Il programma di volo spaziale umano della NASA è rimasto in uno stato di incertezza praticamente dal momento in cui l’equipaggio dell’Apollo 17 ha lasciato la superficie della Luna, 45 anni fa. il programma Space Shuttle non è mai diventato, come si sperava, lo strumento che avrebbe reso l’accesso allo spazio economico e di routine; la stessa Stazione Spaziale Internazionale non è mai diventata una gloriosa porta d’ingresso per l’esplorazione dello spazio profondo. Il programma Constellation, lanciato da Obama alla chiusura del programma Space Shuttle, di fatto non è mai partito se non nello studio di alcuni concetti di base, soprattutto per mancanza di fondi ed ora la NASA si trova ad affrontare l’ennesima inversione di marcia dopo che il presidente Trump ha dato all’agenzia spaziale una direttiva che la orienta verso un obbiettivo concreto e raggiungibile in tempi relativamente brevi: il ritorno degli Stati Uniti sulla Luna.
Perché è stato così difficile proseguire nell’esplorazione della Luna per poi puntare allo spazio profondo?
Il programma Apollo fu abbandonato per via dei costi esorbitanti che comportava. Sul momento si pensava che l’entrata in servizio degli Space Shuttle, navette riutilizzabili, avrebbe permesso una riduzione importante delle spese ma una serie di difetti di progettazione e limiti tecnologici emersi nel tempo hanno portato ad utilizzare gli Shuttle il minimo indispensabile, sostanzialmente per mettere in orbita satelliti, compiere qualche esperimento, partecipare all’assemblaggio della Stazione Spaziale Internazionale e mantenere i contatti con la stessa. La NASA si è anche trovata a doversi barcamenare con le contraddizioni delle varie presidenze. A Reagan non interessava molto l’esplorazione spaziale ed era molto più preoccupato di mantenere il vantaggio tecnologico americano in orbita rispetto all’Unione Sovietica. Lo stesso si può dire di Clinton che non vide mai nei programmi NASA nulla di realmente interessante. I due Bush e Obama sbandierarono i loro programmi di esplorazione spaziale ma non fornirono, di fatto, alcun supporto all’agenzia spaziale, costringendola a gestire alla meno peggio i fondi disponibili. Per capire quale fosse la situazione si può ricordare che in almeno un’occasione fu inviato su Marte un robot realizzato con gli avanzi di missioni precedenti.
Se fai propaganda sbandierando programmi ambiziosi e ad ogni cambio di amministrazione cambiano anche gli obbiettivi è difficile realizzare qualcosa di concreto. Negli anni ’60 si investirono quantità enormi di denaro sul programma Apollo ma, in quegli anni, l’america era ancora galvanizzata dai discorsi di Kennedy e stimolata dalal competizione con l’Unione Sovietica. Non si presentarono mai problemi di opinione pubblica sulle spese spaziali. Questa cosa cambiò con la prima crisi petrolifera degli anni ’70 e la NASA si vide ridotto il budget dal 4% del PIL nazionale fino allo 0,4%. Una differenza enorme che, però, le amministrazioni ritenenro necessaria a fronte delle emergenti difficoltà economiche e della disapprovazione dell’opinione pubblica verso spese così ingenti dopo che la corsa allo spazio era stata vinta e la stessa URSS sembrava averla abbandonata.
Qualcosa sta cambiando, ora nello spazio ci si va soprattutto con i capitali privati
Lo studio Evolvable Lunar Architecture prevede un genere di attività che potrebbe portare la NASA a tornare sulla Luna in tempi realtivamente brevi con il supporto di capitali privati, cosa che, però, è ancora oggi politicamente scorretto proporre all’interno dell’agenzia spaziale federale. In sostanza, si tratta di uno studio che analizza i costi, le tempistiche e le possibilità di tornare sulla Luna utilizzando un approccio di partnership commerciale. Secondo questo studio, uno scenario del genere permetterebbe alla NASA di rimettere piede sulla Luna nel giro di 5 -7 anni dall’avvio del programma, con una spesa ragionevolmente sostenibile che si aggirerebbe intorno ai dieci miliardi di dollari.
Avviando questo programma, e in qualche modo si sta tentando di farlo nel momento in cui si coinvolgono partner privati come SpaceX e Boeing a complemento del programma SLS+Orion, dovrebbe essere possibile ritornare fisicamente sulla Luna entro la fine dell’ipotetica seconda amministrazione Trump, ovvero entro il 2024. Sappiamo che l’attuale programma voluto dal presidente spinge affinchè la stazione spaziale Lunar Gateway sia operativa entro il 2024 e venga costituita una base lunare permanente entro il 2030, possibilmente prima dei cinesi e dell’ESA. Non si può nemmeno escludere che una personalità come quella di Trump, se rieletto nel 2020, spinga affinchè venga realizzato un allunaggio con astronauti non appena la lunar Gatway sarà operativa: in questo caso Trump farebbe in tempo a passare alla storia come il presidente che ha riportato l’America sulla Luna.
Mentre la NASA restava ingessata dalle contraddizioni delle diverse politiche delle amministrazioni che si sono succedute, imprenditori come Jeff Bezos ed Elon Musk hanno sviluppato tecnologie che hanno reso i loro lanci molto più economici, potendo recuperare boosters e navette ed entrambi puntano a sfruttare lo spazio commercialmente. entrambi hanno in programma viaggi turistici verso la Luna e, mentre Bezos vorrebbe installarvi addirittura un albergo, Musk sembra voler puntare su brevi viaggi turistici circumlunari per concetrare il grosso degli sforzi verso la colonizzazione di Marte.
Quale sarebbe il passo successivo ad un partenariato NASA – privati
lo studio prevede un’architettura evolutiva: tornare sulla Luna tanto per fare un passeggiata e poter dire “L’abbiamo rifatto” avrebbe poco senso: una volta rimesso piede sul nostro satellite, l’obbiettivo dovrebbe essere quello di insediarvi una base permanente, in grado di svolgere una serie di attività, tra le quali azioni di autofinanziamento tramite le scelte commerciali affidate ai privati, dal turismo all’estrazione minerria di materie prime quali Elio3, uranio, metalli di vario genere e l’accumulo di ossigeno ed idrogeno da utilizzare come propellente per navette ed astronavi. A questo punto verrebbe di conseguenza affiancare la Lunar Gateway con la Deep Space gateway, concepita per lanciare missioni esplorative umane e non, verso lo spazio profondo a costi inferiori rispetto ai lanci dalla Terra. Disporre di materie prime e di propellente sulla Luna, facilmente trasportabili in orbita lunare, potrebbe permettere di assemblare le parti più pesanti delle navi spaziali direttamente sulla Luna, limitando il trasporto dalla Terra esclusivamente alla tecnologia difficilmente replicabile in un avamposto lunare, sia pure con caratteristiche industriali. L’insediamento di una base lunare permanente potrebbe comportare un costo di circa 3 miliardi di dollari l’anno per i primi dieci anni, più gli investimenti che farebbero i privati per avviare le loro attività commerciali.
Al termine dei dieci anni, la base lunare potrebbe diventare ancora più sostenibile se non produrre utili, considerando la possibilità di industrializzare la luna.
L’amministrazione Trump potrebbe davvero essere all’altezza di gestire uno sforzo atto a tornare sulla Luna e, magari, gettare le basi per andare anche oltre?
Guardando quanto fatto finora dall’amministrazioe Trump, pur tra qualche contraddizione, mi sembra chiaro che lo spazio costituisce un obbiettivo importante: il ritorno alla Luna ordinato alla NASA e la proposta di staccare dall’aeronautica la responsabilità della difesa spaziale sembrano segni abbastanza indicativi. Certo, Trump non è il più popolare dei presidenti, non gode di buona stampa e la sua rielezione appare, al momento, quantomeno complessa ma bisogna dire che la questione spaziale sembra ora un interesse bipartizan da parte delle forze politiche presenti nel congresso. I grandi passi avanti fatti dalla Cina, l’attivismo dell’ESA e la crescita tecnologica di molte altre nazioni (Giappone, India, Australia e la stessa Russia, per dirne solo qualcuna) stanno rilanciando la corsa allo spazio e la rivalità tra le nazioni nel tentativo di ritagliarsi un angolo privilegiato in questo settore, rendono la questione un nteresse nazionale che nessun prossimo presidente potrà permettersi di ignorare o sottovalutare.
Ricadute economiche del ritorno alla Luna
Il ritorno sulla Luna con l’insediamento di un base permanente e di una stazione lunare orbitale avranno inevitabili ricadute sul piano occupazionale, sia dirette che nell’indotto. Saranno creati nuovi posti di lavoro sia relativi allo sforzo industriale, sia relativi alle attività collaterali alla colonizzazione (turismo, industrializzazione eccetera). La condizione necessaria è che i viaggi spaziali possano scendere radicalmente di costo e la NASA dovrà inevitabilmente tornare sul concetto di veicoli e strumenti riutilizzabili, come stanno facendo i privati. Ad oggi, SpaceX, recuperando e riutilizzando circa il 40% di tutto ciò che è coinvolto in un lancio spaziale riesce ad avere un costo / lancio più di dieci volte inferiore rispetto ai costi previsti per la NASA ad ogni lancio del sistema SLS+Orion e la scoietà di elon Musk conta entro breve di arrivare a recuperare e riutilizzare fino all’80% delle risorse impegnate in un singolo lancio, questo significa che in pochi anni SpaceX potrebbe dimezzare ancora i costi dei suoi lanci.
A conferma di questo dato, un recente studio dell’Air Force sostiene che è tecnicamente possibile, collaborando con le aziende private, avviare un ciclo virtuoso che porterebbe ad una riduzione di oltre dieci volte dei costi necessari per raggiungere lo spazio dalla Terra.
Bisogna anche aggiungere che un insediamento sulla Luna fungerebbe anche da testa di ponte per l’auspicato sfruttamento minerario degli asteroidi, generando valore economico e la nascita di nuove professioni specialistiche e generiche.