La “notte” del sonno REM

E' il 1951 quando un giovane ricercatore ostinato scopre definitivamente che il cervello non si "spegne" quando dormiamo

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Il 1951 è un anno terribile per Eugene Aserinsky uno psicologo dell’Università di Chicago. I suoi studi di post dottorato languiscono. Aserinsky si occupa dei movimenti oculari dei neonati addormentati, un tema di ricerca che riscuote pochissimo interesse tra gli accademici del settore. All’epoca la maggior parte degli scienziati e dei ricercatori credeva che il cervello si “spegnesse” una volta che la persona cadeva addormentata.

Eugene ha gravi problemi economici, vive in uno squallido, gelido e piccolo appartamento con sua moglie ed il figlio e fatica ad arrivare alla fine del mese. A stento riesce a comprare la carta per la scalcinata macchina per scrivere con cui batte le sue relazioni.

Nonostante la frustrazione per il generale disinteresse sulle sue ricerche, l’assenza di finanziamenti ed i gravi problemi economici, Aserinsky era una persona determinata e soprattutto era convinto che questa teoria del “cervello spento” fosse troppo rinunciataria.

Un giorno, in uno scantinato trova un vecchio macchinario per la misurazione delle onde cerebrali (elettroencefalografo). Lo portò nel suo laboratorio e riuscì a metterlo in funzione. La mancanza di finanziamenti però impediva a Eugene di pagare dei volontari per effettuare gli esperimenti necessari ai suoi studi. Lo psicologo pensò di risolvere il problema utilizzando come “cavia” suo figlio Armond, che all’epoca aveva 8 anni.

In una gelida notte del dicembre 1951, allestì un letto nel laboratorio e dopo aver fatto coricare il figlioletto lo collegò con i sensori all’elettroencefalografo. Poi quando il bambino si addormentò, si ritirò nel suo piccolo ufficio accanto iniziando a monitorare le oscillazioni della penna del macchinario. Per quaranta minuti non successe niente e Eugene iniziò a vacillare nelle sue convinzioni. Dopo altri venti minuti però i sensori iniziarono a registrare un’intensa attività cerebrale.

Eugene pensò che il bambino stava svegliandosi ma quando aprì la porta del laboratorio si accorse che Armond dormiva della grossa. Lo psicologo controllò le apparecchiature per verificare se ci fosse un difetto di funzionamento ma tutto sembrava in ordine. Il giorno dopo mostrò i risultati al suo superiore Nathaniel Kleitman, colui che viene considerato il padre della ricerca sul sonno.

Kleitman gli chiese di verificare ancora una volta il funzionamento dello strumento e l’esattezza dei dati. Qualche altra nottata con il figlioletto e Aserinsky fu certo che i dati erano esatti: per qualche ragione misteriosa dopo un certo tempo il cervello di una persona addormentata entrava in una fase di grande attività cerebrale.

Altri studi dimostrarono come questa attività fosse accompagnata da rapidi movimenti oculari che Aserinsky chiamò REM, un acronimo per rapid eye movements. Eugene poi notò che ogni volta che svegliava un partecipante durante una fase REM questi era immerso in un sogno. Nel settembre del 1953 Aserinsky ed il suo coordinatore Kleitman pubblicarono un articolo destinato a diventare un classico sull’argomento.

Aserinsky aveva aperto un nuovo filone di ricerca ma stranamente lui non proseguì il percorso che aveva iniziato, lasciò l’università di Chicago poco dopo la sua scoperta per dedicarsi a studiare gli effetti delle correnti elettriche sui salmoni.