Cadorna, l’uomo ed il generale

Ritratto del generale che sarà ricordato soprattutto per la più grande disfatta militare della storia d'Italia

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Il conte generale Luigi Cadorna apparteneva ad  una famiglia con radicate tradizioni militari. Suo  padre Raffaele  aveva guidato il 20 settembre del 1870 la presa  di Roma e suo figlio Raffaele nel 1944 guiderà il Corpo Volontari della Libertà nel  corso della guerra di Liberazione prima di sedere in Parlamento  per tre legislature nelle file  della Democrazia  Cristiana.
La  storiografia ha interpretato  in modi controversi  la figura  del Capo di Stato Maggiore generale  del  Regio Esercito (nominalmente il Comandante Supremo era  il  Re, che ben si guardava dall’intromettersi nelle competenze  militari), incarico che Cadorna ricoprì dal 1914, dopo l’improvvisa morte del generale Alberto Pollio.
Certamente, dopo la disfatta di Caporetto vennero enfatizzati i difetti dell’uomo e del generale che non aveva mai guidato tatticamente sul campo un’unità militare. I soldati lo avevano  poco  in simpatia al  punto da prenderlo in giro con canzonette irriverenti come  questa che veniva canticchiata in assenza di ufficiali: “Il general Cadorna/ha  detto alla Regina/se vuol veder Trieste/la veda in cartolina.”
I politici lo amavano ancora meno per la totale refrattarietà a qualunque intromissione nelle sue prerogative che Cadorna interpretava in modo autoritario quanto largo.  Nel  1917,  nell’anno che sarà fatale  per la  sua carriera, Cadorna aveva 67 anni, cattolico intransigente, con due figlie monache, era un servitore della monarchia sabauda in grado di destreggiarsi abilmente tra cattolici e laici massoni, al  punto da sottolineare  in un suo  scritto la nomina del massone generale Capello  come  Comandante della  zona di Gorizia.
Le principali critiche all’operato  del Capo di Stato  Maggiore  Generale  erano incentrate  sull’autoritarismo  con il  quale gestiva i  milioni di coscritti, egli era fermamente  convinto che la disciplina assoluta  ed incondizionata fosse il caposaldo dell’esercito e per ottenerla ricorse in modo più  massiccio e scriteriato di qualunque esercito occidentale alle  fucilazioni. Il benessere morale  e materiale dei soldati al  fronte  non era tra le priorità di Cadorna.
Peccato che questa  spietatezza del carattere  di Cadorna  alla maggior parte dei contemporanei non appariva  tale, ammaliati dal sorriso e dalle buone  maniere del generale nato a Pallanza il 4  settembre del 1850. Il  colonnello Angelo Gatti, capo dell’Ufficio Storico  dello Stato Maggiore,  scrive sul  suo comandante che  è  l’uomo giusto  al posto giusto e rincara  la dose “il  nostro Capo (così Cadorna era generalmente chiamato  dai suoi ufficiali subalterni) è un  monumento granitico per quanto riguarda la saldissima costituzione morale”.
A quest’uomo tutto d’un pezzo i critici  rimproverano oltre la  rigidezza mentale, l’assoluta insofferenza a qualsiasi  critica che presto sfociò  nel circondarsi di uno stuolo  di adulatori. Il generale  Marazzi già nel  1916 scriveva: “Caratteristica della sua personalità è l’immobilità, l’idea fissa per cui quanto presume debba avvenire, facilmente si pieghi ai suoi desideri. Con ciò  la  discussione non può  tollerarsi,  diventa  indisciplina,  l’avvertire una difficoltà è segno di timore”.
Questo  giudizio  era confortato da quanto pensava anche Don Minozzi un  prelato  ben introdotto nel Comando Supremo,  ideatore delle  Case del  Soldato, uno dei  pochissimi  a preoccuparsi del  morale delle truppe  prima  del  disastro di Caporetto.
Lo stesso Capello scrive perfidamente in una sua lettera della vanità dell’uomo Cardorna che si circonda di adulatori  e lacchè che ben si guardano  di mettere in discussione metodi e decisioni del  generalissimo.
Altri colleghi,  forse un po’ meno malevoli, come il generale  Di Giorgio che sarà poi  ministro della  Guerra con Mussolini dichiarò alla Commissione d’inchiesta parlamentare che Cadorna era un uomo di grandissime qualità ma pessimo organizzatore e rovinato  dalla poca conoscenza degli uomini.
Il generale Caviglia, comandante del XXIV Corpo d’Armata a Caporetto, rafforzò questo giudizio affermando che Cadorna non conosceva veramente  la guerra vissuta dai suoi soldati e quello che era  forse ancora più drammatico non la conoscevano neppure la  maggior parte degli ufficiali del  suo Stato Maggiore.
Questo scollamento tra la  guerra dei coscritti e chi aveva  la responsabilità  di guidare  le operazioni militari fu una delle cause della drammatica rotta di Caporetto. E la disfatta di Caporetto costituirà la fine della  carriera del conte Cadorna ed anche la resa dei conti della politica su un  uomo che, sia  pure in tempo di guerra, aveva assunto quasi  le vesti di  un dittatore.
Il 6 e 7 novembre 1917 a due settimane circa da Caporetto  si svolge la conferenza di Rapallo, un vertice interalleato fra il nuovo Capo del Governo italiano Vittorio Emanuele Orlando, i Primi ministri di Francia e Gran Bretagna e i generali Foch e Robertson. In una riunione propedeutica i rappresentanti stranieri si espressero subito per l’allontanamento di Luigi Cadorna dal comando, e la sua sostituzione con il Duca d’Aosta.
Il Re si rifiutò di nominare il Duca d’Aosta Capo di Stato Maggiore ma il 9 novembre destituì Cadorna e nominò al suo posto il generale  Armando Diaz.
Nel  dopoguerra  Cadorna sedette sugli scranni del Senato fino al 1928 e nel 1924 Mussolini, un po’ a sorpresa,  lo nominò Maresciallo d’Italia. Morì  a Bordighera il 21 dicembre 1928 alla “Pensione Jolie”, poi divenuta “Hotel Britannique” . Sulla facciata dell’edificio è stata posta una placca commemorativa.

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