Quando pensiamo alla ricerca della vita extraterrestre, diamo spesso per scontato che si tratti di cercare specie di alieni senzienti. Soltanto forme di vita intelligente, dopotutto, possono progettare viaggi interstellari o emettere e ricevere comunicazioni dallo spazio profondo.
Ma siamo sicuri che sia così? In realtà, la vita che cerchiamo potrebbe manifestarsi in forme elementari, microbiche o comunque prive di quella particolarissima qualità che definiamo “intelligenza”.
Ed è proprio questa eventualità a fornire una possibile risposta al Paradosso di Fermi: forse non abbiamo registrato alcun contatto con alieni intelligenti semplicemente perché la vita intelligente è un evento eccezionalmente raro nell’universo.
Sulla Terra hanno vissuto circa
50 miliardi di specie, ma soltanto
una ha sviluppato una civiltà scientificamente e tecnologicamente avanzata:
Homo sapiens. Se davvero vogliamo verificare se questa è la spiegazione “giusta” del paradosso di Fermi, dobbiamo affrontare due domande fondamentali:
- Cos’è l’intelligenza?
- Come si è evoluta quella umana?
Cos’è l’intelligenza?
Definire l’intelligenza umana è un’impresa più ardua di quanto sembri. Non basta citare la capacità di astrazione, il problem solving o l’adattamento: serve qualcosa di più profondo.
E se già fatichiamo a definirla per l’uomo, figurarsi quando cerchiamo di applicarla al regno animale. Se chiedi a una persona di fare una classifica degli animali più “intelligenti”, ti dirà: scimmie, cani, gatti, delfini… in fondo piccioni, serpenti e insetti.
Questa scala, però, è affetta da un pesante
bias antropocentrico. Diamo più “dignità cognitiva” agli animali che ci somigliano o che amiamo, e meno a quelli che ci ripugnano o ci sembrano alieni.
La realtà è che
tutti gli animali viventi oggi hanno superato il filtro dell’evoluzione. Se sono qui, è perché sono abbastanza intelligenti per
sopravvivere.
Misurare le capacità cognitive è difficile per l’uomo, quasi impossibile per gli animali. Ma quando lo si fa, si scopre che le differenze non sono poi così marcate. Gli scimpanzé ricordano 7 oggetti alla volta. I piccioni… anche. Gatti e scimmie distinguono quantità di cibo. Corvi risolvono problemi usando strumenti.
Molti animali possiedono
intelligenze specializzate. Imparano compiti precisi ma falliscono nell’applicare quella conoscenza in modo flessibile. In altre parole, l’intelligenza “generica” – come quella umana – potrebbe non essere la regola, ma l’eccezione.
E forse è proprio questa
metacognizione, la capacità di riflettere sui propri pensieri, a fare la differenza. L’uomo è l’unico essere vivente conosciuto che si interroga sull’universo e su se stesso. Questo potrebbe renderlo un
unicum evolutivo.
Come si è evoluta l’intelligenza umana?
Non siamo sempre stati così intelligenti. Tra i nostri primi antenati e gli esseri umani del XXI secolo c’è un abisso cognitivo. Per anni si è pensato che il salto evolutivo fosse legato al rapporto tra capacità cranica e dimensioni corporee: più cervello per chilo = più intelligenza.
Ma se fosse solo questo, l’universo dovrebbe pullulare di super-cervelloni alieni. In realtà, la correlazione esiste
solo per la nostra specie. Altri organismi potrebbero basarsi su schemi completamente diversi. Nei corvi, per esempio, l’area cognitiva centrale non è la corteccia cerebrale, ma il
nidopallium caudolaterale. E funziona.
Ciò che conta, in fondo, è
l’efficienza del pensiero, non la quantità di neuroni.
L’evoluzione non segue una linea retta. Alcune specie diventano più complesse, altre – come i parassiti – regrediscono. Uccelli e delfini, evolutivamente separati da centinaia di milioni di anni, hanno sviluppato forme di intelligenza avanzata indipendentemente. Ma nessuno di loro ha costruito un radiotelescopio.
Lo sviluppo dell’intelligenza umana potrebbe essere stato il frutto di
una combinazione unica di pressioni ambientali, strutture sociali e mutazioni genetiche. Un colpo di fortuna cosmico, insomma.
Il punto cruciale: esistono alieni intelligenti?
Anche se altre specie animali mostrano intelligenza,
nessuna ha sviluppato un linguaggio simbolico complesso, né ha creato tecnologie, né ha costruito una cultura astratta e intergenerazionale. Né i delfini né i corvi progettano satelliti.
Qualcuno ipotizza che, se Homo sapiens sparisse, un’altra specie potrebbe evolversi e prendere il nostro posto. Ma dopo
4 miliardi di anni di evoluzione, questo non è mai successo. Nessun altro, tra 50 miliardi di specie, ci è andato nemmeno vicino.
E perchè dovrebbe essere accaduto su mondi alieni?
Conclusione
La vita potrebbe essere comune nell’universo. Ma la
vita intelligente – o meglio, la vita capace di riflettere su se stessa e comunicare con altre intelligenze – potrebbe essere
l’eccezione, non la regola.
Ecco perché forse
nessuno ci risponde dallo spazio: semplicemente,
non c’è nessuno in grado di farlo. E questo risolverebbe anche il
paradosso di Fermi.
O, per dirla con un pizzico di sarcasmo cosmico: l’universo non è in silenzio… è solo poco loquace.