L’immagine iconica dell’evoluzione è sbagliata

L'evoluzione non è una marcia inarrestabile verso la complessità, molti rami dell'albero della vita hanno portato allo sviluppo di esseri viventi molto semplici come i batteri, altri come i parassiti hanno invece ridotto la loro complessità eppure, questi due rami prosperano indisturbati e, ancora oggi, occupando moltissime nicchie ecologiche.

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L’evoluzione ci racconta come gli esseri viventi sul nostro pianeta sono cambiati adattandosi all’ambiente. Sarebbe facile pensare che l’evoluzione funzioni aggiungendo continuamente funzionalità agli organismi, aumentandone costantemente la complessità.
Alcuni pesci si sono evoluti sviluppando gli arti per camminare sulla terra. Alcuni dinosauri si sono evoluti sviluppando le ali e hanno iniziato a volare. Altri animali hanno sviluppato una placenta e hanno iniziato a partorire i piccoli invece che a deporre uova.
Tutte queste asserzioni sono però idee sbagliate che nonostante tutto continuano a circolare. L’evoluzione infatti non è una marcia inarrestabile verso la complessità, molti rami dell’albero della vita hanno portato allo sviluppo di esseri viventi molto semplici come i batteri, altri come i parassiti hanno invece ridotto la loro complessità eppure, questi due rami prosperano indisturbati e, ancora oggi, occupando moltissime nicchie ecologiche.
Su Nature Ecology and Evolution è stato pubblicato uno studio dove vengono confrontati i genomi completi di oltre 100 organismi quasi tutti appartenenti al regno animale per studiarne l’evoluzione.
Il risultati sono sconvolgenti e indicano che l’origine di grandi gruppi di animali, esseri umani compresi, è legata alla perdita di materiale genetico e non alla sua aggiunta.
Il biologo evoluzionista Stephen Jay Gould è stato uno dei più forti oppositori della “marcia del progresso“, l’idea che l’evoluzione si traduce sempre in una maggiore complessità. Nel suo libro Full House (1996), Gould usa il modello della passeggiata degli ubriachi.
Un ubriacone lascia un bar in una stazione ferroviaria e goffamente cammina avanti e indietro sulla piattaforma, oscillando tra il bar e i binari del treno. Dato un tempo sufficiente, l’ubriacone cadrà nei binari e rimarrà bloccato.
La piattaforma rappresenta la scala di complessità, il pub è la complessità più bassa i binari il massimo. La vita è emersa uscendo dal pub, con la minima complessità possibile.
A volte inciampa casualmente verso i binari (evolvendosi in modo da aumentare la complessità) e altre volte verso il pub (riducendo la complessità).
Nessuna opzione è migliore dell’altra. Rimanere semplici o ridurre la complessità può essere migliore per la sopravvivenza che evolvere con una maggiore complessità, a seconda dell’ambiente in cui si cerca di prosperare.
Ma in alcuni casi, gruppi di animali sviluppano caratteristiche complesse che sono intrinseche al modo in cui funzionano i loro corpi e non possono più perdere quei geni per diventare più semplici rimangono quindi bloccati nei “binari del treno”.
Un esempio, gli organismi multicellulari raramente tornano a diventare unicellulari.
Concentrarsi solo sugli organismi intrappolati nei “binari del treno”, distorce la percezione della vita facendo sembrare l’evoluzione una linea retta che si evolve da uno stato semplice a uno stato complesso, credendo erroneamente che le forme di vita più vecchie siano sempre semplici e quelle nuove siano sempre più complesse. In realtà il percorso verso la complessità è più tortuoso.
Jordi Paps, Cristina Guijarro-Clarke, insieme a Peter Holland dell’Università di Oxford, hanno studiato come la complessità genetica si è evoluta negli animali dimostrando che l’aggiunta di nuovi geni era la chiave della prima evoluzione del regno animale. La domanda seguente è stata: Cosa è avvenuto nell’evoluzione successiva?
La maggior parte degli animali può essere raggruppata in grandi lignaggi evolutivi, rami dell’albero della vita che mostrano come gli animali che vediamo oggi si siano evoluti da una serie di antenati comuni.
Il team ha studiato ogni lignaggio animale per il quale era disponibile una sequenza genomica e molti lignaggi non animali con cui confrontarli.
Una discendenza animale è quella dei deuterostomi, che comprende umani e altri vertebrati, nonché stelle marine o ricci di mare. Un altro sono gli ecdisozoi, che comprendono gli artropodi (insetti, aragoste, ragni, millepiedi) e altri animali come i nematodi.
I vertebrati e gli insetti sono considerati alcuni degli animali più complessi. Infine, abbiamo un lignaggio, i lophotrochozoans, che include animali come molluschi (lumache, per esempio) o anellidi (lombrichi), tra molti altri.
Il team ha preso questa variegata selezione di organismi e ha cercato di osservare come fossero correlati all’albero della vita e quali geni condividessero e non condividessero. Il team ha dedotto che se un gene era presente in un ramo più vecchio dell’albero e non in un ramo più giovane, questo gene era andato perso.
Se un gene non era presente nei rami più vecchi ma appariva in un ramo più giovane, il team lo considera un nuovo gene che era stato acquisito nel ramo più giovane.
I risultati hanno mostrato un grande numero di geni persi e acquisiti, cosa mai registrata nelle analisi precedenti. Due dei principali lignaggi, i deuterostomi (dove sono compresi gli esseri umani) e gli ecdisozoi (che comprendono gli insetti), hanno mostrato il maggior numero di perdite geniche.
Al contrario, i lophotrochozoans mostrano un equilibrio tra nuovi geni acquisiti e geni persi. I risultati ottenuti dal team confermano il quadro fornito da Stephen Jay Gould dimostrando che, a livello genico, la vita animale è emersa lasciando il “pub” e facendo un grande salto in termini di complessità.
Ma dopo l’entusiasmo iniziale, alcuni lignaggi si sono riavvicinati al “pub” perdendo geni, mentre altri lignaggi si sono spostati verso le rotaie acquisendo nuovi geni.
Il team considera questo il perfetto riassunto dell’evoluzione.count
Jordi Paps, Docente, Facoltà di Scienze Biologiche, Università di Bristol, Università di Bristol e Cristina Guijarro-Clarke, PhD Candidate in Evolution, University of Essex.
Questo articolo è stato ripubblicato da The Conversation con una licenza Creative Commons.

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