Il 14 febbraio del 1990 alla sonda Voyager 1, che era ad una distanza ormai di circa 6 miliardi di km dalla Terra, fu ordinato di puntare una delle sue due fotocamere verso il nostro pianeta per scattare un’ultima foto.
Questa foto, che mostra la Terra come un minuscolo granello sperduto nello spazio da la sensazione, più netta ed inequivocabile, non soltanto della marginalità del nostro pianeta ma anche delle distanze immense che caratterizzano l’universo visibile. L’idea di questa foto appartiene a Carl Sagan (1934-1996) uno dei primi astronomi ad impegnarsi seriamente nella ricerca di vita aliena.
Quando ci poniamo la domanda sull’esistenza di eventuali specie aliene evolute e di come mai non abbiamo ancora avuto alcuna prova tangibile di un loro contatto, il primo elemento che dobbiamo considerare è l’immensità dello spazio che ci circonda.
Anche semplicemente riuscire a creare un modello in scala del nostro Sistema Solare può risultare alquanto problematico. Se rappresentiamo il nostro sole con una palla da basket, la Terra sarebbe un granello di due millimetri di diametro collocato a circa 25 metri dal pallone. Giove e Saturno sarebbero due biglie posizionate rispettivamente a 100 ed a 200 metri dal pallone che rappresenta il nostro astro.
Nel 1977 due designer, marito e moglie, Ray Eames e Charles Eames, concepirono un video, anticipatore di Google Earth, che con grande efficacia illustra le incommensurabili distanze dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo del nostro Universo. Il video Potenze di dieci, comincia con un bucolico picnic tra coniugi o fidanzati e ci proietta, potenza dopo potenza, negli sterminati spazi siderali che circondano il nostro piccolo pianeta.
La Voyager 1, il manufatto umano, che si è più allontanato dalla Terra, e che viaggia a circa 60.000 km/h, e dal Sole da circa 40 anni, non ha ancora abbandonato completamente il Sistema Solare. Infatti ci vorranno ancora 300 anni per raggiungere il vero confine del Sistema Solare, la Nube di Oort, un’enorme fascia di comete che circonda la nostra stella, ed a quel punto impiegherebbe 30.000 anni per attraversare interamente la Nube ed immettersi definitivamente nello spazio interstellare.
Se la Voyager fosse indirizzata verso la stella più vicina al nostro sistema Proxima Centauri, impiegherebbe qualcosa come 74.000 anni per giungervi in prossimità. La sonda che porta con sé un disco su cui sono incisi messaggi e contenuti della civiltà umana per un eventuale, improbabile, contatto con un visitatore alieno, ha energia fino al 2025.
A quel punto ogni comunicazione con la Terra cesserà e la Voyager diventerà un muto, piccolissimo, detrito alla deriva nel buio spazio interstellare.
Quindi, quando ci chiediamo, come fece Enrico Fermi, “dove sono tutti quanti“, intendendo perché non siamo venuti ancora in contatto con razze extraterrestri, magari più evolute di noi, dobbiamo considerare che il primo, forse invalicabile muro per un evento del genere che cambierebbe radicalmente la storia dell’umanità è rappresentato dall’immensità dell’universo.
Tanto per avere un’idea è come se il nostro pianeta fosse abitato da due soli individui, quante sono le probabilità che essi possano incontrarsi?