L’universo potrebbe essere pieno di “stelle di bosoni” invisibili

Un gruppo di astrofisici europei ipotizza che nell'universo sarebbero presenti molte "stelle di bosoni" trasparenti e che sarebbero caratterizzate da un peso milioni di volte superiore a quello di una stella normale. 

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Se esistessero realmente questo tipo di stelle presenterebbe molte caratteristiche in comune con i buchi neri supermassicci: Sono previste dalla relatività generale, possono crescere fino a milioni di volte la massa del nostro sole e possono raggiungere una compattezza molto elevata” ha spiegato l’ astrofisico Hector Olivares della Radboud University nei Paesi Bassi e Goethe University in Germania.
Olivares e il suo team hanno cercato di capire se le stelle di bosoni potessero assomigliare all’ombra di M87 *, il primo buco nero mai fotografato.
Queste stelle sarebbero molto diverse dagli altri oggetti celesti osservati comunemente dagli astronomi.  I bosoni rispondono a leggi fisiche proprie e hanno caratteristiche completamente differenti dai fermioni, le particelle di materia, che compongono le stelle normali.
Ad esempio, essi possono essere sovrapposti, e, quindi, due bosoni possono occupare lo stesso spazio, formando una “onda di materia“. Queste strutture possono formare una struttura ancora più grande, un “campo scalare”, che è una disposizione relativamente stabile; data una massa sufficiente, questi campi potrebbero schiacciarsi insieme in una stella bosonica.

Dalla teoria alla pratica

Questa è la teoria; in realtà non sono mai stati osservati bosoni con la massa necessaria per formare questo tipo di struttura o uno che l’avesse uguale a quella di un buco nero supermassiccio,
Olivares ha spiegato che se si riuscisse a identificare una stella di bosoni sarebbe possibile identificare questa particella mai osservata fino ad oggi e che qualcuno pensa possa essere una componente della materia oscura.
Per formare una struttura grande quanto un buco nero supermassiccio, la massa del bosone deve essere estremamente piccola (meno di 10-17 elettronvolt)” ha detto Olivares , il quale ha spiegato che bosoni di spin-0 con masse simili o minori compaiono in diversi modelli cosmologici e teorie delle stringhe e l’osservazione di un oggetto come una stella bosonica potrebbe fornire la prova della loro esistenza.
Queste stelle sarebbero trasparenti, non avendo una superficie assorbente in grado di fermare i fotoni, i quali possono sfuggire a esse, anche se il loro percorso potrebbe essere leggermente deviato dalla gravità.
I ricercatori ipotizzano che alcune stelle bosoniche potrebbero essere circondate da un anello rotante di plasma, molto simile al disco di accrescimento che circonda un buco nero, e  hanno eseguito simulazioni della loro dinamica e li hanno confrontati con ciò che potremmo aspettarci di vedere da un buco nero.

Se i buchi neri fossero stelle di bosoni?

In questo modo è stato scoperto che l’ombra della stella del bosone sarebbe molto più piccola dell’ombra di un buco nero di massa simile. Pertanto, il team ha escluso che M87 * possa essere una stella di bosoni: la massa dell’oggetto è stata dedotta dalla velocità di rotazione del gas intorno ad esso e l’ombra è troppo grande per essere prodotta da una stella del bosone di quella massa.
Olivares e i suoi colleghi hanno l’intenzione di confrontare i risultati ottenuti con la loro ricerca con le future osservazioni dell’Event Horizon Telescope, che ha fornito la prima immagine di un buco nero.
E’ fondamentale, spiegano i ricercatori, capire se quello che si sta osservando sia effettivamente un buco nero supemassiccio, perché se così non fosse ci sarebbero alcuni problemi.
Certamente non vorrà dire che i buchi neri supermassicci non esistono, ma suggerirebbe che le stelle bosoniche sono reali e ciò avrebbe enormi implicazioni per tutti gli aspetti teorici che vanno dall’inflazione dell’Universo primordiale alla ricerca della materia oscura.
La crescita dei buchi neri supermassicci non è ancora ben compresa e se si scopre che almeno alcuni dei candidati sono in realtà stelle bosoniche, dovremmo pensare a diversi meccanismi di formazione che coinvolgono i campi scalari“- ha concluso Olivares.
Lo studio è stato pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

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