La decifrazione dei geroglifici egizi

Il ritrovamento della Stele di Rosetta nel 1709 costituirà l'occasione per la decifrazione dei geroglifici egizi. Ecco in poche righe la sua storia.

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Siamo nel 1799, un anno dopo lo sbarco ad Alessandria d’Egitto dell’Armata d’Oriente al comando di Napoleone Bonaparte, per quell’insieme di operazioni militari tra l’Egitto e la Siria che doveva portare all’occupazione del Medio Oriente e che si protrassero fino al 1801. La spedizione napoleonica ha una singolarità unica per l’epoca, ovvero quella di avere al seguito un corposo contingente di scienziati, artisti, tecnici ed intellettuali, oltre 150 studiosi, quasi tutti appartenenti alla Commission des Sciences et des Arts  guidati da Joseph Fourier.
Il loro compito era quello di studiare e mappare l’intero paese compresi i monumenti dell’antica civiltà egizia. Un giorno le truppe francesi si trovavano nei pressi di Rosetta intenti a scavare una trincea o erigere un forte (ci sono versioni contrastanti su questo punto). Durante i lavori rinvennero un’iscrizione che si rivelò risalire al 196 a.e.v. Era stata redatta per celebrare Tolomeo V, un faraone egizio piuttosto anonimo. Il ritrovamento di quella stele è di importanza cruciale, perché il testo dell’iscrizione è inciso in tre alfabeti diversi. In alto vi è il geroglifico; in mezzo, lo stesso testo è riportato in demotico, sostanzialmente una scrittura egizia corsiva; la parte bassa della stele, infine, presenta nuovamente la medesima iscrizione, ma questa volta in greco.
E sarà grazie soprattutto alla chiave fornita dal testo in greco che un brillante egittologo ed archeologo francese Jean-François Champollion, utilizzando la sua conoscenza della lingua copta,  una forma tarda della lingua egizia utilizzata nella stele e scritta foneticamente usando l’alfabeto greco, che riuscirà molti anni dopo il ritrovamento a fornire una traduzione completa dell’alfabeto geroglifico.
Champollion non fu l’unico studioso a occuparsene: il linguista britannico Thomas Young fu molto vicino a battere sul tempo il francese, ma fu quest’ultimo a vedersi attribuito ogni merito nel 1823, a soli ventiquattro anni dal ritrovamento della stele. Si trattò di un’autentica impresa perché i settecento o ottocento segni della stele di Rosetta erano leggibili in direzioni diverse, ma erano sempre coerenti, ovvero le figure rappresentate erano rivolte sempre verso l’inizio della riga. Inoltre, i simboli avevano varie letture possibili.
Ad esempio, uno stesso geroglifico poteva essere un logogramma e indicare l’oggetto rappresentato, come un uccello o un toro; oppure indicare un unico suono, come la prima lettera della parola che designava l’oggetto; o invece essere un segno sillabico che rappresentava una combinazione di consonanti; o ancora fungeva da elemento che specificava in che modo andasse letta la parola successiva.
La complessità della scrittura egizia aiuta a capire il grande credito sociale e politico goduto della casta degli scribi, le uniche persone dell’Antico Egitto in grado di leggere e scrivere. Si stima che soltanto l’1% della popolazione governata dal Faraone sapesse padroneggiare la scrittura e la lettura e molto spesso gli stessi sovrani erano, anch’essi analfabeti.
Molte delle iscrizioni di cui disponiamo si sono conservate perché incise nella pietra, sulle mura dei templi e di altri edifici, ma gli egizi scrivevano più frequentemente su fogli di papiro, materiale ricavato da fusti appiattiti di piante che crescevano sulle rive del Nilo. Molti rotoli di papiro sono arrivati fino a noi grazie al clima asciutto egiziano che ha permesso di superare le inevitabili offese del tempo.
Una volta decifrata la scrittura egizia per gli storici fu molto più semplice ricostruire la storia di questa millenaria civiltà.
E la Stele di Rosetta? La sua storia è singolare e travagliata, frutto di un’epoca di grandi rivolgimenti politici e militari. La sconfitta nel 1801 del corpo di spedizione francese che Bonaparte aveva lasciato agli ordini di Kleber per rientrare in Francia dove era in corso la guerra della Seconda Coalizione, aprì una controversia tra gli inglesi ed il generale Jacques François Menou che era subentrato al comando del Corpo di Spedizione francese dopo la morte di Kleber.
Gli inglesi consideravano le opere d’arte ed i ritrovamenti archeologici loro bottino di guerra. Il generale francese Menou cercò allora di occultare la stele tra i suoi effetti personali, accuratamente coperta, nonostante gli accordi, ma venne scoperto e dovette alla fine consegnarla ai vincitori inglesi dopo lunghe e complicate trattative.
Ai Francesi venne concesso di tenere i disegni e le annotazioni che avevano fatto prima di imbarcarsi ad Alessandria e che formarono l’opera in 24 volumi chiamata Description de l’Égypte.
Al ritorno in Inghilterra, la stele fu esposta al British Museum, dove viene custodita dal 1802. A nulla sono valse le richieste delle autorità egiziane fatte nel 2003 per una restituzione dell’opera, nel Museo Egizio del Cairo è esposta una sua copia.