Strani lampi di kilonova

Il rilevamento di un lampo di raggi gamma potrebbe portare alla spiegazione delle formazione delle magnetar, stelle di neutroni con un intenso campo magnetico

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Lo scorso 22 maggio, è stato rilevato un lampo di due stelle di neutroni dense, le quali, dopo essere entrate in collisione, hanno dato origine a una strana stella magnetica. L’evento, un fascio di raggi gamma, ha allertato gli astronomi, che hanno pertanto predisposto opportunamente gli strumenti. Gli scienziati ritengono che i lampi di raggi gamma (Gamma Ray Bursts – GRB) provengano di solito dalla collisione di stelle di neutroni, pertanto il loro obiettivo è quello di poter osservare quanti più lampi possibile. Ma, approfondendo le osservazioni, gli scienziati si sono resi conto che c’era qualcosa di strano: all’interno del lampo era contenuta una quantità di luce infrarossa 10 volte superiore a quella prevista. Secondo gli scienziati impegnati in questo tipo di ricerche, la presenza di questa discrepanza è da attribuirsi alla formazione di qualcosa di inatteso.
Wen-fai Fong, un astronomo della Northwestern University(Illinois), e coordinatore della nuova ricerca, afferma che queste ultime osservazioni non si attagliano alle tradizionali spiegazioni sui lampi di raggi gamma brevi, definite sulla base delle conoscenze sui raggi X e sui raggi a onde radio.
Per studiare questo particolare evento, gli astronomi hanno utilizzato diversi strumenti, tra cui lo Swift Obersatory della NASA, già in orbita, il Very Large Array in New Mexico, e il Keck Observatory nelle Hawaii. La radiazione, dovuta al lampo GRB, fortemente orientata all’infrarosso, a seguito della quale gli scienziati hanno dedotto che stava succedendo qualcosa di strano, è stata invece rilevata dallo Hubble Space Telescope.
L’Hubble Space Telescope è stato progettato per cercare emissioni di infrarosso derivanti dalla creazione di elementi pesanti – come l’oro, il platino e l’uranio – durante la collisione tra stelle di neutroni. Le stelle di neutroni sono i residui superdensi di stelle esplose, e il bagliore che rimane da una collisione di due stelle di neutroni è chiamato kilonova.
Edo Berger, un astronomo del Center for Astronomy, afferma che, dalle loro osservazioni era emersa un’emissione di infrarosso più luminosa rispetto a quanto atteso. Ciò poteva essere spiegato ipotizzando che, dalla fusione delle due stelle di neutroni, potesse scaturire un elemento nuovo, che in questo caso prende il nome di magnetar, il quale fornisce energia aggiuntiva alla radiazione emessa. L’osservazione di questa emissione all’infrarosso, così luminosa, dimostra che, effettivamente, dalle collisioni di stelle di neutroni si formano dei lampi di raggi gamma brevi; sorprendentemente, le conseguenze di queste collisioni potrebbero non essere dei buchi neri, ma piuttosto delle magnetar.
Una magnetar è una classe inusuale di stelle di neutroni con un campo magnetico molto elevato. Da tempo gli scienziati si chiedono quali possano essere le cause che determinano questi intensi campi magnetici, pertanto diventa di rilevante interesse riuscire a osservare un caso di possibile formazione.
Secondo Fong, le magnetar esistono perché sono state osservate nella nostra galassia. Si ritiene che la maggior parte di loro si formi a seguito delle esplosioni legate alle estinzioni di stelle massicce, che si lasciano alle spalle queste stelle di neutroni altamente magnetizzate. Tuttavia, è probabile che una piccola frazione di queste magnetar si formi a seguito della fusione di stelle di neutroni. Finora però non è stato possibile osservare nessuna evidenza connessa alla formazione delle magnetar.
Il Telescopio Hubble è stato in grado di acquisire un’immagine appena tre giorni dopo l’esplosione. Per dimostrare che c’è una parte in dissolvenza associata alla fusione, al contrario di una fonte statica, sono necessarie altre osservazioni. Quando Hubble ha effettuato le osservazioni successive dopo 16 e 55 giorni, non solo era stata captata la fonte in dissolvenza, ma era stato trovato qualcosa di veramente inusuale.
La ricerca è disponibile nella versione preprint in arXiv.org
Fonte: space.com