Le origini delle dita

Dal fossile di un pesce vissuto 375 milioni di anni fa una svolta nel mistero di come gli arti si sono evoluti dalle pinne

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Con le mani facciamo tutto:  costruiamo e forgiamo edifici ed utensili, scriviamo, suoniamo, combattiamo, facciamo l’amore. E’ probabilmente una delle parti più importanti del corpo umano. Eppure le sue lontane origini evoluzionistiche sono ancora piuttosto nebulose.

La struttura di base delle nostre mani è molto simile a quella degli altri animali, lo intuì per primo Darwin già nel 1859, sottolineandone le somiglianze ne “Le origini della specie”. La spiegazione che il grande naturalista, antropologo e biologo britannico propose era che animali molto diversi tra loro (e dall’uomo) condividono la stessa configurazione di base delle “mani” perché si sono evoluti da un unico antenato comune dotato di arti completi di dita.

L’intuizione di Darwin è stata confermata nel corso degli ultimi 160 anni da ricerche e scoperte da parte dei biologi evolutivi. Il loro lavoro ha confermato l’ascendenza comune dei tetrapodi che si sono evoluti dai pesci dimostrando che le ossa che formano la mano umana si ritrovano anche negli uccelli, nelle rane e nelle balene.

Per individuare però il momento in cui la mano ed il polso sono emersi dai processi evolutivi si è dovuto attendere circa 150 anni, quando è stato scoperto un fossile completo di un pesce vissuto 375 milioni di anni faElpistotege watsoni. Nelle pinne il fossile presenta ossa molto simili a quelle che formano le nostre dita confermando così che l’evoluzione aveva formato le falangi prima ancora che i vertebrati uscissero dall’acqua.

La scoperta di questo fossile integro e completo ha permesso di avanzare una teoria diversa per quanto riguarda l’evoluzione delle dita e l’origine della struttura della mano nei vertebrati, una struttura che si trova nelle oltre 33.800 specie di tetrapodi esistenti, compresi gli uomini.



Il fossile completo che ha permesso questa nuova prospettiva evoluzionistica è stato scoperto nel tardo pomeriggio del 4 agosto 2010 dalla guardia forestale e naturalista Benoit Cantin, sulla spiaggia, ai piedi delle scogliere, a meno di 250 metri dal Museo del parco, nel Quebec.

Lo scheletro fu sottoposto ad una TAC che mostrò che l’esemplare era davvero completo. I ricercatori poi eseguirono una nuova TAC con un dispositivo che assicurava una migliore risoluzione trasportando l’Epilstotege per 3900 chilometri verso sud, fino all’Università del Texas di Austin che aveva il “macchinario” giusto.

Dopo la nuova scansione, Cantin e gli altri scienziati iniziarono la meticolosa opera di rimozione della roccia di cui era avvolto il fossile. Lo stesso lavoro venne fatto in parallelo su una simulazione al computer. Dopo alcuni mesi l’esemplare emerse perfettamente sia nella realtà che nella simulazione computerizzata.

Le pinne pettorali suscitarono un particolare entusiasmo perché erano evidenti ossa aggiuntive non presenti nei fossili incompleti della stessa specie fino ad allora disponibili. Nel 2014 grazie anche alla collaborazione di John A.Long, paleontologo alla Flinders University, in Australia, studiando diversi metodi per elaborare le immagini catturate con le TAC si riuscì ad isolare digitalmente ogni singolo osso per studiarlo.

I risultati preliminari non soltanto confermarono la presenza di queste ossa aggiuntive ma stabilirono che erano ossa piccole e molto vicine le une con le altre. Il sospetto era che queste ossa nascoste nella pinna pettorale di un antico pesce fossero in realtà delle falangi simili a quelle presenti nella dita dei tetrapodi. Effettuando poi un’analisi filogenetica di 202 caratteristiche in 43 specie si scoprì che l’Epilstotege era strettamente imparentato con il gruppo corona dei tetrapodi (quello che comprende gli animali con 4 arti e il loro ultimo antenato comune).

In questo modo è stato possibile ricostruire l’origine dello schema basilare per le mani dei tetrapodi, esseri umani inclusi. Questo primo scheletro completo ed integro di questo pesce vissuto circa 375 milioni di anni fa sarà soggetto ancora per molto tempo di studi e ricerche per risolvere definitivamente il mistero di come gli arti si siano evoluti dalle pinne e di conseguenza di come i vertebrati poterono partire alla conquista della terraferma.

fonte: Le Scienze, agosto 2020, edizione cartacea.

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