martedì, Aprile 22, 2025
Migliori casinò non AAMS in Italia
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Nuovo coronavirus, in Italia sono 322 i casi confermati e 10 le persone decedute; 23 le persone ricoverate in condizioni critiche. Primo casi in Svizzera e nuovi casi in Spagna

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Migliori casinò non AAMS in Italia

Ore 18.00:
L’ultimo bilancio in Italia dell’epidemia da nuovo coronavirus parla di 322 casi, dopo i nuovi 28 registrati in Lombardia che portano il totale nella regione a 240. Dieci i decessi, tutti anziani già indeboliti da altre patologie. Altri 42 casi di contagio in Veneto, 23 in Emilia Romagna, due in Toscana, tre nel Lazio, tre in Piemonte, uno in Sicilia, uno in Alto Adige, uno in Liguria.
Un caso di positività al coronavirus si è  verificato a Treviso. Lo rende noto la Regione Veneto. Si tratta di una donna di 76 anni, con importanti patologie pregresse. Attualmente è ricoverata in rianimazione.
Il primo caso a Barcellona è una 36enne italiana. È arrivata in Spagna dall’Italia pochi giorni fa. Sono due gli italiani contagiati dal coronavirus a Tenerife: è risultata positiva al test anche la moglie del medico contagiato e già isolato nell’ospedale di Candelaria. Lo riferisce la Efe.
Uni, l’Ente Italiano di Normazione, ricorda come la normativa di riferimento per i dispositivi di protezione delle vie respiratorie (semimaschere filtranti antipolvere) sia la Uni En 149 adottata in Italia nell’ottobre 2009. La Uni En 149, si legge in una nota, “ha assunto lo status di norma nazionale dopo l’adozione della norma europea Cen adottata l’8 marzo 2001”. Uni segnala come l’Organizzazione Mondiale della Sanità indichi, come dispositivo efficace e sicuro nei confronti dell’emergenza in corso, “un prodotto conforme alla norma Uni En 149 con valida marcatura Ce seguita dal numero dell’organismo di controllo che ne autorizza la commercializzazione. L’invito, prima di procedere all’acquisto, è di verificare che il prodotto presenti queste caratteristiche”.

Le due persone a cui è stato diagnosticato il coronavirus nella regione austriaca del Tirolo sono entrambi cittadini italiani, secondo quanto riferito dall’ufficio stampa del governo regionale. I pazienti sono una donna e un uomo, entrambi di 24 anni, originari della regione Lombardia vicino a Bergamo.

Ore 17

Il primo caso a Barcellona è una 36enne italiana
Le autorità catalane hanno confermato il primo caso di coronavirus a Barcellona, sottolineando che si tratta di una donna italiana di 36 anni residente in Spagna. Lo riportano i media spagnoli spiegando che la donna, appena rientrata da un viaggio in Italia tra Bergamo e Milano, ieri si era recata all’ospedale catalano con alcuni sintomi.
Ore 14.00:
Un rappresentante delle comunicazioni per il gruppo alberghiero H10, dove risulta alloggiato il turista italiano riscontrato positivo a Tenerife, ha dichiarato in una nota: “A seguito della segnalazione di un possibile caso di coronavirus rilevato in un cliente dall’Italia, presso l’H10 Costa Adeje Palace, H10 Hotels ha implementato tutte le raccomandazioni sanitarie e operative delle autorità sanitarie per garantire la sicurezza e il benessere di clienti e dipendenti“.

Due persone sono risultate positive al coronavirus in Austria, conferma l’ufficio stampa del governo della Regione Tirolo. Le due persone, i cui sessi e nazionalità non sono noti, sono risultate positive nella città di Innsbruck.

Sono ora 287 le persone risultate positive al nuovo coronavirus in Italia. Di queste,fortunatamente è sempre fermo a sette il numero dei deceduti e 23 sono le persone ricoverate in condizioni critiche.
Al pronto soccorso di Arezzo, per la seconda volta in pochi giorni, è avvenuto un furto di mascherine protettive. Questa volta ignoti hanno portato via dalla radiologia due scatole contenenti le mascherine per la protezione del viso. Il primario del reparto Giovanni Iannelli ha già inoltrato denuncia.
La moglie del ‘paziente 1’, ricoverata al Sacco di Milano perché positiva al coronavirus, “sta bene, ha fatto l’ecografia e la gravidanza procede bene, la bambina sta bene e la gravidanza arriverà a termine“. Lo ha detto uno dei dirigenti del gruppo podistico dove corrono la donna, ricoverata al Sacco di Milano, e il marito, ora ricoverato a Pavia.
Sono gravi ma stabili le condizioni del ‘paziente1’ ovvero del trentottenne di Codogno che è stata la prima persona risultata positiva al Coronavirus. È uno dei cinque ricoverati in rianimazione al Policlinico San Matteo di Pavia.
Su 100 persone malate, 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi seri ma gestibili in ambiente sanitario, solo il 5 per cento muore, peraltro sapete che tutte le persone decedute avevano già delle condizioni gravi di salute“. Così Walter Ricciardi dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) in conferenza stampa alla Protezione civile a Roma.
Sono 20 le province che registrano casi di coronavirus, secondo i dati della Protezione civile. In dettaglio, in Lombardia, Lodi (101 casi), Cremona (39), Pavia (17), Bergamo (14), Milano (3), Monza Brianza (2), Sondrio (1); in Veneto, Padova (30), Venezia (7), Treviso (1); in Emilia Romagna, Piacenza (17), Parma (4), Modena (1), Rimini (1); in Piemonte, Torino (3); in Toscana, Firenze (1), Pistoia (1); in Trentino Alto Adige, Bolzano (1); in Sicilia, Palermo (1); nel Lazio, Roma (3). In Lombardia ci sono 35 casi positivi in fase di ospedalizzazione o isolamento.
Sono risultati positivi al coronavirus due dei quattro specializzandi del dermatologo che lavora al Policlinico di Milano, risultato positivo al coronavirus nei giorni scorsi. Dei quattro, solo uno – che però è risultato negativo – avrebbe effettuato visite nei 10 giorni scorsi. I due medici risultati negativi sono liberi, mentre gli altri due positivi sono in isolamento volontario: presentano sintomi lievi, già in via di risoluzione. È quanto si apprende da fonti qualificate.
Il vice ministro della Sanità iraniano è positivo per il coronavirus, secondo l’agenzia di stampa ILNA del paese, riferisce Reuters. L’attuale numero di casi confermati in Iran è di 95, mentre ci sono 15 decessi confermati.
Primo caso confermato di coronavirus in Croazia. Il paziente è un giovane maschio di nazionalità croata con sintomi lievi ed è messo in quarantena nell’ospedale universitario per le malattie infettive Dr. Fran Mihaljevic a Zagabria, in Croazia. L‘uomo ha viaggiato di recente in Italia, ha affermato l’ufficio del Primo Ministro.
Un altro paziente malato di coronavirus in Corea del Sud è deceduto, portando il numero totale di decessi legati al virus a 11 nel paese. A riferirlo i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie. Ora ci sono quasi 1.000 casi confermati di nuovo coronavirus nella Corea del Sud.
Ore 12.00: 
Il commissario straordinario della Protezione Civile Angelo Borrelli, fornendo il bollettino quotidiano aggiornato con i numeri relativi ai positivi nel nostro Paese ha detto che, ad ora, i contagiati sono 283. Rispetto a ieri sono 54 contagiati in più.
Borrelli ha anche confermato che ci sono due casi positivi in Toscana ed uno in Sicilia.
Dei 283 casi positivi in Italia, 7 sono deceduti, uno è guarito. La Lombardia è la regione più colpita con 212 casi positivi, in Veneto sono 38, in Emilia Romagna 23, in Piemonte 3, nel Lazio 3, in Toscana 2 e un Sicilia 1 caso.
Ore 11.00:
Sono confinati in quarantena nelle stanze di un hotel del centro di Palermo i compagni di viaggio della sessantenne turista bergamasca trovata positiva al Coronavirus. I responsabili dell’hotel hanno attuato le direttive dell’assessorato regionale alla Salute (che si rifanno al ministero), i turisti vengono controllati a vista dalla security dell’hotel e non possono allontanarsi. La nota catena – fanno sapere i responsabili dell’hotel – diramerà una nota stampa.
La Gran Bretagna impone da oggi “l’auto-isolamento” per 14 giorni a scopo precauzionale a tutti coloro che arrivano arrivano dal nord Italia (a nord di Pisa, Firenze e Rimini) e presentino sintomi “anche leggeri” d’un potenziale contagio da coronavirus. E la quarantena obbligata anche senza sintomi di sorta, per lo stesso periodo di tempo, per tutti coloro che arrivino dai paesi della Lombardia e del Veneto isolati su decisione del governo italiano. Lo si legge nelle indicazioni aggiornate dei suggerimenti del Foreign Office.
Sono intanto saliti a 38 i casi di persone positive al Coronavirus in Veneto. Lo riferisce il nuovo report della Regione Veneto. Sono 6 i contagiati in più rispetto a ieri.
Ore 08.00:
In Italia siamo a 233 casi confermati.
Primo caso di tampone positivo per coronavirus in Toscana, a Firenze. Si attende la conferma dell’Istituto superiore di Sanità. Si tratterebbe di un imprenditore di sessant’anni. L’uomo ieri pomeriggio si è presentato all’ospedale di Santa Maria Nuova, nel centro cittadino. Nella notte il tampone ha rivelato la presenza del coronavirus Covid 19. L’imprenditore sarebbe rientrato dall’Oriente ai primi di gennaio e si sta cercando di capire se possa essere stato contagiato in Italia da un suo dipendente che stava male alcune settimane fa.
Secondo quanto riportato da Repubblica, è risultata positiva al coronavirus la turista di Bergamo in vacanza a Palermo che ieri sera è stata ricoverata nell’ospedale Cervello per i controlli dopo aver mostrato sintomi influenzali. Lo conferma la Regione siciliana che dice: “Abbiamo un sospetto caso positivo risultato tale all’esame del tampone“. È stata disposta la quarantena per il gruppo di amici della donna e per le persone che sono state a stretto contatto coi turisti. Questo è il primo caso di coronavirus accertato nel Sud Italia.
Un medico italiano in vacanza a Tenerife sarebbe risultato positivo al coronavirus al test eseguito nel laboratorio di microbiologia dell’Ospedale universitario Nuestra Señora de Candelaria, secondo fonti di Europa Press. Il turista, un medico proveniente dall’area italiana colpita dal coronavirus, ha iniziato a sentirsi male e si è recato alla clinica Quirón nel sud di Tenerife, dove ora si trova ricoverato in isolamento.

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In Lombardia i contagiati sono saliti a 173. In Veneto invece i casi confermati sono saliti a 33. Seguono per contagi Emilia Romagna (18), Piemonte (3) e Lazio (3). C’è un caso in Alto Adige. Un altoatesino che ha passato un periodo di tempo in una zona a rischio della Lombardia potrebbe essere il primo caso di contagio da Coronavirus in Alto Adige.
La Regione Lombardia ha smentito la morte della donna di Crema, data per deceduta da fonti ospedaliere degli Spedali civili di Brescia.
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“Bisogna evitare che i governatori adottino fuori dalle aree di contagio iniziative autonome non giustificate”, dice il premier Giuseppe Conte. “Non è possibile che tutte le regioni vadano in ordine sparso perché le misure rischiano di risultare dannose”, sottolinea. Nella riunione a Palazzo Chigi “abbiamo concordato un mio decreto per recepire misure concordate anche a livello regionale”. “Non prendiamo nulla sotto gamba altrimenti non avremmo adottato misure di estremo rigore. Non possiamo prevedere l’andamento del virus: c’è stato un focolaio e di lì si è diffusa anche per una gestione di una struttura ospedaliera non del tutto propria secondo i protocolli prudenti che si raccomandano in questi casi, e questo ha contribuito alla diffusione. Noi proseguiamo con massima cautela e rigore”, aggiunge Conte.
“Irricevibile e, per certi versi, offensiva”. Così il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, giudica l’ipotesi del premier di contrarre le prerogative dei governatori in materia di sanità. “Parole in libertà – aggiunge Fontana – che mi auguro siano dettate dalla stanchezza e dalla tensione di questa emergenza”.
“Sarà meglio che il presidente del Consiglio si riposi un po’. Troppo stress gli fa dire cose inconcepibili, forse quasi da fascista, direi. Togliere competenze alle regioni? È irricevibile. Siamo per l’autonomia e per la libertà. Pensare di tornare all’anno zero, ai pieni poteri con l’alibi della crisi è una strada impercorribile. Sarà meglio che Conte se ne faccia una ragione. Può sempre dimettersi, che sarebbe la cosa migliore per tutto il paese”. Lo dichiara il capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari.
L’impatto economico sarà fortissimo? “L’impatto economico potrebbe rivelarsi fortissimo. Al momento possiamo calcolare che ci sarà un impatto negativo ma non siamo nelle condizioni di valutare una previsione perché non conosciamo gli effetti delle misure contenitive del virus” e “non possiamo prevedere l’andamento del virus”. Lo ha detto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Il capo della Protezione Civile Borrelli assicura: “Non c’è nessuno senza assistenza sanitaria e senza il supporto della protezione civile” e l’Italia “resta un Paese sicuro”.
Sono stati dimessi gli otto italiani che, dopo essere stati rimpatriati dalla Cina il 9 febbraio scorso con un volo dell’Aeronautica militare per l’emergenza Coronavirus, hanno trascorso i quattordici giorni di isolamento al Celio.
Possibili disagi per i treni anche – “In via precauzionale – spiega Rfi in una nota -, l’offerta dei servizi di trasporto da martedì 25 febbraio, sarà ridotta, anche in funzione della domanda di trasporto prevista dalle imprese ferroviarie”. Non c’è nessun blocco al Brennero ed i treni transitano regolarmente.

“Siamo profondamente preoccupati per l’improvviso aumento dei casi in Italia, Iran e Corea del Sud”.
 Lo ha detto il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, precisando che “al momento fuori dalla Cina ci sono 2074 casi in 28 Paesi e 23 morti”. “Dobbiamo prepararci ad una potenziale pandemia”, ha detto Ghebreyesus.
I ricercatori dell’Oms sono arrivati alla conclusione che “in Cina la diffusione del coronavirus ha raggiunto il suo picco tra il 23 gennaio e il 2 febbraio. E da allora ha cominciato a diminuire in maniera consistente”. Lo ha detto  Ghebreyesus.

“Diversi comitati locali ci segnalano una truffa telefonica su finti volontari della #CroceRossa che propongono test domiciliari sul #Coronavirus. Vi informiamo che non è stato disposto alcun tipo di screening porta a porta e invitiamo tutti a fare attenzione”. Lo spiega la Croce Rossa. Per informazioni e chiarimenti, il nostro servizio ‘Cri Per le Persone’ 800.065510 è attivo H24″.
“Proprio in ottemperanza alle disposizioni delle autorità italiane”, da parte del Vaticano “alcuni eventi previsti per i prossimi giorni in luoghi chiusi e con afflusso rilevante di pubblico sono stati rinviati”. Lo dice all’ANSA il direttore della Sala stampa della S.Sede, Matteo Bruni, con riferimento in particolare a un incontro sul card. Celso Costantini domani all’Urbaniana. E’ stato inoltre deciso “di mettere dei dispenser con un igienizzante per le mani negli Uffici permessi per l’accesso allo Stato della Città del Vaticano”.
Il Centro nazionale trapianti (Cnt) ha disposto test (tampone faringeo) per la ricerca del nuovo coronavirus su tutti i donatori di organi, tessuti o midollo nelle regioni con contagi da SarsCoV2 (Lombardia Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Trento). Considerando la rapida diffusione del SarsCoV2 nel nostro Paese, afferma il Cnt, “sebbene ad oggi non siano state documentate trasmissioni mediante donazione e il rischio non sia attualmente noto, il Cnt ha rafforzato le misure di prevenzione infettivologica”.
Un coordinamento unico nazionale con le regioni e no a iniziative unilateriali: così il ministro della Salute, Roberto Speranza. “È indispensabile che ci sia un solo centro di coordinamento per la gestione dell’emergenza in cui siano pienamente coinvolte tutte le regioni e con la guida del nostro coordinamento scientifico. Così sta funzionando, come dimostrano le ordinanze firmate nella giornata di ieri. Non servono scelte unilaterali di singoli territori”.
Lo sciopero di 24 ore del trasporto aereo previsto per martedì è stato differito, fa sapere la Fit Cisl. La Commissione di garanzia sugli scioperi ha rivolto a causa dell’emergenza coronavirus “un fermo invito affinché non vengano effettuate astensioni collettive dal 25 febbraio al 31 marzo 2020”. Lo stop è stato differito al 2 aprile 2020.
Nessun problema per magazzini supermarket – Nessun problema per le scorte di magazzino dei supermercati nel Lodigiano e nel Piacentino. Sono inoltre già state attivate consegne extra per rifornire i punti vendita: ad assicurarlp la vicepresidente di Confcommercio e numero uno della filiera alimentare (Confali) della confederazione, Donatella Prampolini, spiegando che “nel weekend sono stati sotto assedio e svuotati soprattutto i supermercati del Piacentino” ma “abbiamo riorganizzato i turni e le risorse di personale per far fronte all’emergenza anche per l’assenza obbligata dei dipendenti della ‘zona rossa’”.
Mauritius, bloccati passeggeri volo Italia – Alcuni dei passeggeri di un volo Alitalia, proveniente dall’Italia, sono stati bloccati all’aeroporto di Mauritius dopo lo sbarco: gli sarebbe stato richiesto di accettare un periodo di quarantena oppure di rientrare subito in Italia. Sui 300 passeggeri a bordo, non è stato permesso lo sbarco a quelli provenienti da Lombardia e Veneto. “In base a disposizioni delle autorità di Mauritius – fa sapere Alitalia in una nota -, non trasmesse alla compagnia prima dell’arrivo del volo, lo sbarco di 40 persone originanti da Lombardia e Veneto sarebbe stato condizionato a una messa in quarantena locale. Su richiesta degli stessi, ed in costante coordinamento con l’Unità di Crisi della Farnesina, Alitalia ne sta predisponendo il rientro immediato, nonostante nessuno di loro abbia dichiarato sintomi di qualsivoglia malessere”.
Bloccato a Lione bus dall’Italia – Bloccato a Lione, nel sud della Francia, un bus proveniente dall’Italia settentrionale. E’ quanto scrivono i media locali spiegando che lo stop del mezzo è scattato dopo che una passeggera ha chiamato la polizia, allarmata dalla “forte e anomala tosse” dell’autista del mezzo. I passeggeri del pullman della compagnia Flixbus, sottolinea il sito de Le Progres, sono stati bloccati intorno alle 7 all’autostazione di Perrache e al momento “restano confinati”. L’autista del pullman, proveniente da Milano è stato caricato in ambulanza e ricoverato in ospedale per effettuare le necessarie analisi dopo i sospetti di coronavirus: è quanto scrive LyonMag. Con lui, aggiunge la stampa francese, sarebbe stato ricoverato anche un passeggero, anch’egli affetto da sintomi di influenza, anche se meno marcati rispetto a quelli dell’autista.
L’EUROPA – La Commissione Ue stanzia 230 milioni di euro per aiutare la lotta globale contro la diffusione del coronavirus, che andranno a supportare misure di preparazione dei Paesi, anche extra Ue, finanziare la ricerca e permettere l’acquisto di materiale per favorire la prevenzione: lo hanno annunciato i commissari europei alla salute e alla gestione delle crisi, Stella Kyriakides e Janez Lenarcic. E domani sarà mandata in Italia, “in accordo con le autorità italiane”, una missione congiunta dell’Ecdc e dell’Oms. Negli ultimi giorni è stata “in regolare contatto” con il ministro della Salute Speranza. L’Italia ha preso “tutte le misure necessarie” per tracciare la diffusione del virus e prevenire ulteriori contagi, ha detto. “Voglio lodare la risposta rapida e professionale delle autorità italiane” nel contrastare la diffusione del coronavirus, “abbiamo una eccellente collaborazione con loro nel campo della protezione civile e sono sicuro che l’Italia abbia il personale competente e le strutture efficienti per rispondere in maniera ben coordinata” alla situazione, ha spiegato il commissario Ue Lenarčič.
RIUNIONE ALLA PROTEZIONE CIVILE – Il premier Giuseppe Conte nella sede del Dipartimento della Protezione Civile con i ministri degli Esteri Luigi di Maio e della Salute Roberto Speranza. Per il presidente del Consiglio, i rapporti dell’Italia con il resto dell’Unione Europea ‘non cambiano’. La sorpresa di cui ha parlato Conte – ha spiegato il commissario per l’emergenza coronavirus Angelo Borrelli – “è nella rapidità con cui c’è stata l’impennata dei casi” ma la reazione del governo, del sistema sanitario e di quello della protezione civile “è stata immediata e tempestiva”. “Noi italiani – ha aggiunto – passiamo come un paese di indisciplinati, ma siamo molto ordinati quando c’è da rispettare delle precauzioni che riguardano la salute di tutti”.
Fonte: ANSA

La situazione all’estero

Una donna americana di 83 anni era l’unico passeggero della nave da crociera MS Westerdam a risultare positiva al nuovo coronavirus.

È stata ritestata e ora è risultata negativa, secondo una dichiarazione del portavoce dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), Erin Burns.

La Corea del Sud ha registrato 60 ulteriori casi di nuovo coronavirus durante la notte, portando il totale del paese a 893 casi, secondo quanto riferito dai Centri sudcoreani per il controllo e la prevenzione delle malattie (KCDC).

 Ecco una ripartizione dei nuovi casi:

  • Seoul: 2
  • Pusan: 3
  • Daegu: 16 anni
  • Provincia di Gyeonggi: 5
  • Provincia del nord di Gyeongsang: 33
  • Provincia del Gyeongsang meridionale: 1

Più della metà dei casi totali del paese sono associati a un ramo di un gruppo religioso nella città meridionale di Daegu.

I cacciatori di virus

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Quando si scatena un’epidemia tra gli attori che scendono in campo per contrastarne la diffusione e fornire le “armi” per arginarla ci sono dei veri e propri “investigatori”. Non si tratta di commissari o ispettori come nel caso delle indagini criminali, le loro qualifiche sono quelle dei virologi, dei microbiologi, degli epidemiologi. La loro indagine non è meno complicata, dura ed anche potenzialmente rischiosa della caccia ad un serial killer. Dai laboratori di massima sicurezza alla ricerca sul campo, questi uomini e donne sono la “prima linea” della sicurezza sanitaria dei cittadini.
Per entrare un po’ nel loro affascinante e duro lavoro proveremo a descriverne l’azione ed i protagonisti di alcuni cacciatori di virus durante l’epidemia di Hendra che sconvolse l’Australia tra il 1994 ed il 1996. Il virus si manifestò per la prima volta nell’allevamento di cavalli di Vic Rail, nei pressi di Hendra, una cittadina a sud di Brisbane. Oltre a fare una strage di cavalli, infettò tre persone, uccidendone due, tra cui lo stesso Rail.
Il virus fu alla fine isolato e si scoprì che si trattata di un agente patogeno nuovo che attaccava i cavalli ma che era stato capace di fare il salto di specie aggredendo anche gli uomini. Isolare un virus significa trovare un campione dell’agente patogeno in un campione ed essere in grado di moltiplicarlo in coltura.
Individuato Hendra, al virus era stato affibbiato il nome della cittadina nei pressi del quale si era manifestato per la prima volta, occorreva individuare l’ospite serbatoio (o reservoir) dal quale l’infezione si era trasmessa ai cavalli. Scovare un virus in campo aperto è una faccenda tutt’altro che semplice e sicuramente più rischiosa che operare in laboratori attrezzati e con rigidi protocolli di sicurezza.
Può essere necessario intrufolarsi in boschi, paludi, edifici abbandonati, cave, grotte, fogne. Quando si ha a che fare con una zoonosi, ovvero una malattia infettiva originata dagli animali, che sono la grande maggioranza delle epidemie conosciute ad oggi, può rivelarsi necessario anche catturare animali selvatici per esaminarli. Insomma i rischi non mancano.
Il “cacciatore di virus” che si occuperà di Hendra è un giovane allampanato, all’epoca trentacinquenne, Hume Field. Field si era laureato nel 1976 in veterinaria ed aveva passato gran parte di quegli anni lavorando come sostituto di veterinari affermati e facendosi una buona esperienza con i cavalli. Agli inizi degli anni Novanta lo troviamo all’Università del Queensland con un dottorato in ecologia. Hume Field ha scelto di perseguire la sua passione per gli animali selvatici.
Quando scoppiarono i primi casi di Hendra,  Field girovagava per l’Australia in cerca di gatti selvatici per applicargli un radio collare. Uno dei suoi relatori per il dottorato lo chiamò e gli chiese se era interessato a cambiare argomento per il suo progetto di ricerca,  al Ministero competente si cercava qualcuno che effettuasse un’indagine sul campo per comprendere i risvolti ecologici della nuova malattia. Field accettò.
Iniziò dal “paziente zero”, la cavalla Drama Series, dell’allevamento del defunto Vic Rail, primo equino a morire a causa di Hendra. Field sapeva che era stata colpita da un paramyxovirus e che nella zona recentemente era stato individuato un nuovo paramyxovirus in un roditore. Iniziò così ad allestire delle trappole per catturare ratti, opossum, ma anche serpenti ed uccelli. Da ogni preda prelevava un campione di sangue che inviava ai laboratori specializzati per riscontrare la presenza di anticorpi specifici per il virus Hendra.
Gli anticorpi sono molecole prodotte dall’organismo di un essere vivente per contrastare la presenza di materiale biologico estraneo. Gli anticorpi attaccano i virus e nella migliore delle situazioni lo distruggono e rimangono presenti nell’organismo anche dopo aver debellato tutti il materiale virale.
Trovare questi anticorpi è quindi un inequivocabile segnale di un’infezione in corso o passata. Nessuno dei campioni inviati risultò positivo. Field ed i suoi collaboratori erano in un cul de sac. A dare un nuovo impulso alla loro indagine fu un drammatico “rigurgito” del virus Hendra.
Un anno dopo, nell’ottobre del 1995 un giovane allevatore Mike Preston , che viveva a circa 1000 chilometri dal primo focolaio di Hendra, viene ricoverato in ospedale. Un anno prima era stato ricoverato per una sospetta grave forma di meningite da cui sembrava completamente guarito.
Preston entrò in coma e morì dopo venticinque giorni di agonia. I campioni di sangue prelevati durante la degenza confermarono la presenza di anticorpi del virus Hendra. Furono confrontati con i prelievi effettuati un anno prima, durante il primo ricovero, ed anche in questo caso Preston risultava già infetto dall’agente patogeno.
Il poveretto che aveva aiutato la moglie Margaret, veterinaria, a curare alcuni cavalli malati a sua insaputa proprio da Hendra, si era portato addosso il virus per un anno intero.
A questo punto della nostra storia interviene l’infettivologo John McCormack che preleva il sangue di ben cinquemila cavalli del Queensland e di 298 persone che avevano avuto un qualche tipo di contatto con il caso Hendra.
Nessuno dei campioni, né umani né equini, rivelò la presenza degli anticorpi di Hendra. Intanto il nostro Hume Field si era recato nel punto del secondo focolaio ed aveva ricominciato ad installare le sue trappole.
Ancora una volta non trovò niente. Hume si rivolse anche un gruppo di animalisti della regione che si occupava di animali feriti o debilitati nella speranza di trovare una traccia dello sfuggente virus Hendra. Prelevò il sangue di questi “badanti” come si facevano chiamare e degli animali in difficoltà che ospitavano, ma anche in questo caso il risultato fu un fiasco assoluto.
Nel gennaio del 1996 mentre l’indagine era ad un punto morto, Hume partecipò ad un incontro tra scienziati, esperti e funzionari governativi da cui emerse che per l’ampiezza (ed anche altri fattori) della diffusione di Hendra, l’ospite serbatoio doveva essere un animale in grado di spostarsi per lunghe distanze ed abbastanza velocemente. I candidati erano fondamentalmente due: gli uccelli o i pipistrelli.
Field puntò decisamente sui pipistrelli, primo perché non era noto alcun caso di paramyxovirus che avesse fatto un salto di specie aviaria all’uomo, secondo perché i pipistrelli erano mammiferi come l’uomo.
I più grandi e diffusi pipistrelli del Quensland sono le cosiddette volpi volanti suddivise in quattro specie differenti. Sono pipistrelloni giganti che si nutrono di frutta, con un’apertura alare di oltre un metro e dal peso di 1,6 kg circa.
Catturarli non sarebbe stato semplice per questo Field individuò alcuni animalisti che stavano curando delle volpi volanti ferite. E questa volta l’analisi del sangue confermò la presenza di Hendra! Field però sapeva che non bastava un riscontro per essere sicuri che i pipistrelli fossero l’ospite serbatoio dell’agente patogeno. Con il tempo però le prove si ammassarono e non ci furono più dubbi. Dopo due anni e 1043 volpi volanti esaminate il tasso di sieroprevalenza aveva raggiunto il 47%. In altri termini quasi la metà della popolazione di pipistrelli del Queensland era positiva al virus Hendra.
Finalmente Field pubblicò la sua indagine che ebbe anche un grande ed a volte allarmistico eco nei mass media. Molti iniziarono a chiedere di essere sottoposti a test per individuare un’eventuale infezione di Hendra. E qui entra in scena un terzo protagonista dei cacciatori di virus: Linda Selvey, una giovane ricercatrice dell’Università del Queensland.
Linda riuscì a convincere 128 animalisti che si occupavano di pipistrelli a sottoporsi ad un prelievo. Molti di loro avevano una storia pluriennale di promiscuità con le volpi volanti e non pochi erano stati graffiati e morsi da questi animali, alcuni sicuramente positivi ad Hendra. Il risultato fu sconcertante: nessuno di questi animalisti risultò positivo.
Il mistero fu scoperto qualche tempo dopo. Evidentemente la carica virale dell’ospite serbatoio, il pipistrello, non era sufficiente per infettare direttamente l’uomo. Era necessario un ospite di amplificazione, ovvero un altro animale che incubato il virus né moltiplicasse la carica virale al punto da riuscire ad infettare con un doppio salto di specie anche l’uomo. Questa funzione  era svolta dal  cavallo. Hendra  per  colpire  l’uomo era quindi passato  dai  pipistrelli ai cavalli che ne  avevano incrementato l’effetto  patogeno.  
L’indagine era durata oltre due anni ed un contributo prezioso lo avevano dato due giovani cacciatori di virus: Hume Field e Linda Selvey.

L’antico DNA sardo rivela 6.000 anni di storia genetica

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Uno studio sulla storia genetica della popolazione antica della Sardegna pubblicato su Nature Communications dimostra come gli antichi abitanti dell’isola fossero una popolazione stabile almeno fino alla fine dell’età del bronzo nonostante l’Europa viveva un intenso flusso migratorio. Solo in seguito, la discendenza genetica dei sardi si diversificò mischiandosi con fenici, punici e più tardi con i romani che transitarono nell’isola a partire dall’età del ferro.

Lo studio, mai così approfondito, ha dimostrato questo mutamento analizzando il genoma di 70 individui provenienti da oltre 20 siti archeologici presenti in Sardegna che comprendono un periodo di 6000 anni a partire dal Neolitico medio fino all’età medioevale.

Cosi si è espresso l’autore senior dello studio John Novembre, Ph.D., che è un importante biologo computazionale impegnato presso l’Università di Chicago sullo studio della diversità genetica nelle popolazioni: “I genetisti studiano il popolo Sardo da molto tempo, ma non hanno scoperto molto del loro passato“.

Ci sono indizi secondo cui la Sardegna ha una storia genetica particolarmente interessante e la comprensione di questa storia potrebbe avere rilevanza per questioni più ampie sulla popolazione del Mediterraneo“.

Un team interdisciplinare

I sardi sono da tempo sotto la lente di ingrandimento dei genetisti che studiano la salute e longevità umana perché nell’isola è presente un tasso molto elevato di centenari e ultracentenari e i sardi inoltre presentano tassi più elevati della media di malattie autoimmuni e disturbi come beta-talassemia e carenza di G6PD.

Molti paesi in Sardegna presentano alti livelli di parentela, il che rende più semplice scoprire la genetica dei tratti. In tutta l’isola, le frequenze delle varianti genetiche spesso differiscono dall’Europa continentale. Questi fattori hanno reso la Sardegna un sito utile per genetisti come l’autore senior Francesco Cucca dell’Università di Sassari per scoprire varianti genetiche che potrebbero essere collegate alle malattie e all’invecchiamento.

I sardi contemporanei rappresentano un serbatoio per alcune varianti che sono attualmente molto rare nell’Europa continentale“, ha affermato Cucca. “Queste varianti genetiche sono strumenti che possiamo usare per sezionare la funzione dei geni e i meccanismi che sono alla base delle malattie genetiche

La Sardegna presenta inoltre un patrimonio archeologico, linguistico e culturale unico nel suo genere e partecipa alle reti commerciali del Mediterraneo sin dal Neolitico. Tuttavia, non sappiamo quanto siano cambiate le origini genetiche della popolazione all’epoca.

Per avere un nuovo punto di vista sulla storia genetica della Sardegna, i collaboratori Cucca e Novembre hanno formato un gruppo di studio interdisciplinare con genetisti, archeologi ed esperti di DNA antico.

Un team guidato da Johannes Krause del Max Planck Institute for the Science of Human History e l’Università di Tubinga in Germania ha contribuito a coordinare il campionamento effettuando il sequenziamento e l’autenticazione del DNA. I team guidati da Novembre e Cucca hanno quindi analizzato i dati e condiviso i risultati con l’intero gruppo per un’interpretazione interdisciplinare.

Siamo stati felici di essere in grado di generare un set di dati lungo seimila anni perché il recupero del DNA antico dai resti umani provenienti dalla Sardegna è stato molto impegnativo“, ha dichiarato Cosimo Posth, archeologo del Max Planck Institute e co-primo autore dello studio.

Periodi di stabilità e cambiamento

Il campionamento del DNA ottenuto da antichi resti ha permesso agli studiosi di osservare un’istantanea molto precisa del passato del popolo sardo che abitava un determinato luogo in una determinata epoca, conoscenza che non si sarebbe potuta ottenere studiando il DNA moderno dei sardi che necessita di ipotesi e modelli matematici per dedurne il passato. Confrontato il DNA di 70 individui antichi provenienti da siti archeologici Sardi con il DNA di altri individui antichi e moderni, il team ha scoperto due modelli principali.

Il team ha osservato che gli individui sardi nel periodo neolitico medio (4100-3500 a.C.) erano strettamente imparentati con gli abitanti dell’Europa continentale della stessa epoca. Questa discendenza genetica è rimasta relativamente stabile sull’isola per almeno la fine del periodo “nuragico” (~ 900 a.C.). Questo modello differisce dalle altre regioni dell’Europa continentale che hanno sperimentato nuovi antenati che entravano dalle migrazioni di gruppi che si muovevano attraverso il continente nell’età del bronzo.

Lo studio dimostra che lo sviluppo delle torri e della cultura nuragica che distinguono l’isola non coincidono con l’arrivo di nuovi individui geneticamente dissimili.

Abbiamo trovato una straordinaria stabilità negli antenati dal Neolitico medio fino alla fine del periodo nuragico in Sardegna“, ha dichiarato Joe Marcus, dottorando, studente presso il Dipartimento di Genetica umana dell’università di Chicago e co-primo autore del documento.

Il team ha trovato inoltre tracce dell’arrivo di diverse popolazioni attraverso il Mediterraneo, i fenici provenienti dal Levante (il Libano dei giorni nostri) e i Punici, la cui cultura era centrata a Cartagine (la Tunisia moderna). Quindi, nuovi antenati continuarono ad apparire durante il periodo romano e in seguito nel periodo medievale, poiché la Sardegna è stata storicamente influenzata dalla migrazione di persone provenienti dall’Italia moderna e dalla Spagna.

Abbiamo osservato chiari segnali di periodi dinamici di contatto che collegano l’isola al resto del Mediterraneo, che compaiono prima in individui provenienti da due siti fenici e punici già nel 500 a.C., e poi in individui di epoca romana e medievale“, ha detto Harald Ringbauer, Ph.D., ricercatore post-dottorato coinvolto nell’analisi dei dati computazionali presso UChicago e co-primo autore del documento.

I risultati del gruppo spiegano le somiglianze con il DNA di individui dell’Europa continentale del Neolitico e dell’età del rame, come “Ötzi the Iceman“, un uomo quasi perfettamente conservato, risalente a 5.300 anni fa, scoperto nel ghiaccio alpino nel nord Italia nel 1991. In particolare, tra gli europei moderni, il DNA di Ötzi è molto simile ai moderni sardi.

Il nuovo studio sostiene la teoria secondo cui questa somiglianza rimane perché la Sardegna ha avuto nel tempo un minor turnover di origini genetiche rispetto all’Europa continentale, che ha subito migrazioni su larga scala nell’età del bronzo.

Approfondimenti del passato, implicazioni per il presente

Oltre a fornire nuove informazioni sui misteri del passato, lo studio del DNA antico ha anche implicazioni per il benessere degli uomini odierni. Questo modello storico della popolazione sarda seguito da un relativo isolamento e quindi dall’arrivo di nuove fonti di diversità genetica, fornisce un nuovo quadro per comprendere come le varianti genetiche con implicazioni per la salute sono diventate più frequenti sull’isola.

Per studi futuri, vogliamo esaminare con maggiore precisione le mutazioni che riteniamo siano coinvolte nella malattia per vedere in quale periodo sono cambiate in frequenza e velocità“, ha detto Novembre. “Ciò ci aiuterà a comprendere i processi che agiscono su queste malattie e, a sua volta, acquisire una visione più ricca che potrebbe fornire spunti per la salute umana“.

Lo studio, “Genetic history from the Middle Neolithic to present on the Mediterranean island of Sardinia, Nature Communications (2020). DOI: 10.1038/s41467-020-14523-6“, è stato pubblicato il 24 febbraio 2020. Uno studio indipendente pubblicato su Nature Ecology and Evolution il 24 febbraio 2020 giunge a conclusioni simili usando campioni diversi.

Fonte: Phys.org

Trovato un fossile di calamaro con un dente di pterosauro incastrato nel mantello

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Un dente incastonato in un fossile di calamaro racconta la storia di una antica battaglia con un rettile volante.
Un fossile di calamaro con un dente di pterosauro incastonato in esso, offre ai paleontologi straordinarie prove di una battaglia risalente a circa 150 milioni di anni fa. Mentre molti fossili di pterosauri contenenti squame e ossa nello stomaco hanno rivelato che alcuni di questi rettili volanti includevano i pesci nella loro dieta, la nuova scoperta, avvenuta in Germania, è la prima prova che gli pterosauri cacciavano i calamari.
Gli pterosauri (il cui nome significa “lucertole alate”) sono un ordine estinto di rettili volanti, vissuti durante l’intero Mesozoico, dal Triassico superiore alla fine del Cretaceo, circa tra 230 e 65 milioni di anni fa (NoricoMaastrichtiano).
Gli pterosauri sono i primi vertebrati noti per essersi evoluti ed adattati al volo battente. Le ali di questi rettili sono formate da una membrana di pelle, muscoli e altri tessuti che si estendeva dalle caviglie al quarto dito della mano, che era notevolmente allungato, irrigidito e resistente.
Il fossile è stato rinvenuto nel 2012 nel calcare di Solnhofen, vicino a Eichstätt in Baviera, dove sono stati trovati molti fossili di pterosauri, piccoli dinosauri e il primo uccello noto, l’Archeopteryx, risalenti al periodo giurassico. L’habitat della regione all’epoca era qualcosa di simile alle Bahamas oggi, con isole basse che popolavano mari tropicali poco profondi.
I paleontologi riportano su Scientific Reports che il dente incorporato corrisponde esattamente alla giusta dimensione e alla giusta forma di uno pterosauro Rhamphorhynchus. Gli studiosi sostengono che il dente deve essere stato lasciato da uno pterosauro che tentò di catturare i calamari lunghi 30 centimetri, appartenenti al genere Plesioteuthis ormai estinto, che popolavano questo mare, ma senza successo, forse perché i calamari erano troppo grandi o si trovavano troppo in profondità nelle acque dell’oceano per essere catturati dal predatore.
In questo caso un calamaro plesioteuta si è battuto col predatore riuscendo a sfuggirgli e rompendogli almeno un dente, che è rimasto incastrato all’interno nel mantello“, spiega Jordan Bestwick, un paleontologo dell’Università di Leicester in Inghilterra. “Questo fossile è importante per aiutarci a capire la gamma dietetica del Rhamphorhynchus e ci racconta, inoltre, il suo comportamento legato alla caccia“.
Il fossile stesso è unico, secondo la studiosa di pterosauri Taíssa Rodrigues dell’Università Federale di Espírito Santo a Vitorio, in Brasile, la quale però non è stata coinvolta nello studio. “È molto raro trovare interazioni predatore-preda che includono pterosauri“, afferma. “Nei pochi casi che abbiamo, gli pterosauri erano prede di grandi pesci. Quindi è interessante poter osservare il contrario”.
Il paleontologo Michael Habib, dell’Università della California del Sud, sospetta che i calamari fossero davvero troppo grandi per essere trasportati dallo pterosauro fuori dall’acqua. “Lo pterosauro è stato fortunato in quanto ha perso solo un dente“, afferma Habib. “Un calamaro di quelle dimensioni avrebbe potuto probabilmente trascinarlo sott’acqua e ucciderlo“.
Fonte: Science News

La crisi degli antibiotici

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Mentre sul nostro paese grava la crisi epidemica del COVID19, un’altra minaccia, se possibile molto più pericolosa è già in atto da tempo: la resistenza dei batteri agli antibiotici.
Chiariamo subito che non sono gli esseri umani a sviluppare resistenza nei confronti degli antibiotici, ma gli stessi batteri trasportati da altri esseri umani o da animali a svilupparla.
I batteri sono  microrganismi unicellulariprocarioti le cui dimensioni sono solitamente dell’ordine di pochi micrometri, ma possono variare da circa 0,2 µm dei micoplasmi fino a 30 µm di alcune spirochete. Questi organismi unicellulari hanno un DNA semplice che ne favorisce la riproduzione.
La loro resistenza ai farmaci ha una genesi relativamente semplice. Quando sono messi sotto pressione da un uso massiccio ed indiscriminato di antibiotici si attiva una selezione naturale per mutazione o trasferimento genetico ed i batteri che hanno acquisito maggiore resistenza occupano l’ambiente lasciato libero dalla terapia.
A questo punto è necessario somministrare al  paziente per debellare questi coriacei e dannosi ospiti nuovi antibiotici a cui sono sensibili dopo aver fatto un antibiogramma per individuarli. Purtroppo in questo processo indagine-antibiotico adatto si arriva, progressivamente,  ad uno stadio di batteri resistenti a tutti i farmaci a disposizione, si parla allora di organismi pan resistenti.
Si tratta quindi di un fenomeno strettamente correlato all’abuso di questi farmaci sia in maniera diretta, ovvero assunzione immotivata e prematura, sia in maniera indiretta, l’uso massiccio di antibiotici nella filiera dell’industria agroalimentare.
Per questo dal 2006 in tutta l’Unione Europea vige il divieto di somministrare agli animali antibiotici come “fattore di crescita”. La resistenza totale agli antibiotici è diventata una vera e propria emergenza sanitaria, ogni anno nell’Unione Europea muoiono 33.000 persone per infezioni dovute a batteri resistenti ad ogni tipo di farmaco. Il 75% di queste infezioni letali ha origine negli ospedali.
Un recente studio del Centro Europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie ha deciso di misurare gli effetti della resistenza agli antibiotici sulla salute e l’economia dei paesi Ue/SEE.
Lo studio oltre a valutare il numero dei casi e dei decessi ha monitorato anche un indicatore composito Il Disability-adjusted life year o DALY (in italiano: attesa di vita corretta per disabilità) una misura della gravità globale di una malattia, espressa come il numero di anni persi a causa della malattia, per disabilità o per morte prematura.
Il complesso modello statistico messo a punto dai ricercatori ha fornito risultati inquietanti. Nel 2015 sono stati stimati 671.689 casi di infezione resistenti agli antibiotici di cui ben 201.584 in Italia, un terzo dei casi di tutta l’Unione Europea!
I decessi associati sono stati 33.110 di cui 10.762 soltanto nel nostro paese. Il DALYS nella stessa area (Ue+paesi SEE) è stato pari a 170 su 100.000 abitanti praticamente quanto quello generato dalla somma dei casi di tubercolosi, influenza ed HIV/AIDS messi insieme.
In Italia questo dato ha raggiunto la cifra vertiginosa di 448 per 100.000 abitanti, il più alto di tutta l’Europa insieme a quello greco. Per capire la gravità della situazione del nostro paese il 43% dei decessi è associato a batteri resistenti ai cosiddetti antibiotici da “ultima linea”, oltre il quale sono disponibili soltanto combinazioni di antibiotici spesso con elevata tossicità e di relativa efficacia.
La resistenza agli antibiotici oltre al pesante tributo di vittime e di costi sociali correlati pone  una pesante ipoteca sulla sostenibilità dei servizi sanitari nazionali. L’OCSE ha calcolato che ogni paziente ospedalizzato che sviluppa un’infezione resistente agli antibiotici costa tra i 9.0000 ed i 33.000 euro aggiuntivi rispetto alla stessa situazione di un paziente ospedalizzato che ha invece sviluppato un ìnfezione che risponde ai principi attivi degli antibiotici.
Sempre secondo calcoli OCSE le infezioni resistenti nel Nord America, in Europa ed in Australia sono responsabili ogni anno di circa 700 milioni di giornate di ospedalizzazione e di un costo complessivo che supera i 3 miliardi di euro. La situazione nel nostro paese è ancora peggiore,  la spesa per fronteggiare questo fenomeno si attesta intorno ai 5 euro per abitante più del doppio della media europea.
L’andamento nel corso degli ultimi dieci anni di casi di infezione resistenti agli antibiotici in Italia sta assumendo livelli drammatici: siamo passati da un tasso del 17% (17 infezioni resistenti su 100) del 2005 ad un tasso del 30% del 2015. Questi dati dimostrano che non c’è più tempo da perdere per contrastare questa ondata di superbatteri che minaccia seriamente la salute pubblica dell’Europa e dell’Italia in particolare. Una strategia efficace di contrasto a questo fenomeno così pericoloso deve basarsi su almeno tre obiettivi prioritari secondo  lo studio preso  in esame.
Il primo: un deciso miglioramento delle condizioni igieniche delle strutture sanitarie, ospedali in primis.
Due: fine della prassi di una prescrizione facile e spesso immotivata degli antibiotici sul territorio ma anche negli ospedali.
Tre: avvio di campagne informative per un uso consapevole della popolazione di questa preziosa risorsa farmacologica.

Su Giove c’è più acqua di quanto si pensasse

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Giove sembra avere più acqua di quanto ci si aspettasse.
I dati recentemente rilasciati dalla sonda Juno della NASA mostrano che l’acqua potrebbe costituire circa lo 0,25% delle molecole nell’atmosfera sull’equatore di Giove. Anche se non sembra molta, il calcolo si basa su una prevalenza dei componenti dell’acqua, dell’idrogeno e dell’ossigeno, tre volte di più rispetto al Sole. Le nuove misurazioni ottenute da Giuno sono molto più elevate rispetto a quanto suggerivano le missioni precedenti.

Il risultato a sorpresa ha portato gli scienziati ad approfondire nuovamente i risultati della missione Galileo della NASA svoltasi negli anni ’90, che, nel ’95, fornì risultati in netto contrasto con gli attuali nella fase finale della sua missione, durante il tuffo deliberato che i tecnici della NASA gli fecero fare attraverso l’atmosfera di Giove.
L’autodistruzione della sonda fu deciso perché, se abbandonata a sé stessa, una volta esaurito il carburante ci sarebbe stato il rischio che avrebbe finito per schiantarsi contro la Luna ghiacciata Europa che, potenzialmente, potrebbe ospitare la vita, portandoci eentuali batteri terrestri che avrebbero potuto sopravvivere al lungo viaggio nello spazio.

La riconciliazione dei risultati di Galileo e Juno è fondamentale per gli scienziati per capire meglio come il nostro sistema solare si è unito, ha dichiarato la NASA in una nota . Dato che Giove fu probabilmente il primo pianeta a formarsi, avrebbe potuto aspirare gran parte del gas e della polvere che la formazione del sole si era lasciata alle spalle. Quanta acqua di Giove assorbita, quindi, dovrebbe aiutare gli scienziati a identificare le teorie più plausibili per spiegarne la formazione.
E comprendere la nascita di Giove aiuterebbe a sua volta gli scienziati a capire come si muovono le correnti del vento del pianeta e di cosa sono fatte le sue parti interne. Gli scienziati dovrebbero essere in grado di generalizzare i risultati di Giove a determinati tipi di grandi esopianeti per apprendere come si sono formati gli altri sistemi solari .
I risultati di Galileo furono un enigma anche negli anni ’90. La navicella spaziale ha inviato dati che mostravano 10 volte meno acqua di quanto gli scienziati avessero previsto e, cosa più strana, la quantità di acqua sembrava aumentare quanto più profondamente Galileo fosse entrato nell’atmosfera di Giove, secondo la dichiarazione della NASA. Gli scienziati si aspettavano che prima che smettessero di trasmettere dati, a una profondità di circa 120 chilometri (120 miglia), l’atmosfera circostante avrebbe dovuto essere ben miscelata con una composizione immutabile.

Un telescopio a infrarossi è stato in grado di misurare le concentrazioni d’acqua su Giove contemporaneamente al tuffo di Galileo e ha mostrato che Galileo potrebbe aver accidentalmente colpito un punto asciutto, il che significa che l’acqua non è ben miscelata in profondità nell’atmosfera di Giove.

 
Anche i primi otto flyby di Juno hanno mostrato una mancanza di miscelazione atmosferica. Il radiometro della navicella spaziale ha ottenuto dati persino più profondi delle misurazioni di Galileo, a 150 km di distanza, e ha trovato più acqua sull’equatore.
Gli scienziati stanno ora aspettando di confrontare le misurazioni equatoriali effettuate da Juno con le osservazioni che farà sulla parte settentrionale del pianeta; L’orbita di 53 giorni di Giunone si sta gradualmente spostando verso nord per studiare quell’emisfero. Il prossimo flyby della navicella spaziale sarà il 10 aprile.
Proprio quando pensiamo di aver capito le cose, Giove ci ricorda quanto dobbiamo ancora imparare“, ha dichiarato Scott Bolton, investigatore principale di Juno presso il Southwest Research Institute. “La scoperta di Juno ci dice che l’atmosfera di Giove non è ben miscelata anche al di sotto delle nuvole ed è un enigma che stiamo ancora cercando di capire. Nessuno avrebbe immaginato che la distribuzione dell’acqua potesse essere così variabile in tutto il pianeta“.
Lo studio è descritto in un articolo pubblicato il 10 febbraio sulla rivista Nature Astronomy.

Virus e magia: la vita spericolata del dottor Katterfelto

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La consapevolezza che virus e batteri sono microorganismi in grado di farci ammalare e talvolta morire è relativamente recente. Ancora per buona parte del XIX secolo si pensava, ad esempio, che la malaria fosse portata per l’appunto da aria viziata, malsana e che l’influenza fosse causata da influssi negativi dei pianeti.
Ci vorranno gli studi di Pasteur per sgombrare il campo da queste credenze e dare a virus e batteri ciò che è dei virus e dei batteri.
Nell’epoca dei Lumi, però, tutto questo era ancora di là da venire e non raramente strani personaggi a metà strada tra il ciarlatano, l’illusionista e lo scienziato in erba si aggiravano per città e paesi propinando ad un pubblico non necessariamente incolto uno strano impasto di trucchi e dimostrazioni scientifiche.
Il personaggio forse più famoso e controverso è stato probabilmente il dottor Katterfelto.
Nato in Prussia nel 1740, si trasferì con la famiglia in Inghilterra nel 1776 e pur vivendoci per moltissimi anni non imparò mai bene la lingua, parlando sempre un inglese maccaronico con un fortissimo accento prussiano.
Il suo spettacolo itinerante proponeva trucchi magici, dimostrazioni scientifiche e dibattiti sulla salute. Le sue dimostrazioni, che comprendevano elettricità, chimica ed idraulica, lasciavano a bocca aperta il pubblico, soprattutto la parte meno acculturata.
Katterfelto lasciava intendere che questi “prodigi” erano merito dei poteri che gli conferiva la sua inseparabile gatta nera ed il nostro disinvolto mago non esitava a vendere gattini neri, spacciandoli per cuccioli della potente gatta, facendo intendere che essi trasmettevano ai possessori le stesse mirabolanti capacità.
L’animaletto però che fece la fortuna del dottor Katterfelto era molto più piccolo di una gatta: si trattava di minuscoli microorganismi invisibili ad occhio nudo.
Katterfelto infatti era entrato in possesso di un microscopio, strumento messo a punto un centinaio di anni prima da un molatore olandese, Antoni van Leeuwenhoek, che per primo, senza riconoscerli, aveva notato i batteri presenti in una goccia d’acqua.
La gente faceva la fila per osservare nel “microscopio solare” questi “animalucci” presenti nell’acqua o in una goccia di sangue.
Fu però nella grande epidemia di influenza di Londra del 1782 che Katterfelto, oltre ad assurgere al massimo della notorietà, collegò primo fra tutti la malattia con i vorticanti “animalucci”.
Dopo aver debitamente terrorizzato il suo pubblico sulla pericolosità di questi agenti patogeni, anche se Katterfelto non li chiamava ovviamente cosi’, il Mago vendeva un rimedio per l’influenza che ottenne l’unico risultato di scatenargli contro l’intera classe medica londinese, stufa della popolarità crescente del ciarlatano venuto dalla Prussia.
Stretto tra l’inefficacia del suo rimedio, l’ira dei medici ed una corrosiva satira che si tradusse in una commedia scritta apposta sul suo personaggio dal titolo emblematico “Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere”, Katterfelto iniziò a girare per l’Inghilterra rurale.
Un giorno nel tentativo di lanciare un pallone aerostatico da poco inventato dai fratelli Montgolfier incendiò un fienile di un agricoltore. Lo spiantato Katterfelto non aveva soldi per ripagare il contadino e per questo fu condannato ed incarcerato.
Scarcerato si trasferì in Francia dove, girando di paese in paese, mise a punto un nuovo trucco di derivazione scientifica.
Katterfelto si era informato accuratamente sul magnetismo, per questo nei suoi spettacoli infilava un elmetto metallico in testa alla figlia che assicurava con delle cinghie sotto le ascelle. A questo punto usando una grande calamita sollevava la figlia fino al soffitto.
Il buon Katterfelto non riusci’ comunque a replicare l’enorme successo avuto grazie agli “invisibili animaletti” raccolti in una goccia d’acqua o di sangue. Passerà il resto della sua vita a girare di paese in paese, oberato dai debiti, alla vana ricerca della fama (e dei lauti guadagni) perduti.
A lui però va riconosciuto il fatto che sia stato il primo ad associare le malattie all’azione dei batteri e dei virus, quando si dice che a volte scienza e magia corrono su una sottile linea di confine.

Come riferire in modo responsabile sull’epidemia COVID-19

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La profusione di informazioni che continua a emergere sulla crescente diffusione di COVID-19 rappresenta una sfida per i giornalisti e gli scienziati che si occupano di fare informazione o divulgazione. La buona informazione e la scienza devono distinguere le fonti legittime dalle infinite voci, mezze verità, promozioni motivate dal punto di vista finanziario di rimedi come l’olio di serpente e propaganda motivata politicamente.
Tenendo traccia dell’epidemia, ci siamo resi conto di quanto sia dura questa vigilanza anche per gli scienziati e i giornalisti più energici e motivati, dato il flusso di informazioni disponibili dalle fonti tradizionali (autorità sanitarie pubbliche, riviste) e nuove (prestampe, blog).
Per aiutare in questo sforzo, riteniamo che i rapporti debbano distinguere tra almeno tre livelli di informazione: (A) ciò che sappiamo essere vero; (B) ciò che pensiamo sia vero: valutazioni basate sui fatti che dipendono anche da inferenza, estrapolazione o interpretazione corretta di fatti che riflettono l’opinione di un individuo su ciò che è più probabile che accada; e ( C) opinioni e speculazioni.
Nella categoria A ci sono i fatti, come ad esempio che l’infezione è causata da un beta-coronavirus; che le sequenze iniziali del genoma virale del virus erano molto simili; e che la trasmissione da uomo a uomo avviene frequentemente, insieme al numero di casi segnalati in varie località e simili. Molteplici linee di prova, compresi studi scientifici sottoposti a revisione paritaria e relazioni delle autorità sanitarie pubbliche, supportano questi come fatti.
Nella categoria B c’è la stragrande maggioranza di ciò che vorremmo sapere sull’epidemia, ma non perché non esistono dati sistematici sul numero reale di casi in nessuna località; l’entità della trasmissione comunitaria al di fuori della Cina o la frazione di casi che si stanno diffondendo inosservati; la vera proporzione di infezioni lievi, asintomatiche o subcliniche; e il grado in cui i casi presintomatici possono essere trasmessi.
Su questi argomenti, gli esperti possono fornire opinioni informate attraverso la loro comprensione di altre malattie infettive; dedurre le conseguenze dei dati disponibili (ad esempio, possono dedurre casi importati non segnalati dalle differenze nelle importazioni segnalate in paesi con volumi di viaggio simili da aree infette); o forse ottenere approfondimenti dalle informazioni di cui hanno sentito parlare e di cui si fidano ma che non sono ancora state rese pubbliche.
Questa categoria comprende le proiezioni della probabile traiettoria a lungo termine dell’epidemia. Queste opinioni traggono beneficio dal giudizio esperto degli scienziati che le sostengono e sono degne di essere riportate, ma dovrebbero essere distinte dai fatti concreti.
Nella categoria C ci sono molte altre questioni per le quali le prove attuali sono estremamente limitate, come l’effetto dell’estrema distanza sociale sul rallentamento dell’epidemia. Ci sono anche domande che non saranno mai veramente risolte dai dati, come quelle sulle motivazioni dei governi e delle autorità sanitarie. Non è che questi argomenti non contano. È solo che non sono accessibili alla scienza in questo momento e potrebbero non esserlo mai.
Nella migliore delle ipotesi, scienziati e giornalisti stanno provando a fare molte delle stesse cose, fornendo informazioni accurate e interpretandole, ma con un pubblico e un calendario diversi.
Oltre a ricordare i tre diversi tipi di informazioni che gli scienziati possono offrire, in che altro modo possono assicurarsi di svolgere bene questo lavoro? Pensiamo che diversi principi possano essere d’aiuto.
1. Cercare diverse fonti di informazione. Poiché nessuno sa tutto sullo stato dell’epidemia, diversi esperti conosceranno cose diverse e vedranno diversi buchi nel nostro ragionamento. Questo consiglio si applica agli scienziati, così come ai giornalisti: i migliori scienziati consulteranno i loro colleghi e chiederanno loro di trovare punti deboli nel lavoro degli scienziati prima di condividere il lavoro in modo più ampio, specialmente in un ambiente come questo, in cui rappresentatività e accuratezza dei dati sono necessariamente incerti.
2. Rallenta un po’. Andiamo tutti di corsa per fornire per primi la notizia. Qualcuno su Twitter ha recentemente sottolineato che i fatti su questa epidemia che sono durati alcuni giorni sono molto più affidabili degli ultimi “fatti” che sono appena emersi, che possono essere errati o non rappresentativi e quindi fuorvianti. Dobbiamo bilanciare questa cautela con la necessità di condividere prontamente il nostro lavoro. In effetti, le categorie di fatti, le convinzioni informate e le speculazioni di cui sopra sono fluide e, dato il ritmo frenetico delle informazioni sull’epidemia, una domanda a cui oggi si può rispondere solo alla convinzione informata può forse rispondere con un fatto domani.
3. Distinguere se qualcosa accade e se accade con che frequenza. Un buon esempio è la questione della trasmissione presintomatica. Se si verifica frequentemente, renderà meno efficaci le misure di controllo destinate ai malati (isolamento, trattamento e tracciabilità dei contatti). È molto probabile che la trasmissione presintomatica avvenga con una certa frequenza, ma attualmente le prove sono molto limitate. Sapere che succede a volte è di scarsa utilità; abbiamo disperatamente bisogno di prove su quanto spesso accade. Lo stesso vale per i viaggiatori infetti che sfuggono al rilevamento. Naturalmente, questo evento accadrà per molte ragioni. Ancora una volta, la domanda è: quanto spesso accade e se porta alla creazione di una trasmissione locale.
Emergenze come questa portano a pressioni estreme su scienziati e giornalisti che hanno bisogno di essere i primi a ricevere notizie. E ci sono incentivi perversi derivanti dall’economia dell’attenzione in cui viviamo ora – esacerbati dai social media – che possono fornire ricompense a breve termine per coloro che sono disposti ad accettare standard più bassi.
Un’informazione accurata dovrebbe essere consapevole di questo rischio, cercare di evitare di contribuire ad esso e correggere rapidamente le falsità quando diventano chiare. Abbiamo una responsabilità comune per proteggere la salute pubblica. Il virus non legge articoli di notizie e non si preoccupa di Twitter.
Fonte: Scientific American 

I misteri di Pine Gap

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Pine Gap, nata da un accordo tra l’Australia e il governo USA, viene ritenuta da ufomani e cospirazionisti il luogo più misterioso e segreto dell’Australia, sinonimo di attività UFO. La struttura è nata nel 1970 ma per alcuni studiosi del settore, in base a dichiarazioni di testimoni, è operativa fin dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Sebbene siano presenti delle antenne in superficie, gran parte della struttura militare pare sia sepolta nel sottosuolo. Pine Gap si trova più o meno al centro dell’Australia, a sud del MacDonnell Ranges e ad ovest di Alice Springs.
Secondo le tante voci circolanti, reperibili facilmente su molti siti internet e libri dedicati all’argomento, le terre desertiche dell’Australia centrale hanno da sempre ospitato fenomeni inspiegabili e bizzarri riconducibili a presunte attività aliene. Queste attività secondo i ricercatori sarebbero aumentate notevolmente con l’attivazione del sito militare di Pine Gap.
Il governo australiano ha sempre evitato di pubblicizzare la struttura che ha ricevuto una grande attenzione a partire dal 1989 grazie a uno strano avvistamento che coinvolse tre cacciatori di ritorno da una battuta di caccia nelle prime ore del 22 dicembre 1989 nei pressi della struttura militare di Pine Gap.
I tre videro una porta mimetizzata aprirsi davanti ai loro occhi rivelando luci e movimento. Dal portellone emerse un oggetto discoidale grigio metallizzato che venne lanciato nel più assoluto silenzio. Il rapporto sarebbe in seguito pervenuto a John Lear tramite un professore universitario di cui non si sa nulla, come non si sa nulla degli stessi testimoni.
Per molti ricercatori UFO questa storia dimostrerebbe che esistono basi umano-aliene sulla Terra o basi dove la tecnologia aliena viene “retroingegnerizzata”.
Esistono tuttavia avvistamenti precedenti come un caso risalente al 1980. All’epoca due agenti della polizia cercavano un bambino scomparso e si ritrovarono davanti a una porta mimetica che si aprì all’improvviso. I due segnalarono degli oggetti a forma di vasca che si diressero verso una collina per svanire all’interno di una specie di buco nero.
Cinque anni prima nel 1975, un piccolo aereo passeggeri privato stava volando vicino alla base e l’equipaggio segnalò un “grande oggetto bianco” che svani alla vista in un lampo. Poco dopo l’atterraggio fecero rapporto e gli fu detto di non parlare di ciò che avevano visto.
Nel 1973 ancora un incidente che coinvolse questa volta un cartografo che lavorava per il governo australiano. Il testimone si trovava nei pressi di Pine Gap, era tardi, era passata da poco la mezzanotte. Dal nulla, uno strano ma intenso “raggio verticale di luce blu” venne emesso dai confini della base.
Cedendo alla sua curiosità il cartografo si avvicinò con il suo veicolo. Rimase scioccato nel vedere un’astronave a forma di disco che si librava a circa un migliaio di metri sopra la base. Dal centro del disco scendeva un raggio di luce blu che illuminava le cupole. Poco dopo il disco svani a grande velocità.
Queste sono solo alcune delle tante storie che circolano attorno ai presunti misteri di Pine Gap che nonostante il numero e le stranezze non forniscono molte informazioni utili e vanno certamente prese per quello che sono, racconti di cui non si sa praticamente nulla di concreto e tangibile, storie che possono incuriosire gli appassionati e nulla più.
Uno dei personaggi che propugnano storie simili, John Lear, è noto per essere un cospirazionista da anni impegnato nella divulgazione di fatti simili a quelli appena raccontati e, ciliegina sulla torta, il sito è stato accostato anche alle rivelazioni fatte da Eduard Snowden.
Ma cos’è allora in realtà il sito militare di Pine Gap?
La base è una stazione di rilevamento satellitare mantenuta in esercizio dagli Stati Uniti D’America. Il sito consiste in un complesso computerizzato con otto antenne e ospita 800 addetti. Viene denominata ufficialmente Joint Defence Facility Pine Gap e viene ritenuta una delle più grandi basi terrestri di ECHELON, e tanto per l’aspetto esterno, quanto per l’operatività, può essere paragonata alle strutture di SIGINT della Buckley Air Force Base, Colorado e Menwith Hill, Regno Unito.
Probabilmente, ma non lo si sa con certezza, il personale americano che vi presta servizio appartiene per lo più alla National Security Agency, ad agenzie di intelligence minori, ed alla CIA. Per gli australiani l’agenzia coinvolta è il Defence Signals Directorate (DSD) in quanto la base è frutto degli accordi UK-USA, che hanno le loro radici nelle attività di intelligence elettronica della seconda guerra mondiale.
L’attività delle base è coperta da segreto tuttavia si è a conoscenza che Pine Gap è coinvolta in molte operazioni militari che utilizzano satelliti e proprio per questo e per la cortina di segretezza che la circonda è spesso luogo di manifestazioni di protesta.
Nel 1999 il Senato australiano cercò di ottenere informazioni sul sito ma ricevette un secco rifiuto.
Venne all’epoca incaricato di occuparsi di Pine Gap il professore universitario Desmond John “Des” Ball, esperto di intelligence, che presentò una relazione dove veniva riportato che a partire dal trattato USA-Australia del 1966 le antenne da due passarono a una ventina con un notevole aumento del personale che passò dagli iniziali 400 a quasi un migliaio per tutto il periodo della guerra fredda.
Proprio durante la guerra fredda, Ball fu invitato a criticare i piani di difesa nucleare statunitensi: la sua analisi convinse gli Stati Uniti che il loro piano per distruggere obiettivi sovietici selezionati non avrebbe funzionato nella pratica e avrebbe portato a un’escalation nucleare totale. La sua analisi fu riconosciuta anche dal presidente Jimmy Carter.
Proprio questo velo di segretezza ha scatenato il cospirazionismo più spinto che, condito da racconti di oggetti volanti non identificati e luci misteriose, ha voluto confezionare per un pubblico avido di complotti una nuova area 51 in salsa australiana.
Fonte. https://www.ufoinsight.com/pine-gap-hub-top-secret-alien-technology/; https://it.wikipedia.org/wiki/Pine_Gap

Plotino, l’ultimo dei grandi filosofi greci

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Plotino nasce a Licopoli, una cittadina egiziana tra il 203 ed il 205 e morirà in Italia, esattamente in Campania, nel 270. Tutta la sua vita si svolge in una fase turbolenta e drammatica dell’Impero Romano, segnato dalle lotte tra le legioni che nominavano imperatori dalla vita (non soltanto quella politica) molto breve e spesso in aperto conflitto tra loro. Per completare il quadro di un secolo molto difficile dobbiamo aggiungere le sempre più numerose incursioni di barbari da nord e da est, una serie di epidemie di peste o vaiolo ed una crisi finanziaria che toccò anche le province non soggette ai raid delle popolazioni barbariche.
Eppure nelle opere e nel pensiero di Plotino niente dei drammi e dei disagi del mondo reale traspare. Il padre del neo platonismo si limita a contemplare un mondo eterno di bellezza e bontà. La religione cristiana deve molto al neo platonismo di Plotino, tanto ne è innervata e pervasa. Secondo Dean Inge (1860-1954), professore di teologia all’Università di Cambridge ed autore forse del libro più importante su Plotino, “è impossibile separare il platonismo dal cristianesimo, senza mandare in pezzi il cristianesimo”.
Plotino diventa quindi storicamente importante per aver plasmato il cristianesimo medievale e successivamente la teologia cattolica. Tra i meriti di Plotino ci sono quelli di aver chiarito e meglio strutturato l’insegnamento di Platone. Le sue argomentazioni contro il materialismo e l’intera concezione tra anima e corpo è molto più chiara che in Platone o Aristotele.
Quel poco che si sa della sua vita, ammantata di leggende, lo dobbiamo ad un suo amico e discepolo, Porfirio. Con molta probabilità si trattava di un egiziano ellenizzato e pare che intorno al 232, all’età di ventisette anni, iniziò a studiare filosofia ad Alessandria d’Egitto, dove visse fino all’età di 39 anni, avendo come maestro Ammonio Sacco, da molti ritenuto il padre del neo platonismo.
Nel 242 Plotino si aggregò alla campagna militare del giovanissimo imperatore Gordiano III (225-244) contro i Sasanidi che avevano invaso le province romane ad ovest dell’Eufrate. Dopo una serie di vittorie i Romani subirono una pesante sconfitta nei pressi di Mesiche (l’attuale Falluja) nel 244 con la stessa uccisione dell’Imperatore secondo fonti persiane. Plotino partecipò a questa campagna militare con l’intenzione di studiare più approfonditamente le religioni orientali. Si trasferì in seguito a Roma dove con l’appoggio dell’imperatore Gallieno iniziò ben presto ad insegnare.
Progettò di costituire una Repubblica platonica in Campania e di costruire una nuova città Platonopoli, ma l’imperatore dapprima favorevole cambiò idea e proibì il progetto. Fino a 49 anni Plotino non scrisse una riga ma dopo la sua produzione letteraria fu copiosa ed è giunta a noi grazie alle cure del suo discepolo Porfirio.
Plotino aveva un grandissimo rispetto per Platone che designava normalmente come “Egli”. Le idee e le dottrine mistiche del Fedone e del VI libro della Repubblica, le dissertazioni sull’amore del Simposio sono i temi maggiormente trattati nelle Enneiadi (così si chiamano le opere di Plotino).
La metafisica di Plotino comincia con la Santa Trinità: l’Uno, lo Spirito e l’Anima. Una trinità gerarchizzata dove prima di tutto viene l’Uno, a volte chiamato Dio a volte il Bene, poi lo Spirito ed infine l’Anima. L’Uno è presente in ogni luogo senza che abbia bisogno di “venire”: mentre non c’è in nessun luogo, non c’è nessun luogo dove Egli non sia.
Plotino chiama la Seconda Persona della Trinità: Nous. Termine di difficile traduzione che Inge preferisce declinare come Spirito con l’avvertenza che questo termine esclude il contenuto intellettuale e della ragione che la parola Nous implica. Il Nous è l’immagine dell’Uno in altre parole è la luce con la quale l’Uno vede se stesso. Infine giungiamo all’Anima, il terzo è più basso membro della Trinità. Attraverso l’Anima prendono vita tutte le cose viventi. E’ l’emanazione dell’Intelletto Divino. L’Anima si sdoppia, una parte è proiettata verso il Nous, un’altra verso l’esterno.
La materia è creata dall’Anima e non ha una realtà indipendente. Coloro che vivranno nel giusto vedranno l’Anima progressivamente innalzarsi verso l’eternità. Man mano che l’Anima sale verso l’eterno perde progressivamente la memoria della sua vita temporale fino a fondersi con il Nous, pur rimanendo allo stesso tempo due cose distinte.
Plotino esplicita in maniera chiara ed incontrovertibile che l’Anima, contrariamente al corpo, è immortale, elemento che pervaderà la filosofia cristiana. Al punto più basso dell’emanazione o processione dall’Uno si trova la materia, che è un semplice non-essere perché non è un’ipostasi.  Nel linguaggio filosofico un ipostasi è la natura da cui sgorgano le proprietà d’una cosa. Il male nella filosofia di Plotino si comprende meglio attraverso la provvidenza.  La provvidenza, secondo Plotino, è il segno dell’originarsi dall’alto degli elementi di questo mondo. Essa è il necessario adeguarsi della realtà all’Idea di cui è immagine.
Il termine greco πρόνοια (prònoia), con cui si traduce “provvidenza”, va inteso non come un provvedere fattivamente a qualcosa, poiché l’intelligibile non si occupa affatto del mondo sensibile. La prònoia per Plotino è solamente “precedenza” o antecedenza del noùs rispetto al sensibile. Da ciò deriva che il mondo sia buono. Plotino non ha la pretesa di spiegare il male, di giustificarlo razionalmente, come farà ad esempio Leibniz; né vuole sminuirlo, come facevano gli stoici, secondo cui tutto avviene sempre secondo ragione.
Plotino visse i suoi ultimi giorni in una proprietà in Campania, forse situata nei pressi delle antiche terme vescine, lasciatagli dall’amico Zethos. Secondo il racconto di Eustochio, che gli fu accanto al momento del trapasso, le sue ultime parole furono: «Sforzatevi di restituire il Divino che c’è in voi stessi al Divino nel Tutto». Eustochio racconta che un serpente strisciò sotto il letto dove giaceva Plotino, e sgusciò via attraverso un buco nel muro; nello stesso istante Plotino morì.