I cacciatori di virus

Come agiscono i cacciatori di virus: storia di un'indagine emblematica del prezioso lavoro di questi specialisti.

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Indice

Quando si scatena un’epidemia tra gli attori che scendono in campo per contrastarne la diffusione e fornire le “armi” per arginarla ci sono dei veri e propri “investigatori”. Non si tratta di commissari o ispettori come nel caso delle indagini criminali, le loro qualifiche sono quelle dei virologi, dei microbiologi, degli epidemiologi. La loro indagine non è meno complicata, dura ed anche potenzialmente rischiosa della caccia ad un serial killer. Dai laboratori di massima sicurezza alla ricerca sul campo, questi uomini e donne sono la “prima linea” della sicurezza sanitaria dei cittadini.
Per entrare un po’ nel loro affascinante e duro lavoro proveremo a descriverne l’azione ed i protagonisti di alcuni cacciatori di virus durante l’epidemia di Hendra che sconvolse l’Australia tra il 1994 ed il 1996. Il virus si manifestò per la prima volta nell’allevamento di cavalli di Vic Rail, nei pressi di Hendra, una cittadina a sud di Brisbane. Oltre a fare una strage di cavalli, infettò tre persone, uccidendone due, tra cui lo stesso Rail.
Il virus fu alla fine isolato e si scoprì che si trattata di un agente patogeno nuovo che attaccava i cavalli ma che era stato capace di fare il salto di specie aggredendo anche gli uomini. Isolare un virus significa trovare un campione dell’agente patogeno in un campione ed essere in grado di moltiplicarlo in coltura.
Individuato Hendra, al virus era stato affibbiato il nome della cittadina nei pressi del quale si era manifestato per la prima volta, occorreva individuare l’ospite serbatoio (o reservoir) dal quale l’infezione si era trasmessa ai cavalli. Scovare un virus in campo aperto è una faccenda tutt’altro che semplice e sicuramente più rischiosa che operare in laboratori attrezzati e con rigidi protocolli di sicurezza.
Può essere necessario intrufolarsi in boschi, paludi, edifici abbandonati, cave, grotte, fogne. Quando si ha a che fare con una zoonosi, ovvero una malattia infettiva originata dagli animali, che sono la grande maggioranza delle epidemie conosciute ad oggi, può rivelarsi necessario anche catturare animali selvatici per esaminarli. Insomma i rischi non mancano.
Il “cacciatore di virus” che si occuperà di Hendra è un giovane allampanato, all’epoca trentacinquenne, Hume Field. Field si era laureato nel 1976 in veterinaria ed aveva passato gran parte di quegli anni lavorando come sostituto di veterinari affermati e facendosi una buona esperienza con i cavalli. Agli inizi degli anni Novanta lo troviamo all’Università del Queensland con un dottorato in ecologia. Hume Field ha scelto di perseguire la sua passione per gli animali selvatici.
Quando scoppiarono i primi casi di Hendra,  Field girovagava per l’Australia in cerca di gatti selvatici per applicargli un radio collare. Uno dei suoi relatori per il dottorato lo chiamò e gli chiese se era interessato a cambiare argomento per il suo progetto di ricerca,  al Ministero competente si cercava qualcuno che effettuasse un’indagine sul campo per comprendere i risvolti ecologici della nuova malattia. Field accettò.
Iniziò dal “paziente zero”, la cavalla Drama Series, dell’allevamento del defunto Vic Rail, primo equino a morire a causa di Hendra. Field sapeva che era stata colpita da un paramyxovirus e che nella zona recentemente era stato individuato un nuovo paramyxovirus in un roditore. Iniziò così ad allestire delle trappole per catturare ratti, opossum, ma anche serpenti ed uccelli. Da ogni preda prelevava un campione di sangue che inviava ai laboratori specializzati per riscontrare la presenza di anticorpi specifici per il virus Hendra.
Gli anticorpi sono molecole prodotte dall’organismo di un essere vivente per contrastare la presenza di materiale biologico estraneo. Gli anticorpi attaccano i virus e nella migliore delle situazioni lo distruggono e rimangono presenti nell’organismo anche dopo aver debellato tutti il materiale virale.
Trovare questi anticorpi è quindi un inequivocabile segnale di un’infezione in corso o passata. Nessuno dei campioni inviati risultò positivo. Field ed i suoi collaboratori erano in un cul de sac. A dare un nuovo impulso alla loro indagine fu un drammatico “rigurgito” del virus Hendra.
Un anno dopo, nell’ottobre del 1995 un giovane allevatore Mike Preston , che viveva a circa 1000 chilometri dal primo focolaio di Hendra, viene ricoverato in ospedale. Un anno prima era stato ricoverato per una sospetta grave forma di meningite da cui sembrava completamente guarito.
Preston entrò in coma e morì dopo venticinque giorni di agonia. I campioni di sangue prelevati durante la degenza confermarono la presenza di anticorpi del virus Hendra. Furono confrontati con i prelievi effettuati un anno prima, durante il primo ricovero, ed anche in questo caso Preston risultava già infetto dall’agente patogeno.
Il poveretto che aveva aiutato la moglie Margaret, veterinaria, a curare alcuni cavalli malati a sua insaputa proprio da Hendra, si era portato addosso il virus per un anno intero.
A questo punto della nostra storia interviene l’infettivologo John McCormack che preleva il sangue di ben cinquemila cavalli del Queensland e di 298 persone che avevano avuto un qualche tipo di contatto con il caso Hendra.
Nessuno dei campioni, né umani né equini, rivelò la presenza degli anticorpi di Hendra. Intanto il nostro Hume Field si era recato nel punto del secondo focolaio ed aveva ricominciato ad installare le sue trappole.
Ancora una volta non trovò niente. Hume si rivolse anche un gruppo di animalisti della regione che si occupava di animali feriti o debilitati nella speranza di trovare una traccia dello sfuggente virus Hendra. Prelevò il sangue di questi “badanti” come si facevano chiamare e degli animali in difficoltà che ospitavano, ma anche in questo caso il risultato fu un fiasco assoluto.
Nel gennaio del 1996 mentre l’indagine era ad un punto morto, Hume partecipò ad un incontro tra scienziati, esperti e funzionari governativi da cui emerse che per l’ampiezza (ed anche altri fattori) della diffusione di Hendra, l’ospite serbatoio doveva essere un animale in grado di spostarsi per lunghe distanze ed abbastanza velocemente. I candidati erano fondamentalmente due: gli uccelli o i pipistrelli.
Field puntò decisamente sui pipistrelli, primo perché non era noto alcun caso di paramyxovirus che avesse fatto un salto di specie aviaria all’uomo, secondo perché i pipistrelli erano mammiferi come l’uomo.
I più grandi e diffusi pipistrelli del Quensland sono le cosiddette volpi volanti suddivise in quattro specie differenti. Sono pipistrelloni giganti che si nutrono di frutta, con un’apertura alare di oltre un metro e dal peso di 1,6 kg circa.
Catturarli non sarebbe stato semplice per questo Field individuò alcuni animalisti che stavano curando delle volpi volanti ferite. E questa volta l’analisi del sangue confermò la presenza di Hendra! Field però sapeva che non bastava un riscontro per essere sicuri che i pipistrelli fossero l’ospite serbatoio dell’agente patogeno. Con il tempo però le prove si ammassarono e non ci furono più dubbi. Dopo due anni e 1043 volpi volanti esaminate il tasso di sieroprevalenza aveva raggiunto il 47%. In altri termini quasi la metà della popolazione di pipistrelli del Queensland era positiva al virus Hendra.
Finalmente Field pubblicò la sua indagine che ebbe anche un grande ed a volte allarmistico eco nei mass media. Molti iniziarono a chiedere di essere sottoposti a test per individuare un’eventuale infezione di Hendra. E qui entra in scena un terzo protagonista dei cacciatori di virus: Linda Selvey, una giovane ricercatrice dell’Università del Queensland.
Linda riuscì a convincere 128 animalisti che si occupavano di pipistrelli a sottoporsi ad un prelievo. Molti di loro avevano una storia pluriennale di promiscuità con le volpi volanti e non pochi erano stati graffiati e morsi da questi animali, alcuni sicuramente positivi ad Hendra. Il risultato fu sconcertante: nessuno di questi animalisti risultò positivo.
Il mistero fu scoperto qualche tempo dopo. Evidentemente la carica virale dell’ospite serbatoio, il pipistrello, non era sufficiente per infettare direttamente l’uomo. Era necessario un ospite di amplificazione, ovvero un altro animale che incubato il virus né moltiplicasse la carica virale al punto da riuscire ad infettare con un doppio salto di specie anche l’uomo. Questa funzione  era svolta dal  cavallo. Hendra  per  colpire  l’uomo era quindi passato  dai  pipistrelli ai cavalli che ne  avevano incrementato l’effetto  patogeno.  
L’indagine era durata oltre due anni ed un contributo prezioso lo avevano dato due giovani cacciatori di virus: Hume Field e Linda Selvey.

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