Le esperienze di premorte incuriosiscono scienziati e appassionati dell’argomento. Persino Hernest Hemingway ha scritto il racconto racconto “Le nevi del Kilimangiaro”, dove la narrazione abbraccia le classiche caratteristiche di questo fenomeno: l’oscurità, la cessazione del dolore, l’emergere alla luce e poi una sensazione di pace.
Lo scrittore è stato ispirato da un avvenimento vissuto in prima persona durante la Prima guerra mondiale, dove venne ferito gravemente da un colpo d’arma da fuoco: “Morire è una cosa molto semplice. Ho osservato la morte e lo so davvero. Se fossi morto sarebbe stato molto facile per me. Decisamente la cosa più semplice che abbia mai fatto”. Queste sono state le sue parole, vergate in una lettera indirizzata ai suoi familiari, che raccontano la sua esperienza di premorte.
Esperienza di premorte: cosa accade realmente?
Le esperienze di premorte, o NDE, vengono innescate durante singoli episodi potenzialmente letali che un individuo subisce durante un trauma tale da mettere a rischio la vita. Circa un paziente su 10 colpito da infarto in ambiente ospedaliero racconta di aver vissuto episodio di premorte.
Migliaia di sopravvissuti a queste circostanze drammatiche raccontano di essersi lasciati alle spalle i loro corpi e di aver visitato una dimensione oltre l’esistenza quotidiana, non vincolata dai soliti confini di spazio e tempo.
Ogni racconto sulla premorte è caratterizzato da dei punti in comune: liberarsi dal dolore, vedere una luce alla fine di un tunnel e altri fenomeni visivi. Staccarsi dal proprio corpo e fluttuare sopra di esso, o addirittura volare nello spazio. Alcuni hanno raccontato di un incontro con i propri cari, vivi o morti, o con esseri spirituali come gli angeli o un senso distorto del tempo e dello spazio.
Esistono alcune spiegazioni fisiologiche sottostanti per queste percezioni come la visione del tunnel che conduce alla luce: pare che esso sia causato un ridotto flusso sanguigno alla periferia visiva della retina.
Le esperienze di premorte possono essere sia positive che negative.
Le esperienze di premorte ricevono tutta l’attenzione della stampa e dei media in generale e riguardano la sensazione di una presenza travolgente, qualcosa di divino. Una stridente disconnessione separa l’enorme trauma subito dal corpo e la pace e il sentimento di unità con l’Universo. Eppure non tutte queste esperienze sono piacevoli: alcune possono essere spaventose, segnate da intenso terrore, angoscia, solitudine e disperazione.
Ogni contatto ravvicinato con la morte ci ricorda la precarietà e la fragilità della vita e può eliminare gli strati di soppressione psicologica che ci proteggono da pensieri scomodi di oblio esistenziale. Per la maggior parte, questi eventi svaniscono di intensità con il tempo e la normalità alla fine si riafferma (sebbene possano lasciare sulla loro scia il disturbo da stress post-traumatico).
Esperienze di premorte: cosa dice la ricerca scientifica?
Uno studio sull’esperienza di premorte, pubblicato sulla rivista Resuscitation, ha coinvolto un totale di 25 ospedali con affiliazioni in Georgia, New Jersey, New York, Ohio, Pennsylvania, Texas, Virginia, Bulgaria e Inghilterra. Per il loro esperimento di ricerca, il personale partecipante di tutti i 25 ospedali è stato dotato di tablet e cuffie.
Ogni tablet ha mostrato ai pazienti una delle dieci immagini randomizzate, mentre le cuffie hanno riprodotto tre parole: mela, banana o pera. Questa attrezzatura è stata montata sopra ciascun paziente, lontano dal personale medico che cercava di rianimarlo con la RCP. I pazienti sono stati inoltre sottoposti a elettroencefalografia (EEG) per misurare l’attività cerebrale e il loro ossigeno cerebrale è stato monitorato.
Il personale medico che sta cercando di salvare la vita delle persone, senza molta riflessione e pianificazione, non può contemporaneamente misurare qualsiasi altra cosa accada mentre è in atto un tentativo di rianimazione. I ricercatori avevano bisogno anche di un determinato volume di dati per avvalorare la ricerca, specialmente se si tratta di esperienze di premorte, perché una percentuale molto ridotta di persone sopravvive ad un arresto cardiaco.
Durante la rianimazione l’ossigeno nel cervello e altri fattori iniziano subito a diminuire drasticamente, portando a danni permanenti in alcuni sopravvissuti. Per questo motivo, gli scienziati hanno sottoposto i sopravvissuti ad una serie di test cognitivi prima di includerli nello studio.
Ogni anno negli Stati Uniti si verificano tra 350.000 e 750.000 arresti cardiaci. Sono tra circa 1.000 e 2.000 al giorno e, secondo la stima dei ricercatori, hanno un tasso di sopravvivenza del 10%: solo circa 100-200 pazienti sopravvivono a problemi cardiaci in cui avviene un arresto e sono sparsi in oltre 6.000 ospedali negli Stati Uniti.
Per raccogliere un numero sufficiente di sopravvissuti all’arresto cardiaco per realizzare uno studio statisticamente significativo sull’esperienza di premorte, i ricercatori hanno dovuto collaborare con diverse persone provenienti da numerosi ospedali. Il loro set di dati è tratto da tre anni di osservazioni in 25 ospedali.
Se le esperienze di premorte sono alimentate dall’attività cerebrale, anche se in circostanze estreme e insolite, è logico che contengano elementi di suggestionabilità e pensiero subconscio. Anche se quello che accade è un evento spirituale, è sempre influenzato dai ricordi conservati nella propria mente e dal sistema di credenze che caratterizza ogni essere umano.
Nello studio, solo 28 persone su 567 totali sono sopravvissute all’arresto cardiaco e sono state in grado di completare le valutazioni e i sondaggi cognitivi. Complessivamente, 4 pazienti su 10 hanno parlato di “un certo grado di coscienza” dopo la RCP. Di questi 28, 11 persone hanno affermato di avere ricordi o sensazioni simili durante i minuti di arresto cardiaco.
Sei persone, ovvero il 21,4% dei partecipanti alla ricerca sulla premorte, hanno sperimentato “un’esperienza di morte trascendente ricordata (RED)”. Tre hanno riferito qualcosa di simile ai sogni. Nessuna delle persone coinvolte nello studio ha mostrato segni di essere effettivamente cosciente, come muoversi.
Un paziente ha detto di aver visto il padre: sembrava che fosse in piedi accanto al suo letto e guardasse il suo corpo ricevere la RCP. Qualcuno ha sentito la nonna defunta dire loro di “tornare indietro”. Alcuni hanno ricordato i momenti prima di essere finalmente rianimati alla coscienza.
È importante ricordare che il campo di ricerca sulla premorte è ristretto, il che significa che questo studio non è paragonabile a nient’altro al momento. E anche se le 28 persone intervistate rappresentano anni di attenta preparazione e lavoro, si tratta ancora di un numero esiguo.
C’è poco da ricavare dalle cifre complessive, tranne che altri scienziati potrebbero sentirsi incoraggiati a condurre i propri studi in futuro. Ma è significativo che alcune persone nello studio abbiano mostrato attività cerebrale durante il periodo di rianimazione. Ciò è continuato fino a 60 minuti dopo l’inizio dell’arresto cardiaco e della rianimazione.
“Sebbene i medici ritengono da tempo che, in generale, il cervello subisca danni permanenti circa 10 minuti dopo che il cuore smette di fornirgli ossigeno, il nostro lavoro ha scoperto che il cervello può mostrare segni di recupero elettrico per molto tempo mentre è in corso la RCP”, ha spiegato l’autore Sam Parnia in una dichiarazione alla New York University.
E poiché questa continua attività cerebrale rappresenta una sfida alla saggezza convenzionale, potrebbe spiegare i temi abbastanza unificati che molte persone riferiscono durante le esperienze di premorte. È sicuramente un motivo per fare ulteriori ricerche.
I tentativi di guidare o influenzare i ricordi mediante immagini o suoni si sono rivelati quasi completamente infruttuosi. Una persona su 28 ha identificato le tre parole pronunciate e nessuna ha identificato le immagini. In un certo senso, ciò rafforza il fatto che ciò che stava accadendo era nel profondo del cervello. Indica il modo in cui un certo tipo di coscienza può persistere anche quando, per così dire, le luci sono spente nel resto del tessuto cerebrale.
Un punto di paragone o contrasto potrebbero essere le persone con apnea ostruttiva notturna. In una revisione del 2019, i ricercatori hanno scoperto che le segnalazioni di sogni e soprattutto di incubi tra i pazienti affetti da apnea erano nel complesso piuttosto contrastanti, ma riflettevano che le persone che utilizzavano la pressione positiva continua delle vie aeree (CPAP) hanno riportato meno incubi. Potrebbe essere che qualcosa nel passaggio da un cervello idealmente ossigenato a uno meno ossigenato scateni un cambiamento nella coscienza?
Nei pazienti con apnea, la sensazione può essere più simile all’urgenza e al panico, portando ad incubi. Ma nella rianimazione cardiaca estesa, sembra più una sensazione di pace.