I Nobel e le bufale, un mix pericoloso

Alcuni vincitori di Nobel spesso hanno diffuso bufale, generando un mix estremamente pericoloso tra scienza e pseudoscienza

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di Gilda Petrella per Dossier due punto uno
Il principio di autorità è quello secondo il quale il pensiero di una persona, considerata “superiore”, non può essere criticato dagli altri. La religione, ad esempio, è basata sul principio di autorità. Se una cosa la dice una personalità religiosa o è scritta su un testo considerato sacro, allora deve essere vera e non può essere contestata. Anche in altri campi il principio di autorità può avere rilevanza. In una gara di cucina un piatto deve essere per forza buono, se lo dice il grande cuoco stellato. Oppure un quadro ha un grande valore, se il famoso critico dice che è un capolavoro. Nelle scienze però il principio di autorità non ha valore.

Lui stesso lo ha detto

Ipse dixit («lui stesso lo ha detto») è la frase con la quale si richiama all’autorità. Aristotele fu ritenuto il grande filosofo infallibile nella cultura occidentale e, per molti secoli, le sue idee furono considerate verità solo perché affermate da lui. Lo stesso Galileo fu vittima del principio di autorità, ma il suo metodo sperimentale causò una svolta radicale nel pensiero umano. Secondo il metodo scientifico non conta chi la sostiene, per essere considerata attendibile, un’affermazione deve essere dimostrata attraverso esperimenti ripetibili e controllati.
Ciò non toglie che se cerco un consiglio medico, lo chiederò a un dottore laureato in medicina e abilitato alla professione. Se la macchina non funziona, andrò dal meccanico sotto casa. Insomma, dobbiamo pur fidarci di qualcuno che ci abbia dimostrato di avere titoli e conoscenza. Lo stesso discorso vale per coloro che hanno vinto il prestigioso Premio Nobel, i quali dovrebbero aver dimostrato competenza e attendibilità. Almeno nel loro campo di ricerca.

Il Nobel Montagnier e le bufale

Purtroppo però numerosi sono i casi in cui scienziati insigniti del Premio Nobel — e del relativo consistente premio in denaro —si sono dimostrati indegni di incondizionata fiducia e hanno diffuso bufale. Recente il caso di Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008. Qualche mese fa, in un’intervista, ha dichiarato di essere sicuro che il virus responsabile della pandemia è stato creato in laboratorio. Come unica prova, però, ha portato un articolo che era stato già ritirato dai suoi stessi autori.
2008: il Nobel conferito a Montagnier per la scoperta del virus dell’HIV nel 1983
In effetti era già disponibile uno studio accurato che invece dimostra, con argomenti più che validi, che con ogni probabilità — giusto perché agli scienziati veri non piace esprimere assoluta certezza — il virus è frutto di mutazioni e selezione naturale. D’altra parte quel mattacchione di Montagnier non è nuovo a uscite indegne di un insigne scienziato. Negli ultimi anni ha sostenuto tesi improbabili e prive di qualsiasi sostegno scientifico. Per esempio propose l’estratto di papaya come panacea per una vasta gamma di malattie, dall’Alzheimer alla SARS. Sostiene l’omeopatia ed è schierato dalla parte degli anti-vaccinisti.

Rita Levi-Montalcini e il Cronassial

Purtroppo tra gli scienziati che hanno usato il loro prestigio per sostenere tesi prive di fondamento, c’è anche un’eccellenza italiana. Un idolo per tutte le ragazze che sul finire degli anni’80 — compresa la sottoscritta — studiavano biologia: Rita Levi-Montalcini. Non c’è dubbio che sia stata una personalità notevole: laureata in medicina in un’epoca in cui le donne dovevano avere come unico fine il matrimonio e la maternità.
Una carriera internazionale come ricercatrice, la scoperta, negli anni ’50, dell’NGF, il Nobel nel 1986, la nomina a senatore a vita. Eppure c’è una macchia nella straordinaria e lunghissima carriera della neurobiologa: aver utilizzato il suo prestigio e la sua credibilità per promuovere un farmaco sulla cui efficacia mancava qualsiasi prova.
1968, Roma: Rita Levi-Montalcini nel centro di ricerche di neurobiologia
Rita Levi-Montalcini ricevette un finanziamento per le sue ricerche dalla Fidia, l’azienda produttrice del Cronassial. Nonostante non si fosse mostrato efficace per nessuna patologia, negli anni ’80 diventò il farmaco più venduto in Italia. Definito «il placebo più costoso del mondo», fu poi associato a una grave patologia neurologica, la sindrome di Guillain-Barré. Per questo, gradualmente fu ritirato nei vari paesi europei.
In Italia fu definitivamente ritirato solo dopo l’emergere della sindrome di Creufeldt-Jacob (quella della famosa “mucca pazza”). Il Cronassial, infatti, era ricavato dal cervello dei bovini. La Fidia fu poi travolta dagli scandali e dagli arresti che ci furono nel settore della sanità in quegli anni. Se si può immaginare che Montagnier abbia avuto un tornaconto personale dal sostenere l’omeopatia e sono noti gli interessi della Levi- Montalcini, le cui ricerche furono finanziate dalla Fidia, davvero sono incomprensibili le motivazioni che mossero un altro idolo degli studenti di biologia.

Rosalind Franklin e la struttura del DNA

James D. Watson è nientedimeno uno degli scienziati insigniti del Nobel nel 1962 (quando aveva solo 34 anni!) per aver determinato la struttura del DNA. Anche se non c’entra con lo scopo di questo articolo, non voglio perdere l’occasione di menzionare Rosalind Franklin, una giovane donna osteggiata nel mondo maschilista della scienza di allora. Infatti i suoi studi ai raggi X, condotti sul DNA, furono mostrati dal collega Wilkins a Watson e Crick, che su di essi si basarono per costruire il loro modello.
Quando Watson, Crick e Wilkins vinsero il premio Nobel, la Franklin aveva già perso la vita da qualche anno per un tumore, probabilmente causato proprio dai raggi X di cui in quegli anni non si conosceva ancora la pericolosità. I suoi meriti nella scoperta furono riconosciuti solo diversi anni dopo.



Il Nobel Watson, razzismo e misoginia

James Watson, a partire dagli anni 2000, si è dedicato a esternazioni razziste, omofobe e misogine. Infatti in varie occasioni ha dichiarato che «i bianchi sono geneticamente più intelligenti dei neri», sebbene la scienza abbia chiarito che si tratti di un’affermazione assurda. Ha sostenuto anche altri luoghi comuni razzisti, come quello di una maggiore libido legata al colore scuro della pelle.
Durante una conferenza, riguardo all’aumento della presenza femminile nei laboratori, Watson sminuì il ruolo delle scienziate, dichiarando che «avere tutte queste donne intorno rende le cose più divertenti per i maschi, ma probabilmente riduce la loro efficienza». Ironico per uno che deve il suo Nobel al lavoro di una donna!
Articolo originale: Dossier due punto uno

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