La strage di Vetriolo

L'Italia dell'immediato dopoguerra era un paese in cui le armi circolavano abbondantemente e la violenza era ancora una componente forte della società. In questo contesto matura la strage di Vetriolo

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L’Italia dell’immediato dopoguerra è un paese dove le armi circolano abbondantemente  e le propaggini della violenza dell’ultimo conflitto segnano ancora le menti e le azioni di molti. E’ in questo contesto che si inserisce la strage di Vetriolo, una piccola frazione montana, non troppo distante da Trento.
Siamo nel 1946. Periferia di Vetriolo. In una radura boscosa sorge l’albergo Miramonti, che all’epoca dei fatti era gestito dal proprietario Adolfo Garollo di 57 anni che era stato ufficiale dell’esercito austroungarico e dai suoi familiari: la moglie Antonia Garollo di 51 anni e i figli Adelia di 25 e Aldo di 20.
A poche decine di metri c’è un altro albergo, l’Avvenire, gestito dalla vedova Giulia Toller di 53 anni e dai suoi figli Narciso e Sergio Avancini di 26 e 18 anni.
Pochi minuti prima delle 19 di  lunedì 9 dicembre, a circa un chilometro di distanza, Luigi Galvan, uno studente fidanzato con Adelia Garollo, viene richiamato dalle grida di Aldo Garollo. Quest’ultimo informa Luigi che pochi minuti prima, un gruppo di sconosciuti si è introdotto nell’albergo uccidendo i genitori e ferendo gravemente la sorella.
Lui, armatosi di pistola, era sceso di corsa e si era dato all’inseguimento dei misteriosi assassini, senza successo. Così Luigi, Aldo ed un amico corrono verso il luogo del delitto, ma prima si fermano davanti all’albergo Avvenire, per richiamare l’attenzione degli Avancini, buoni amici di famiglia. Un silenzio assordante risponde ai richiami dei giovani che entrati nell’albergo, trovano altri tre cadaveri, quelli dei due fratelli Avancini e della madre.
La notizia terrorizza il piccolo paese  memore di un’altra strage avvenuta tre mesi prima in una casa a Sant’Orsola, nell’adiacente valle dei Mocheni. Due coniugi erano stati uccisi a scopo di rapina. Il timore che una banda di rapinatori violenta e pronta a tutto,  imperversi nella zona prende corpo.
Interrogata dagli inquirenti, la sorella di Aldo, l’unica superstite del massacro, conferma la versione del fratello. C’è qualcosa però che non convince gli investigatori, qualcosa che non quadra. Una strana impronta degli scarponi chiodati di Aldo Garollo sulla neve gelata caduta sul balcone del Miramonti pare inspiegabile.
Così come è molto strano che il giovane invece di chiedere aiuto subito ai vicini dell’albergo Avvenire sia corso nella direzione opposta dove risiedeva il fidanzato della sorella. Inoltre la sua calma, quasi glaciale, mal si confà ad un giovane che ha visto i genitori barbaramente assassinati.
Questi dubbi però sarebbero rimasti tali se un singolare colpo di fortuna non avesse messo gli inquirenti di fronte ad una svolta decisiva nelle indagini. Ripercorriamo questa incredibile vicenda nella cronaca di un articolo de L’Espresso dell’ottobre 1948: “Nessuno pensava ancora che fosse lui l’autore della strage; ma si faceva strada il sospetto di una reticenza interessata. Così il questore di Trento ordinò che lo accompagnassero a Levico per un interrogatorio. Il commissario di polizia Moretti lo prese a braccetto e lo accompagnò fuori dall’albergo. In quel momento era arrivato un plotone di carabinieri, reduce da una delle battute nei boschi. I militari erano schierati su due file, con il mitra al piede, ed aspettavano l’autocarro che doveva riportarli in caserma. Come uscì dall’albergo e si trovò di fronte al plotone armato, Garollo si aggrappò al funzionario di polizia e urlò «Non fucilatemi». Allora un carabiniere finse di essere appena arrivato da Trento e disse ad alta voce: «Adelia è morta, ma prima di morire ha fatto il nome dell’assassino. Adesso arriva il procuratore». A questo punto Aldo Garollo crollò dicendo: «Sono stato io. Confesserò tutto»
L’inopinata confessione del giovane svela le ragioni di una così efferata strage. Il motivo era da ricercarsi in un’aspra discussione avuta con il padre il 9 dicembre in seguito ad una rivelazione fatta all’uomo da Sergio Avancini su un episodio malavitoso che aveva visto protagonista lui e Aldo Garollo, durante i giorni della Liberazione.
Così Aldo aveva deciso di vendicarsi dell’ex amico e del padre che nel corso del litigio gli aveva intimato di andarsene. Uccisi gli Avancini e la loro madre, Garollo aveva poi massacrato i genitori e colpito la sorella, che pur ferita non aveva perso conoscenza e aveva visto in faccia il fratello. Quando questi entrò nella cucina, la ragazza gli giurò che l’avrebbe scagionato, dando la colpa di tutto a un ignoto aggressore.
Aldo risparmierà così la sorella dimostrando una clemenza incomprensibile per un individuo che da poco aveva freddato i propri genitori ed altre tre persone. Una prima perizia psichiatrica condotta nel 1947 stabilì che l’imputato era semi infermo di mente.
La strategia degli avvocati difensori si basò tutta su questa perizia, ma il processo che si aprirà lunedì 13 dicembre 1948 in Corte d’Assise a Trento fu rapidissimo. Dopo due sole udienze, il 18 dicembre, Garollo fu condannato al massimo della pena. Aldo scampò la pena di morte che era stata abolita l’anno precedente e si beccò l’ergastolo.
L’iter giudiziario era tutt’altro che finito e si concluderà definitivamente con il pronunciamento della Corte di Cassazione nel 1965. Garollo in carcere tenne una condotta esemplare e dieci anni dopo, il 30 dicembre 1975, riacquistò la libertà.
Tornò a vivere a Levico, teatro dei suoi atroci delitti e si sposò due volte, la prima moglie morì poco dopo il matrimonio. Aldo Garollo morirà nel 1998.

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