Scusi ha da accendere? Breve storia del fiammifero

Come nel corso di un secolo e mezzo fu concepita l'invenzione che liberava l'uomo dall'uso di pietre focaie ed acciarini: il fiammifero

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Prima dell’avvento degli accendini usa e getta e, fortunatamente, del calo nel consumo del tabacco questa frase risuonava spesso per strada o in qualche locale pubblico. A questa richiesta seguiva il gesto cortese e naturale di estrarre una scatola di fiammiferi per dare fuoco all’immancabile sigaretta.
Anche la storia dell’origine del fiammifero, come quella di moltissime altre scoperte, si perde nei secoli e soprattutto è costellata di episodi curiosi, affascinanti e… Pericolosi.
Il primo prototipo del fiammifero lo ritroviamo nel Seicento. La storia è questa:
Carlo II Re d’Inghilterra (1630-1685) viveva in un classico, tetro castello dell’epoca. Debolmente illuminato e decisamente freddo, era inevitabile che il sovrano la sera cercasse di distrarsi invitando a corte poeti, intellettuali e uomini di spettacolo.
Un giorno invitò un prestigiatore tedesco, un certo Daniel Kraft noto per essere capace di “illuminare” letteralmente una stanza. Questi versò una sostanza molle, simile alla cera, su un monticello di polvere da sparo. L’effetto fu immediato, la polvere da sparo si incendiò illuminando la stanza.
Il sovrano inglese non lo sapeva ma aveva avuto il privilegio di vedere le proprietà del fosforo.
All’esibizione di Kraft aveva assistito anche il filosofo-scienziato Robert Boyle (1627-1691) che ne rimase impressionato al punto da chiedere ad un suo assistente di carpire il segreto di Kraft.
Kraft aveva imparato a produrre fosforo (anche se certamente non lo chiamava così) da un alchimista, Hennig Brandt che l’aveva scoperto nel 1669 facendo evaporare per ebollizione una tinozza piena d’urina.
Scoperto il segreto di produzione Boyle mise a punto uno dei suoi innumerevoli esperimenti memorabili, prese un pezzetto di legno lo immerse nello zolfo e poi lo sfregò su un foglio di carta sul quale aveva cosparso del fosforo.
Il calore generato dall’attrito accese il pezzo di legno. Era nato il prototipo del fiammifero.
Il fiammifero di Boyle non ebbe però un seguito pratico e dobbiamo fare un salto nel tempo fino al 1825 quando un cliente si rivolse al farmacista John Walker per chiedergli di preparare un miscuglio a base di solfuro di antimonio, cloruro di potassio e gomma vegetale avendo sentito che questo preparato si sarebbe acceso per percussione.
Nel preparare questo intruglio Walker si accorse che in punta al bastoncino di legno che usava per miscelare il composto si formava una sorta di goccia a forma di lacrima.
Quando cercò di grattarla via per ripulire il bastoncino questa si accese.
Il buon farmacista iniziò a produrre artigianalmente questi primi rudimentali fiammiferi senza però brevettare la scoperta. Un certo Samuel Jones che aveva utilizzato qualcuno dei fiammiferi di Walker riuscì a migliorarli aggiungendo alla miscela dello zolfo.
Questa aggiunta rendeva più semplice accendere i fiammiferi al prezzo però di una puzza dovuta all’anidride solforosa prodotta dalla combustione.
Il francese Charles Saurie semplificò ancora la ricetta aggiungendo fosforo al composto e di li a poco i fiammiferi iniziarono ad inondare il mercato.
Purtroppo ben presto molti degli operai che li producevano cominciarono ad ammalarsi di una terribile malattia, la necrosi fosforica, dovuta all’alta tossicità del fosforo bianco.
Questo inconveniente fu superato qualche anno dopo facendo immergere uno stecchino di legno in paraffina, ricoprendolo di un misto di zolfo (che è un ottimo combustibile) e potassio clorato (che forniva ossigeno) e colla.
I fiammiferi svedesi si accendevano facilmente sfregandoli su una striscia di fosforo rosso e carta vetrata posta sul retro della scatola con cui venivano venduti.
L’epoca delle pietre focaie e degli acciarini era definitivamente tramontata.