lunedì, Ottobre 14, 2024
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Una simulazione conferma che Giove protegge la Terra

Secondo gli scienziati Giove ha avuto un ruolo cruciale, grazie al quale la Terra è diventato un pianeta ricco di forme di vita di ogni tipo. L'immensa gravità di Giove ha deviato o attratto su di sé comete e asteroidi che avrebbero potuto causare la distruzione della vita sul nostro pianeta

Un gruppo internazionale di astronomi, guidato da Martin Schlecker del Max Planck Institute for Astronomy, ha sviluppato una simulazione che spiega l’evoluzione dei sistemi planetari nel corso di miliardi di anni.

Gli astronomi hanno scoperto che la disposizione dei pianeti non è dovuta al caso ma dipende dalle condizioni iniziali del sistema in esame.

Le stelle simili al Sole nel corso del tempo, vengono circondate da uno stuolo di pianeti di tipo diverso. Super-Terre con un basso contenuto di acqua e gas, pianeti gassosi come Giove e Saturno e giganti ghiacciati come Urano e Nettuno. I pianeti giganti come Giove, secondo le simulazioni, tengono pulito il sistema solare interno deviando corpi come comete o asteroidi. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Astronomy & Astrophysics.

Il ruolo cruciale di Giove

Secondo gli scienziati, Giove ha ricoperto un ruolo cruciale, grazie al quale la Terra è diventata un pianeta ricco di forme di vita di ogni tipo. L’immensa gravità di Giove ha deviato o attratto su di sé comete e asteroidi che avrebbero potuto causare la distruzione della vita sul nostro pianeta, soprattutto nei primi milioni di anni della sua esistenza.

L’azione del gigante del sistema solare ha certamente ridotto il numero delle collisioni catastrofiche. La domanda che da anni si pone la scienza è se una combinazione di pianeti simile a quella del sistema solare è un caso o la norma nella formazione dei sistemi planetari.

Oggi una risposta a questa domanda è possibile grazie agli scienziati del Max Planck Institute for Astronomy (MPIA) di Heidelberg, dell’Università di Berna e dell’Università dell’Arizon. I ricercatori hanno trovato prove evidenti che pianeti simili alla Terra, piccoli e rocciosi si formano spesso in concomitanza di un gigante gassoso che come Giove occupa un’orbita più esterna.

Martin Schlecker, dottorando presso il Max Planck Institute for Astronomy (MPIA) di Heidelberg, che ha condotto lo studio, offre una spiegazione sulla formazione dei giganti gassosi “freddi” come Giove e Saturno: “Chiamiamo questi giganti gassosi “Giove freddi”. Si formano a una certa distanza dalla stella centrale, dove l’acqua esiste sotto forma di ghiaccio“.

Nella simulazione sono stati presi esaminati pianeti simili alla terra ma un po più massicci. Questi pianeti vengono chiamati super-Terre secche, in quanto posseggono un’atmosfera molto sottile e una piccola quantità di ghiaccio o acqua. Questi pianeti orbitano nelle zone interne dei sistemi planetari, dove ricevono una sufficiente quantità di calore.

Come ha sottolineato Schlecker a proposito del nostro pianeta: “La Terra possiede, nonostante gli enormi oceani e le regioni polari, una frazione di volume di acqua di solo lo 0,12% della suo volume totale, per questo è un pianeta asciutto“.

Trovare un Giove freddo e una super-Terra ricca di ghiaccio o acqua nella regione interna è quindi quasi impossibile. Inoltre, involucri di gas densi ed estesi si trovano principalmente in enormi super-Terre.

I ricercatori sono arrivati a questa conclusione dopo una valutazione statistica di 1000 sistemi planetari simulati. Questi sistemi sono stati fatti evolvere a partire da un disco protoplanetario posto attorno a una stella simile al Sole. Queste simulazioni sono l’ultimo risultato di una collaborazione di lunga data tra l’Università di Berna e l’MPIA per studiare le origini dei pianeti da una prospettiva teorica.

Gli scienziati hanno scelto condizioni iniziali casuali per le masse di gas e polveri, le dimensioni del disco protoplanetario e le posizioni dei vari semi che innescano la nascita dei planetesimi.

Una volta avviata, la simulazione ha percorso i miliardi di anni e gli scienziati hanno potuto seguire le varie fasi dello sviluppo del sistema planetario virtuale.

Ecco come descrive le simulazioni Christoph Mordasini dell’Università di Berna e coautore del documento: “Durante le simulazioni, gli embrioni planetari hanno raccolto materiale, sono cresciuti in pianeti, hanno cambiato le loro orbite, si sono scontrati o sono stati espulsi dal sistema“.

I sistemi planetari simulati alla fine avevano pianeti di diverse dimensioni, masse e composizioni su diverse orbite attorno alla stella centrale.

Hubert Klahr, capo del gruppo di lavoro sulla teoria della formazione dei pianeti presso MPIA, ha spiegato: “Tali simulazioni supportano lo studio dei sistemi esoplanetari, poiché pianeti come il freddo Giove richiedono molto tempo per orbitare attorno alla loro stella madre sulle loro ampie orbite”.

Ciò rende difficile trovarli attraverso l’osservazione, quindi la ricerca di esopianeti non riflette realisticamente l’effettiva composizione dei sistemi planetari. Gli astronomi hanno maggiori probabilità di trovare pianeti di massa elevata in orbite ravvicinate attorno a stelle di massa ridotta. Klahr ha inoltre aggiunto: “Le simulazioni, d’altro canto, sono in linea di principio indipendenti da tali limitazioni”.

“Volevamo verificare una scoperta sorprendente a seguito delle osservazioni fatte negli ultimi anni che i sistemi planetari con un Giove freddo contengono quasi sempre una super-Terra“, dice Schlecker.

Circa il 30% di tutti i sistemi planetari in cui si formano le super-Terre sembrano contenere anche un Giove freddo. Sarebbe plausibile aspettarsi che i pianeti massicci abbiano maggiori probabilità di interferire con i sistemi planetari durante la loro formazione in modo tale da ostacolare la formazione di altri pianeti. Tuttavia, questi “Giove freddi” sembrano essere sufficientemente lontani dai pianeti interni, tanto che la loro influenza sullo sviluppo sembra essere minima.

Le simulazioni tuttavia non ha potuto confermare questa tendenza. Solo il 30% circa dei Giove freddi era accompagnato da almeno una super-Terra. Inoltre, gli astronomi hanno trovato un Giove freddo solo nel 10% di tutti i sistemi planetari simulati che presentano super-Terre.

In conclusione, le simulazioni mostrano che sia le super-Terre che i Giove freddi hanno solo un po più probabilità di formarsi in un sistema planetario. Secondo gli scienziati questo risultato dipende da diversi motivi.

Una delle spiegazioni ha a che fare con la velocità con cui i giganti gassosi migrano verso l’interno. La teoria della formazione dei pianeti sembra prevedere tassi più elevati di quelli osservati, portando a un aumento del numero di giganti gassosi su orbite di distanza intermedia.

Nelle simulazioni, questi “Giove caldi” interferiscono con le orbite interne e provocano l’espulsione di più super-Terre o addirittura collisioni gigantesche. Con una tendenza leggermente inferiore dei pianeti gassosi simulati a migrare, rimarrebbero più super-Terre, il che sarebbe più compatibile con le osservazioni.

Oggi possiamo solo distinguere con approssimazione tra i diversi tipi di super-Terra, non siamo ancora in grado di caratterizzare questi mondi rocciosi con gli strumenti oggi in uso. Nelle simulazioni, tuttavia, ciò si ottiene tracciando il percorso di un pianeta all’interno del disco protoplanetario e i suoi incontri con altri pianeti.

Abbiamo trovato un eccesso significativo di sistemi planetari contenenti sia un Giove freddo che almeno una super-Terra secca, cioè con poca acqua o ghiaccio, e un’atmosfera sottile“, osserva Schlecker. Un confronto con i dati osservativi è difficile, dei circa 3200 sistemi planetari noti fino ad oggi, solo 24 di essi hanno dimostrato di essere comparabili con i dati ottenuti. Tuttavia, i risultati disponibili sono in buon accordo.

Sulla base di questi risultati, gli astronomi che hanno condotto lo studio hanno sviluppato uno scenario che potrebbe spiegare la formazione di questi tipi abbastanza diversi di sistemi planetari.

Come mostrano le simulazioni, il risultato finale è determinato principalmente dalla quantità di materiale disponibile per l’accrescimento dei pianeti.

I dischi protoplanetari con una massa media dispongono di materiale insufficiente nelle regioni interne per dare vita a pianeti rocciosi della classe super-Terra. Anche nel disco esterno c’è poco ghiaccio per dare vita a giganti gassosi come Giove o Saturno. Questo tipo di disco protoplanetario porta alla formazione nelle sue regioni esterne di super-Terra ricche di ghiaccio e con una spessa coltre atmosferica. Queste super-Terre migrano in seguito verso le zone interne del sistema.

Se invece i dischi protoplanetari contengono una massa sufficiente danno vita a pianeti simili alla Terra a distanze non eccessive dalla stella e a Giove freddi. Oltre l’orbita dei Giove freddi, possono invece formarsi super-Terre ricche di ghiaccio, ma la loro migrazione nella direzione radiale è limitata dall’influenza del pianeta gigante. Pertanto, non possono entrare nella zona interna dove orbitano pianeti come la Terra.

Per verificare lo studio occorrono però nuovi strumenti, potenti telescopi come ad esempio l’Extremely Large Telescope (ELT) dell’European Southern Observatory o il James Webb Space Telescope (JWST). Questi nuovi e avveneristici sistemi diventeranno operativi entro la fine di questo decennio. Schlecker in proposito afferma: “Con gli strumenti di prossima generazione che stanno per essere utilizzati, saremo in grado di verificare se il nostro modello resisterà o se dobbiamo tornare ai tavoli da disegno“.

In teoria, questo risultato potrebbe applicarsi anche a pianeti rocciosi secchi, simili in massa e dimensioni alla Terra. Quindi, potrebbe non essere una coincidenza che il sistema solare contenga un pianeta come Giove oltre alla Terra. Tuttavia, gli strumenti a disposizione degli scienziati oggi non sono sufficientemente sensibili per rilevare in modo affidabile pianeti di tipo terrestre in gran numero mediante osservazioni.

Per questo motivo, gli astronomi devono attualmente limitarsi in gran parte a studiare le massicce controparti del nostro pianeta. Solo con l’ELT e il JWST possiamo aspettarci progressi in questa direzione.

Fonte: astronomy & astrophysic

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