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E dopo la Luna, Marte. Come ci arriveremo?

Per arrivare su Marte non serve solo una tecnologia all'avanguardia, ma anche degli uomini impegnati nell'impresa che sono forse il vero limite della missione

Anche nel punto di distanza minima, la Terra e Marte sono separati da oltre 50 milioni di chilometri. La distanza, però, non impedisce a NASA, SpaceX e altre agenzie spaziali di progettare una missione umana che richiederà all’equipaggio di vivere nello spazio non meno di due anni e mezzo.

La NASA lavora per portare gli astronauti su Marte nei primi anni del 2030, afferma Thomas Williams, PhD, psicologo e scienziato capo di fattori umani e prestazioni comportamentali presso il Johnson Space Center della NASA a Houston, in Texas. Il primo passo, però, prevede un ritorno sulla luna, che l’uomo ha visitato per l’ultima volta 48 anni fa con l’ultima missione Apollo, la numero 17.

Per arrivare su Marte non serve solo una tecnologia all’avanguardia, ma anche degli uomini impegnati nell’impresa che sono forse il vero limite della missione. “La NASA non affronta queste sfide alla leggera“, ha detto Williams.

Gli scienziati stanno valutando i fattori fisiologici, psicologici e sociali correlati a un viaggio cosi lungo, con la NASA che conduce ricerche in modo indipendente e in collaborazione con esperti al di fuori dell’agenzia.

Gli effetti della vita nello spazio sono in corso di studio da decenni. Dal 1971 astronauti, cosmonauti e tachionauti hanno trascorso settimane e mesi in stazioni spaziali in orbita attorno alla Terra.

Dal 2000 la ISS (International Space Station) accoglie equipaggi che vi permangono per lunghi periodi di tempo. Gli studi effettuati sulla ISS hanno fornito dati utili sulle risposte fisiologiche e psicologiche degli astronauti alla microgravità, il confinamento e l’isolamento. Tuttavia, come ha chiarito Nick Kanas, MD, professore emerito di psichiatria presso l’Università della California, San Francisco: “Marte è molto lontano e l’estrema distanza ha conseguenze psicologiche“.

Gli astronauti che operano sulla ISS vi permangono per circa sei mesi. Il record di permanenza, però, è di 437 giorni, stabilito dal cosmonauta Valeri Polyakov a bordo della stazione russa Mir.

Un viaggio lungo alcuni anni durante il quale trascorrere il tempo in spazi angusti e con poche persone sarà un’impresa difficile anche perché una missione su Marte richiederà un equipaggio misto e gli astronauti dovranno convivere con le inevitabili differenze culturali.

Inoltre gli astronauti che si recheranno su Marte vivranno un distanziamento sociale unico, saranno totalmente isolati dai propri affetti, non solo nello spazio ma anche nel tempo. Le comunicazioni infatti saranno complicate perché sono necessari circa 40 minuti tra una domanda e la risposta. Questa distanza potrebbe contribuire alla solitudine e a creare problemi alla psiche e si teme che ansia e depressione non mancheranno.

Gli astronauti dovranno essere in grado di operare in autonomia, data la distanza e gestire la routine quotidiana come mai nessuna missione ha fatto fino ad oggi. La preoccupazione per la salute psicologica degli astronauti deriva anche dal fatto che non sappiamo come possano reagire all’assenza della Terra. La lunga permanenza nella ISS è mitigata dalla vicinanza e dalla presenza rassicurante del pianeta azzurro e quel vantaggio svanirà quando gli astronauti si troveranno lontani milioni di chilometri.

Una volta privi della difesa del campo magnetico terrestre, gli astronauti dovranno affrontare delle sfide più intense a livello fisico perché le radiazioni spaziali avranno molti effetti deleteri sui loro tessuti, sul sistema nervoso e sul DNA.

Gli studi effettuati su cavie hanno mostrato cambiamenti strutturali nel cervello dei topi come la ridotta complessità dei dendriti, le estensioni che si ramificano dai neuroni. Inoltre, i topi hanno anche mostrato cambiamenti comportamentali, tra cui deficit di memoria, aumento dell’ansia e deficit nelle funzioni esecutive.

I ricercatori stanno studiando possibili contromisure per mitigare gli effetti dell’esposizione alle radiazioni. Anche l’assenza di gravità può portare a problemi fisici tra cui cinetosi, deperimento muscolare e cambiamenti nella percezione visiva, effetti che si riflettono sul benessere psicologico, come ha osservato Williams.

Se è vero che l’assenza di gravità non è facilmente simulabile sul nostro pianeta, è anche vero che si possono effettuare altri studi, ad esempio sull’isolamento. Il più grande studio è stato il progetto Mars500, condotto dall’Istituto di problemi biomedici dell’Accademia delle scienze russa nel 2010-2011.

Per 520 giorni, sei partecipanti maschi sani di diversi paesi hanno vissuto all’interno di un modulo chiuso progettato per imitare la sensazione e la funzione di una navetta in viaggio per Marte. Durante la simulazione, i membri dell’equipaggio hanno effettuato la manutenzione ordinaria ed esperimenti scientifici, sono stati isolati dai cicli luce-buio della Terra e hanno subito ritardi nella comunicazione proprio come avrebbero fatto su un volo reale verso Marte.

L’esperimento Mars 500 ha sollevato non poche preoccupazioni, come ha affermato David Dinges, PhD, psicologo dell’Università della Pennsylvania ha studiato gli astronauti sulla ISS e negli ambienti analogici spaziali. Sono infatti stati registrati cambiamenti psicologici e comportamentali tra i partecipanti.

Un membro dell’equipaggio ha manifestato sintomi di depressione da lieve a moderata durante la maggior parte del periodo dell’esperimento (PLOS One , Vol. 9, N. 3, 2014). Altri partecipanti hanno mostrato alti livelli di stress. La conclusione è che le difficoltà di un membro potrebbero causare problemi a tutta la missione.

In un’altro studio, Dinges e il suo team hanno esaminato le abitudini di sonno e attività dell’equipaggio Mars500. Hanno scoperto che con il passare dei mesi l’equipaggio diventava sempre più sedentario durante gli orari di veglia. Trascorrevano più tempo a dormire e riposare (PNAS , Vol. 110, No. 7, 2013).

Alcuni problemi possono essere risolti ottimizzando l’illuminazione imitando il ciclo di 24 ore e lo spettro UV della luce solare sulla Terra, afferma Dinges. “Siamo una specie circadiana e se non si dispone dell’illuminazione adeguata per mantenere quella cronobiologia, si possono creare problemi significativi per i membri dell’equipaggio“.

Dinges lavora per capire e prevenire i problemi psicosociali che potrebbero sorgere nello spazio. In un progetto sostenuto dalla NASA, lui e alcuni colleghi cercano i biomarcatori che diano indizi sulla resilienza emotiva, sociale e cognitiva di una persona.

La NASA utilizza già un processo di selezione di astronauti che potrebbero resistere nelle condizioni stressanti del volo spaziale e i biomarcatori della resilienza potrebbero aggiungere una nuova dimensione alle valutazioni.

Tuttavia, selezionare gli astronauti biologicamente superiori non è necessariamente l’obiettivo, afferma Dinges che prevede che i biomarcatori vengano utilizzati nella ricerca per identificare e testare farmaci o strategie comportamentali che potrebbero aumentare la resilienza.

Raphael Rose, PhD, psicologa presso l’Università della California, a Los Angeles, è tra gli scienziati che contribuiscono a questo sforzo. Ha studiato un programma di gestione dello stress tra i partecipanti al progetto Hawai’i Space Exploration Analog and Simulation (HI-SEAS), uno studio condotto dall’Università delle Hawai’i a Mānoa.

Durante il progetto, i partecipanti hanno utilizzato il programma di Rose, la gestione dello stress e la formazione alla resilienza per prestazioni ottimali (SMART-OP). La NASA sta esaminando i risultati, che non sono ancora stati resi pubblici.

Studi come Mars500 e HI-SEAS sono importanti ma non possono rispondere a tutte le domande che la vita nello spazio pone. I test sono stati fatti su un un numero esiguo di partecipanti e inoltre i dati sono falsati perché i test sono svolti sulla Terra, e non nell’effettivo rigido ambiente spaziale o marziano.

Il viaggio verso Marte potrebbe avere fattori di stress unici, ma anche eccitazione e meraviglia. Per le persone che sognano di esplorare la nuova frontiera i benefici potrebbero superare i rischi.

Staremo a vedere.

Fonte: https://www.apa.org/monitor/2018/06/mission-mars

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