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A caccia di forme di vita aliene nel sistema solare

Kevin Peter Hand, ricercatore del Jet Propulsion Lab, ha provato a rispondere alla domanda. Nel suo libro, "Alien Oceans: The Search for Life in the Depths of Space", spiega in che modo, dove e come è possibile scoprire forme di vita extraterrestri

Gli abitanti della Terra si assomigliano parecchio: che si tratti di esseri umani, cani, formiche, alberi, funghi, tardigradi o batteri, tutti utilizzano lo stessa biochimica basata su DNA, RNA e ATP. 

Certo, esistono delle differenze interessanti, ma in fondo tutte le forme di vita presenti sul nostro pianeta discendono da un unico progenitore. Ma è possibile che le forma di vita appena elencate siano tutto ciò che sappiamo sulla Vita?

Kevin Peter Hand, ricercatore del Jet Propulsion Laboratory, ha provato a rispondere alla domanda. Nel suo libro, “Alien Oceans: The Search for Life in the Depths of Space“, spiega in che modo, dove e come è possibile scoprire forme di vita extraterrestri.

Quasi tutti gli europei ricorrono allo stesso sistema per comunicare sia verbalmente che con la scrittura, tutte le lingue parlate e scritte fanno ricorso all’alfabeto latino.

I greci e i russi sebbene ricorrano ad alfabeti significativamente differenti, i principi alla base della comunicazione sono simili. Questo accade per via dell’origine comune delle lingue parlate e scritte.

Hand spiega, che allo stesso modo, esistono ragioni fondamentali per cui potremmo aspettarci che le forme di vita, ovunque esse siano, utilizzino la stessa chimica basata sul carbonio e sull’acqua come solvente, proprio come accade da miliardi di anni sulla Terra. 

Sulla Terra, come detto, tutte le forme di vita sono basate su un alfabeto genetico che codifica le informazioni nelle molecole di DNA ed RNA trasmettendole di generazione in generazione, come gran parte degli esseri umani utilizzano l’alfabeto latino per comunicare.

Ma le forme di vita aliene potrebbero utilizzare le stesse molecole alla base della nostra esistenza? E che implicazioni avrebbe se lo facessero?

La risposta è semplice, metterla in pratica un po’ meno. Secondo Hand per scoprirlo, dobbiamo trovare forme di vita aliena e il posto migliore è il sistema solare esterno.

Zona abitabile

Dalla nostra esperienza sappiamo che se in un pianeta c’è acqua liquida allora potrebbe esserci anche la vita. La Terra possiede acqua liquida in superficie perché si trova a una certa distanza dal Sole ed è protetta da un’atmosfera sufficientemente densa e da un campo magnetico.

Questa zona è chiamata “zona abitabile”. Se esistono pianeti simili al nostro nell’universo e si trovano in questa zona, certamente saranno abitabili. Nel sistema solare solo la Terra risponde a questi requisiti.

Tuttavia, la teoria della zona abitabile è stata messa in discussione alcuni decenni fa, quando le sonde gemelle Voyager della NASA, nel 1979 scoprirono l’esistenza di vasti oceani protetti da spesse croste ghiacciate sulle grandi lune di Giove Europa, Ganimede e Callisto.

Queste lune, riscaldate da potenti forze di marea provocate dalla loro vicinanza a Giove, posseggono un volume di acqua allo stato liquido nettamente superiore al volume degli oceani della Terra.

Nel 2005, la sonda Cassini osservò Encelado, una delle tante lune di Saturno che scagliava a centinaia di chilometri di distanza molecole d’acqua. L’acqua veniva “eruttata” da una crepa presente nella crosta ghiacciata nella zona polare meridionale di Encelado.

Potrebbero questi mondi ospitare forme di vita?

Partendo da queste osservazioni, si ritiene ora che la gigantesca luna di Saturno, Titano, abbia quasi certamente un oceano coperto di ghiaccio nascosto sotto i suoi mari di metano-etano, presenti in superficie e che probabilmente ci sono molte altre lune con oceani protetti da croste di ghiaccio spesse chilometri in attesa di essere trovate intorno a Giove, Saturno, Urano, Nettuno, e Plutone.

Ma c’è di più, il telescopio spaziale Kepler ha scoperto miriadi di mondi ghiacciati in orbita attorno ad altre stelle, alcuni dei quali sono stati senza dubbio espulsi dalle interazioni planetarie e ora viaggiano nello spazio interstellare.

Solamente cinquant’anni fa la scienza avrebbe risposto negativamente alla possibilità che le lune del sistema solare esterno ospitassero forme di vita.

La crosta di ghiaccio che le ricopre potrebbe avere anche dieci chilometri di spessore, e questo impedirebbe alla luce solare di penetrare in profondità, rendendo impossibile la fotosintesi.

Ma nel 1977, gli oceanografi grazie al sottomarino Alvin scoprirono un nuovo tipo di ecosistema nelle profondità degli oceani della Terra. Un ecosistema che attinge la sua energia non dalla luce del Sole ma dall’energia termica e chimica rilasciata dalle aperture vulcaniche nelle profondità oceaniche.

Lo stesso Hand ha visitato questi luoghi nel corso delle sue ricerche, tra cui la fantastica città perduta” idrotermale, un chilometro sotto l’Oceano Atlantico, in cui le forme di vita sono abbondanti e varie.

La risposta di Hand è stata positiva, secondo lui è assolutamente possibile che la vita esista su mondi che solo pochi decenni fa non erano ritenuti congeniali.

Hand specula su possibili forme di vita che vanno da semplici microbi fino a forme di vita simili a polpi dotati di intelligenza di alto livello.

La NASA ha progettato una missione per scoprire se sulle lune del sistema solare esterno è possibile trovare la vita: la missione Europa Clipper, prevista per il 2023. Delta Clipper verrà immesso in orbita attorno a Giove verso la fine del decennio.

Effettuando numerosi passaggi ravvicinati di Europa, il veicolo spaziale invierà molti dati utili, presumibilmente rilevando sostanze organiche all’interno delle strisce di materiali che sembrano essere emerse dagli strati sottostanti delle croste ghiacciate, attraverso le crepe nel ghiaccio, sino a raggiungere la superficie della luna.

La NASA sta inoltre finanziando un team del quale fa parte lo stesso Hand per realizzare un progetto preliminare per la missione Dragonfly, una missione che dovrebbe portare un elicottero a radioisotopi sulla superficie di Titano.

Titano, la luna di Saturno, possiede un campo gravitazionale un settimo di quello della Terra, ma è avvolto in un’atmosfera quattro volte più densa. Le condizioni sono quindi favorevoli al volo.

Il Dragonfly sarà in grado di volare e atterrare molte volte su Titano, scattando fotografie dall’alto e raccogliendo campioni dalla superficie. Se sulla superficie è presente del materiale biologico proveniente dagli strati inferiori il piccolo robot potrebbe rilevarlo.

Tuttavia per trovare forme di vita dovremo cercare negli abissi nascosti dalle spesse croste di ghiaccio presenti su queste lune. Per farlo, dovremo sciogliere il ghiaccio usando le unità radioisotopiche da 300 watt simili a quelle che fornivano l’energia alle Voyager e a Cassini, e che alimenteranno Europa Clipper e Dragonfly.

Potrebbe volerci un decennio o anche più affinché una sonda penetri attraverso una copertura di ghiaccio spessa dieci chilometri.

Per sciogliere queste spesse croste di ghiaccio esiste una tecnologia che Hand non ha citato: i reattori spaziali a fissione nucleare. La NASA e il Los Alamos National Lab, hanno  iniziato a lavorare su uno di questi reattori chiamati kilopower. Attualmente in grado di produrre dieci kilowatt, ma che potrebbe arrivare a produrne fino a 100.

Un orbiter alimentato con un reattore del genere potrebbe studiare Europa o Encelado con un rilevamento attivo ad alta potenza, e trasmettere dati scientifici con una velocità di dati che supera di gran lunga qualsiasi cosa attualmente disponibile.

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