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Esopianeta K2-18b: il nuovo mondo che ci avvicina alla scoperta della vita extraterrestre

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Esopianeta K2-18b: Il nuovo mondo che ci avvicina alla scoperta della vita extraterrestre

La nostra comprensione dell’Universo è in continua evoluzione, e le recenti scoperte dell’agenzia spaziale NASA stanno riscrivendo i libri di astronomia. Tra le tante gemme cosmiche scoperte, una in particolare brilla di una luce particolarmente intensa: l’esopianeta K2-18b.

Esopianeta K2-18b: Il nuovo mondo che ci avvicina alla scoperta della vita extraterrestre
Esopianeta K2-18b: il nuovo mondo che ci avvicina alla scoperta della vita extraterrestre

L’esopianeta K2-18b: un gigante gassoso nella zona abitabile

Situato a circa 124 anni luce dalla Terra, l’esopianeta K2-18b è un mondo alieno che ha catturato l’attenzione degli scienziati di tutto il mondo. Scoperto inizialmente dal telescopio spaziale Kepler, è stato il telescopio James Webb a svelarne i dettagli più sorprendenti. Questo gigante gassoso, con un raggio 2,6 volte superiore a quello terrestre e una massa otto volte maggiore, orbita all’interno della cosiddetta “zona abitabile” della sua stella, una nana rossa. Questa posizione privilegiata ha alimentato le speranze di trovare tracce di vita al di fuori del nostro sistema solare.

Le osservazioni del telescopio Webb hanno rivelato la presenza di un’atmosfera ricca di molecole organiche, tra cui il dimetilsolfuro (DMS). Sulla Terra, il DMS è prodotto principalmente da organismi marini, come il fitoplancton. Questa scoperta ha suscitato un grande interesse nella comunità scientifica, poiché suggerisce la possibilità che sull’esopianeta K2-18b possano esistere forme di vita simili a quelle terrestri. Tuttavia, è importante sottolineare che la presenza di DMS non è una prova definitiva di vita, poiché potrebbero esserci altre spiegazioni per la sua formazione.

La scoperta di K2-18b rappresenta un passo fondamentale nella ricerca di vita al di fuori del nostro sistema solare. Questo esopianeta ci offre l’opportunità di studiare un mondo completamente diverso dal nostro, e di comprendere meglio le condizioni necessarie per lo sviluppo della vita.

Nonostante i progressi compiuti, ci sono ancora molte domande senza risposta. Gli scienziati dovranno condurre ulteriori studi per determinare con precisione la composizione atmosferica dell’esopianeta K2-18b e per escludere altre possibili spiegazioni per la presenza di DMS. Inoltre, sarà fondamentale sviluppare nuovi strumenti e tecniche per rilevare in modo più diretto le biofirme, ovvero le tracce chimiche inequivocabili di vita.

La scoperta di K2-18b è un chiaro segnale che l’Universo potrebbe essere pieno di mondi abitabili. Tuttavia, la strada verso la scoperta della vita extraterrestre è ancora lunga e tortuosa. Le future missioni spaziali e i telescopi di nuova generazione ci permetteranno di esplorare sempre più a fondo il cosmo e di svelare i suoi segreti più profondi.

Un passo avanti nella ricerca della vita extraterrestre

La scoperta di metano, anidride carbonica e, soprattutto, dimetilsolfuro nell’atmosfera dell’esopianeta K2-18b ha aperto nuovi orizzonti nella ricerca della vita extraterrestre. Questo esopianeta, già considerato un candidato promettente per ospitare oceani d’acqua, si rivela sempre più Interessante. La presenza di DMS, un composto associato alla vita marina sulla Terra, suggerisce che K2-18b potrebbe ospitare forme di vita simili. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per confermare questa ipotesi e comprendere meglio i processi chimici che avvengono su questo mondo alieno.

La NASA ha svelato un dettaglio Interessante riguardo a K2-18b: la presenza di metano e anidride carbonica in abbondanza, insieme a una scarsità di ammoniaca, suggerisce fortemente la presenza di un vasto oceano nascosto sotto un’atmosfera ricca di idrogeno. Questa scoperta è stata ulteriormente corroborata dalla possibile rilevazione di dimetilsolfuro (DMS), una molecola prodotta principalmente da organismi marini sulla Terra. Questa combinazione di elementi rende K2-18b un candidato ancora più promettente per ospitare forme di vita extraterrestre.

Le dimensioni imponenti dell’esopianeta K2-18b. sollevano interrogativi sull’abitabilità del pianeta. La presenza di un potenziale mantello di ghiaccio interno, sottoposto a pressioni enormi, o di un oceano con temperature eccessive potrebbe rendere difficoltosa la presenza di forme di vita simili a quelle terrestri. La scienza tuttavia ci insegna che la vita è straordinariamente adattabile, e non possiamo escludere a priori la possibilità di trovare organismi in grado di sopravvivere in condizioni così estreme.

Nikku Madhusudhan, astronomo dell’Università di Cambridge, ha sottolineato l’importanza di ampliare i nostri orizzonti nella ricerca della vita extraterrestre. Secondo l’esperto, concentrarsi esclusivamente sui pianeti rocciosi di dimensioni terrestri potrebbe limitare le nostre possibilità di successo. I mondi hycean, come K2-18b, con le loro atmosfere ricche di idrogeno e potenziali oceani globali, offrono un nuovo e promettente terreno di caccia per gli astrobiologi.

Il telescopio Webb ha puntato i suoi potenti occhi su l’esopianeta K2-18b., dedicando ben otto ore all’osservazione di questo affascinante esopianeta. L’obiettivo? Indagare più a fondo i segnali di potenziale vita, in particolare la presenza di dimetilsolfuro (DMS), una molecola fortemente associata alla vita marina sulla Terra. Secondo l’astronomo Nikku Madhusudhan, le prossime osservazioni dovrebbero confermare o smentire in modo definitivo la presenza di DMS nell’atmosfera di K2-18b.

Conclusioni

Questa ricerca rappresenta un passo fondamentale verso la nostra ambiziosa missione: identificare la vita su un pianeta al di fuori del nostro sistema solare, una scoperta che rivoluzionerebbe la nostra comprensione dell’Universo.

Prezzi biglietti aerei: rincari per le festività e per il 2025

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Prezzi biglietti aerei: rincari per le festività e per il 2025

L’anno appena concluso è stato decisamente difficile per chi si è spostato in aereo. Da un lato si sono registrati record negativi per quanto riguarda ritardi accumulati e cancellazioni di voli. Dall’altro, non si è verificato il tanto auspicato calo dei prezzi dei biglietti che, al contrario, sono saliti rispetto al 2023. Durante il periodo natalizio appena trascorso, i prezzi sono ulteriormente aumentati. Ma la situazione resterà così anche nei prossimi mesi e per tutto il 2025? Proviamo a capirlo nelle prossime righe.

Prezzi alle stelle per il Natale

Come previsto, il periodo delle festività natalizie, anche quest’anno come lo scorso Natale, ha portato con sé un’impennata dei prezzi dei biglietti, soprattutto nelle tratte interne, particolarmente trafficate tra il 15 dicembre e il 6 gennaio a causa dei ricongiungimenti familiari o delle vacanze. Alcuni biglietti hanno superato i 600 euro per un’andata e ritorno tra Genova e Catania (i voli più cari sono stati quelli diretti verso gli aeroporti siciliani), e alcune associazioni di settore hanno stimato aumenti fino al 400% rispetto alla tariffa base, considerando anche i servizi aggiuntivi come bagagli e scelta del posto.

Fortunatamente, non ci sono state altre brutte sorprese per quanto riguarda il rimborso di voli cancellati. Secondo quanto riportato da AirHelp, società specializzata nella tutela dei passeggeri aerei, il risarcimento per la cancellazione di un volo può arrivare a 600 euro, includendo anche assistenza, trasporti da e verso l’aeroporto e un rimborso parziale o totale del biglietto pagato.

Ci sarà un calo nel 2025?

Mentre l’aumento dei prezzi durante il periodo natalizio era prevedibile, ci sono pareri discordanti sul trend per il 2025. Le stime più ottimistiche suggeriscono un possibile calo già nei primi mesi dell’anno. Questo potrebbe essere dovuto a un ampliamento delle tratte, che porterebbe a una maggiore offerta di voli e, quindi, a biglietti meno costosi.

Inoltre, l’aumento della concorrenza e il previsto abbassamento dei costi del carburante fanno ben sperare. Si parla di un aumento della produzione di petrolio e di una possibile stabilizzazione delle tensioni internazionali, fattori che potrebbero ridurre i costi operativi per le compagnie aeree. Anche gli investimenti in aerei energeticamente più efficienti stanno contribuendo a migliorare il quadro generale.

Oppure i prezzi continueranno a salire?

A fare da contraltare alle previsioni ottimistiche, purtroppo, ci sono studi molto meno incoraggianti che prevedono un aumento generalizzato dei prezzi dei biglietti dell’1% nel 2025. Un aumento dovuto ai vincoli europei imposti per la riduzione delle emissioni nocive e per l’adozione dei nuovi carburanti più sostenibili. Al momento i SAF hanno costi infinitamente superiori ai combustibili tradizionali e mancano incentivi comunitari per il loro utilizzo in pianta stabile.

Il SAF potrebbe tagliare addirittura a diminuire le emissioni nocive del 60-80%. Purtroppo, però, ne viene prodotto molto poco e il suo costo è circa il triplo del tradizionale kerosene. Il rischio è quello che i vettori Extra UE, non costretti a rispettare le nuove normative sulle emissioni, possano offrire gli stessi servizi a prezzi notevolmente più bassi, riducendo drasticamente la competitività degli operatori con sede nel Vecchio Continente.

Un vero e proprio stallo che ha portato Lufthansa, primo vettore in Europa, ad annunciare l’introduzione di una sovrattassa ambientale sui voli a partire dal 1° gennaio 2025. Una sovrattassa che partirà da 1 euro per i voli più corti e che arriverà a 72 euro a biglietto per quelli più lunghi. Una strada, quella del rincaro, che stanno per prendere anche altri colossi come Air France-Klm e Iag (società che gestisce British Airways e Iberia).

Come risparmiare sul biglietto aereo

Prima di farsi prendere dal panico è importante sapere che, al di là dell’arrivo di nuovi rincari o meno, è sempre possibile prendere alcuni accorgimenti che possono far risparmiare qualcosa sul costo del volo. Il primo è quello di acquistare il biglietto il martedì o il mercoledì a partire dalle ore 23. Sono i momenti della settimana con meno richieste e non è raro trovare qualche buona occasione.

Altro momento papabile per l’acquisto online il giovedì o la domenica mattina: sono le due giornate in cui vengono aggiornati i database con i nuovi voli che spesso hanno prezzi inferiori rispetto ai precedenti.

Per quanto riguarda i mesi migliori dell’anno in cui acquistare vanno per la maggiore i periodi di bassa stagione. Ovvero novembre, gennaio (dopo le festività natalizie) e febbraio.

Attenzione anche alle promozioni che lanciano le compagnie con cadenza regolare. Una delle più interessanti è arrivata in questi giorni ed ha come protagonista Easy Jet. La compagnia low cost ha infatti già messo in vendita più di 7 milioni di biglietti suddivisi tra 40mila voli per l’estate del 2025 a prezzi decisamente competitivi.

Dopo il più grande evento di estinzione di massa, i primi a riprendersi furono gli spazzini marini

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Dopo il più grande evento di estinzione di massa, i primi a riprendersi furono gli spazzini marini

L’evento di estinzione del Permiano-Triassico, avvenuto circa 252 milioni di anni fa, è colloquialmente noto come Great Dying (grande morte) a causa dell’estensione dell’evento che colpì quasi il 90% delle forme di vita allora esistenti. È considerato l’evento di estinzione più grave della storia.

Tuttavia, la vita si è ripresa e una ricerca identifica gli spazzini, animali che si nutrono di materia organica depositata sul fondo dell’oceano, come i primi a riprendersi in termini di numero di popolazione e biodiversità.

Gli animali che si nutrono di materia organica sospesa nell’acqua, sono seguiti molto più tardi, secondo una datazione dettagliata di sentieri e tane sul fondo del mare della Cina meridionale. Questa analisi ha rivelato una ricchezza di ichnofossili o tracce di fossili: non veri e propri resti di animali, ma resti di attività animali.

""Come potevano essere gli oceani prima (A) e dopo (BF) l’estinzione. (X.Feng/Z.-Q.Chen/MJ Benton/Y. Jiang)

Siamo stati in grado di osservare tracce fossili da 26 sezioni attraverso l’intera serie di eventi, che rappresentano 7 milioni di anni cruciali“, afferma il paleontologo Michael Benton, dell’Università di Bristol nel Regno Unito. “Mostrando i dettagli in 400 punti di campionamento, abbiamo finalmente ricostruito le fasi di recupero di tutti gli animali inclusi benthos, necton e questi animali scavatori dal corpo molle nell’oceano“.

Poiché gli animali dal corpo molle non hanno scheletri da lasciare dietro di sé, le tracce fossili sono vitali per capire come vivevano queste creature. Il team di ricerca è stato anche in grado di incorporare i fossili del corpo nel loro studio per osservare come altre specie hanno iniziato a riprendersi.

La crisi della fine del Permiano – che è stata così devastante per la vita sulla Terra – è stata causata dal riscaldamento globale e dall’acidificazione degli oceani, ma gli animali che producono tracce possono essere selezionati dall’ambiente“,  spiega il paleoecologo Xueqian Feng della China University of Geosciences.

Le nostre tracce di dati fossili rivelano la resilienza degli animali dal corpo molle all’elevata concentrazione di CO2  e al riscaldamento. Questi ingegneri dell’ecosistema potrebbero aver svolto un ruolo nel recupero dell’ecosistema bentonico dopo la grave estinzione di massa, ad esempio, innescando innovazioni evolutive nel primo Triassico.”

Il team ha esaminato quattro diverse metriche durante la misurazione del recupero: diversità (i diversi tipi di animali), disparità (quanto erano vari quei diversi tipi), come è stato utilizzato lo spazio (utilizzo dell’ecospazio) e come gli habitat sono stati modificati dall’animale (ingegneria dell’ecosistema).

La vita cominciò a tornare prima nelle acque più profonde. Una volta che gli animali che si nutrivano dei depositi organici del fondo si furono ampiamente ripresi, furono gli animali che si nutrivano di residui organici in sospensione, come brachiopodi, briozoi e bivalvi, a riaffermarsi, ma molto più tardi.

Ancora più tardi iniziarono a tornare i coralli. Ci sono voluti circa 3 milioni di anni prima che gli abitanti dei sedimenti dal corpo molle tornassero ai livelli pre-estinzione.

L’estinzione del Permiano-Triassico ha ucciso circa l’80-90% della vita marina sulla Terra, quindi non sorprende che il recupero abbia richiesto molto tempo. Aggiungendo le tracce fossili ai dati ricavabili dai corpi fossili, gli scienziati possono ottenere un quadro più completo di ciò che è successo dopo.

Si ritiene che il cambiamento climatico, il riscaldamento globale, un calo dell’ossigeno e l’aumento dell’acidificazione degli oceani siano stati i fattori principali dietro l’estinzione di massa e, naturalmente, ciò significa che i risultati qui possono insegnarci di più su ciò che sta accadendo nell’era moderna.

Comprendendo come alcuni animali sono sopravvissuti e si sono ripresi dopo la Grande Morte, saremo in grado di capire meglio come queste creature potrebbero sopravvivere all’attuale periodo di riscaldamento che stiamo attraversando e quali specie potrebbero essere le più resistenti.

La ricerca è stata pubblicata su Science Advances.

È possibile misurare l’anima umana?

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È possibile misurare l'anima umana?

Il libro di Mary Roach del 2005, Spook: Science Tackles the Afterlife, in un capitolo, descrive in dettaglio un curioso esperimento che si proponeva di pesare l’anima umana.

L’idea alla base dell’esperimento era chre subito dopo il momento del decesso, la nostra forma corporea subisce una serie di cambiamenti tutt’altro che affascinanti. I tuoi muscoli si rilassano, tutti, fino allo sfintere, il che porta al rilascio di cose come urina e feci. La temperatura corporea aumenta improvvisamente quando il sangue smette di muoversi attraverso il sistema circolatorio, generando sudore. Le cellule morenti rilasciano un gruppo di enzimi che allertano batteri e funghi, portando alla decomposizione e al rilascio di gas nocivi.

Queste cose hanno tutte massa, il che significa che è perfettamente naturale per il corpo umano subire una modesta perdita di peso quando muori. Chi crede ritiene che qualcosa di molto più prezioso sfugge dal corpo quando il cuore non batte più: l’anima. A differenza del sudore o dei liquidi organici, però, non è del tutto chiaro come si misuri l’anima o se abbia anche una forma fisica da misurare.

Ma questo non significa che nessuno ci abbia provato. Nel 1907, il dottor Duncan MacDougall, un medico di Haverhill, Massachusetts, pubblicò un articolo controverso sulla rivista American Medicine, dove affermava di aver determinato che il peso dell’anima umana fosse di 21 grammi.

Nel suo esperimento, MacDougall decise di utilizzare sei soggetti umani in case di cura che erano già prossimi alla morte: quattro stavano morendo di tubercolosi, uno di diabete e uno per cause ignote. All’approssimarsi del momento della morte, i letti dei pazienti venivano trasferiti su bilance industriali accurate a 5,6 grammi.

Tenendo conto della perdita di fluidi corporei e feci, MacDougall stabilì che uno dei pazienti aveva perso 21,3 grammi di peso al momento della morte. Tuttavia, nello studio il medico respinse i risultati degli altri cinque soggetti. In un caso, un paziente aveva perso un po’ di peso al momento del decesso, ma lo aveva prontamente riguadagnato. Altri due pazienti sperimentarono una perdita di peso al decesso, ma ne ripresero di più pochi minuti dopo. La bilancia “non era stata regolata con precisione” in un altro esempio e un paziente è morto mentre MacDougall stava ancora calibrando l’attrezzatura.

Correlato: 21 grammi, è questa la differenza tra la vita e la morte?

MacDougall quindi replicò il suo lavoro con 15 cani per vedere se avevano variazioni di peso al momento della morte e, quindi, possedessero un’anima. Non ne trovò nessuna e prese la cosa come prova che la sua ipotesi era corretta: L’anima era una caratteristica esclusiva degli umani.

Si tratta di un lavoro che attira sicuramente l’attenzione e ha persino ispirato il film del 2003 “21 Grams”, ma probabilmente non è una grande scienza, secondo Donald Everhart, direttore della ricerca istituzionale presso l’AMDA College and Conservatory of the Performing Arts, che ha esperienza in sociologia e filosofia della scienza.

Per prima cosa, le dimensioni del campione negli esperimenti di MacDougall erano troppo piccole per essere affidabili, il che ha probabilmente generato artefatti. “Sebbene questa sia una preoccupazione dal punto di vista attuale, probabilità e statistica avevano una relazione diversa con la sperimentazione scientifica nel 1907“, ha detto. “Ciò non vuol dire che le idee relative al campionamento, alla statistica e al confronto con le distribuzioni normali non fossero già in circolazione all’epoca. In molti casi, l’inferenza logica, combinata con misurazioni che dovevano essere il più accurate possibile, erano all’epoca più comuni per la maggior parte dei campi scientifici rispetto all’inferenza statistica.

Tuttavia, il lavoro di MacDougall sul peso dell’anima avrebbe potuto beneficiare di un approccio più scientifico. Ad esempio, il sociologo francese Émile Durkheim utilizzò le statistiche ufficiali sulla morte nel suo classico lavoro sociologico sul suicidio nel 1897. “MacDougall avrebbe potuto considerare il peso epistemologico aggiuntivo che il suo studio avrebbe potuto avere se avesse analizzato più di un caso“, spiega Everhart.

E poi c’è l’attrezzatura usata nello studio, essenzialmente un letto su una bilancia. Everhart non è così sicuro che un tale apparato fosse appropriato per misurare qualcosa come l’anima.

Fatto ancora più importante, nessuno ha replicato gli esperimenti di MacDougall per vedere se reggevano al controllo, un processo caratteristico del metodo scientifico. MacDougall accennò a questo nel suo lavoro, affermando di essere “consapevole che sarebbe stato necessario fare un gran numero di esperimenti prima che la questione potesse essere dimostrata oltre ogni possibilità di errore“. Tuttavia, sembrava credere di avere prove sufficienti per avanzare la sua ipotesi.

Civiltà: in che punto siamo della scala Kardashev?

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Civiltà: in che punto siamo della scala Kardashev?

Ci sono diversi modi in cui possiamo misurare il progresso della civiltà umana. La crescita della popolazione, l’ascesa e la caduta degli imperi, la nostra capacità tecnologica di raggiungere le stelle, ma una semplice misura è calcolare la quantità di energia che gli esseri umani usano in un dato momento. Man mano che l’umanità si è diffusa e progredita, la nostra capacità di sfruttare l’energia è una delle nostre abilità più utili.

Se si presume che civiltà su altri pianeti possiedano abilità simili alle nostre, il consumo di energia di una specie è una buona misura approssimativa della sua abilità tecnologica. Questa è l’idea alla base della scala Kardashev.

L’astrofisico russo Nikolai Kardashev ha proposto la scala nel 1964. Ha classificato le civiltà in tre tipi: planetarie, stellari e galattiche. Una specie di tipo I è in grado di sfruttare l’energia su una scala pari alla quantità di energia stellare che raggiunge il suo pianeta natale. Le specie di tipo II possono sfruttare l’energia sulla scala della sua stella natale e il tipo III può sfruttare l’energia della sua galassia natale. L’idea è stata ulteriormente resa popolare da Carl Sagan, che ha suggerito una scala di misurazione continua piuttosto che semplicemente tre tipi.

Allora che tipo di civiltà siamo? Sebbene gli esseri umani utilizzino un’enorme quantità di energia, si scopre che, al momento, non ci qualifichiamo nemmeno come civiltà di Tipo I. Circa 1016 watt di energia solare raggiungono in media la Terra e l’umanità attualmente utilizza circa 1013 watt. Sulla scala mobile di Sagan, questo ci pone attualmente a circa 0,73.

Non male per un gruppo di primati evoluti, ma solleva una domanda interessante. Potremmo raggiungere il Tipo I? Dopotutto, non possiamo catturare tutta la luce solare che raggiunge la Terra e avere ancora un pianeta abitabile.

Inserti di Terra, sistema solare e galassia.I tre tipi di civiltà Kardeshev. (Wikipedia, cc-by-sa 3.0)

Questa domanda è stata studiata in un articolo pubblicato su arXiv. Il documento esamina le tre fonti primarie di energia: combustibili fossili, nucleare e rinnovabile e calcola la loro crescita potenziale nel tempo.

Da un lato, raggiungere il Tipo I sembrerebbe abbastanza facile. Fai della produzione di energia la tua priorità assoluta e alla fine ci arriverai. Ma ogni tipo di fonte di energia ha i suoi limiti. In un caso estremo, come bruciare ogni grammo di combustibile fossile possibile, potrebbe portare a un livello di cambiamento climatico che potrebbe farci finire nel cosiddetto Grande Filtro. Non puoi diventare una civiltà di tipo I se sei estinto.

Quindi il team ha adottato un approccio più sfumato, analizzando i limiti fisici di ogni tipo di fonte di energia e bilanciandoli con la necessità di limitare i cambiamenti climatici e i livelli di inquinamento, come delineato dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e dall’Agenzia internazionale per l’energia. Hanno scoperto che anche con limitazioni realistiche, è possibile che l’umanità raggiunga un livello di tipo I. Lo svantaggio è che non raggiungeremo quel livello almeno fino al 2371.

Non è necessariamente una cosa negativa. La scala Kardashev è uno strumento molto schietto per misurare la scala della tecnologia umana.

Sebbene le civiltà avanzate richiedano grandi quantità di energia, abbiamo visto come i progressi nell’elaborazione a bassa potenza e una maggiore efficienza ci consentono di ridurre o appiattire il nostro consumo di energia continuando a progredire tecnologicamente.

Gli pterosauri avevano davvero le piume

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Gli pterosauri avevano davvero le piume

Per gran parte della storia della paleontologia, gli scienziati hanno pensato che tutti i dinosauri fossero ricoperti di squame, come le lucertole di oggi. Questo fino a quando una serie di scoperte avvenute negli ultimi decenni ha rivelato che molti di questi meravigliosi animali estinti sfoggiavano piume, proprio come i loro discendenti, gli uccelli.

Per quanto riguarda gli pterosauri, i rettili volanti che regnavano nel cielo quando i dinosauri vagavano sulla Terra, la questione non è mai stata risolta. Erano glabri? Avevano le piume? Le scarse prove nella documentazione sui fossili non sono mai state definitive – fino ad ora.

Conservato su lastre di calcare antico nel nord-est del Brasile, un fossile di Tupandactylus imperator recentemente scoperto rivela l’esistenza di piume di pterosauro circa 113 milioni di anni fa.

PterosuarTupandactylus4Ricostruzione artistica del Tupandactylus imperator. (Copyright Bob Nicholls 2022)

Non ci aspettavamo affatto di vederlo“, afferma la paleontologa Aude Cincotta dell’University College Cork in Irlanda. “Per decenni i paleontologi hanno dibattuto sul fatto se gli pterosauri avessero piume. Le piume nel nostro esemplare chiudono definitivamente quel dibattito poiché sono molto chiaramente ramificate lungo tutta la loro lunghezza, proprio come gli uccelli di oggi“.

Gli pterosauri avevano le piume

Prima d’ora, i ricercatori erano più o meno d’accordo sul fatto che gli pterosauri fossero ricoperti da uno strato esterno di strutture simili a filamenti chiamati picnofibre, che potevano assomigliare a una peluria, anche se non era noto se fossero la stessa cosa delle piume.

Il nuovo esemplare brasiliano sembra chiarirlo, mostrando non solo filamenti a filamento singolo simili a baffi che spuntano dalla cresta cranica della creatura, ma anche strutture ramificate, distintamente simili a piume che non sono state segnalate in precedenza negli pterosauri, contrassegnate da fibre corte che si estendono da un pozzo centrale.

Questa modalità di ramificazione è direttamente paragonabile a quella dello stadio IIIA delle piume degli uccelli esistenti, cioè con le punte che si ramificano da un rachide centrale”scrivono i ricercatori in un nuovo articolo che descrive la scoperta. “Questa è una forte prova che le strutture ramificate fossili sono piume che comprendono un rachide e barbe“.

PterosuarTupandactylus4Ricostruzione artistica di T. imperator , che mostra tipi distinti di piume. (Copyright Bob Nicholls 2022)

Secondo l’analisi dei ricercatori, è molto probabile che le piume siano state ereditate da un antenato avemetatarsale comune sia ai dinosauri che agli pterosauri, anche se è possibile che queste caratteristiche si siano evolute indipendentemente in diversi gruppi o specie di animali.

A proposito di lineamenti, le deboli tracce dell’antico piumaggio del T. imperator sembrano aver conservato un colorato segreto tenuto nascosto per molti milioni di anni. Esaminando il fossile con la microscopia elettronica ad alta risoluzione, i ricercatori hanno scoperto l’esistenza di abbondanti microcorpi che misurano circa 0,5-1 μm di lunghezza nei tessuti molli dell’animale e interpretati come melanosomi, organelli che contengono pigmenti di melanina responsabili di diversi colori negli animali.

I melanosomi avevano diversi tipi di forme (tra i monofilamenti, le piume ramificate e altri tessuti cranici), suggerendo che lo pterosauro avrebbe potuto mostrare una gamma di colori attraverso il suo piumaggio. “Negli uccelli e nei mammiferi moderni, molti dei colori dominanti di piume e peli provengono da una gamma limitata di forme di melanina chimicamente distinte“, spiega il paleontologo Michael Benton dell’Università di Bristol nel Regno Unito, autore di un editoriale sulle nuove scoperte.

PterosuarTupandactylus4I melanosomi di pterosauro nelle immagini al microscopio elettronico. (Cincotta et al., Natura , 2022)

Sebbene sia impossibile sapere con certezza in che modo il T. imperator abbia beneficiato di piume di colore diverso oltre 100 milioni di anni fa, Benton afferma che diversi colori sulla cresta cranica prominente dello pterosauro potrebbero aver contribuito a segnalare processi tra individui diversi o ad altri aspettilegati alla comunicazione animale.

Forse venivano usati nei rituali pre-accoppiamento, proprio come alcuni uccelli usano ventagli colorati, ali e creste della testa per attirare i compagni“, scrive.

Gli uccelli moderni sono rinomati per la diversità e la complessità delle loro esibizioni colorate e per il ruolo di questi aspetti della selezione sessuale nell’evoluzione degli uccelli, e lo stesso potrebbe essere vero per una vasta gamma di animali estinti, inclusi dinosauri e pterosauri“.

I risultati sono riportati su Nature.

TRAPPIST-1b potrebbe avere un’atmosfera ricca di anidride carbonica

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TRAPPIST-1b potrebbe avere un'atmosfera ricca di anidride carbonica

Secondo uno studio, Trappist-1b, il pianeta più interno Del sistema TRAPPIST-1, potrebbe essere in grado di supportare un’atmosfera densa.

Da quando nel 2017 è stato scoperto questo sistema di sette mondi delle dimensioni della Terra molto vicini tra loro, a soli 40 anni luce dalla Terra, gli astronomi hanno cercato di determinare se su qualcuno di loro esista un’atmosfera in grado di supportare la vita così come la conosciamo.

Precedenti osservazioni del James Webb Space Telescope (JWST) hanno suggerito che tutti i pianeti del sistema sarebbero rocce sterili e prive di aria a causa dei violenti flares rilasciati dalla stella ospite che dovrebbero avere spogliato i pianeti delle loro atmosfere. Tuttavia, una nuova analisi dei dati JWST sul pianeta più interno, TRAPPIST-1b, suggerisce che potrebbe avere un’atmosfera nebbiosa e ricca di anidride carbonica.

Bisogna, però, aggiungere che le nuove misurazioni rivelano anche una temperatura inaspettatamente alta per la superficie di TRAPPIST-1b, il che potrebbe indicare che si tratta di un mondo sconvolto da attività vulcanica e questo spiegherebbe anche la possibile presenza di una densa atmosfera composta prevalentemente di CO2.

Nonostante il sistema sia il sistema planetario meglio studiato al di fuori del nostro, rilevare le atmosfere sui suoi pianeti si è rivelato impegnativo. Questo è il risultato delle caratteristiche insolite della minuscola e fredda stella nana rossa a ttorno cui girano, che può imitare segnali atmosferici che sono già deboli e difficili da rilevare.

Trappist-1b potrebbe somigliare a Titano

Le precedenti misurazioni effettuate dal JWST sulla radiazione del pianeta a una singola lunghezza d’onda di 15 micrometri suggerivano che un’atmosfera densa e ricca di anidride carbonica fosse improbabile, poiché l’anidride carbonica assorbe fortemente la luce a questa lunghezza d’onda e quindi avrebbe ridotto notevolmente la radiazione osservata.

Ciò ha portato i ricercatori a concludere lo scorso anno che TRAPPIST-1b è molto probabilmente una palla di roccia la cui superficie è stata resa inospitale dalle radiazioni stellari e dagli impatti dei meteoriti.

Al contrario, le nuove misurazioni, che sono state raccolte a una diversa lunghezza d’onda di 12,8 micrometri, suggeriscono non solo un’atmosfera densa e ricca di anidride carbonica, ma anche che include foschia altamente riflettente, simile allo smog che si vede qui sulla Terra. Quella foschia, affermano i ricercatori, fa sì che l’atmosfera superiore del pianeta sia più calda degli strati sottostanti, creando un ambiente in cui l’anidride carbonica emette luce anziché assorbirla, il che potrebbe spiegare la mancanza di un calo previsto nelle osservazioni precedenti.

Uno più uno fa più di due: avere due punti dati per Trappist-1b ci consente ora di esplorare scenari alternativi per la sua atmosfera, indipendentemente dal fatto che esista o meno“, ha affermato in un recente comunicato stampa Leen Decin della KU Leuven in Belgio, coautore dello studio.

Una grande sfera arancione accanto a sette sfere più piccole marroni e blu
Un’illustrazione dei sette pianeti simili alla Terra per composizione e dimensione che orbitano attorno alla stella Trappist-1.(Credito immagine: NASA/JPL-Caltech)

Tali dinamiche sono note per verificarsi sulla luna più grande di Saturno, Titano, ad esempio, ma “la chimica nell’atmosfera di TRAPPIST-1b dovrebbe essere molto diversa da quella di Titano o di qualsiasi altro corpo roccioso del sistema solare“, ha affermato nella stessa dichiarazione il coautore dello studio Michiel Min dello SRON Netherlands Institute for Space Research. “È affascinante pensare che potremmo trovarci di fronte a un tipo di atmosfera mai vista prima“.

Ora i ricercatori stanno monitorando il modo in cui il calore viene ridistribuito sul pianeta mentre orbita attorno alla stella ospite, il che li aiuterà a determinare la composizione dell’atmosfera del pianeta.

Se esiste un’atmosfera, il calore dovrebbe essere distribuito dal lato diurno del pianeta al suo lato notturno“, ha affermato Michaël Gillon, astronomo dell’Università di Liegi in Belgio, che ha guidato il team internazionale che ha scoperto i sette pianeti TRAPPIST-1. “Senza un’atmosfera, la ridistribuzione del calore sarebbe minima“.

Questa ricerca è descritta in un articolo pubblicato su Nature Astronomy.

L’energia geotermica, una promessa per il futuro

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L'energia geotermica: una promessa per il futuro
L'energia geotermica: una promessa per il futuro

L’energia geotermica, che sfrutta il calore naturale della Terra, ha il potenziale per diventare una fonte energetica rinnovabile pulita e affidabile. Tuttavia, le tecnologie geotermiche tradizionali sono limitate in termini di temperatura e profondità di accesso al calore.

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Energia geotermica: la chiave per un futuro energetico sostenibile?

Trenton T. Cladouhos, uno scienziato geotermico con 16 anni di esperienza nel campo, ha recentemente presentato un articolo alla Stanford University in cui delinea le sfide e le opportunità della geotermia come fonte di energia rinnovabile.

Cladouhos sostiene che la geotermia ha il potenziale per alimentare il pianeta, ma che la ricerca e lo sviluppo in questo campo devono ancora colmare alcune lacune.

Le osservazioni dello scienziato si sono concentrate sulle sfide associate all’estrazione del calore dal sottosuolo, in particolare da rocce supercalde a temperature superiori a 375°C. In queste condizioni, l’acqua convogliata diventa supercritica, assumendo una fase simile al vapore con una capacità di trasporto energetico 5-10 volte superiore all’acqua calda normale.

L’estrazione di energia geotermica supercritica offre un enorme potenziale: basti pensare che il recupero di appena il 2% dell’energia termica immagazzinata nella roccia calda tra 3 e 10 km di profondità negli Stati Uniti equivarrebbe a 2.000 volte il consumo annuale di energia primaria del paese. Tuttavia, la tecnologia per sfruttare questa energia è ancora in fase di sviluppo.

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Le sfide nell’estrazione di energia geotermica

Un ostacolo chiave allo sfruttamento dell’energia geotermica profonda è la tecnologia di perforazione. Le trivelle tradizionali utilizzate nell’industria petrolifera e del gas non sono progettate per resistere alle temperature e alle pressioni estreme che si incontrano a chilometri di profondità, dove si trova la fonte primaria.

I sistemi geotermici ingegnerizzati (EGS) sono una tecnologia promettente per sfruttare l’energia geotermica profonda. Questi sistemi, noti anche come radiatori o scambiatori di calore sotterranei, mirano a creare artificialmente serbatoi di acqua calda in profondità nella terra.

Diversi approcci sono stati sviluppati e utilizzati sul campo da aziende come Eavor e Fervo Energy. Tuttavia, nessuno di questi sistemi ha ancora dimostrato la sua efficacia a temperature superiori a circa 200°C.

La startup Quaise Energy sta sviluppando una soluzione innovativa a questo problema: la perforazione con onde millimetriche. Le onde millimetriche, simili alle microonde che usiamo in cucina, possono letteralmente sciogliere e vaporizzare la roccia, creando un tunnel per raggiungere le profondità desiderate.

L'energia geotermica: una promessa per il futuro

Energia geotermica: colmare le lacune nella ricerca e sviluppo

Le sfide per lo sfruttamento dell’energia geotermica profonda richiedono innovazioni nei sistemi EGS esistenti o addirittura approcci completamente nuovi.

Nel suo discorso, Cladouhos ha identificato 14 lacune nella ricerca e nello sviluppo che devono essere colmate per raggiungere questo obiettivo. Le lacune sono raggruppate in tre categorie: scienza di base, strumenti e infrastrutture e tecnologia di stimolazione e serbatoio.

Una lacuna fondamentale è la necessità di maggiori dati sulla meccanica delle rocce a profondità e pressioni estreme. Tali dati a loro volta consentiranno agli scienziati geotermici di modellare meglio questi sistemi.

La progettazione della stimolazione è un aspetto critico per lo sfruttamento efficiente dell’energia geotermica profonda. L’obiettivo è creare un sistema economico per far circolare l’acqua attraverso rocce supercalde per estrarre il loro calore.

I sistemi geotermici poco profondi odierni utilizzano spesso la tecnica di fratturazione della roccia per aumentare la superficie di scambio termico. Tuttavia, la fratturazione a profondità e temperature estreme presenta sfide significative e rappresenta un’incognita, come sottolineato da Cladouhos.

Il completamento dei pozzi è un’altra area critica che richiede innovazione per lo sfruttamento dell’energia geotermica profonda. Si tratta di stabilizzare i pozzi geotermici contro le condizioni estreme di temperatura, pressione e corrosione presenti in profondità. I pozzi perforati in paesi come Islanda, Giappone, Stati Uniti e Italia hanno fallito nel tempo a causa di queste sfide.

Cladouhos ha sottolineato che il percorso per sfruttare l’energia geotermica supercritica sarà graduale e richiederà un impegno a lungo termine. Il primo progetto EGS di roccia supercalda colmerà molte lacune di conoscenza, ma ne rivelerà probabilmente anche di nuove. Il raggiungimento degli obiettivi commerciali richiederà un processo iterativo di sviluppo tecnologico e test sul campo.

Nonostante le sfide, Cladouhos e Callahan sono ottimisti sul successo di questa tecnologia.

Esistono già esempi di tecnologie che operano a temperature simili o superiori a quelle della roccia supercalda, come le centrali elettriche a carbone e nucleari.

Gli ingegneri e gli scienziati hanno le competenze per progettare sistemi in grado di accedere, contenere ed estrarre energia da questa risorsa globale. Tuttavia, per accelerare lo sviluppo sono necessari incentivi per gli investimenti e la ricerca.

Gravitoni, scoperto qualcosa che si comporta come pensiamo dovrebbero fare

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Gravitoni, scoperto qualcosa che si comporta come pensiamo dovrebbero fare, gravità

Da decenni i fisici cercano i gravitoni, le ipotetiche particelle che dovrebbero mediare la forzza di gravità.

I gravitoni non sono ancora mai stati rilevati ma particelle simili a ciò che pensiamo siano i gravitoni sono state ora osservate in un semiconduttore. Studiare queste particelle per comprendere il comportamento dei gravitoni potrebbe aiutare a unire la teoria generale della relatività e la meccanica quantistica.

Questa scoperta è come avere trovato un ago in un pagliaio. E lo studio che ha dato il via a tutto questo risale al lontano 1993”, afferma Loren Pfeiffer dell’Università di Princeton. Pfeiffer ha scritto quell’articolo con diversi colleghi tra cui Aron Pinczuk, morto nel 2022, prima che venissero trovate tracce di queste sfuggenti particelle.

Gli studenti e i collaboratori di Pinczuk, compreso Pfeiffer, hanno ora completato l’esperimento di cui i due iniziarono a discutere 30 anni fa. Si sono concentrati sugli elettroni all’interno di un pezzo piatto del semiconduttore arseniuro di gallio, che hanno posizionato in un potente frigorifero ed esposto a un forte campo magnetico. In queste condizioni, gli effetti quantistici fanno sì che gli elettroni si comportino in modo strano: interagiscono fortemente tra loro e formano un insolito liquido incomprimibile.

Questo liquido non è calmo ma presenta moti collettivi in ​​cui tutti gli elettroni si muovono di concerto, il che può dare origine ad eccitazioni di tipo particellare. Per esaminare quelle eccitazioni, il team ha puntato un laser attentamente sintonizzato sul semiconduttore e ha analizzato la luce che si diffondeva da esso.

Ciò ha rivelato che l’eccitazione aveva una sorta di rotazione quantistica che è stata teorizzata solo nei gravitoni. Sebbene non si tratti di un gravitone di per sé, è la cosa più vicina che abbiamo visto.

Ziyu Liu della Columbia University di New York, che ha lavorato all’esperimento, afferma che lui e i suoi colleghi sapevano che nel loro semiconduttore potevano esistere eccitazioni simili a quelle gravitoniche, ma ci sono voluti anni per rendere l’esperimento abbastanza preciso da rilevarle. “Dal punto di vista teorico, la storia era abbastanza completa, ma negli esperimenti non ne eravamo davvero sicuri“, dice.

L’esperimento non è un vero analogo allo spazio-tempo: gli elettroni sono confinati in uno spazio piatto e bidimensionale e si muovono più lentamente degli oggetti governati dalla teoria della relatività.

Ma è una scoperta “estremamente importante” che collega diversi rami della fisica, come la fisica dei materiali e le teorie della gravità, in un modo precedentemente sottovalutato, afferma Kun Yang della Florida State University, che non è stato coinvolto nel lavoro.

Il fisico che cerca i gravitoni negli arcobaleni gravitazionali

Tuttavia, Zlatko Papic dell’Università di Leeds, nel Regno Unito, mette in guardia dall’equiparare la nuova scoperta al rilevamento di gravitoni nello spazio. Dice che i due sono sufficientemente equivalenti affinché i sistemi elettronici come quelli del nuovo esperimento diventino terreni di prova per alcune teorie della gravità quantistica, ma non per ogni singolo fenomeno quantistico che accade nello spazio-tempo su scala cosmica.

Le connessioni tra queste particelle eccitate ed i gravitoni teorici sollevano anche nuove idee sugli stati esotici degli elettroni, ha affermato il membro del team Lingjie Du dell’Università di Nanchino in Cina.

Fonte: Nature DOI: 10.1038/s41586-024-07201-w

Addicted to sequel: perché il gaming del 2025 non potrà farne a meno

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Addicted to sequel: perché il gaming del 2025 non potrà farne a meno
Addicted to sequel: perché il gaming del 2025 non potrà farne a meno

L’industria videoludica, come ogni altro settore dell’intrattenimento, è fortemente legata al concetto di franchising e al potere dei brand consolidati. Una recente analisi sui giochi più attesi del 2025 ha evidenziato una tendenza innegabile: il dominio dei sequel.

Questa prevalenza non è un caso isolato, ma riflette una strategia consolidata da parte degli sviluppatori, che puntano sulla fidelizzazione dei fan e sulla riduzione dei rischi legati al lancio di nuove IP.

Addicted to sequel: perché il gaming del 2025 non potrà farne a meno
Addicted to sequel: perché il gaming del 2025 non potrà farne a meno

Sequel, reboot e l’implacabile ricerca del nuovo

I sequel offrono diversi vantaggi: un pubblico già predisposto, un mondo di gioco e una lore già conosciuti, che facilitano l’immedesimazione del giocatore. Tuttavia, questa dipendenza dai franchise preesistenti rischia di soffocare l’innovazione e di limitare la creatività.

È in questo contesto che emergono quei titoli “underdog“, quei giochi che, pur non appartenendo a serie già affermate, riescono a conquistare il cuore dei giocatori. Spesso, sono proprio queste opere a sorprendere e a rinnovare il panorama videoludico.

Nintendo, da sempre maestra nel sorprendere, rappresenta un caso a sé stante. La casa di Kyoto, pur avendo un catalogo ricco di franchise storici, è in grado di reinventare costantemente i suoi personaggi e di proporre esperienze di gioco uniche e innovative. Basti pensare a Super Mario Odyssey, un titolo che ha rivoluzionato la formula del platform a scorrimento laterale.

Il 2025 si preannuncia come un anno cruciale per l’industria videoludica. Da un lato, assisteremo al lancio di attesissimi sequel come Death Stranding 2, che promette di approfondire temi complessi e di offrire un’esperienza narrativa coinvolgente. Dall’altro, dovremo aspettarci sorprese inaspettate da Nintendo e da altri sviluppatori indipendenti.

I sequel più attesi del 2025

Doom: The Dark Ages

Doom: The Dark Ages è pronto a raccogliere l’eredità dei suoi predecessori, offrendo un’esperienza di gioco che è al tempo stesso familiare e innovativa. Proprio come Astro Bot ha fatto per la realtà virtuale, Doom: The Dark Ages potrebbe ridefinire gli standard del genere FPS, portando il caos e la frenesia a un livello superiore.

Elden Ring

Mentre attendiamo un sequel di Elden Ring, FromSoftware ci sorprende con Elden Ring: Nightreign, un’esperienza cooperativa che reinventa il mondo di Limgrave. In questa nuova avventura, fino a tre giocatori potranno esplorare una versione procedurale dell’Interregno, affrontando sfide sempre nuove e collaborando per sconfiggere un boss finale epico.

Ghost of Yotei

Sucker Punch alza l’asticella con Ghost of Yotei, un sequel che promette di superare le aspettative dei fan. Ambientato in un contesto storico completamente diverso, questo nuovo capitolo ci offre un’esperienza di gioco più matura e profonda, con una protagonista carismatica e una storia avvincente.

Grand Theft Auto 6

Nonostante il lungo silenzio di Rockstar Games da quel primo, accattivante trailer, Grand Theft Auto VI rimane in cima alla lista dei giochi più attesi per il 2025. Sebbene i dubbi sull’effettiva data di uscita siano legittimi, l’attesa per esplorare Vice City e la storia dei due protagonisti principali continua a crescere.

Like a Dragon

Nato come espansione di Infinite Wealth, Like a Dragon: Pirate Yakuza alle Hawaii si è rapidamente evoluto in un gioco a sé stante, offrendo un’esperienza di gioco più ampia e approfondita. I fan di Majima potranno finalmente scoprire di più sul suo passato e sul suo presente, in un’avventura ricca di azione, umorismo e colpi di scena.

Metroid Prime 4

Dopo un’attesa che sembrava infinita, Metroid Prime 4 è finalmente alle porte! Annunciato nel 2016, questo attesissimo capitolo della saga arriverà finalmente nel 2025. Grazie al recente Nintendo Direct, abbiamo potuto dare un’occhiata al gameplay e siamo più entusiasti che mai.

Monster Hunter

Il mondo di Monster Hunter è pronto ad espandersi ancora di più. Monster Hunter Wilds, il seguito spirituale del trionfale Monster Hunter: World, ci promette un’esperienza di gioco ancora più ricca e coinvolgente. Un mondo aperto da esplorare liberamente, mostri da cacciare e un’infinita possibilità di personalizzare il proprio personaggio: tutto questo e molto altro ci aspetta.

Pokémon Legends: Arceus

Arceus ha gettato le basi per un futuro promettente. Z-A, sfruttando le potenzialità di una nuova console, potrebbe finalmente realizzare la visione originale dei creatori. Un mondo Pokémon senza limiti, dove catturare e allenare i mostriciattoli sarà un’esperienza ancora più coinvolgente.

Slay the Spire

I giochi di deck-building roguelite sono una dozzina al giorno d’oggi, ma Slay the Spire ha davvero portato il genere in voga nel 2019. Sei anni dopo, il nonno del genere torna con un sequel, introducendo nuovi personaggi e meccaniche alla sua formula avvincente. Non sorprenderti se Slay the Spire 2 finirà per essere il Balatro del 2025.

Conclusioni

L’analisi dei giochi più attesi del 2025 ci ha offerto uno spaccato interessante dell’industria videoludica. Se da un lato la predominanza dei sequel è innegabile, dall’altro è altrettanto evidente la voglia di novità e di esperienze uniche. Solo il tempo ci dirà quali saranno i titoli che riusciranno a lasciare il segno e a definire il panorama videoludico dei prossimi anni.