Un’interessante e collaborativa impresa scientifica, avviata nel 2019, ha intrapreso un confronto diretto tra due teorie contrastanti che cercano di svelare il mistero fondamentale della nascita della coscienza umana. I risultati di questo studio innovativo rappresentano una pietra miliare significativa nel campo della ricerca sulla coscienza e sulla sua emergere nel cervello.

La nascita della coscienza umana: un confronto sperimentale tra teorie rivali
L’analisi dei dati raccolti durante l’esperimento ha rivelato l’esistenza di connessioni funzionali cruciali tra i neuroni situati nelle aree visive precoci del cervello, localizzate nella parte posteriore della corteccia cerebrale, e le regioni frontali, tradizionalmente associate alle funzioni cognitive di alto livello. Questa scoperta suggerisce un legame intrinseco e robusto tra i processi di percezione sensoriale e le funzioni cognitive, ma sposta anche l’attenzione dalla corteccia prefrontale come sede primaria e unica dell’esperienza cosciente.
I risultati implicano che, sebbene la corteccia prefrontale rimanga essenziale per il ragionamento astratto, la pianificazione complessa e il processo decisionale, l’esperienza cosciente in sé potrebbe dipendere in misura maggiore dall’elaborazione sensoriale primaria e, in particolare, dalla percezione visiva. In sintesi, si potrebbe affermare che l’intelligenza è prevalentemente orientata all’azione e al “fare”, mentre la coscienza è più profondamente radicata nell’esperienza soggettiva dell'”essere”.
L’indagine sperimentale ha inoltre evidenziato il ruolo cruciale svolto dalla parte posteriore del cervello nella ritenzione di informazioni visive dettagliate, come ad esempio l’orientamento specifico di un oggetto percepito. Sebbene le aree frontali contribuiscano anch’esse all’elaborazione visiva, il loro ruolo sembra essere più orientato all’identificazione di categorie generali e astratte, come il riconoscimento di un oggetto come appartenente alla classe dei “volti” o delle “sedie”.
Questa scoperta mette in discussione l’idea, a lungo consolidata nella neuroscienza cognitiva, secondo cui la parte anteriore del cervello conterrebbe la rappresentazione completa e dettagliata del contenuto delle nostre esperienze visive. I risultati suggeriscono invece che le regioni sensoriali posteriori del cervello potrebbero essere più centrali nella codifica e nella ritenzione della ricchezza e della granularità di ciò che effettivamente vediamo e percepiamo a livello cosciente.
Una nuova prospettiva neuroscientifica
Queste significative scoperte non solo ampliano la nostra comprensione dei meccanismi neurali sottostanti alla coscienza umana, ma possiedono anche importanti implicazioni per far luce sui disturbi della coscienza, come il coma e lo stato vegetativo persistente. L’identificazione precisa delle regioni cerebrali che custodiscono le tracce neurali della coscienza potrebbe rappresentare un passo avanti cruciale nella diagnosi e nella rilevazione della cosiddetta “coscienza occulta” in pazienti non responsivi con gravi lesioni cerebrali, una condizione subdola che si stima si verifichi in circa un quarto di tali casi clinici.
Annuncio pubblicitario
Interessato all'Intelligenza Artificiale?
Prova a leggere su Amazon Unlimited la nostra guida su come installarne una in locale e come ricavarne il massimo.
Una Intelligenza Artificiale locale ti permette di usufruire di tutti i vantaggi derivanti dall'uso dell'IA ma senza dover pagare costosi abbonamenti.
📘 Leggi la guida su AmazonLa Teoria dell’Informazione Integrata (IIT) postula che la coscienza emerga dall’interazione complessa e dalla cooperazione di diverse aree cerebrali che lavorano sinergicamente per integrare l’informazione, analogamente al funzionamento efficiente di un team affiatato. Tuttavia, i risultati di questo studio non hanno evidenziato connessioni funzionali sufficientemente stabili nella parte posteriore del cervello per fornire un supporto empirico robusto a questa idea teorica. D’altra parte, la Teoria Globale dello Spazio di Lavoro (GNWT) sostiene l’ipotesi che la coscienza risieda prevalentemente nelle regioni anteriori del cervello; anche in questo caso, i risultati dello studio non hanno fornito prove conclusive a sostegno di questa prospettiva teorica.
Il professor Anil Seth, esperto di neuroscienze cognitive e computazionali presso l’Università del Sussex, riconosce la complessità intrinseca del problema della coscienza e le limitazioni metodologiche attuali: “Era chiaro che nessun singolo esperimento avrebbe confutato in modo definitivo nessuna delle due teorie. Le teorie sono semplicemente troppo diverse nei loro presupposti e obiettivi esplicativi, e i metodi sperimentali disponibili troppo grossolani, per consentire a una teoria di prevalere definitivamente sull’altra“.
Egli sottolinea il valore intrinseco dei risultati ottenuti dalla collaborazione internazionale: “Detto questo, i risultati della collaborazione rimangono estremamente preziosi: si è imparato molto su entrambe le teorie e su dove e quando nel cervello si possano decodificare le informazioni sull’esperienza visiva“. La portata di questo studio è stata notevole, coinvolgendo un campione di 256 soggetti umani, un numero senza precedenti per questo tipo di indagine sperimentale sulla coscienza. I ricercatori hanno presentato ai partecipanti una varietà di stimoli visivi controllati e hanno simultaneamente monitorato l’attività cerebrale utilizzando tre consolidate tecniche di neuroimaging.
La risonanza magnetica funzionale (fMRI), che misura le variazioni nel flusso sanguigno cerebrale correlate all’attività neuronale; la magnetoencefalografia (MEG), che rileva i campi magnetici prodotti dall’attività elettrica del cervello; e l’elettroencefalografia (EEG), che misura l’attività elettrica cerebrale attraverso elettrodi posizionati sul cuoio capelluto. L’integrazione dei dati provenienti da queste tre diverse modalità di misurazione cerebrale ha fornito un quadro più completo e robusto dell’attività neurale correlata all’esperienza visiva e alla coscienza.
Un nuovo modello per la ricerca sulla coscienza umana
L’esperimento di portata eccezionale descritto rappresenta il culmine di un’iniziativa scientifica aperta e collaborativa su vasta scala, la cui genesi risale a un workshop tenutosi presso l’Allen Institute nel 2018. Questo approccio innovativo ha sapientemente riunito ricercatori provenienti da diverse scuole di pensiero e con prospettive scientifiche distinte, con l’obiettivo specifico di sottoporre a verifica sperimentale diretta due teorie contrastanti sulla coscienza all’interno di un ambiente collaborativo ma al contempo rigorosamente critico.
L’intento primario di questa struttura di ricerca era quello di minimizzare il rischio di bias di conferma, un fenomeno psicologico che può influenzare l’interpretazione dei risultati scientifici, e di accelerare in modo significativo il progresso nella comprensione di uno dei misteri più elusivi della scienza. Christof Koch, figura di spicco nel campo della ricerca sulla coscienza e uno degli artefici di questa collaborazione, sottolinea il potenziale trasformativo di questo modello di ricerca.
“Le collaborazioni antagoniste sono un potente processo sociale, poco utilizzato a causa della loro natura complessa, che mira a coordinare la ricerca e i protocolli associati tra numerosi laboratori indipendenti e individui in competizione tra loro“. Egli argomenta con convinzione che “il settore biomedico potrebbe trarre enormi benefici da una maggiore competizione ‘amichevole’ tra teorie, neurobiologiche o di altro tipo”.
Koch riconosce che l’implementazione efficace di tali collaborazioni antagoniste richiede un elevato grado di cooperazione tra i partecipanti e un impegno costante per mantenere tutti i ricercatori allineati sugli obiettivi comuni e sui protocolli sperimentali condivisi. La sfida risiede nel bilanciare lo spirito competitivo, intrinseco al progresso scientifico, con la necessità di una stretta collaborazione per garantire la validità e la riproducibilità dei risultati.
Lo studio è stato pubblicato su Nature.