Tutto nell’Universo risente della gravità, eppure la più comune delle forze fondamentali è anche quella che presenta le maggiori sfide ai fisici.
La relatività generale ha superato molti anni di test di osservazione, dalla misurazione di Eddington della deflessione della luce stellare da parte del Sole nel 1919 al recente rilevamento delle onde gravitazionali.
Tuttavia, le lacune nella nostra comprensione iniziano ad apparire quando proviamo ad applicare la gravità su distanze estremamente piccole, dove operano le leggi della meccanica quantistica, o quando proviamo a descrivere l’intero universo.
Un nuovo studio, pubblicato su Nature Astronomy, ha ora testato la teoria di Einstein su scala cosmologica. Questo approccio potrebbe un giorno aiutare a risolvere alcuni dei più grandi misteri della cosmologia e i risultati suggeriscono che la teoria della relatività generale potrebbe aver bisogno di essere modificata su questa scala.
Modello difettoso?
La teoria quantistica prevede che lo spazio vuoto, il vuoto, sia pieno di energia. Non ci accorgiamo della sua presenza perché i nostri dispositivi possono misurare solo le variazioni di energia piuttosto che la sua quantità totale.
Tuttavia, secondo Einstein, l’energia del vuoto ha una gravità ripulsiva: allontana lo spazio vuoto. È interessante notare che nel 1998 è stato scoperto che l’espansione dell’Universo sta di fatto accelerando (una scoperta premiata con il Premio Nobel 2011 per la fisica).
Tuttavia, la quantità di energia del vuoto, o energia oscura come è stata chiamata, è necessaria per spiegare l’accelerazione dell’espansione dell’universo ed è di molti ordini di grandezza inferiore a quanto previsto dalla teoria quantistica.
Da qui la grande domanda, soprannominata “il vecchio problema della costante cosmologica“, è se l’energia del vuoto gravita effettivamente, esercitando una forza gravitazionale e modificando l’espansione dell’universo.
Non sappiamo cosa sia l’energia oscura, ma dobbiamo presumere che esista per spiegare l’espansione dell’Universo.
Allo stesso modo, dobbiamo anche supporre che esista un tipo di materia invisibile, soprannominata materia oscura, per spiegare come le galassie e gli ammassi si siano evoluti per essere ciò che osserviamo oggi.
Questi presupposti sono integrati nella teoria cosmologica standard degli scienziati, chiamata modello lambda cold dark matter (LCDM), suggerendo che nel cosmo c’è il 70% di energia oscura, il 25% di materia oscura e il 5% di materia ordinaria. E questo modello ha avuto un notevole successo nello spiegare tutti i dati raccolti dai cosmologi negli ultimi 20 anni.
Una nuova svolta è apparsa alcuni anni fa quando è diventato evidente che diversi modi di misurare la velocità di espansione cosmica, soprannominati la costante di Hubble, danno risposte diverse, un problema noto come tensione di Hubble.
Il disaccordo, o tensione, è tra due valori della costante di Hubble.
Uno è il numero previsto dal modello cosmologico LCDM, che è stato sviluppato per corrispondere alla luce residua del Big Bang (la radiazione cosmica di fondo a microonde).
L’altro è il tasso di espansione misurato osservando l’esplosione di stelle note come supernove in galassie lontane.
Indagando per trovare le risposte
Possiamo progettare test per verificare se l’universo obbedisce alle regole della teoria di Einstein.
La relatività generale descrive la gravità come la curvatura o la deformazione dello spazio e del tempo, piegando i percorsi lungo i quali viaggiano luce e materia. È importante sottolineare che la teoria prevede che le traiettorie dei raggi luminosi e della materia dovrebbero essere piegate dalla gravità allo stesso modo.
Un team di cosmologi, ha messo alla prova le leggi fondamentali della relatività generale, esaminando se modificare la teoria di Einstein possa aiutare a risolvere alcuni dei problemi aperti della cosmologia, come la tensione di Hubble.
Per scoprire se la relatività generale è corretta su larga scala, si sono proposti, per la prima volta, di indagarne simultaneamente tre aspetti. Questi erano l’espansione dell’Universo, gli effetti della gravità sulla luce e gli effetti della gravità sulla materia.
I parametri sono stati stimati utilizzando i dati del fondo cosmico a microonde ripresi dal satellite Planck, i cataloghi delle supernovae così come le osservazioni delle forme e della distribuzione di galassie lontane dai telescopi SDSS e DES.
Quindi hanno confrontato la ricostruzione con la previsione del modello LCDM (essenzialmente il modello di Einstein).
Quello che il team ha trovato sono stati interessanti spunti di una possibile discrepanza con la previsione di Einstein, anche se con una significatività statistica piuttosto bassa. Ciò significa che esiste comunque la possibilità che, su larga scala, la gravità funzioni in modo diverso da come previsto da Einstein e che potrebbe essere necessario modificare la teoria della relatività generale.
Lo studio ha anche scoperto che è molto difficile risolvere il problema della tensione di Hubble cambiando solo la teoria della gravità. La soluzione completa richiederebbe probabilmente un nuovo ingrediente nel modello cosmologico, presente prima del momento in cui protoni ed elettroni si combinarono per la prima volta per formare idrogeno subito dopo il Big Bang, come una forma speciale di materia oscura, un primo tipo di energia oscura, o campi magnetici primordiali.
O, forse, c’è un errore sistematico ancora sconosciuto nei dati.
Detto questo, lo studio ha dimostrato che è possibile testare la validità della relatività generale su distanze cosmologiche utilizzando dati osservativi. Anche se non è stato ancora risolto il problema di Hubble, tra qualche anno nuove sonde ci daranno molti più dati da elaborare.
Ciò significa che saremo in grado di utilizzare questi metodi statistici per continuare a modificare la relatività generale, esplorare i limiti delle modifiche, per aprire la strada alla risoluzione di alcune delle sfide aperte nella cosmologia.