mercoledì, Ottobre 9, 2024
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Gli inverni freddi non significano che il riscaldamento globale non sta accadendo

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Quante volte ci è capitato sentir parlare qualcuno dei mutamenti climatici e dell’aumento delle temperature? E quanti di loro dimostrano di non credere al riscaldamento globale perché fa freddo? Per molte persone, l’esperienza sembra dimostrare che i cambiamenti climatici non sono un’emergenza e che, forse, non è nemmeno in atto il tanto strombazzato riscaldamento globale…

A loro difesa si può dire che è un errore facile e molto comune quello di prendere una breve porzione di tempo in una regione localizzata e usarla per fare ampie affermazioni sui modelli climatici a lungo termine del pianeta nel suo complesso. Sembra intuitivo che se il pianeta si sta riscaldando, anche gli inverni dovrebbero diventare più caldi.

Ma questa idea in realtà non ha alcun supporto scientifico ed è un errore pericoloso che può sminuire e distrarre dalla vera scienza sui cambiamenti climatici.

In effetti, gli studi dimostrano in realtà che è vero il contrario.

Le condizioni più calde dell’Artico  coincidono effettivamente con inverni più freddi in regioni lontane, una correlazione che dimostra che il cambiamento climatico globale non è così intuitivo come molti potrebbero altrimenti immaginare.

Uno studio del 2017 condotto da un team internazionale di ricercatori ha scoperto che le conseguenze di questi inverni più freddi e asciutti stanno riducendo la produttività delle colture a basse latitudini.

Più anidride carbonica nell’atmosfera con un clima mediamente più caldo, dovrebbero, secondo molti, essere una buona notizia per le piante, specialmente quando lo scioglimento del permafrost libera nuovi terreni. Questo non è del tutto scorretto, almeno per quanto riguarda i climi settentrionali.

Ma, quando si tratta di regioni più distanti, l’impatto dei cambiamenti climatici nell’Artico sulla crescita delle piante nelle aree temperate non è ben studiato. A notevoli distanze potrebbe non sembrare molto importante ciò che succede nell’Artico ma i ricercatori sanno fin troppo bene che non fa molta differenza quando si parla di clima.

El Niño è un classico esempio di ciò che i climatologi chiamano teleconnessione, dove un’anomalia in una parte del mondo, come un cambiamento della pressione atmosferica attorno all’isola pacifica di Tahiti, può essere collegata a un’anomalia a migliaia di chilometri di distanza, come l’alta pressione intorno a Darwin, in Australia.

Negli ultimi decenni, l’Artico ha vissuto più della sua giusta quota di riscaldamento grazie a un fenomeno chiamato amplificazione artica. La diminuzione del ghiaccio marino, correnti oceaniche più calde e un aumento del vapore acqueo atmosferico indicano che le temperature sono aumentate il doppio rispetto alle latitudini settentrionali.

Questi cambiamenti sono stati anche associati a inverni più rigidi molto più a sud, un effetto a catena che spesso confonde coloro che pensano che, grazie al riscaldamento globale, si possa andare in giro vestiti più leggeri.

Questa recente ricerca ha dimostrato come le temperature sopra la media dell’Artico portino a una minore crescita delle piante e ad una minore captazione del biossido di carbonio negli ecosistemi nordamericani. Lo studio ha confermato la connessione tra i fenomeni meteorologici anomali nel Nord America e il riscaldamento artico. Per verificarlo, sono stati utilizzati una serie di modelli dettagliati denominati Coupled Model Intercomparison Project Phase 5 (CMIP5) per identificare un collegamento tra le anomalie e un calo della produttività primaria lorda.

In altre parole, sembra che un caldo Artico produca inverni più freddi e con meno precipitazioni, riducendo la capacità delle piante di assorbire CO2 di circa il 14%. “Anche se stiamo parlando dell’Artico, ha impatti immediati su ciò che viviamo alle basse latitudini“, ha detto Anna Michalak del Carnegie Institution for Science degli Stati Uniti al National Geographic .

Le conseguenze di ciò in termini di assorbimento del carbonio non è ancora stato determinato.

Saranno necessarie ulteriori ricerche per capire quanto possa essere diffuso questo effetto, il che significa che sono necessari più dati per sostenere i modelli esistenti.

Nel frattempo, i risultati di questa ricerca potrebbero implicare la necessità di individuare e considerare colture più resistenti al gelo e più resistenti alla siccità in previsione di inverni più freddi e secchi in futuro.

Una cosa è certa: il riscaldamento globale non conosce confini. Siamo tutti sulla stessa barca.

Questa ricerca è stata pubblicata su Nature Geosciences .

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