Uno scudo dissuade un nemico e significa risolutezza. È anche qualcosa dietro cui nascondersi, per evitare una rissa. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) è stata utilizzata per entrambi gli scopi da politici statunitensi ed europei di vario grado.
Ma cosa succede se lo scudo è rotto o fondamentalmente difettoso? Le potenze occidentali potrebbero essere in procinto di scoprirlo. Il vertice della Nato a Madrid di questo mese è considerato il più consequenziale incontro “trasformativo” dall’era della guerra fredda. Aspettatevi molte autocongratulazioni per come l’alleanza dei 30 paesi si sia unita per proteggere il “mondo libero” dall’aggressione russa. Eppure restano enormi punti interrogativi.
Parlando in Polonia a marzo, Joe Biden, presidente degli Stati Uniti e capo de facto della Nato, ha dato il tono. Ha promesso di difendere “ogni centimetro del territorio della Nato con tutta la forza del nostro potere collettivo” – restando fuori dalla guerra. Mesi dopo, Biden rimane estremamente vago sui risultati a lungo termine.
Ben Wallace, il segretario alla Difesa del Regno Unito, ha fatto eco a questo ritornello la scorsa settimana in Islanda. Il russo Vladimir Putin, quando avrà finito con l’Ucraina, potrebbe prendere di mira Lituania, Lettonia ed Estonia, ha avvertito Wallace, perché, come l’Ucraina, non li vede come paesi “reali” ma come costruzioni artificiali dericate dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991. Ma, come Biden, la Gran Bretagna non ha un piano distinguibile per garantire che un’Ucraina indipendente sopravviva.
Mentre molti alleati si sono fatti avanti, importanti membri europei della NATO si nascondono dietro un’alleanza che in precedenza avevano denigrato e trascurato. La usano per evitare di prendere costosi impegni nazionali con Kiev che potrebbero far arrabbiare Mosca.
Sognando ad occhi aperti l’autonomia strategica dell’UE, il francese Emmanuel Macron preferisce parlare all’azione. Il tedesco Olaf Scholz incarna il dithering e il ritardo. Viktor Orbán, il primo ministro ungherese che blocca le sanzioni, sembra spesso battersi per l’altra parte.
Anche i tentativi cinicamente egoistici del presidente piagnucolone turco, Recep Tayyip Erdoğan, di sabotare le domande di adesione della Finlandia e della Svezia minano l’unità del fronte.
Jens Stoltenberg, l’inoffensivo segretario generale della Nato, farà fatica a riparare queste crepe. La Polonia e altri stati “in prima linea” vorrebbero un approccio più duro, compreso il posizionamento permanente di truppe aggiuntive, armi pesanti e aerei ai confini della Russia. In risposta, i funzionari della Nato promettono decisioni “forti e storiche”.
Per quanto riguarda l’Ucraina, la sua leadership ha del tutto abbandonato le speranze di adesione, solennemente promesse al vertice Nato di Bucarest del 2008, e ha smesso di chiedere un intervento militare diretto. “Naturalmente, ascolteremo parole di sostegno… ne siamo molto grati“, ha affermato il suo ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba. Avendo precedentemente accusato la Nato di “non fare nulla”, non si aspetta azioni concrete a Madrid sull’adesione o, ad esempio, “sicurezza del Mar Nero”.
Quest’ultima osservazione si riferiva all’imperdonabile fatto che gli Stati Uniti e l’Europa non riuscono (in realtà, nemmeno provano) a sfidare il blocco illegale dei porti ucraini da parte di Mosca, che sta creando carenze alimentari globali.
È una delle tante aree in cui la Nato potrebbe e dovrebbe esercitare una maggiore pressione sulle forze russe, spingendo Putin a porre fine alla sua guerra genocida.
Perché la Nato non fa di più? Nel loro insieme, tutte le ragioni e le scuse per la passività e l’inazione producono l’immagine di un’alleanza significativamente meno unita, potente e organizzata di quanto pretendano i suoi sostenitori.
Inizialmente sostenere l’Ucraina, anche se a debita distanza, ha dato una spinta alla Nato. Le sue azioni sono aumentate dal punto più basso raggiunto la scorsa estate con la debacle del ritiro dall’afghanistan.
Ma se, come previsto, la guerra proseguirà, se entrambe le parti contineranno ad incattivirsi, se l’impasse diplomatica si aggraverà e se la minaccia di un conflitto più ampio aumenterà, le debolezze e le vulnerabilità della Nato da tempo irrisolte diventeranno sia più evidenti che più pericolose per coloro che si accovacciano dietro il suo scudo. Il suo bluff post-sovietico potrebbe finalmente essere chiamato.
Non sarebbe realistico aspettarsi una perfetta unanimità politica in un’organizzazione così grande. Ma il fatto che ogni membro abbia la stessa voce in capitolo quando, in termini di capacità militare, sono assurdamente diseguali, ostacola un processo decisionale rapido e coraggioso. Una provocazione nucleare o chimica russa, ad esempio, potrebbe produrre una cacofonia paralizzante di voci contrastanti all’interno della Nato – e Putin sicuramente lo sa.
Allo stesso tempo, c’è un’enorme dipendenza dagli Stati Uniti, una superpotenza militare senza il cui accordo non succede nulla e dietro la cui potenza si nascondono i ritardatari, rifiutandosi di pagare il loro pedaggio.
Dal punto di vista organizzativo e militare, la Nato è dappertutto. Ha tre sedi di comando congiunte: in Italia, Paesi Bassi e Stati Uniti. Ma il suo massimo generale ha sede in Belgio. Manca l’interoperabilità dei sistemi d’arma dei diversi paesi, così come le esercitazioni congiunte, l’approvvigionamento di armi e la condivisione di informazioni.
La Nato è sempre più tesa, intrappolata tra una minaccia russa nell’area euro-atlantica e le sfide nell’Indo-Pacifico di una Cina aggressiva e espansionista. A Madrid sono attesi i leader di Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Il loro incubo comune: un asse globale sino-russo totalitario “senza limiti” con echi del patto nazista-sovietico del 1939.
La Nato pubblicherà il suo “concetto strategico” decennale su come affrontare tutto questo, oltre al terrorismo transnazionale, ai cambiamenti climatici destabilizzanti, alla guerra informatica e all’ascesa degli stati antidemocratici. È un compito arduo. In ritardo, inoltre, è la nuova strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Biden incentrata sull’Asia, che ha dovuto essere ricalibrata frettolosamente dopo l’invasione dell’Ucraina.
Tuttavia, se vuole andare avanti efficacemente su questi numerosi fronti, la Nato deve anche guardare indietro, ammettere gli errori del passato e accettare una certa responsabilità per la crisi attuale.
Mantenendo l’Ucraina nel limbo dei membri in attesa di entrare nell’alleanza senza punire Putin per i crimini di guerra in Cecenia e Siria, il suo attacco del 2008 alla Georgia, la sua annessione della Crimea e la sua guerra per procura nel Donbas post-2014, i compiacenti leader occidentali hanno, speriamo inconsapevolmente, aperto la strada alla catastrofe di oggi.
Dopo il crollo sovietico nel 1991, la Nato si è esageratamente rilassata. Come i tifosi che invadevano il campo prima del fischio finale, pensavano che fosse tutto finito! Ma non lo era, e non lo è .
In questo momento, Putin sta battendo lo scudo, mettendo alla prova l’Occidente. Se l’approccio della NATO a questa sfida non cambierà e, ancora una volta, ci si lascerà fermare dalla paura di affrontare il rischio, presto potrebbe non esserci più nessun posto dove nascondersi. La Nato fallirà di nuovo?