Erich Von Daniken, con il suo libro più popolare intitolato: “Chariots of the Gods”, (I carri degli Dei) vendette oltre quaranta milioni di copie. Il libro presentava le sue teorie secondo cui la Terra fu visitata dagli extraterrestri tra i 10.000 e i 40.000 anni fa.
Mentre gli alieni erano sulla Terra, suggerisce lo scrittore, costruirono le grandi piramidi in Egitto, le linee di Nazca che possono essere viste ancora oggi in Perù e manipolato i primi ominidi per creare una nuova forma di vita, l’Homo sapiens.
Secondo Von Daniken le prove sarebbero nelle innumerevoli leggende raccontate nelle culture di tutto il mondo che narrano di divinità alate o macchine volanti. Queste leggende, secondo lo scrittore, sarebbero state ispirate non da fantasie ma da visitatori alieni del passato, il cui ricordo è rimasto stampato nelle nostre culture ancestrali a causa della loro tecnologia avanzata che portò i nostri primitivi ed impauriti antenati a vederli come divinità.
Secondo Von Daniken tutte le stranezze archeologiche in giro per il mondo indicherebbero senza tema di smentita la presenza, nel nostro passato, di una specie aliena che ha dominato il mondo creando gli esseri umani.
Egli pensava che gli egiziani non avrebbero potuto costruire la grande piramide di Cheope senza l’accesso a tecnologie avanzate e infatti, afferma inoltre, non è una coincidenza che la sua altezza, moltiplicata per 1.000.000, corrisponda alla distanza tra la Terra e il Sole. Afferma anche che le famose linee misteriose nella piana di Nazca in Perù siano una pista di atterraggio tracciata dagli alieni e che quei disegni sarebbero realizzabili solo se tracciati osservando e misurando il terreno dall’alto, cioè con una macchina volante.
Per quanto intrigante possa sembrare l’idea degli antichi astronauti, le “prove” di Von Daniken non sono affatto convincenti se esaminate attentamente. L’altezza della grande piramide non è un milionesimo della distanza tra la Terra ed il sole. Gli archeologi hanno trovato prove che per costruire i monumenti dell’antico Egitto sono state utilizzate semplici tecniche come chiatte, slitte e rampe di terra.
Le linee rette, come quelle che si trovano a Nazca, possono essere tracciate semplicemente piantando due bastoni in terra, usandoli per allinearne un terzo e poi ripetendo il modello per qualsiasi distanza si voglia.
Per quanto riguarda le sue teorie sul fatto che gli astronauti si sono accoppiati con esseri umani, sembra improbabile che i visitatori dello spazio siano così biologicamente vicini a noi esseri umani, o agli ominidi nostri antenati, da potersi incrociare e anche l’ipotesi dell’ingegneria genetica suscita perplessità: perché farlo? Perché effettuare un esperimento di questa portata e poi abbandonarlo a se stesso?
Inoltre, la mappatura del DNA sembra suggerire che tutti gli esseri umani vivi oggi possano far risalire i loro antenati ad alcuni piccoli gruppi di ominidi che vissero in Africa alcune centinaia di migliaia di anni fa (giusto notare che questa informazione non era disponibile quando Von Daniken scrisse i suoi libri).
Naturalmente non possiamo escludere del tutto che la Terra sia stata visitata dagli extraterrestri in un passato lontano, ma è improbabile che un fatto del genere possa essere accaduto e soprattutto non possiamo accettare affermazioni fatte da Von Daniken o da altri senza alcuna prova.
Von Daniken non è stato l’unico a suggerire che la Terra sia stata esplorata da antichi visitatori.
Tra le presunte prove delle visite aliene in un lontano passato alcuni appassionati seguaci di von Daniken inseriscono anche le statuette Dogu ritrovate in Giappone e di cui abbiamo già parlato in un altro articolo, queste statuette avrebbero evidenti caratteristiche che fanno pensare ad una tuta spaziale.
Le caratteristiche “astronautiche” delle statuette dogū sono descritte come «molteplici ed evidenti»:
1) un casco munito di una visiera sagomata per schermare il passaggio della luce solare;
2) un filtro per la respirazione all’altezza della bocca;
3) un collare di collegamento tra il casco e la tuta;
4) piccole tenaglie manipolatrici montate su teste snodate, al posto delle mani;
5) valvole di raccordo per tubi disposte sul petto della tuta.
Uomini del neolitico non avrebbero di certo potuto immaginare e mettere insieme una tale mole di dettagli tecnologici di tute spaziali, se non li avessero osservati direttamente e da vicino.
L’ipotesi che i dogū rappresentassero antichi astronauti fu resa celebre da autori russi come Alexander Kazantsev e Vjaceslav Zajtsev negli anni Sessanta, come riferisce il sito del CICAP, ma i viaggi spaziali dell’antichità sono al centro di un intero filone della fantarcheologia, chiamato appunto degli “antichi astronauti”. Un esempio simile a quello delle statuette dogū, ma molto più conosciuto, è il cosiddetto “astronauta di Palenque”, un bassorilievo Maya che mostrerebbe un astronauta nell’atto di guidare la sua navicella spaziale, con tanto di comandi e motore.
Tra gli altri, da ricordare Robert Temple scrisse un libro intitolato The Sirius Mystery su una tribù africana chiamata Dogon e le loro credenze sugli astronauti chiamati Nommos, ma anche questa è una storia che già conosciamo.