l’Homo sapiens sapiens visse in questa zona per circa 70.000 anni.

Successivamente, in seguito a cambiamenti climatici, i nostri antenati si spostarono in due ondate: nella prima, un gruppo si diffuse a nord-est circa 130.000 anni fa, una seconda migrazione si diresse verso sud-ovest circa 110.000 anni fa.

Hayes ritiene che questi gruppi migratori probabilmente si spostarono seguendo le mandrie di animali che cacciavano nelle loro migrazioni.

Però la nuova cronologia contrasta con quella che alcuni scienziati avevano precedentemente tracciato sulla base delle prove fossili.

I più antichi esemplari di esseri umani anatomicamente moderni – teschi e altri fossili risalenti a 195.000 anni fa – furono trovati in Etiopia, il che portò molti antropologi a pensare all’Africa orientale (piuttosto che all’Africa meridionale, come suggerisce il nuovo studio) come il luogo che diede vita agli antenati dell’uomo moderno.

La nuova analisi genetica offre anche credibilità all’idea che tutti gli esseri umani moderni si siano evoluti in un luogo ancestrale in Africa prima di migrare nell’attuale Europa, Asia e Australia – quella che è conosciuta come l’ipotesi “Fuori dall’Africa“, piuttosto che evolversi separatamente in più luoghi in tutto il mondo allo stesso tempo.

Secondo gli autori dello studio, la migrazione a due ondate dal Botswana “ha spianato la strada agli esseri umani moderni per poi migrare fuori dall’Africa per poi colonizzare tutto il mondo“.

L’antropologo Ryan Raaum, però, non concorda con il nuovo studio. Raaum, che studia la genetica della popolazione africana al Lehman College, pensa di aver individuato un difetto significativo nello studio: i ricercatori non sarebbero tornati abbastanza indietro nella cronologia genetica.

Dove mi perdo un po è quando sostengono che questi dati indicano un’origine sudafricana per gli esseri umani anatomicamente moderni“, ha detto Raaum.

Secondo lui, in generale non è corretta la definizione “patria ancestrale“, dal momento che gli umani moderni discendono da più nuclei sparsi in più punti del continente africano. “Penso sempre più che probabilmente non ci fosse una singola popolazione da cui gli umani moderni si sono evoluti. Se fosse così, non esiste una sola patria dell’uomo“.

Un altro problema con i risultati del team di Hayes è che un’analisi del mtDNA esamina solo il DNA materno. Due parti della cellula trasportano il DNA: il nucleo, dove risiede la maggior parte del nostro materiale genetico, e i mitocondri.

Il DNA nucleare (nDNA) è ereditato da entrambi i genitori ed è ciò che passa lungo il cromosoma Y; il DNA mitocondriale, d’altra parte, viene trasmesso solo dalla madre.

Il DNA nucleare è raro nei reperti fossili, motivo per cui studi come quello di Hayes spesso non lo esaminano. Ciò significa che tale ricerca non può esaminare l’intero genoma delle nostre popolazioni ancestrali, ma solo una parte.

Nel 2014, gli antropologi hanno individuato la più antica discendenza umana moderna basata sui dati del cromosoma Y. Questa popolazione aveva al massimo 160.000 anni ed era originaria dell’Africa centro-occidentale.

Quindi ogni persona viva oggi probabilmente discende da un uomo che viveva in una parte diversa del continente rispetto a quella suggerita da Hayes e dai suoi colleghi.

Hayes ha osservato che un’analisi completa del genoma potrebbe produrre risultati diversi: “Potrebbero esserci altre origini e altri lignaggi – è una possibilità“, ha ammesso durante la conferenza stampa.

Ma indipendentemente dal fatto che il Botswana fosse o meno la culla della vita per tutti noi, la ricerca suggerisce certamente che questa parte dell’Africa era un’oasi per i nostri antenati – un’aggiunta significativa alla nostra comprensione dell’evoluzione umana.

Siamo tutti curiosi di sapere da dove veniamo“, ha concluso Hayes.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Business Insider.

Ambiente: le aziende che inquinano maggiormente con la plastica

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Lo scorso settembre, volontari di oltre 50 paesi hanno deciso di compiere un gesto simbolico, ma non solo, per sensibilizzare il mondo sul problema di plastica .

Insieme, hanno raccolto quasi mezzo milione di pezzi di immondizia di plastica che inquinano il pianeta. Oltre il 40 percento di questa montagna di spazzatura era ancora chiaramente identificabile per marchio, e la spazzatura di un produttore in particolare è stata raccolta molto più di ogni altra: la Coca-Cola.

Un audit sui 476.423 pezzi di rifiuti di plastica raccolti da oltre 70.000 volontari durante la Giornata mondiale della pulizia suggerisce che la Coca-Cola è il più grande inquinatore di plastica al mondo, responsabile di 11.732 dei pezzi di rifiuti di plastica recuperati durante l’evento globale.

Sono molti i rifiuti di plastica sparsi prodotti da una sola azienda – più del doppio rispetto al secondo classificato globale (Nestlé, 4.846 pezzi), poi Pepsi (3.362).

In realtà, secondo i ricercatori dietro l’audit, il movimento ambientalista Break Free From Plastic (BFFP) è il secondo anno consecutivo che la Coca-Cola vinve questa triste calssifica (o arriva ultima, secondo i punti di vista).

Questo rapporto fornisce ulteriori prove del fatto che le aziende devono urgentemente fare di più per affrontare la crisi dell’inquinamento da plastica che hanno creato“, afferma il coordinatore globale del BFFP Von Hernandez.

La loro continua dipendenza dagli imballaggi in plastica monouso si traduce nel pompare più plastica da buttare nell’ambiente. Il riciclaggio non risolverà questo problema“.

Da decenni, il riciclaggio viene considerato una soluzione ecologicamente responsabile per la nostra produzione di rifiuti, ma il rifiuto della Cina nel 2018 di accettare le importazioni di rifiuti – ha portato a una crisi del riciclaggio e della spazzatura negli Stati Uniti e altrove.

La ripartizione ha anche contribuito ad aumentare la consapevolezza di come funzionano effettivamente i processi di riciclaggio (o meno).

Per la plastica, che si presenta in molte forme chimiche diverse che possono essere difficili, poco pratiche o inefficienti da riutilizzare, il riciclaggio è particolarmente problematico, motivo per cui il BFFP afferma che una riduzione urgente della produzione globale di plastica è l’unica vera risposta alla crisi.

Della quantità totale di plastica prodotta dagli anni ’50, solo il 9% è stato effettivamente riciclato a livello globale, mentre il resto è stato bruciato, messo in discarica o lasciato inquinare nell’ambiente, in particolare negli oceani“, spiegano gli autori del BFFP nel loro rapporto sui peggiori inquinanti plastici al mondo.

Il riciclaggio non è la soluzione magica che spesso viene affermato sia… Le aziende che affermano riciclare la plastica sia una soluzione efficace stanno semplicemente evitando di fare veri cambiamenti“.

Per i consumatori, la complessità del problema può essere difficile da vedere, soprattutto quando aziende come la Coca-Cola spendono milioni per il riciclaggio e iniziative a zero rifiuti che in superficie sembrano responsabili per l’ambiente.

Secondo i critici, quei gesti sono solo una distrazione – un tentativo di rappresentare l’azienda come un marchio responsabile e incentrato sulla sostenibilità – garantendo nel contempo che la produzione di bottiglie di plastica rimanga indisturbata.

I recenti impegni di società come Coca-Cola, Nestlé e PepsiCo per affrontare la crisi purtroppo continuano a fare affidamento su soluzioni false“, afferma Abigail Aguilar, coordinatore della campagna per la plastica nel sud-est asiatico di Greenpeace.

Queste strategie proteggono in gran parte il modello commerciale obsoleto che ha causato la crisi dell’inquinamento da plastica“.

Per Coca-Cola, il chiaro messaggio pubblico che cerca di dare è che i rifiuti di plastica nell’ambiente sono “inaccettabili”, ma la produzione di plastica stessa è completamente un’altra cosa – e non scomparirà presto.

Ci sono un sacco di persone là fuori al mondo che vorrebbero vedere la plastica sparire. Sappiamo che non accadrà“, ha detto in pubblico il direttore senior della politica ambientale della Coca-Cola, Ben Jordan, durante una conferenza sull’ingegneria della plastica tenutasi ad Atlanta il mese scorso.

“Sappiamo che utilizzare la plastica presenta molti vantaggi per le aziende. Continueremo ad usarla per anni”.

Insomma, non saranno grandi aziende e multinazionali a risolvere il problema della plastica, soprattutto perché non hanno davvero nessun interesse a farlo. La prospettiva cambierà solo quando la gente capirà davvero quanto è perniciosa per l’ambiente la plastica e smetterà di comprare e consumare prodotti venduti in confezioni di plastica.

Il rapporto è disponibile dal sito web Break Free From Plastic.

Trovato un esopianeta in un punto in cui non avrebbe potuto sopravvivere

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Gli scienziati della NASA hanno scoperto un esopianeta situato in un punto in cui nessun esopianeta dovrebbe essere in grado di sopravvivere.  

Il Transiting Exoplanet Survey Satellite dell’agenzia spaziale (TESS) ha individuato alcune cose particolari, tra cui esocomete, un esopianeta roccioso con tre soli e un buco nero che divora una stella. Questa nuova scoperta è un vero grattacapo: hanno dimostrato che un esopianeta si trova in una posizione in cui avrebbe dovuto essere bruciato da tempo dalla sua stella.

Il pianeta è un gigante gassoso circa 8,2 volte la massa di Giove (che è piuttosto grande), in orbita attorno alla stella gigante rossa HD 203949.

Il problema è che, secondo le osservazioni asteroseismologiche fatte dagli astronomi all’Instituto de Astrofísica e Ciências do Espaço (IA) in Portogallo, la stella è alla fine della sua vita.

Ciò significa che si trova in una fase in cui ha già iniziato ad espandersi verso dimensioni molto maggiori di quelle attuali prima di iniziare a ridursi. E l’orbita dell’esopianeta, di 184,2 giorni, è ben all’interno di quel diametro atmosferico più grande a cui si è gonfiato. Come diavolo è sopravvissuto?

L’asterosismologia è un campo affascinante che analizza le oscillazioni sulle superfici delle stelle per studiare le loro strutture interne. Proprio come i terremoti possono rivelare ciò che sta accadendo all’interno della Terra, le modalità di oscillazione rilevabili sulla superficie di una stella rivelano come le onde sonore si muovono al suo interno.

Questi dati possono quindi aiutare a rivelare informazioni chiave su una stella, come dimensione, massa ed etàTESS è dotato degli strumenti per l’asterosismologia, ma questa è la prima volta che l’osservatorio ha usato la tecnica su stelle per le quali era nota la presenza di esopianeti.

Le osservazioni sono state condotte su due stelle: HD 203949 e il suo pianeta HD 203949 b; e una stella gialla subgigante chiamata HD 212771, attorno alla quale orbita un gigante gassoso circa 2,3 volte la massa di Giove.

Le osservazioni di TESS sono abbastanza precise da consentire la misurazione delle pulsazioni sulla superficie delle stelle“, ha spiegato l’astronomo IA Tiago Campante. “Queste due stelle abbastanza avanti nel loro ciclo di vita ospitano anche pianeti, fornendo il banco di prova ideale per studi sull’evoluzione dei sistemi planetari“.

Pertanto, il team ha utilizzato i dati asteroseismologici per calcolare le dimensioni, la massa e l’età delle stelle. E, secondo questi dati, HD 203949 ha una massa molto più bassa di quanto si pensasse inizialmente. Ciò significa che ne ha già perso gran parte – suggerendo che dovrebbe essere troppo evoluto per avere un pianeta vicino a HD 203949 b.

Ma se guardi oltre il sistema HD 203949, c’è un enorme indizio. Molti dei sistemi planetari che abbiamo individuato hanno giganti gassosi vicini alle loro stelle; troppo vicini, infatti, per essersi formato lì, perché la gravità, i venti e le radiazioni della stella avrebbero dovuto soffiare e bruciare tutto il gas prima che potesse accumularsi in un pianeta.

Tuttavia, i modelli suggeriscono che questi giganti gassosi potrebbero avvicinarsi alle loro stelle dopo essersi formati in posizioni più distanti ed essere migrati verso l’interno seguendo una spirale lenta; l’evidenza suggerisce che Giove sta facendo proprio questo.

Quindi, è possibile che HD 203949b si sia formato molto più lontano e sia emigrato vicino alla sua stella solo dopo che questa si era già espansa alla sua dimensione massima ed essersi nuovamente ridotto.

La soluzione a questo dilemma scientifico è nascosta nel semplice fatto che le stelle e i loro pianeti non solo si formano ma si evolvono insieme“, ha affermato l’astronomo IA Vardan Adibekyan.

In questo caso particolare, il pianeta è riuscito a evitare il momento peggiore“.

La ricerca non ci ha solo mostrato un pianeta davvero affascinante, ma ha dimostrato il potenziale di TESS nel caratterizzare le stelle usando l’asterosismologia.

Questo, a sua volta, potrebbe aiutarci a comprendere meglio i pianeti e la loro evoluzione: il raggio preciso di una stella, ad esempio, è essenziale per misurare il raggio preciso di un pianeta in transito.

E, naturalmente, l’apprendimento dell’età di HD 203949 ha contribuito a inferire la storia orbitale del suo insolito pianeta.

Questo studio“, ha detto Adibekyan, “è una dimostrazione perfetta di come l’astrofisica stellare ed esoplanetaria siano collegate tra loro“.

La ricerca è stata pubblicata su The Astrophysical Journal.

Presentato un progetto per una batteria quantistica che non perde mai la carica

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Un team di scienziati delle università di Alberta e Toronto ha elaborato i progetti per una “batteria quantistica” che non perde mai la sua carica.

Per essere chiari, questa batteria non esiste ancora – ma se riusciremo a capire come costruirla, potrebbe costituire una vera a propria rivoluzione per i sistemi di accumulo di energia.

Le batterie con cui abbiamo più familiarità – come la batteria agli ioni di litio che alimenta il tuo smartphone – si basano sui principi elettrochimici classici, mentre le batterie quantistiche si basano esclusivamente sulla meccanica quantistica“, ha dichiarato il chimico dell’Università di Alberta Gabriel Hanna in una nota.

Dark State

Un documento che descrive la ricerca è stato pubblicato sul  Journal of Physical Chemistry C. nel mese di luglio. La batteria funzionerebbe sfruttando la potenza “dell ‘energia eccitonica” – lo stato in cui un elettrone assorbe fotoni di luce sufficientemente carichi.

I ricercatori ritengono che il modello di batteria risultante dovrebbe essere “altamente resistente alle perdite di energia“, grazie al fatto che la loro batteria è preparata all’interno di uno “stato oscuro” in cui non può scambiare energia – assorbendo o rilasciando fotoni – con l’ambiente circostante.

Carica di grandi dimensioni

Abbattendo questa rete quantistica di “stato oscuro“, i ricercatori affermano che la batteria potrebbe essere in grado di scaricare e rilasciare energia nel processo.

Ma il team deve ancora trovare il modo per realizzarla. Dovranno anche trovare un modo per ridurre la tecnologia a dimensioni adatte per essere applicabile nel mondo reale.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Futurism. Leggi l’ articolo originale.

Un nuovo studio scopre un altro motivo per cui si dovrebbe vaccinare contro il morbillo

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Il vaccino contro il morbillo fa molto di più di quello che crediamo.

Due studi separati dello stesso team hanno dimostrato che contrarre il virus del morbillo può provocare “amnesia” agli anticorpi, lasciandoci esposti a future malattie.

Questo vuol dire che, una volta che si è guariti dal morbillo, potenzialmente potremmo perdere l’immunità ad altri agenti patogeni a cui siamo già stati esposti o vaccinati, tra cui la polmonite, l’influenza, il raffreddore comune e il papillomavirus umano.

La notizia peggiore inoltre è che questa vulnerabilità può durare mesi, se non anni.

Per questi motivi, il genetista Stephen Elledge della Harvard Medical School ha detto all’NPR che dovremmo pensare al vaccino contro il morbillocome una cintura di sicurezza per il nostro sistema immunitario“.

Sappiamo che le cinture di sicurezza proteggono da lesioni alla testa che possono causare amnesia“, spiega.

Anche il virus del morbillo è come un incidente, può darti un’amnesia immunitaria. Pensa al morbillo come un incidente che puoi prevenire in modo parallelo“.

I due studi hanno esaminato il sistema immunitario di 77 bambini non vaccinati prima e dopo un’infezione da morbillo, e i loro risultati suggeriscono che questo virus altamente contagioso infetta e paralizza le cellule immunitarie del corpo e rovina la loro memoria.

L’idea dell’amnesia immunitaria indotta dal morbillo non è esattamente nuova.

Studi effettuati sui primati non umani hanno dimostrato che il virus sostituisce effettivamente le vecchie cellule della memoria con una propria alternativa, rafforzando l’immunità al morbillo a spese di tutti gli altri agenti patogeni.

Altre ricerche hanno svelato che  il morbillo si lega e infetta le cellule T della memoria e le cellule B della memoria nel sistema immunitario, distruggendo le tracce di infezioni avvenute in passato.

Gli epidemiologi hanno dimostrato che, nell’era pre-vaccino, il morbillo era associato fino al 50% di tutta la mortalità infantile, la causa era l’amnesia immunitaria piuttosto che il morbillo stesso.

Immagina che la tua immunità contro i patogeni sia come portare in giro un libro di fotografie di criminali e che qualcuno ci abbia fatto un sacco di buchi“, ha detto l’epidemiologo Michael Mina alla Gazzetta di Harvard.

Sarebbe molto più difficile riconoscere quei criminali se li vedessi, specialmente se i buchi stesserosu caratteristiche importanti per il riconoscimento, come gli occhi o la bocca“.

Nel primo studio, è stato scoperto che il morbillo elimina fino al 73 percento degli anticorpi di un bambino e questa deplezione non è stata osservata in coloro che erano stati vaccinati.

Mentre nel secondo studio, i ricercatori hanno scoperto che quando i macachi venivano esposti al morbillo, perdevano in media dal 21 al 35 percento dei loro anticorpi preesistenti.

In che modo l’infezione da morbillo ha un effetto deleterio così duraturo sul sistema immunitario, pur consentendo una solida immunità contro sé stessa, è stata una domanda fondamentale“, scrive Duane Wesemann della Harvard Medical School in un editoriale di accompagnamento.

La buona notizia è che questi anticorpi possono essere reintegrati dai booster vaccinali e gli autori suggeriscono che i bambini che hanno contratto il virus possono ricostituire la loro immunità.

Tuttavia, il documento spiega che, dal 2018, la riduzione delle vaccinazioni da sola ha portato ad un aumento di quasi il 300% delle infezioni da morbillo e l’impatto sull’immunità di massa potrebbe estendersi ben oltre questa malattia.

Lo studio contrasta ancora una volta i pericolosi miti perpetuati dagli omeopati, da guaritori  e dai “novax” che sostengono che l’esposizione dei bambini alle infezioni naturali è importante per “rafforzarne il sistema immunitario”, Questo è quanto ha aggiunto l’endocrinologo Nikolai Petrovsky dell’Università di Flinders.

Fonte: Science Alert

Forse rilevato un buco nero molto più piccolo del solito

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Ultimamente gli astronomi si sono molto impegnati a trovare buchi neri sempre più grandi. Recentemente, un team di astronomi tedeschi ha affermato di aver scoperto un buco nero con una massa 40 miliardi di volte quella del Sole.

E se ci fossero anche buchi neri di dimensioni molto più piccole?

In uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Science, un team di astronomi della Ohio State University afferma di aver scoperto un oggetto che appartiene a una classe di buchi neri mai osservati in precedenza.

Potrebbe esisterne un’altra popolazione là fuori che dobbiamo ancora davvero sondare nella ricerca di buchi neri“, ha detto l’autore principale Todd Thompson in una nota.

Se confermate, le attuali teorie dovrebbero tenere conto di questa nuova classe di buco nero, costringendoci a ripensare il modo in cui comprendiamo come le stelle e altri tipi di oggetti celesti nascono e muoiono.

Thompson e il suo team erano perplessi dall’enorme divario tra le dimensioni delle più grandi stelle di neutroni – stelle estremamente dense e relativamente piccole che si formano dopo che stelle più grandi implodono dopo un’esplosione di supernova – e i più piccoli buchi neri che conosciamo.

Le stelle di neutroni generalmente sono abbastanza piccole – due o tre volte la massa del Sole – ma le stelle più grandi tendono a collassare su se stesse e formano buchi neri.

La loro pistola fumante: una gigantesca stella rossa che orbita intorno a qualcosa che all’inizio sembrava essere troppo piccolo per essere un buco nero nella Via Lattea, ma era molto più grande delle stelle di neutroni che conosciamo.

La loro scoperta si è rivelata davvero essere un buco nero a bassa massa, grande solo 3,3 volte la massa del Sole – di solito i buchi neri che abbiamo trovato in passato sono almeno cinque volte la massa del Sole o molto, molto più grandi.

La scoperta potrebbe ridefinire il modo in cui guardiamo al ciclo di vita di una stella.

“Se confermassimo l’esistenza di una nuova popolazione di buchi neri, potremo capirne di più su quali stelle esplodono, quali no, quali formano buchi neri e quali formano stelle di neutroni”, ha detto Thompson. “Si apre una nuova area di studio“.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Futurism . Leggi l’articolo originale.

È una nuova particella a provocare le polemiche sull’espansione dell’universo?

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Astronomi, fisici ed astrofisici sono alle prese con un problema che sta scombinando le più accreditate teorie sulla nascita e la crescita dell’universo: il valore della costante di Hubble.

In sostanza, non si riesce a trovare un valore univoco relativo alla velocità con cui l’universo si sta espandendo.

In pratica, da quanto abbiamo capito finora, il nostro universo, da quando è emerso dall’esplosione di un minuscolo granello di densità e gravità infinite, ha continuato ad espandersi, ora più velocemente, ora più lentamente, ma, l’unica certezza (speriamo) è che l’espansione dell’universo continua ad accelerare.

Le misurazioni del tasso di espansione dell’universo effettuate utilizzando riferimenti vicini sembrano essere in conflitto con le stesse misurazione basate su riferimenti. Una possibile spiegazione è che nell’universo succede qualcosa che ancora non capiamo che modifica nel tempo la velocità della sua espansione.

Nei giorni scorsi, un fisico teorico italiano ha proposto una soluzione basata su una particella che potrebbe essere la responsabile di questi cambiamenti. Ma su questo ci torneremo più avanti.

La costante di Hubble

Gli astronomi hanno escogitato diversi modi per misurare ciò che chiamano costante di Hubble o H0. Questo numero dovrebbe rappresentare il tasso di espansione dell’universo.

Un modo per misurare il tasso di espansione oggi è osservare le supernove vicine: c’è un particolare tipo di supernova che ha una luminosità molto specifica, quindi possiamo confrontare quanto sono luminose con quanto sappiamo che dovrebbero essere e calcolare così la loro distanza da noi.

Così, guardando la luce dalla galassia che ospita la supernova, gli astrofisici possono calcolare la velocità con cui si sta allontanando da noi. Mettendo insieme tutti i pezzi, possono calcolare il tasso di espansione dell’universo.

Ma c’è di più nell’universo oltre alle stelle che esplodono.

C’è anche qualcosa chiamato sfondo cosmico a microonde, che il residuo della prima luce emessa dopo il Big Bang, quando l’universo era nato da soli 380.000 anni. Grazie al satellite Planck incaricato di mappare questa radiazione residua, gli scienziati hanno mappe incredibilmente precise di questo sfondo, che possono essere utilizzate per ottenere un’immagine molto accurata dei contenuti dell’universo. E da lì, attraverso i modelli computerizzati gli scienziati sono in grado di dire quale dovrebbe essere il tasso di espansione oggi – supponendo che gli ingredienti fondamentali dell’universo non siano cambiati da allora.

Queste due stime non coincidono e gli scienziati si sono convinti che manchi qualcosa nei nostri modelli che giustifichi questa discrasia.

Il lato oscuro dell’universo

Poiché una misurazione proviene dall’universo primordiale e un’altra proviene da tempi relativamente recenti, il pensiero è che forse c’è un nuovo ingrediente nel cosmo che sta alterando il tasso di espansione dell’universo in un modo che sfugge ai nostri modelli.

Supponiamo che l’espansione dell’universo sia provocata da un fenomeno misterioso che chiamiamo energia oscura, un nome suggestivo per qualcosa che praticamente non capiamo. Tutto ciò che sappiamo è che il tasso di espansione dell’universo oggi sta accelerando e chiamiamo la forza che guida questa accelerazione “energia oscura”.

Finora, i fisici hanno presunto che l’energia oscura (qualunque cosa sia) sia costante. Ma con questo presupposto, non ci tornano i conti, non si riesce ad assegnare un valore univoco alla costante di Hubble, quindi forse l’energia oscura sta cambiando.

Bene. Supponiamo che l’energia oscura stia cambiando.

I fisici hanno il sospetto che l’energia oscura abbia qualcosa a che fare con l’energia bloccata nel vuoto dello spazio-tempo stesso. Questa energia proviene da tutti i “campi quantistici” che permeano l’universo.

Nella moderna fisica quantistica, ogni singolo tipo di particella è legata al suo campo particolare. Questi campi attraversano tutto lo spazio-tempo, e a volte frammenti di questi campi si eccitano, diventando particelle come elettroni, quark e neutrini.

Tutti gli elettroni appartengono al campo degli elettroni, tutti i neutrini appartengono al campo dei neutrini e così via. L’interazione di questi campi costituisce la base fondamentale per la nostra comprensione del mondo quantistico.

Non importa dove tu sia nell’universo, non puoi sfuggire ai campi quantistici. Anche quando non vibrano abbastanza in una particolare posizione per creare una particella, sono ancora lì, che si muovono e vibrano e fanno le loro cose quantistiche. Quindi questi campi quantistici hanno una quantità fondamentale di energia associata a loro, anche nel vuoto stesso.

Se vogliamo usare l’energia quantistica esotica del vuoto dello spazio-tempo per spiegare l’energia oscura, ci imbattiamo immediatamente in diversi problemi.

Quando eseguiamo alcuni calcoli molto semplici su quanta energia c’è nel vuoto a causa di tutti i campi quantistici, finiamo con un numero che è di circa 120 ordini di grandezza maggiore di ciò che osserviamo come energia oscura.

D’altra parte, quando proviamo calcoli più sofisticati, finiamo con un numero che è zero. Che non è d’accordo con la quantità misurata di energia oscura.

Quindi, qualunque cosa accada, facciamo davvero fatica a capire l’energia oscura attraverso il linguaggio dell’energia del vuoto dello spazio-tempo (l’energia creata da quei campi quantici).

Ma se le misurazioni del tasso di espansione sono accurate e l’energia oscura sta davvero cambiando, allora questo potrebbe darci un indizio sulla natura di quei campi quantistici. In particolare, se l’energia oscura sta cambiando, ciò significa che i campi quantistici stessi sono cambiati.

Una nuova particella

Torniamo al fisico italiano e alla sua nuova particella.

In un recente articolo pubblicato online sulla rivista di prestampa arXiv, il fisico teorico Massimo Cerdonio, dell’Università di Padova, ha calcolato l’entità del cambiamento nei campi quantici necessario per spiegare il cambiamento nell’energia oscura.

Se esiste un nuovo campo quantico responsabile del cambiamento nell’energia oscura, ciò significa che c’è una nuova particella nell’universo.

E la quantità di cambiamento nell’energia oscura calcolata da Cerdonio richiede un certo tipo di massa di particelle, che risulta essere approssimativamente la stessa massa di un tipo di particella ipotizzata da tempo: il cosiddetto assione.

I fisici hanno ipotizzato questa particella teorica per risolvere alcuni problemi con la nostra comprensione quantistica della forza forte nucleare.

Presumibilmente, questa particella apparve nell’universo primordiale insieme a tutte le altre ma potrebbe essere rimasta silenziosamente sulla sfondo mentre altre forze e particelle controllavano la direzione dell’universo.

Ora è successo qualcosa e l’assione sta salendo prepotentemente alla ribalta.

In realtà, nessuno ha mai visto un assione, né è stato rilevato per via indiretta. Se questi calcoli sono corretti, però, l’assione ci deve essere e sta riempiendo l’universo e il suo campo quantico.

Inoltre, questo ipotetico assione si sta già rendendo evidente modificando la quantità di energia oscura nel cosmo.

Quindi potrebbe essere che, anche se non l’abbiamo mai vista in laboratorio, questa particella stia già alterando il nostro universo su scale molto grandi.

Fonte: Live Science.

Un fisico ha realizzato un simulatore online che crea modelli di una guerra tra umani e vampiri

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Stanotte si celebra Halloween, una festa ormai commerciale derivata da una tradizione celtica che serviva a ricordare i trapassati.

Sarà per questo che uno scienziato si è divertito a programmare e mettere online un singolare calcolatore che prevede, sulla base di parametri inseriti dall’utente, quanto tempo sarebbe necessario perché si verifichi un’apocalisse di vampiri, se i vampiri esistessero.

Dominik Czernia, un fisico dell’Istituto di fisica nucleare di Cracovia, in Polonia, ispirato dal classico Vampire Chronicles di Anne Rice e dopo aver visto il film Dracula di Bram Stoker, ha voluto scoprire in quanto tempo i vampiri potrebbero soppiantare l’umanità.

Come punto di partenza ha utilizzato un documento di un team internazionale di scienziati che studiava modelli matematici di vampiri e umani nella finzione.

È stato un progetto piuttosto dispendioso in termini di tempo. Ho iniziato trovando un articolo interessante sui vampiri, in cui gli autori suggerivano sottilmente l’esistenza di vampiri sulla base di dati della vita reale“, ha spiegato Czernia a ScienceAlert.

Ciò ha attirato la mia attenzione e ho deciso di provarlo in modo scientifico con il noto modello predatore-preda basato sulla teoria del gioco. Tutto ciò è stato impegnativo e, poiché mi sono concentrato sulla calcolatrice nel mio tempo libero, mi ci è voluto circa un mese per finire tutto“.

Il risultato di tutto quel lavoro scrupoloso è un divertente calcolatore online.

È possibile selezionare con quali tipi di vampiri iniziare il gioco, modificare parametri come la dimensione della popolazione umana, il numero di vampiri e se ci sono degli cacciatori di vampiri nel mix.

Nella maggior parte dei modelli è davvero difficile aiutare gli umani a vincere. La stragrande maggioranza delle volte i vampiri riescono a subentrare all’umanità, annientandola.

Ma nonostante ciò, è ancora divertente vedere come numeri e grafici raccontano la storia di una guerra tra vampiri umani.

Ho dovuto dare un significato ai numeri grezzi per creare l’atmosfera di un’apocalisse di vampiri“, aggiunge Czernia.

La simulazione unisce due cose che trovo affascinanti: la finzione e la scienza. Adoro quando possiamo applicare modelli matematici anche alle cose più sorprendenti e descrivere un’apocalisse di vampiri usando equazioni differenziali è sicuramente in cima alla mia lista“.

Puoi giocare con il Calcolatore Apocalisse Vampiro su Omni Calculator qui.

Fonte: Science Alert

La cometa interstellare 2I/Borisov trasporta acqua da oltre il nostro sistema solare

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Le prove disponibili indicano che c’è molta acqua nell’universo, oltre il sistema solare. Rilevarla e studiarla, tuttavia, non è facile, a meno che l’acqua non venga da noi. Ora, su una cometa ha portato acqua da anni luce di distanza.

Secondo una nuova analisi effettuata sulla cometa interstellare 2I / Borisov, presentata a The Astrophysical Journal Letters e caricata sulla server di prestampa arXiv, la cometa interstellare sta degassando il vapore acqueo.

Questo fatto fornisce agli astronomi informazioni sul nucleo della cometa, sugli elementi volatili di cui è composta e, grazie ai vari elementi che emette, anche sul sistema stellare da cui ha origine.

Le comete hanno una composizione volatile primitiva che si pensa rifletta le condizioni presenti nel disco protosolare della loro regione di formazione. Questo rende gli studi sui volatili cometari importanti per comprendere i processi fisici e chimici che si verificano durante la formazione dei pianeti“, hanno scritto i ricercatori nel loro articolo, in attesa di peer review.

La scoperta della cometa interstellare 2I / Borisov offre l’opportunità di verificare la composizione volatile di una cometa inequivocabilmente originaria dal di fuori del nostro sistema solare, fornendo vincoli sulla fisica e sulla chimica di altri dischi protostellari.”

Abbiamo studiato molte comete del Sistema Solare, quindi abbiamo una discreta padronanza dei processi che accaddero durante la formazione dei nostri pianeti, ma i sistemi esoplanetari sono ancora un enorme mistero. E comprendere gli esopianeti potrebbe aiutarci a capire come emerge la vita nell’Universo.

Sappiamo che le comete del Sistema Solare sono di solito abbastanza ricche di acqua; infatti, pensiamo che molta dell’acqua presente sulla Terra vi sia arrivata trasportata da comete e asteroidi .

Adam McKay ed i suoi colleghi del NASA Goddard Space Flight Center hanno effettuato osservazioni spettroscopiche della cometa interstellare per cercare di determinare quanta acqua trasporta. Usando lo strumento ARCES ad alta risoluzione montato sul telescopio Astrophysical Research Consortium (ARC) nel New Mexico, hanno preso due spettri con esposizioni di 1.800 secondi.

2I / Borisov non emette luce propria, ma è illuminata dal sole. Questi spettri spezzano la luce dalla cometa fino alle lunghezze d’onda costituenti. Poiché diversi elementi e composti emettono e assorbono specifiche lunghezze d’onda, ciò consente agli scienziati di capire la composizione chimica del gas attraverso il quale viene filtrata la luce.

Quindi, nei due spettri, il team ha osservato una linea di assorbimento coerente con la presenza di acqua. Sulla base della forza di questa linea, la cometa sublima circa 1,13 x 10 25 litri di acqua al secondo.

Il team ha quindi utilizzato un modello semplice per determinare che l’area attiva per l’emissione di acqua sulla cometa sia di 1,7 chilometri quadrati (0,65 miglia quadrate), una proporzione delle dimensioni della cometa coerente con le comete del Sistema Solare.

Altre analisi spettroscopiche condotte nei due mesi successivi alla scoperta della cometa hanno scoperto che 2I / Borisov emette anche cianuro e carbonio diatomico, altre due sostanze comuni nelle comete del sistema solare. Sulla base di tali analisi, il team ha affermato che le proporzioni in cui 2I / Borisov produce acqua, cianuro e carbonio biatomico sembrano anche molto simili a quelle delle comete del sistema solare.

Il team è molto attento a sottolineare che i risultati ottenuti si basano su un modello e che sono necessarie ulteriori osservazioni per confermare i loro risultati… Comunque, finora, praticamente tutto punta verso una cometa davvero molto familiare.

E questo è incredibilmente bello – perché significa che le condizioni della formazione del nostro Sistema Solare non sono uniche. Il che, estrapolando ulteriormente, significa che potrebbero esserci molti altri pianeti come la Terra.

Ci sono meno di due mesi prima che 2I / Borisov raggiunga il perielio – il suo approccio più vicino al Sole – l’8 dicembre. Nel frattempo continuerà a diventare più luminosa, quindi gli astronomi hanno ancora tempo per scoprire nuove informazioni sul nostro incredibile visitatore interstellare.

Il documento può essere letto su arXiv .

Un nuovo strumento che potrebbe risolvere il mistero dell’energia oscura

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Per un astronomo, non c’è sensazione migliore del raggiungimento della “prima luce” con un nuovo strumento o telescopio. È il culmine di anni di preparativi e costruzione di nuovi hardware, quando per la prima volta il nuovo strumento raccoglie particelle di luce da un oggetto astronomico.

Questo, di solito, è seguito da un sospiro di sollievo e quindi dall’eccitazione di tutta la nuova scienza che è ora possibile.

Il 22 ottobre, il Dark Energy Spectroscopic Instrument (DESI ) sul Mayall Telescope in Arizona, negli Stati Uniti, ha raggiunto la prima luce. Questo è un enorme balzo in avanti per la nostra capacità di misurare le distanze delle galassie – consentendo una nuova era per la mappatura delle strutture presenti nell’Universo.

Come indica il nome, può anche essere la chiave per risolvere una delle più grandi domande in fisica: cos’è la forza misteriosa soprannominata “energia oscura” che costituisce il 70 percento dell’Universo?

Il cosmo non è facile da capire. Le galassie vivono insieme in gruppi da poche a decine di galassie. Esistono anche gruppi di alcune centinaia o migliaia di galassie e super cluster che contengono molti di questi cluster.

Questa gerarchia dell’Universo è stata conosciuta con le prime mappe dell’Universo, ottenute dai grafici del pionieristico Redshift Survey del Center for Astrophysics (CfA).

Queste immagini impressionanti furono la prima occhiata che abbiamo dato alle strutture su larga scala nell’Universo, alcune delle quali grandi centinaia di milioni di anni luce.

L’indagine CfA è stata faticosamente costruita una galassia alla volta. Ciò ha comportato la misurazione dello spettro della luce delle galassie – una scissione della luce per lunghezza d’onda o colore – e l’identificazione delle impronte digitali di alcuni elementi chimici (principalmente idrogeno, azoto e ossigeno).

Queste firme chimiche vengono sistematicamente spostate verso lunghezze d’onda più lunghe e rosse a causa dell’espansione dell’Universo.

file 20191027 113972 1hmy009Mappa SDSS – ogni punto è una galassia. (M. Blanton / SDSS / CC BY-SA)

Questo “spostamento vero il rosso” è stato scoperto per la prima volta dall’astronomo Vesto Slipher e ha dato origine all’ormai famosa Legge di Hubble ed è causato dall’osservazione che le galassie più distanti sembrano allontanarsi a una velocità maggiore.

Ciò significa che le galassie vicine sembrano allontanarsi ad una velocità relativamente  più lenta al confronto: sono meno spostate verso il rosso rispetto alle galassie lontane. Pertanto, misurare il redshift di una galassia è un modo per misurare la sua distanza.

Fondamentalmente, la relazione esatta tra lo spostamento verso il rosso e la distanza dipende dalla storia dell’espansione dell’Universo che può essere calcolata teoricamente usando la nostra teoria della gravità e le nostre assunzioni sulla materia e sulla densità dell’energia dell’Universo.

Tutti questi presupposti sono stati testati all’inizio di questo secolo con la combinazione di nuove osservazioni dell’Universo, tra cui nuove mappe 3D ricavate da studi più estesi dello spostamento verso il rosso.

In particolare, lo Sloan Digital Sky Survey (SDSS) è stato il primo telescopio dedicato per il rilevamento del redshift a misurare oltre un milione di spostamenti delle galassie verso il rosso, mappando la struttura su larga scala dell’Universo con un dettaglio senza precedenti.

Le mappe SDSS includevano centinaia di supercluster e filamenti e hanno aiutato a fare una scoperta inaspettata: l’energia oscura.

Queste mappe ci hanno dimostrato che la densità della materia dell’Universo è molto inferiore di quanto previsto attraverso lo Sfondo Cosmico a Microonde, che è la luce rimasta dal Big Bang.

Ciò significa che ci deve essere una sostanza sconosciuta, soprannominata energia oscura, che guida l’espansione accelerata dell’Universo.

Il puzzle

La combinazione di tutte queste osservazioni ha preannunciato una nuova era per la comprensione della cosmologia, con la consapevolezza di un universo composto per il 30% di materia e e per il 70% di energia oscura.

Ma nonostante il fatto che la maggior parte dei fisici ora abbia accettato l’esistenza dell’energia oscura, non ne conosciamo ancora la sostanza.

Vi sono tuttavia diverse possibilità. Molti ricercatori ritengono che l’energia del vuoto abbia semplicemente un valore particolare, soprannominato “costante cosmologica“. Altre opzioni includono la possibilità che la teoria della gravità di Einstein sia incompleta se applicata sull’enorme scala dell’intero Universo.

Nuovi strumenti come il DESI aiuteranno a compiere il passo successivo nella risoluzione del mistero. Misurerà decine di milioni di spostamenti della galassia, che coprono un enorme volume dell’Universo fino a dieci miliardi di anni luce dalla Terra.

Una mappa così sorprendente e dettagliata dovrebbe essere in grado di rispondere ad alcune domande chiave sull’energia oscura e sulla creazione di strutture su larga scala nell’Universo.

Ad esempio, dovrebbe essere in grado di dirci se l’energia oscura è solo una costante cosmologica. Per fare ciò misurerà il rapporto tra la pressione che l’energia oscura mette sull’Universo e l’energia per unità di volume.

Se l’energia oscura è una costante cosmologica, questo rapporto dovrebbe essere costante sia nel tempo che nella posizione cosmici. Per altre spiegazioni, tuttavia, questo rapporto potrebbe variare. Qualsiasi indicazione che non sia una costante sarebbe rivoluzionaria e scatenerà un intenso lavoro teorico.

Il DESI dovrebbe anche essere in grado di limitare e persino smentire molte varianti della teoria della gravità, fornendo eventualmente una conferma della teoria della relatività generale di Einstein sulle scale più grandi.

O il contrario – e ancora una volta ciò scatenerà una rivoluzione nella fisica teorica.

Un’altra importante teoria che verrà testata con il DESI è l’Inflazione, che prevede che piccole fluttuazioni quantistiche casuali della densità di energia nell’Universo primordiale siano state esponenzialmente espanse durante un breve periodo di crescita intensa per diventare i semi delle strutture su larga scala che vediamo oggi.

DESI è solo una delle numerose missioni ed esperimenti sull’energia oscura di nuova generazione che verranno nel prossimo decennio, quindi c’è sicuramente motivo di essere ottimisti sul fatto che potremmo presto risolvere il mistero dell’energia oscura.

Nuove missioni satellitari come Euclid e enormi osservatori terrestri come il Large Synoptic Survey Telescope , offriranno ulteriori approfondimenti.

Ci saranno anche altri strumenti per lo studio del redshift come DESI, tra cui 4MOST dell’Osservatorio europeo meridionale. Insieme, forniranno centinaia di milioni di spostamenti in rosso in tutto il cielo che porteranno ad una mappa inimmaginabile del nostro cosmo.La conversazione

Bob Nichol , Professore di astrofisica e Pro Vice Cancelliere (Ricerca e innovazione), Università di Portsmouth .

Questo articolo è stato ripubblicato da The Conversation con una licenza Creative Commons. Leggi l’ articolo originale.