I paesaggi di tutto il mondo sono sempre più colpiti dalla rapida urbanizzazione, dalla deforestazione e da sviluppi simili guidati dall’attività umana. Finora, la raccolta dei dati si è concentrata in gran parte sulla misurazione delle proprietà del terreno, come l’agricoltura, l’urbanizzazione, le foreste, i raccolti o l’elevazione.
Gli altri impatti causati dagli esseri umani sono solitamente raggruppati in categorie come la densità di popolazione o la distanza dagli insediamenti o dalle strade. I ricercatori propongono che non è solo la presenza, l’assenza o il numero di persone, ma ciò che le persone stanno effettivamente facendo a influenzare il movimento della fauna selvatica.
In effetti, una serie di fattori psicologici e socioeconomici possono svolgere un ruolo nella “resistenza antropica“. Alcuni esempi di questi fattori includono la caccia, il bracconaggio o l’alimentazione supplementare.
La resistenza antropica influisce sulla vita della fauna selvatica
Per il loro studio, i ricercatori hanno esaminato in dettaglio tre casi di studio: lupi nello Stato di Washington; leopardi in Iran; e grandi carnivori nell’India centrale.
Lo stesso concetto può essere applicato ad altre specie: ad esempio la lince eurasiatica, che stanno tornando ai loro areali storici; o i caprioli che utilizzano i terreni coltivati sia come riparo che come cibo ma ne riducono la presenza durante la stagione venatoria.
In alcune parti del mondo, le credenze culturali e religiose possono portare alla tolleranza dei grandi carnivori, come tigri e leoni, nonostante le notevoli perdite di bestiame e le minacce alla vita umana. I ricercatori hanno considerato gli effetti di credenze, valori e tradizioni sulla fauna selvatica in diverse aree.
Gli autori affermano che queste differenze sfumate nel comportamento umano determinano fortemente dove la fauna selvatica può muoversi e persistere in un paesaggio.
Il professor Niko Balkenhol, di Wildlife Sciences presso l’Università di Göttingen, spiega: “La resistenza antropica è importante anche per il progetto BearConnect, che mira a comprendere i fattori che determinano la connettività nelle popolazioni europee dell’orso bruno“.
“Gli orsi sono in grado di muoversi attraverso enormi distanze, come mostra l’orso JJ1, meglio noto come “Bruno”, che ha viaggiato dalla regione italiana di Trento fino alla Baviera, dove è stato ucciso. È importante notare che, sebbene Bruno sia stato in grado di attraversare il paesaggio fisico, è stato fermato dalla severa “resistenza antropica” fornita dagli esseri umani che non potevano tollerare il suo comportamento“.
“Il nostro documento mostra che la ‘resistenza antropica’ è un pezzo importante del puzzle per la pianificazione della connettività per garantire la funzionalità dei corridoi per la fauna selvatica e le persone“, afferma la dott.ssa Trishna Dutta, autore senior dello studio, anche lei di Wildlife Sciences presso l’Università di Gottinga.
Dutta conclude dicendo: “Rivela che ci sono vantaggi per gli scienziati sociali e naturali nel collaborare alla comprensione degli effetti della” resistenza antropica “negli studi futuri“.