I terremoti in Italia e dintorni, cause e storia

Dal medioevo in avanti sono molti i terremoti registrati in Italia e nei territori circostanti. Ma perché tanti terremoti dalle nostre parti? E quali furono i più disastrosi?

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La litosfera mediterranea è sottoposta agli sforzi provocati dal movimento relativo della placca euroasiatica e della placca africana

È questa la ragione per cui l’Adriatico e l’Italia presentano un’attività sismica importante. Una situazione complessa, perché le caratteristiche di tale attività mostrano notevoli variazioni da una zona all’altra.

L’attività sismica si concentra soprattutto sulle Alpi orientali e lungo la catena appenninica, fino alla Sicilia. Solo la Sardegna e il Salento possono dirsi completamente asismiche. La magnitudo massima dei terremoti che storicamente hanno avuto origine nella regione italiana è circa 7.

Nel nostro Paese abbiamo un’attività sismica prevalentemente superficiale, cioè le sorgenti dei terremoti si trovano in genere nella crosta terrestre e a profondità dell’ordine dei 10 km: per questo anche eventi sismici con magnitudo non molto alta possono essere piuttosto pericolosi. Peraltro, sebbene la pericolosità sismica non raggiunge i livelli di altre regioni della Terra, la vulnerabilità e l’esposizione elevate contribuiscono a determinare un alto rischio sismico. Quindi se viviamo in una delle regioni classificate come sismiche, dobbiamo sapere che è un fatto abbastanza probabile quello di subire un terremoto di dimensioni medie (con magnitudo da 5 a 7), in grado di danneggiare gravemente le costruzioni che non siano state realizzate secondo criteri antisismici.

mappa sismica dell'Italia



Ecco le 7 regioni sismiche principali:

1) Le Alpi nord-orientali (Friuli): la regione settentrionale con i più grandi terremoti, con meccanismi di compressione, con direzione circa nord-sud
2) Le Alpi occidentali: meccanismi compressivi e trascorrenti; basse magnitudo
3) L’Appennino settentrionale: è molto complesso, con meccanismi di tutti i tipi (compressivi, distensivi, trascorrenti); le magnitudo sono basse, l’attività alquanto diffusa
4) L’Appennino centrale: attività diffusa, spesso a carattere di sciame; magnitudo fino a 6-6,5
5) L’Appennino meridionale: attività limitata a una fascia abbastanza ristretta (< 40 km); meccanismi distensivi e magnitudo fino a 6,5-7
6) L’Arco calabro: terremoti superficiali con magnitudo fino a 7. È l’unica regione italiana con terremoti intermedi e profondi, fino a 500 km, anche questi con magnitudo fino a 7
7) La Sicilia: rientra nell’attività della catena appenninica. La parte caratterizzata da maggiore pericolosità sismica è quella orientale, con magnitudo massima attorno a 7.

In particolare esiste una notevole attività nel tratto delle Alpi Marittime-Alpi Cozie, anche se con eventi in genere piccoli; più a nord, l’attività è molto debole e riprende nelle Alpi lombarde e nel Trentino, sparsa, ma mai intensa. Si ha una notevole frequenza di eventi sismici moderati nell’area del Garda e in buona parte del Veneto. Nel Friuli, le magnitudo possono essere invece elevate. La sismicità delle Alpi orientali è concentrata principalmente nelle aree pedemontane della Carnia e delle Alpi Giulie, anche di parte slovena, e si è manifestata spesso con forti eventi, come il terremoto del Friuli del 1976.

La catena appenninica, dalla Liguria all’Arco calabro-peloritano, è interessata da un’intensa e diffusa sismicità. Gran parte dei terremoti più forti dell’Italia settentrionale e centrale coincide con una fascia di depressioni tettoniche recenti allineate lungo la catena appenninica, che vanno dalla val di Magra al Mugello alla val Tiberina alla Val Nerina all’Aquilano al Fucino alla valle del Liri. Nella catena appenninica centro-meridionale si annoverano gli eventi sismici più forti mai registrati in Italia: nel corso degli ultimi cento anni, ricordiamo il terremoto di Avezzano del 1915, e quelli dell’Irpinia del 1930 e del 1980. La Calabria detiene il primato di una sismicità diffusa e al tempo stesso intensa. I forti terremoti sono stati numerosi negli ultimi secoli, i maggiori del Novecento nel 1905 e nel 1908 quest’ultimo distrusse Messina, Reggio Calabria e le regioni circostanti. In Sicilia inoltre i terremoti etnei hanno il carattere di sciame e raggiungono talvolta intensità distruttive, ma fortemente localizzate. La regione catanese-siracusana ha subito l’ultimo grande terremoto nel 1693 ed è una delle aree italiane a più elevata pericolosità. Anche la Sicilia occidentale non è esente da sismicità, come dimostra il terremoto del Belice del 1968.

Le fasce costiere lungo la catena appenninica presentano sismicità bassa o nulla. Una delle fasce tirreniche va dalla Versilia alla piana del Volturno ed è caratterizzata da scarsa sismicità, a esclusione delle aree vulcaniche, dove si ha un’attività frequente, a prevalente carattere di sciame. La sismicità legata alle regioni vulcaniche amiatina, vulsina, albana e flegrea è caratterizzata da ipocentri superficiali, magnitudo in genere inferiore a 4 e intensità storicamente non superiori all’VIII grado Mercalli. Un’altra fascia a bassissima sismicità corrisponde alla linea costiera e pedeappenninica adriatica, a sud di Ancona sino al Gargano. Vi sono poi alcune aree sismogenetiche isolate, decentrate rispetto all’Appennino, quali l’Anconetano e il Gargano.

I mari circostanti la penisola sono interessati da attività sismica nell’area ligure tra Imperia e la Corsica, nel canale di Sicilia e nel basso Adriatico, tra le Tremiti e il canale d’Otranto: l’attività, messa in luce dalla Sismologia strumentale, è di lieve entità. Nel basso Tirreno si registrano i terremoti più profondi (fino a 500 km) dell’area italiana, dovuti alla subduzione di litosfera oceanica sotto l’arco calabro.

La Sardegna geologicamente non fa parte dell’Italia, non ha partecipato ne all’orogenesi alpina e nemmeno a quella appenninica. L’isola è un pezzo antichissimo di storia della Terra risalente al paleozoico. Pertanto le forze di orogenesi attuali non la interessano più da milioni di anni.

Gli attuali movimenti tellurici sono causati da un processo geologico che dura da diverse centinaia di migliaia di anni: lo stiramento della crosta terrestre.

L’Appennino si sta allargando, dall’Adriatico al Tirreno. Lo vediamo dal gps. Le due parti si allontanano a una velocità media di circa 5 millimetri ogni anno. Questo è il motore, gli effetti sono i terremoti che colpiscono la nostra area, probabilmente legati alla rotazione della microplacca adriatica che spinge contro le Alpi e la parte meridionale di questa che ruota in senso antiorario. Siamo ancora nel campo delle ipotesi, questa è la più accreditata.

Il processo di deformazione è continuo. Facciamo un esempio: cinque millimetri all’anno comportano nell’arco di due secoli una deformazione di un metro. Le faglie, che sono un sistema ramificato e complesso tra la Calabria e la Pianura Padana, resistono a questo ‘stiramento’ perché hanno un loro attrito. Quando però l’allargamento ‘batte’ la resistenza, queste si spostano in pochi secondi dello spazio che non avevano coperto nei due secoli precedenti. Dalla lunghezza del pezzo di faglia che si sposta dipende la magnitudo del terremoto.

I terremoti avvengono nella parte più superficiale del nostro pianeta. Le rocce che formano la crosta e il mantello superiore subiscono continuamente giganteschi sforzi, che sono il risultato di lenti movimenti tra le grandi placche in cui è suddiviso lo strato più superficiale della Terra, come se fosse il guscio incrinato di un uovo.

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Le placche tettoniche e i loro movimenti.

Tali movimenti sono prodotti dai moti convettivi del mantello che spingono e trascinano le placche generando sforzi che sono massimi vicino ai confini tra le placche stesse, come per esempio in Italia e in generale in tutto il Mediterraneo, e minimi al loro interno, come succede nel Canada o nell’Africa centro-occidentale.

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Le placche tettoniche nel Bacino del Mediterraneo

L’Italia è situata al margine di convergenza tra due grandi placche, quella africana e quella euroasiatica. Il movimento relativo tra queste due placche causa

I terremoti del passato

Guardando la mappa dei terremoti italiani dall’anno 1000 al 2006 (http://emidius.mi.ingv.it/CPTI11/), è facile notare che i terremoti spesso avvengono in zone già colpite in passato. Gli eventi storici più forti si sono verificati in Sicilia, nelle Alpi orientali e lungo gli Appennini centro-meridionali, dall’Abruzzo alla Calabria. Ma ci sono stati terremoti importanti anche nell’Appennino centro-settentrionale e nel Gargano.

La sismicità dall’anno 1000 al 2006 (Dati: CPTI11, http://emidius.mi.ingv.it/CPTI11/).

La sismicità dall’anno 1000 al 2006 (Dati: CPTI11, http://emidius.mi.ingv.it/CPTI11/).

In particolare, dal 1900 ad oggi si sono verificati 30 terremoti molto forti (Mw≥5.8), alcuni dei quali sono stati catastrofici. Qui di seguito li riportiamo in ordine cronologico. Il più forte tra questi è il terremoto che nel 1908 distrusse Messina e Reggio Calabria.

I terremoti avvenuti in Italia dal 1900 ad oggi di magnitudo Mw≥5.8 (Dati: CPTI11, http://emidius.mi.ingv.it/CPTI11/).

I terremoti avvenuti in Italia dal 1900 ad oggi di magnitudo Mw≥5.8 (Dati: CPTI11, http://emidius.mi.ingv.it/CPTI11/).

Per conoscere l’impatto che i terremoti hanno avuto sul territorio è possibile consultare il Database Macrosismico Italiano 2011 che riporta i valori di intensità di quasi 1700 terremoti avvenuti in Italia dall’anno 1000 al 2006.

I terremoti recenti

Guardando la mappa degli ultimi 30 anni (1985-2014) di sismicità si nota che i terremoti recenti sono localizzati in aree distribuite principalmente lungo la fascia al di sotto degli Appennini, dell’arco Calabro e delle Alpi.

La sismicità dal 1985 al 2014. Sono mostrati i terremoti di magnitudo ML≥2.0 registrati dalla Rete Sismica Nazionale (Dati: Iside, http://iside.rm.ingv.it).

La sismicità dal 1985 al 2014. Sono mostrati i terremoti di magnitudo ML≥2.0 registrati dalla Rete Sismica Nazionale (Dati: Iside, http://iside.rm.ingv.it).

Negli ultimi 30 anni la Rete Sismica Nazionale ha registrato più di 190.000 eventi sismici in Italia e nei Paesi confinanti, la maggior parte dei quali non è stata avvertita dalla popolazione e sono 45 i terremoti che hanno avuto una magnitudo Richter ML pari o superiore a 5.0. I più forti terremoti di questo periodo sono avvenuti in Abruzzo il 6 aprile 2009, Mw =6.1, e in Emilia Romagna il 20 maggio 2012, Mw =5.8, (http://csi.rm.ingv.it/ e http://iside.rm.ingv.it).

I terremoti in Italia dal medioevo ad oggi

Un terremoto ogni undici anni. Di cui ben 46 “molto distruttivi”. Il Cnr ha calcolato che soltanto in Italia, dall’inizio del secolo XI fino alla fine del XV, ci furono 335 eventi sismici di una intensità compresa tra il quinto e l’undicesimo grado della scala Mercalli.

Nel 476, l’anno con il quale, in modo convenzionale, stabiliamo l’inizio del Medioevo, a Roma la caduta del grande impero d’occidente fu accompagnata da 40 giorni di scosse che stremarono la popolazione e distrussero una grande quantità di edifici e monumenti.

Eventi terribili che apparivano misteriosi, allora come oggi. Un manoscritto del XV secolo, il Corpus Codicum Astrologicorum Graecorum ammoniva: “Sognare il terremoto significa turbolenza universale”.
Il “terrae motu” era un incubo ricorrente nella vita quotidiana delle persone.

Ecco un elenco dei principali terremoti dal IV secolo agli inizi del XVI.

346 Due terremoti distinti: uno nell’area balcanica, l’altro nell’Italia centromeridionale. Tutti e due lo stesso anno. I cronisti dell’epoca, nei loro racconti, li unificarono. Ma nel Novecento i geofisici sono riusciti a ricostruire gli avvenimenti con sufficiente chiarezza.
La terra tremò in modo violentissimo nel nono anno del regno di Costanzo durante lo svolgimento di una olimpiade. Alla morte e alle distruzioni si aggiunse, subito dopo, una eclissi totale di sole (6 giugno 346). Alcune iscrizioni su lapidi risalenti alla metà del IV secolo, confermano che le maggiori devastazioni avvennero nella regione sannita. Il terremoto, fortissimo, colpì un’area molto vasta della penisola italiana: il basso Lazio, la Campania settentrionale (Telesia e Allifae), la piana di Navelli nell’Aquilano e il Molise (Aesernia, Saepinum), fino alla Puglia settentrionale. Le faglie si attivarono “a grappolo”, come spiega l’uso del plurale (“terrae motibus”) nell’iscrizione isernina di Autonio Iustiniano.
San Girolamo, nel suo “Chronicon” raccontò l’orrore di quei giorni nel quale Roma “fu scossa per tre giorni e tre notti”. Crollarono le mura e le case di molte città campane. Anche Durazzo, in Albania, vide distrutte quasi tutte le sue abitazioni. Le scosse più forti ebbero però il proprio epicentro nel Matese. Lo choc fu enorme. L’impero romano si pose il problema di come rispondere in fretta e in modo concreto alla disperazione della popolazione. L’intervento amministrativo venne concentrato sulle zone disastrate. Nacque così una nuova provincia romana, il Sannio (“Samnium”) che venne separata dalla Campania.

357 La terra tremò a lungo in una vasta area tra l’Asia Minore e la Macedonia e distrusse, fra molti altri centri, anche Nicodemia, (oggi İzmit) l’antica città dell’Anatolia ricca di templi, palazzi e impianti termali che fino alla nascita di Costantinopoli (330) era stata la residenza ufficiale dell’imperatore.
Le vittime del terremoto furono migliaia. Incalcolabili i danni. Qualche anno dopo, nel 362, l’imperatore Flavio Claudio Giuliano visitò una città ancora devastata. Lo storico Ammiano Marcellino, in quei tragici momenti, provò a dare basi scientifiche al fenomeno. Riprese le antiche teorie di Aristotele e Anassimandro per i quali durante il sisma l’aria e i venti scuotevano la terra dall’interno. Ma descrisse anche quattro precise tipologie di terremoto. Chiamò “ribollenti” i terremoti sussultori, capaci di sollevare la terra e far emergere isole dal mare. Definì “inclinanti” quelli ondulatori, “sprofondanti” quelli accompagnati dall’apertura delle voragini, capaci, a volte, di inghiottire interi paesi e “muggenti” quelli annunciati dal fragoroso rumore della terra.

362 Ricerche archeologiche, lapidi e epitaffi raccontano di un disastroso terremoto a cui seguì un maremoto. Messina, epicentro del sisma, e Reggio furono rase al suolo. Fu una ecatombe: la popolazione della Sicilia nord-orientale e della Calabria meridionale fu falcidiata dalle scosse. Interi paesi scomparvero. Tindari, costruita su un promontorio dei monti Nebrodi, subì gravi danni. Le terme pubbliche a Reggio vennero ricostruite dopo il terribile evento.

2 dicembre 362 Nicodemia, 5 anni dopo il sisma del 357, fu di nuovo distrutta dalla potenza delle scosse. Iniziò allora la decadenza della città. Ammiano Marcellino, nelle sue “Storie”, raccontò la visita dell’imperatore Flavio Claudio Giuliano “Quando vide che le sue mura erano sprofondate in un mucchio di cenere pietose, mostrò la sua angoscia con lacrime silenziose e si diresse verso il palazzo imperiale con passo lento: in particolare, pianse sullo stato miserabile della città…”.

21 luglio 365 Il primo terremoto “universale” ha una data precisa. L’epicentro, con ogni probabilità, fu poco a sud dell’isola di Creta. Alle fortissime scosse seguì un maremoto di gigantesche proporzioni. Le acque del Mediterraneo si ritirarono all’improvviso, lasciando le rive a secco. Poi le onde, altissime e mugghianti, tornarono a devastare le città, i paesi e i villaggi costruiti lungo le coste. Lo tsunami portò morte e desolazione ovunque, dalla Sicilia alla Palestina. La splendida Alessandria d’Egitto fu annichilita dalla forza dirompente delle acque. La catastrofe fu letta come una punizione divina. E molti scrittori cristiani la collegarono a Giuliano l’Apostata, che tentava di ripristinare il paganesimo.

 

21 luglio 369 Lo sciame sismico, che secondo altri autori avvenne nell’anno 375, colpì tutto il sud della penisola. Benevento venne rasa al suolo: caddero le sue 15 torri e morì la metà dei suoi abitanti. Simmaco, testimone degli eventi, nei suoi scritti elogiò la forza d’animo degli abitanti che avevano perso tutto ma che vollero subito ricostruire la loro città, per la quale anche molti mecenati investirono le loro sostanze private. Come del resto fece l’amministratore imperiale di Reggio Calabria: Ponzio Attico, “corrector Lucaniae et Brittiorum”: da commissario straordinario nominato d’urgenza dal potere centrale, ci tenne a far sapere ai posteri che aveva restaurato a dovere molti edifici pubblici della città.

371 All’epoca di Valentiniano I, un terremoto fortissimo seguito da un imponente sciame sismico devastò le coste dello stretto tra Reggio e Messina. Gran parte della popolazione abbandonò le città.

443 I “Fasti Vindobonenses Posteriores”, celebri annali medievali, ci informano dei gravi danni che subì Roma, colpita da un sisma di grande potenza che si abbatté, con ogni probabilità, in tutto il centro Italia: molte statue crollarono insieme ai portici del Teatro di Pompeo, a una navata della basilica di S. Paolo fuori le Mura e a alcuni pezzi del Colosseo.

6 novembre 472 Una eruzione del Vesuvio distrusse interi paesi. La pioggia delle ceneri, secondo i resoconti di Marcellino Comes e altri antichi scrittori, raggiunse anche Costantinopoli. Procopio scrisse che la polvere sputata dalle viscere del vulcano “oscurò tutta l’Europa”. Di certo non esagerava, visto che il terribile avvenimento è ricordato anche in un antico ufficio ed in un’omelia su S. Gennaro. Lo storico Alfano, nel 1924, elencò le principali eruzioni convalidate da fonti attendibili, registrate nell’arco dei secoli: 203, 472, 512, 685, 787, 968, 991, 999, 1007, 1037, 1139 e 1631.

476 Roma subì una serie di scosse che si protrassero per 6 settimane e che portarono gravi danni a molti edifici pubblici e abitazioni private.

484-508 Nei primi mesi del 484 un fortissimo terremoto colpì il territorio intorno ad Avezzano. Epicentro delle scosse fu un punto della faglia del Fucino, la stessa che secoli dopo, nel 1915, generò il terremoto che causò la morte di circa 30.000 persone. Alba Fucens, l’antica città sorta nelle terre degli Equi, fu distrutta.

21 maggio 526 Il terremoto di Antiochia, nel sud est della Turchia, uccise almeno 250.000 persone. Fu considerato uno dei più grandi disastri naturali della storia. Giovanni Malalas, Procopio di Cesarea e Giovanni da Efeso raccontarono nei particolari la tragedia che colpì una delle più grandi metropoli del mondo antico. Lo sciame sismico durò 18 mesi. Al terremoto seguì un terribile incendio che finì di distruggere tutti gli edifici che, in qualche modo, erano stati risparmiati dalle scosse. Il porto di Seleucia Pieria, sollevato quasi un metro da terra, diventò inagibile. La Domus Aurea, una grande chiesa a pianta ottagonale fatta costruire da Costantino I, fu distrutta. Solo poche case, costruite a ridosso delle montagne, si salvarono. Eufrasio, il patriarca della città, morì cadendo in un calderone viscoso usato dai fabbricanti di otri. Gli storici pensano che l’enorme numero di vittime dipese anche dal fatto che quel giorno, per festeggiare l’Ascensione, giunsero in città moltissimi abitanti delle campagne circostanti. Quando la notizia giunse a Costantinopoli, l’imperatore Giustino I, in segno di lutto, entrò in chiesa senza il suo diadema e il clamide. Subito dopo, ordinò che ingenti somme fossero destinate alla ricostruzione della città che sorgeva in una posizione strategica, all’incrocio delle strade che conducevano dall’Eufrate al Mediterraneo e dalla Siria all’Asia Minore. Ma molti grandi edifici, appena riedificati, grazie a un eccezionale sforzo collettivo, furono riabbattuti due anni dopo (novembre 528) da un altro terremoto che causò un numero molto minore di vittime.

29 aprile 801 Carlo Magno, insieme agli abitanti di Spoleto, visse ore drammatiche “all’ora seconda della notte”. Eginardo, segretario dell’imperatore, nella cronaca redatta per gli Annales, ci informa che il sovrano, quattro giorni prima, era partito alla volta della città ducale. I danni furono pesanti. Il sisma interessò anche Roma dove collassò la chiesa di Santa Petronilla e crollarono i tetti della chiesa di San Paolo apostolo. L’avvenimento è riportato anche nel “Liber pontificalis”, nella parte dedicata alla vita di papa Leone III.

847 Nel mese di giugno il ducato longobardo di Benevento (che comprendeva le attuali Campania e Molise) fu scosso da un terremoto di grande violenza. L’epicentro, con ogni probabilità, fu l’Alta valle del Volturno o la faglia delle Aquae Iuliae nel Venafrano. Leone Ostiense, riferisce che, per effetto del sisma, Isernia “fere tota a fundamentis corrueret”. L’impianto romano della città venne completamente distrutto. Le macerie erano così numerose che gli isernini le spianarono per poi ricostruire sopra di esse la città nuova. Anche oggi i resti dei templi sotto la cattedrale si trovano a circa tre metri di profondità rispetto all’attuale piano stradale. Il sisma fu avvertito anche a Montecassino e a Roma, dove furono registrati lievi danni anche al Colosseo. Il terremoto venne visto come una punizione divina. A questo proposito, la studiosa Emanuela Guidoboni ha scovato una storia curiosa tra le pagine di un manoscritto conservato nell’abbazia di Montecassino: “Nel mese di giugno ci fu un forte terremoto nella regione di Benevento, col risultato che Isernia fu ridotta in macerie e molta gente morì, incluso il vescovo. Quando la notizia giunse al generale Massar, poi identificato nel generale arabo Abu Ma’shar, che stava progettando un’incursione proprio su Isernia, egli disse: “Il Signore di tutte le cose è adirato con loro; dovrei forse io aggiungere la mia ira alla sua? Non andrò dunque in quel luogo”.

22 dicembre 856 Il fortissimo terremoto di Damghan, in Iran, ebbe effetti devastanti e produsse danni entro un raggio di 350 chilometri dall’epicentro. I morti furono forse 200.000: secondo lo United States Geological Survey, l’agenzia americana che studia la posizione e la magnitudo dei terremoti di tutto il mondo, fu il sesto della storia per numero di vittime. In quell’area geografica, nella zona montuosa a sud del Mar Caspio, si registra il 17% dei terremoti più potenti al mondo e il 6% delle scosse totali dovute a sismi registrate nel pianeta.

893 Due terremoti dagli effetti devastanti che fecero centinaia di migliaia di morti ma dei quali si conosce ancora poco. Per la scarsità delle fonti ma forse anche per l’errata interpretazione della parola araba Dvin, che indica una località dell’Armenia: nella traduzione persiana diventò Dabil e indicò Ardabil, una città dell’Iran a maggioranza azera, soggetta a frequenti terremoti.
Così Ibn al-Jawzi e altri cronisti arabi e armeni raccontano di un terremoto nel dicembre 893 a Dvin che fece 150.000 morti. Nel XIV secolo, lo storico Ibn Kathir collocò però le forti scosse ad Arbadil, come confermano anche i resoconti, nel secolo successivo, dello storico al-Suyuti. La data di questo fortissimo evento sismico dovrebbe essere il mese di marzo dell’anno 893.

25 ottobre 990 Un sisma interessò il Sannio e l’Irpinia, con l’epicentro nei dintorni di Carife. La desolazione e la morte arrivarono in un’area compresa fra Capua, Ariano Irpino e Conza. In quest’ultima località l’intero abitato fu raso al suolo. A Benevento crollarono 15 torri. A Vipera, un centro ora scomparso nei pressi del capoluogo, tutte le case furono distrutte e ci furono numerosi morti. Il paese di Ronza, distrutto, non fu mai più ricostruito.

991 Lo storico Baratta ricorda l’evento in modo stringato: “Spaventevole terremoto in Siponto ed in Puglia”.

1005 Terremoto con epicentro nella Valle di Comino (Frusinate) paragonabile a un sisma del VII-VIII grado della scala Mercalli.

9 novembre 1046 Nella media valle dell’Adige le scosse arrivarono insieme al maltempo invernale. Molte le vittime e i danni, da Salorno, a 20 km da Trento, fino alla chiusa Ceraino, vicino al lago di Garda, in territorio veronese.

27 gennaio  1091 Quattro fonti dei secoli XI, XII e XIII sono concordi sulla data di un un “ingens terrae motu” avvertito a Roma che non procurò danni. Un codice conservato nella biblioteca del British Museum, il “Liber Pontificalis”, un “Catalogus Imperatorum et pontificum” e il “Chronicon pontificum et imperatorum basileense” scrivono di scosse che con ogni probabilità ebbero l’epicentro nelle montagne dell’Appennino centrale.

3 gennaio 1117 Il più forte terremoto di tutti i tempi mai registrato nella Pianura Padana, probabilmente superiore, sia per magnitudo (stimata almeno 6.5-6.6 scala Richter) che per vastità degli effetti, a quello friulano del 1976, ebbe il proprio epicentro sulla riva destra dell’Adige nei pressi di Ronco, a 28 chilometri da Verona. Le cronache fanno però pensare a più terremoti con epicentri diversi: a Cremona la terrà tremò prima, intorno alle 16, nella Bassa veronese alle 21 e a Pisa nella mattinata successiva. Quel che è certo è che fu una catastrofe: le scosse di assestamento si prolungarono per oltre quaranta giorni. E niente fu come prima. I morti furono almeno 30.000. Il sisma fu avvertito pure a Venezia, Padova, Vicenza, Nonantola, Modena, Parma, Piacenza, Bergamo, Brescia, Milano, Como e Vercelli. Le scosse si sentirono dalla Slovenia al Piemonte, dalla Francia alla Germania, fino all’abbazia di Montecassino.
Testimoni atterriti parlarono delle acque del Po e dell’Adige che si sarebbero “sollevate a volta” prima di travolgere gli argini e causare una catastrofica alluvione in gran parte della Pianura Padana. La terra si spaccò in più punti. Si intorpidirono le fontane e molti alberi vennero sradicati.
A Verona, di fatto, le testimonianze urbanistiche alto-medievali vennero spazzate via. La città, già stata colpita nell’inverno precedente da una alluvione dell’Adige, rimase in ginocchio. La maggior parte delle case furono distrutte. Così le chiese principali e i monasteri di San Nazzaro e Santo Stefano. Crollò anche Santa Maria Antica che poi venne ricostruita. Così come il Duomo, sventrato dal sisma e in seguito allungato e allargato in stile romanico.
Nella laguna di Venezia si verificò una eruzione di acqua sulfurea. E la città lagunare di Malamocco, devastata dalle scosse, non venne mai più ricostruita. A Gemona, nell’attuale Friuli, crollò la cinta muraria. Ad Aquileia le chiese subirono gravissimi danni. Così come a Padova, dove la prima cattedrale venne rasa al suolo insieme alla basilica di Santa Giustina e all’oratorio di S.Maria e Prosdocimo. Il campanile della chiesa di S.Felice e Fortunato di Vicenza venne distrutto per metà per poi essere ricostruito nel 1160 fino alla cella campanaria.
Gravissimi i danni anche in tutta la regione emiliana. Fu distrutta l’Abbazia di Nonantola, come ricorda, ancora oggi, una incisione sull’architrave del portale maggiore della chiesa. Subirono crolli anche i duomi di Modena e di Parma e la Collegiata di Castell’Arquato. A Piacenza, sul luogo della chiesa dedicata a Santa Giustina, sbriciolata dalle scosse, venne edificato l’attuale Duomo dedicato all’Assunta.

11 ottobre 1125 Il sisma colpì Benevento e le città vicine. Le scosse si susseguirono per due settimane. L’epicentro fu forse a Carlantino, nell’attuale provincia di Foggia. Gravi furono i danni nella Valle Telesina.

10 novembre 1120 Terremoto con epicentro nell’alto Volturno. Il “Chronicon Vulturnense” del monaco Giovanni, scritto intorno all’anno 1130 riferisce di danni a Vandra, un paese poco a nord di Isernia, dove crollò la chiesa e “gente non poca fu uccisa”.

11 ottobre 1138 Aleppo fu al centro di un terremoto che secondo lo United States Geological Survey fu il terzo più catastrofico della storia. La prima stima dei morti fu fatta da Ibn Taghribirdi (XV secolo) per il quale le vittime furono 230.000. La città siriana è costruita al centro di un sistema di faglie geologiche proprio sul confine che separa la placca arabica dalla placca africana. La regione fu colpita da due distinte sequenze di terremoti: la prima tra l’ottobre 1138 e il giugno 1139 e la seconda, meno intensa, dal settembre 1156 al maggio 1159. Aleppo all’epoca era molto popolosa. Migliaia di abitanti, allarmati dalle prime scosse, fuggirono nelle campagne prima della scossa principale che fu avvertita anche a Damasco.

1139 Per almeno un mese il cielo di tutta l’Italia meridionale venne oscurato da ceneri rossastre (Anon. Cavens., Chronicon) provocate da otto giorni di eruzioni del Vesuvio.

4 febbraio 1169 Un terremoto e un maremoto colpirono la Sicilia Orientale. Recenti ricerche hanno stabilito che la magnitudo raggiunse i 6.6 punti della scala Richter. I morti furono almeno 15.000. Non ci sono resoconti precisi sui danni, che, in ogni caso, furono enormi a Catania, Siracusa, Modica, Lentini, Aci Castello, Sortino e Piazza Armerina.

24 maggio 1184 Più di 2.000 furono i morti del terremoto che colpì la Valle del Crati. I paesi di Bisignano, S. Lucido e Luzzi furono devastati. A Cosenza crollò la cattedrale.

1223 Siponto, una delle più antiche città italiane, porto dell’Apulia e importante colonia romana fu colpita da un terremoto che ebbe il suo epicentro nei pressi di Vico. I danni furono ingenti in tutto il Gargano e nella Capitanata. Un altro terremoto, nel 1255, ridusse in rovine la città. Manfredi di Sicilia, figlio illegittimo dell’imperatore Federico II di Svevia e di Bianca Lancia, stabilì allora che Siponto fosse ricostruita in una nuova posizione. Nacque così Manfredonia.

1227 Fonti incerte parlano di un terremoto con epicentro a Subiaco che devastò il monastero di Santa Scolastica e causò, nella sola Roma, almeno 5.000 morti.

1246 Spoleto è terra di terremoti frequenti. Sanzi, nella “Storia del Comune di Spoleto” ricorda: “Nell’anno frequenti e fortissimi terremoti scossero talmente la città che fecero cadere molte case e molte torri”.

1231 Le scosse colpirono Roma e causarono danni alla parete sud ovest del Colosseo. Crollò allora la Tor de’ Conti, l’edificio medievale situato nell’attuale largo Corrado Ricci, nel rione Monti, vicino i Fori Imperiali, sull’area di un antico tempio alla dea Tellas, all’angolo di via Cavour e via dei Fori Imperiali. Diversi terremoti sfregiarono la costruzione nei secoli: in particolare a seguito del sisma del 1348, la torre diventò inabitabile e fu abbandonata fino al 1620, quando fu ricostruita.

1248 Un eccezionale evento sismico colpì nel mese di novembre la valle della Maurienne, in alta Savoia. Una parte del Mont Granier crollò facendo migliaia di morti.

30 aprile 1279 Terremoto sull’Appennino umbro-marchigiano, tra Cagli, Fabriano, Nocera Umbra e Foligno. Numerosi documenti monastici, gli annali benedettini e le cronache del tempo sottolineano l’intensità e anche la durata delle scosse che secondo alcune fonti si protrassero per 17 giorni. La città di Nocera Umbra fu distrutta per oltre la metà. Crollarono edifici adiacenti alla chiesa maggiore, il monastero e le curie dei canonici. Una “Chronica S.Petri” scritta a Erfurt nella metà del Trecento, ci informa che il vescovo ebbe salva la vita ma che morirono moltissime persone. Gravi danni furono registrati anche a Spello e Foligno, come ricorda una memoria del notaio Bonaventura di Benvenuto. La forza delle scosse sbriciolò il castello di Serravalle e una enorme frana deviò il corso del fiume Chienti. Il terremoto fu avvertito anche a Roma e Montecassino e segnalato pure a Venezia. Nelle stesse ore delle prime scosse, un altro terremoto colpì alcune località dell’Appennino a cavallo tra la Toscana e l’Emilia Romagna. Le notizie dei terremoti del 1279 ebbero un’eco vasta anche in Europa: se ne trovano menzioni in cronache austriache, tedesche e polacche (studio di riferimento Monachesi, ed 1987 – www.emidius.mi.ingv.it).

4 settembre 1293 L’area del Sannio fu ancora al centro di un forte terremoto (magnitudo 5.8 della scala Richter) con probabile epicentro nella Vallata di Cusano Mutri. I danni maggiori si ebbero a Bojano e a Isernia. Le vittime furono numerose (“Cronicon Suessanum”, 1103-1348). I “Registri Angioini” per l’anno 1294 ci informano che per i molti danni subiti dalla città, re Carlo concesse agli isernini il condono della terza parte delle tasse. Le scosse vennero avvertite anche a Napoli dove venne gravemente danneggiata la chiesa di Santa Maria Donnaregina.

30 novembre 1298 Morti e distruzioni nel Reatino e a Spoleto per un terremoto (5.9 scala Richter) che ebbe il suo epicentro nei pressi di Leonessa, dove crollarono case, chiese e palazzi tra cui l’attuale sede del Museo Civico. Il Castello di Vetranola, nei pressi di Monteleone di Spoleto, venne completamente distrutto. E “per circa sei mesi si avvertirono scosse molto forti in tutta l’Umbria” (M. Baratta: I Terremoti d’Italia. Torino, F.lli Bocca Editori).

3 dicembre 1315 Il forte terremoto a L’Aquila e Sulmona (5.5 scala Richter) fu preceduto da un estenuante sciame sismico nei dieci mesi precedenti alla scossa principale. Non vi furono vittime, ma molti edifici de L’Aquila risultarono danneggiati o inagibili, come la chiesa di San Francesco. Le scosse durarono altre 4 settimane. La popolazione visse all’aperto, in tettoie di fortuna fino al 1316.

1308 Una città sotto choc. Rimini fu colpita da un terremoto che lasciò un segno indelebile nella memoria dei suoi abitanti. Era il 25 gennaio.

4 dicembre 1328 Preci fu distrutta da un violento terremoto (6.3 scala Richter) che colpì la Valnerina, il territorio di Foligno e anche una vasta area marchigiana. A Norcia rimasero in piedi solo le mura. Molti crolli si registrarono a Visso, Cerreto di Spoleto, Monte San Martino, Castel San Giovanni, Montesanto, Spoleto e Ripatransone. Il sisma fu avvertito anche a Pesaro e a Roma. Un testimone diretto ci ha lasciato una preziosa testimonianza su quei tragici momenti: Moisé ben Daniel, appartenente alla comunità ebraica del paese marchigiano di Ripatransone, scrisse di aver percepito la forte scossa poco prima che sorgesse il sole. Ma poi si dilungò sui racconti degli sfollati di Norcia che si erano rifugiati nella Marca Anconetana. Non solo. Moisé volle verificare gli effetti del sisma e andò di persona a Norcia. Ogni famiglia ebbe delle vittime e quasi tutte le abitazioni furono sbriciolate dalle scosse.

20-25 novembre 1343 Il maremoto che colpì le coste della Campania fu descritto da un cronista d’eccezione: Francesco Petrarca. L’autore de “Il Canzoniere” ne parla nelle sue lettere. L’evento, con ogni probabilità, riguardò tutto il Mediterraneo. Una “enorme marea”, e quindi uno tsunami, si abbatté sulle case, i porti e gli arsenali lungo le coste del Tirreno e dell’Adriatico. Ad Amalfi fu distrutta parte della città. Danni ingenti furono segnalati anche nei pressi di Costantinopoli.

25 gennaio 1348 Un terremoto con epicentro a Villach, in Austria, portò morte e distruzioni anche in alta Italia. In Friuli Venezia Giulia si contarono più di 1.000 morti e a Verona crollarono alcune abitazioni. Molti cronisti videro in questo terremoto dirette connessioni con la peste che alcuni mesi più tardi investì gli stessi territori.

9 settembre 1349 Uno dei terremoti più devastanti di sempre ebbe il suo epicentro sull’Appennino abruzzese, nei pressi de L’Aquila. È stato calcolato che raggiunse i 6.3 gradi della scala Richter. Non è possibile risalire al numero dei morti. Ma di sicuro furono migliaia. Le scosse, che si susseguirono a breve distanza di tempo, colpirono un’area vastissima, da Perugia a Benevento. A L’Aquila, insieme alle mura, crollarono anche varie porte della città. Pescasseroli fu completamente distrutta. Il sisma devastò il castello di Alvito e l’Abbazia di San Clemente a Casauria. Danni a persone e cose furono segnalati anche a Teramo e Atri. Il Lazio, le Marche e il Molise subirono gravissimi danni. A Napoli crollarono chiese e palazzi. Matteo Villani scrisse dello stato della Città Eterna: “Feciono cadere il campanile della chiesa grande di San Paolo, con parte della nobile torre delle Milizie, e la torre del Conte, lasciando in molte parti di Roma memoria delle sue rovine”.

Collassarono anche le arcate esterne nel settore meridionale del Colosseo. Due anni dopo, la città dei papi era ancora in ginocchio. Petrarca che partecipò al Giubileo del 1350, scrisse nel 1351:”Roma è stata scossa da un insolito tremore, tanto gravemente che dalla sua fondazione, che risale a oltre duemila anni fa, non è mai accaduto nulla di simile. Caddero gli antichi edifici trascurati dai cittadini e ammirati dai pellegrini, quella torre, unica al mondo, che era detta del conte, aperta da grandi fenditure si è spezzata ed ora guarda come mutilata il proprio capo, onore della superba cima sparsa al suolo; inoltre, benché non manchino le prove dell’ira celeste, buona parte di molte chiese e anzitutto di quella dedicata all’apostolo Paolo è caduta a terra la sommità di quella Lateranense è stata abbattuta, tutto ciò rattrista con gelido orrore l’ardore del giubileo”.
Dell’opera di un Anonimo Romano è rimasto solo l’indice, dal quale si ricava il titolo del libro che descrisse il fenomeno: “Dello terratriemulo lo quale fu in Italia”. Giovanni da Ballano nel suo “Chronicon mutinense” ricorda che cadde la grande colonna di marmo “che sosteneva la chiesa di S. Paolo con circa la terza parte del tetto”. I documenti pontifici riportano l’allarme e la preoccupazione per i danni subiti dalle basiliche di San Paolo, di San Pietro e di San Giovanni in Laterano. Pensando soprattutto alla massa di pellegrini che accorreva a Roma per il Giubileo, papa Clemente VI ordinò l’immediato restauro degli edifici sacri.
A Isernia la forza del terremoto fece crollare quasi tutti gli edifici, cattedrale compresa. Cadde distrutta la Cattedrale e quasi tutti gli edifici. Lo storico Ciarlanti nelle sue “Memorie Historiche del Sannio”, vergate nel 1644, scrisse di un evento “terribilissimo che sentir si fece non nell’Italia solo, ma anche in Germania e nell’Ungaria”.
Del terribile terremoto del 1349, si trova traccia anche in un documento, manoscritto, di Mariano del Moro, “Memorie diverse della città di Perugia dal 1251 al 1438 con altre dal 1599 al 1612”, conservato nel capoluogo dell’Umbria, presso l’Archivio Storico di San Pietro. Una pagina riporta la sintesi degli avvenimenti: “Incominciarono molti gran terremoti in Perugia e andarono a terra molti torri e case e fecero assai gran danno, e spavento non solo in Perugia ma per tutta la Marca, il Borgo (Borgo San Sepolcro, ndr) Assisi, Spello e all’Aquila”.

25-31 dicembre 1352 Un terremoto di intensità pari al nono grado della scala Mercalli devastò l’alta valle del Tevere. M. Arcaleni nel libro “La vera età di Città di Castello” (Petruzzi editore) scrive: ”Questo terremoto (…) interessò le colline a sud di Monterchi e l’alta Val Tiberina; crollò la rocca d’Elci, dove rimase uccisa un’ intera guarnigione. I morti furono circa cinquecento e si contarono un gran numero di feriti. Tra il 31 dicembre e il 1 gennaio, la terra tremò di nuovo con effetti ancora più devastanti; il terremoto causò, tra San Sepolcro e Città di Castello più di duemila vittime. Ebbe un raggio molto ampio, fu avvertito in un’ area particolarmente vasta, compresa tra Bologna ed Orvieto”. L’alto numero dei morti a Sansepolcro si spiega con il fatto che in città erano acquartierate per l’inverno le truppe mercenarie dei Visconti (studio di riferimento: Castelli e altri, 1996 – www.emidius.mi.ingv.it).

I crolli di un terremoto medievale

I crolli di un terremoto medievale

18 ottobre 1356 Basilea fu al centro del peggior terremoto della storia dell’Europa centrale. La prima, fortissima scossa, arrivò alle ore 19. La replica giunse intorno alle 22. Crollarono più di 40 castelli costruiti intorno alla città svizzera. Case, edifici pubblici, torri e campanili furono distrutti nel raggio di 200 chilometri. La frattura della costa terrestre è tuttora attiva. La faglia, ora coperta dalla foresta, si estende per circa 8 chilometri, dal Giura franco-svizzero fino alla città.

18 ottobre 1389 L’alta Umbria e le Marche furono al centro di un altro fenomeno sismico (6.0 scala Richter) 37 anni dopo il terremoto del 1352. A Città di Castello e Sansepolcro crollarono le mura insieme a molti edifici. Il sisma sbriciolò gli insediamenti fortificati di Castelguelfo, Baciuccheto e Pietragialla. Subirono seri danni anche Urbania e Mercatello sul Metauro. L’evento principale fu preceduto da una scossa minore il 16 ottobre e lo sciame sismico si protrasse per almeno un mese (studio di riferimento Castelli e altri autori – www.emidius.mi.ingv.it).

1414 Un terremoto pressoché dimenticato dalle cronache ma di forte magnitudo (5.8 scala Richter) interessò la costa garganica e procurò molti danni alla città di Vieste.

2 febbraio 1438 Il secondo terremoto più forte prodotto dal vulcano dei Colli Albani (5.4/5.6 Richter) lasciò gravi danni in tutto il Lazio meridionale e in Abruzzo. Paolo, monaco dell’abbazia di san Nilo a Grottaferrata, che in seguito divenne abate, racconta che quando era ancora un copista, alle 13.15 avvertì uno “spaventoso terremoto”. Lo spavento non gli impedì di registrare la notizia del sisma a mo’ di nota del manoscritto su cui stava lavorando. Il codice del V secolo sulle opere di Teodoreto ora è custodito nella Biblioteca Evangelica di Roma.

26 aprile 1458 La terrà tremò a lungo, tra l’Umbria e le Marche. Il forte terremoto (5.8 scala Richter), fu avvertito soprattutto a Città di Castello dove fu distrutto un terzo degli edifici cittadini ma anche Sansepolcro, Montone, Perugia e Gubbio. Alcune fonti parlano addirittura di 4.000 morti nell’alta valle del Tevere. In tutta l’Umbria la popolazione, in preda al panico, dormì all’aperto fino alla fine del mese di maggio.

4-5 dicembre 1456 Uno dei più forti e estesi terremoti del Medioevo colpì l’Appennino centrale e il sud della penisola italiana. Le scosse arrivarono in “in nocte S. Barbarae” e furono devastanti. Morirono 70.000 persone. La popolazione si dimezzò in oltre 90 centri abitati: a Isernia ci furono 1500 vittime su poco più di 2000 abitanti; 1600 furono i morti a Paduli e almeno 400 a Benevento. A Teramo morirono più di 200 persone. A L’Aquila, ai danni alle abitazioni si aggiunse il crollo della Torre di Piazza Palazzo. Rivisondoli fu completamente rasa al suolo. Castel di Sangro, Rocca Cinque Miglia e Roccaraso subirono danni pesantissimi. Il paese di Roccapizzi, nei pressi di Pescocostanzo, fu completamente raso al suolo, venne abbandonato dagli abitanti e non fu mai più mai più ricostruito. Il terremoto, avvertito dall’Abruzzo alla Calabria fu preceduto dall’apparizione della cometa di Halley, un segno dei cieli considerato infausto. Probabilmente, si attivarono in sequenza più faglie appenniniche. Almeno tre epicentri in contemporanea: il primo tra il Sannio e l’Irpinia, nella zona di Paduli, Apice e Ariano, il secondo nel Matese e il terzo in Abruzzo. Le potenti scosse furono seguite da uno tsunami che investì le coste ioniche tra Taranto e Gallipoli. Lo sciame sismico durò per diversi anni. La morte e la disperazione toccarono in modo severo anche Napoli, dove crollarono il campanile della chiesa di Santa Chiara e la chiesa di San Domenico Maggiore. Giannozzo Manetti, umanista fiorentino e segretario della corte napoletana fu testimone diretto del sisma.

26 novembre 1461 Un terremoto poco profondo e proprio per questo devastante, di magnitudo 6.4 della scala Richter, si abbatté su L’Aquila e su tutto il territorio circostante. Altre scosse, meno forti, arrivarono a dicembre e gennaio dell’anno successivo. Incerto ma elevato il numero delle vittime. La città subì molti danni. Furono rasi al suolo i vicini centri di Onna, Poggio Picenze, San Pio delle Camere e Sant’Eusanio Forconese.

1477 Appena un anno prima, Foligno era stata colpita da una epidemia di peste. Il terremoto durò dai primi giorni dell’anno fino a maggio: molte scosse leggere e una fortissima (il 30 gennaio, intorno alle ore 23). Una memoria redatta da Michelangelo Grillo, notaio del Comune, conservata all’archivio di Stato di Perugia, racconta in modo vivido quei terribili giorni. Le scosse vennero avvertite anche a Perugia e Todi. Il freddo era intensissimo. Anche le acque del lago Trasimeno si erano ghiacciate. Il 2 e il 3 febbraio, dopo l’ennesima, fortissima scossa, sfiniti dallo sciame sismico, i folignati si riversarono in strada nonostante fuori nevicasse e rimasero esposti alle intemperie. Molte, vecchie abitazioni cittadine crollarono, insieme a quasi tutti i camini della città e ai merli del palazzo dove risiedevano i priori.

1481 Prima il sisma, poi uno tsunami. Il terremoto di Rodi fece 30.000 morti. Le scosse iniziarono il 15 marzo e durarono fino al mese di gennaio del 1482. Le case e le chiese furono rase al suolo. Il Palazzo del Gran Maestro crollò il 18 dicembre a causa dello sciame sismico insieme a tre torri del porto. La città fu ricostruita secondo criteri antisismici: l’altezza delle case fu limitata a soli due piani e gli edifici sui due lati di una strada furono collegati con archetti ribassati all’altezza del primo solaio, proprio per assorbire le spinte orizzontali. Così la città vecchia cambiò volto e assunse l’omogeneità urbanistica che ancora la caratterizza.

11 agosto 1483 Un sisma con epicentro tra Cesena e Forlimpopoli. Gravi danni a Forlì, con diverse vittime. Crolli anche a Bertinoro.

5 giugno 1501 La “torre mozza” del palazzo comunale di Modena, si chiama così perché venne parzialmente abbattuta in seguito al sisma (5.9 scala Richter) che ebbe come epicentro la zona a sud ovest di Maranello. Molta paura tra la popolazione ma le vittime furono meno di 50. Tra le località più colpite, oltre a Modena e Maranello, anche Sassuolo, Castelvetro e Montegibbio.

1506 Tutta la zona dei Monti Frentani e in particolare la città di Ortona furono al centro di un forte terremoto che distrusse molti piccoli paesi e fece centinaia di morti.

26 marzo 1511 Uno dei più devastanti terremoti di sempre, di magnitudo 6.5 della scala Richter, si abbatté tra la Slovenia e il Friuli, interessò la pianura padana, l’Austria e le due sponde dell’Adriatico. Alla fine delle scosse si contarono almeno 12.000 morti. Gravi danni furono registrati in tutto il Veneto e, in particolare, a Verona. La laguna veneta si trovò a secco e uno tsunami distrusse il porto di Trieste. La popolazione del grande porto adriatico fu costretta a lasciare la città e a rifugiarsi sulla collina di San Giusto. Furono colpite anche Pirano, in Istria e Lubiana in Slovenia. La città austriaca di Klagenfurt venne rasa al suolo. Anche Venezia che sembrava al riparo dai terremoti, perché fondata sull’acqua, subì gravi danni. Fu danneggiato anche il campanile, simbolo della città. E come ricordano le fonti dell’epoca, crollarono “molti camini et case”.

Fonti: INGV, Wikipedia, varie

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