La presenza di un gas come l’ossigeno nelle atmosfere extraterrestri è un segno molto concreto dell’esistenza di una qualche attività biologica.
In futuro, la presenza di questo prezioso gas potrebbe essere rilevata da nuovi potenti strumenti di indagine oggi in fase avanzata di realizzazione, come il JWST (James Webb Space Telescope) o con altri strumenti ancora in fase di sviluppo.
Un nuovo studio ideato per tracciare i “falsi positivi” descrive diversi scenari in cui le atmosfere extraterrestri di pianeti rocciosi privi di vita, orbitanti attorno a stelle simili al Sole, potrebbero evolversi fino a contenere tracce rilevanti di ossigeno.
Lo studio è stato pubblicato il 13 aprile su AGU Advances, e sottolinea la necessità di telescopi di nuova generazione in grado di caratterizzare le atmosfere extraterrestri e cercare altre biofirme oltre a rilevare l’ossigeno.
Lo studio è assolutamente essenziale poiché mostra che esistono diversi modi per generare atmosfere extraterrestri ricche di ossigeno ma prive di forme di vita. Per questo, sostiene il primo autore Joshua Krissansen-Totton, Sagan Fellow nel Dipartimento di Astronomia e Astrofisica della UC Santa Cruz è essenziale distinguere i “falsi positivi”.
Nei prossimi decenni, forse entro la fine degli anni ’30 del XXI secolo, gli astronomi potrebbero avere a disposizione nuovi telescopi in grado di acquisire immagini e spettri delle atmosfere extraterrestri di pianeti potenzialmente abitabili, in orbita attorno a stelle simili al Sole.
Il coautore dello studio Jonathan Fortney, professore di astronomia e astrofisica e direttore del Laboratorio Other Worlds dell’UCSC, sostiene che occorre puntare a pianeti rocciosi come la Terra dove la vita potrebbe essersi evoluta fino a essere rintracciabile dai gas immessi nelle loro atmosfere.
Furtney è dell’idea che si sia discusso abbastanza sul fatto che che rilevare la presenza dell’ossigeno nelle atmosfere extraterrestri si necessariamente legato alla presenza della vita.
Lo studio, spiega Furtney, afferma che è assolutamente opportuno conoscere il contesto della rilevazione dell’ossigeno, se sono presenti altre molecole, quali e soprattutto se e perché altre molecole, legate alla vita come la conosciamo, non sono presenti.
Per fare questo gli astronomi dovranno avere a disposizione uno strumento estremamente sensibile a una vasta gamma di lunghezze d’onda per rilevare i diversi tipi di molecole nelle atmosfere extraterrestri.
I ricercatori hanno basato il loro studio su un modello computazionale dettagliato end-to-end dell’evoluzione dei pianeti rocciosi, a partire dalle loro origini e estendendosi attraverso miliardi di anni di raffreddamento e cicli geochimici. Variando il numero iniziale degli elementi volatili nei loro modelli planetari, i ricercatori hanno ottenuto una gamma sorprendentemente ampia di risultati.
L’ossigeno può iniziare ad accumularsi nelle atmosfere extraterrestri quando la luce ultravioletta ad alta energia scinde le molecole d’acqua presenti nell’atmosfera superiore trasformandole in idrogeno e ossigeno. L’idrogeno leggero fugge nello spazio, lasciandosi dietro l’ossigeno.
Anche altri processi possono eliminarel’ossigeno dall’atmosfera. Il monossido di carbonio e l’idrogeno rilasciati dal degassamento dalla roccia fusa, ad esempio, reagiranno con l’ossigeno e anche gli agenti atmosferici presenti nelle rocce assorbiranno parte dell’ossigeno.
Questi sono solo alcuni dei processi che i ricercatori hanno inserito nel loro modello dell’evoluzione geochimica di un pianeta roccioso.
Atmosfere extraterrestri: l’inventario dei gas
Eseguendo un modello della Terra, inserendo i gas che si ritiene fossero presenti si ottiene sempre lo stesso risultato, se il nostro pianeta non ospita la vita non compare l’ossigeno che oggi possiamo rilevare. Nonostante ciò Krissansen-Totton ha spiegato che è possibile ottenere atmosfere ricche di ossigeno senza che vi sia la vita.
Ad esempio, un pianeta simile alla Terra che inizia la sua evoluzione con una maggiore quantità di acqua finirà col possedere oceani molto profondi, che eserciteranno un’enorme pressione sulla crosta. L’eccessiva pressione interromperà l’attività geologica, inclusi i processi come lo scioglimento o l’erosione delle rocce che altrimenti rimuoverebbero l’ossigeno dall’atmosfera.
Nel caso opposto, se un pianeta inizia la sua evoluzione con una quantità relativamente piccola di acqua, la superficie inizialmente fusa potrà raffreddarsi rapidamente mentre l’acqua rimarrà intrappolata nell’atmosfera. Questa “atmosfera ricca di vapore acqueo” tratterrà abbastanza acqua nell’atmosfera superiore da consentire l’accumulo di ossigeno dovuto alla scissione delle molecole d’acqua.
Tipicamente, spiega Krissansen-Totton, la superficie del magma si solidifica con l’acqua che si condensa negli oceani sulla superficie.
Sulla Terra, una volta che l’acqua si è condensata, i tassi di fuga sono rimasti bassi. Ma se si ottiene un’atmosfera ricca di vapore dopo che la superficie fusa si è solidificata, in un milione di anni l’ossigeno potrà accumularsi grazie alle alte concentrazioni di acqua nell’atmosfera superiore e all’assenza di superfici fuse in grado di catturare l’ossigeno prodotto dalla scissione delle molecole dell’acqua dovuto ai raggi ultravioletti.
Tuttavia, esiste anche un terzo scenario che può arricchire di ossigeno le atmosfere extraterrestri. Lo scenario coinvolge un pianeta simile alla Terra che inizia la sua evoluzione con un rapporto più elevato tra anidride carbonica e acqua.
Ciò porta a un effetto serra in fuga, che rende troppo caldo il pianeta affinché l’acqua possa rimanere sulla superficie.
Questo è uno scenario simile a quello che ha probabilmente attraversato Venere, dove tutti i gas fluirono inizialmente nell’atmosfera mentre pochi si condensarono sulla superficie.
Gli studi precedenti si sono concentrati sui processi atmosferici, mentre il modello utilizzato in questo studio esplora l’evoluzione geochimica e termica del mantello e della crosta del pianeta, nonché le interazioni tra la crosta e l’atmosfera.