A prima vista, il drago blu può sembrare un animale fantascientifico ma esiste veramente. Il drago blu, il cui nome scientifico è Glaucus Atlanticus, viene chiamato anche rondine di mare, angelo blu, drago lumaca o lumaca blu di mare.
Osservando le immagini, di cosa stiamo parlando esattamente? Parliamo di un mollusco pelagico e, più nello specifico, di un gasteropode. Il drago blu fa parte dell’ordine dei nudibranchi risultando, così, privo di conchiglia, di cavità palleale (lo spazio interno delimitato dalla conchiglia e il mantello, estensione della parete corporea in grado di secernere carbonato di calcio e conchiolina), e di ctenidii (la branchia tipica dei molluschi che può essere a forma di penna o doppio pettine).
Le dimensioni del drago blu
Le macrofotografie vi inganneranno, facendovi sembrare questi animali di medie o grandi dimensioni, ma non è così. Il drago blu è un animale molto piccolo e le sue dimensioni variano tra i 20 e i 40 millimetri circa. Il colore presente sul lato dorsale un grigio argentato accompagnato da un blu molto intenso che si estende nella regione ventrale.
Nella regione cefalica, invece, sono presenti numerose strisce blu. Il corpo presenta una depressione in senso dorso-ventale che rende l’aspetto dell’animale piatto e affusolato. Inoltre, sono presenti sei appendici che si diramano e contengono papille allungate, chiamate cerata, con funzioni respiratorie. Presentano una radula: organo nastriforme con una serie di dentelli seghettati rivolti verso la parte posteriore del tubo digerente, con cui l’animale raccoglie, sminuzza il cibo e gratta le superfici. Generalmente, in condizioni ambientali favorevoli, il drago blu può vivere fino ad un anno.
Nel 2014, uno studio anatomico e genetico di questo genere animale ha rivelato, sorprendendo gli esperti del settore, la presenza di un complesso di specie. Ci sono tre specie nel sistema del giro subtropicale del Pacifico settentrionale e un’altra specie nel sistema del giro subtropicale del Pacifico meridionale. Il Glaucus atlanticus si trova anche nell’Indo-Pacifico e nell’Oceano Atlantico. Nel Pacifico settentrionale si trovano Glaucus marginatus, Glaucus thompsoni e Glaucus mcfarlanei, con Glaucus marginatus presente anche nell’Oceano Indiano e nel Pacifico meridionale.
Il drago blu presenta alcune differenze genetiche in diverse parti del suo areale, ma è considerato come una singola specie.
Le origini del nome Glaucus
Il genere Glaucus è stato descritto nel 1777 dal naturalista britannico Johann Reinhold Forster, il quale recuperò alcuni esemplari durante il secondo viaggio di James Cook a bordo della HMS Resolution. Il genere ha origine dal nome del dio del mare greco Glauco. Nel 1848, invece, il naturalista tedesco Johannes Gistel fornì il nome sostitutivo Dadone per Glaucus, ma ad oggi non è considerato valido. La famiglia Glaucidae fu istituita nel 1827 dallo zoologo britannico John Edward Gray mentre una seconda specie della famiglia fu descritta dal malacologo danese Rudolph Bergh, nel 1860.
Tuttavia, le sinapomorfie (che, in cladistica, ricordiamo essere un nuovo carattere condiviso) tra Glaucus e Glaucilla, creata da Bergh, hanno reso irrilevante il mantenimento di entrambi i generi. Pertanto, Glaucus è ad oggi considerato l’unico genere all’interno della famiglia Glaucidae, contenuta nella superfamiglia Aeolidioidea.
Vita e comportamento
Il drago blu passa la sua intera vita adulta con il lato ventrale verso l’alto, nuotando, quindi, a pancia in su. Perché questo? Perché per riuscire a galleggiare, utilizza una sacca contenuta nello stomaco che si riempie di aria. Questa sacca, però, si localizza nella regione ventrale causando, così, il galleggiamento sottosopra. Proprio per questo motivo, durante il nuoto, si osserva la parte ventrale colorata di blu, anziché quella dorsale di colore argento, vediamo la parte ventrale blu in superficie e quella dorsale argentea rivolta verso l’acqua.
Ma questo ribaltamento viene sfruttato dal drago blu per un meccanismo di difesa poiché i raggi solari vengono riflessi dalla porzione ventrale colorata di blu mentre la parte dorsale argentata aumenta le probabilità di confondere i predatori che potrebbero attaccare questo mollusco dal basso.
Nonostante stiamo parlando di una specie pelagica, il drago blu sfrutta le correnti dell’oceano. Riesce, comunque, a nuotare ruotando in senso orario e antiorario anche se non riesce ad effettuare un moto direzionale. Il nuoto, quindi, risulta essere molto casuale che porta l’animale o verso una possibile preda o verso un compagno. Quando la situazione diventa critica a livello di correnti e tempeste, il drago blu è in grado di svuotare questa sacca piena d’aria, favorendo lo scivolamento verso il fondo.
L’articolo è stato pubblicato sulla rivista SciELO.