mercoledì, Gennaio 15, 2025
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Nuove cure da antichi testi medievali?

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Il serpente di Esculapio

Per molto tempo, la medicina medievale è stata liquidata come irrilevante. Questo periodo di tempo è comunemente indicato come i “secoli bui”, alcuni storici medievalisti e ricercatori, però, stanno ora guardando a ritroso nella storia alla ricerca di nuovi antibiotici.

I batteri, come tutti gli esseri viventi, si evolvono e, a volte, sviluppano resistenza agli antibiotici rendendo necessario trovare nuovi farmaci per combatterli. Purtroppo, però, non è facile trovare nuovi principi attivi in grado di uccidere i germi patogeni senza danneggiare l’ospite, requisito fondamentale di una cura efficace. Si stima che circa 700.000 persone in tutto il mondo muoiono ogni anno per infezioni resistenti ai farmaci e le proiezioni indicano che saranno oltre 10 milioni entro il 2050 le morti causate da batteri resistenti agli antibiotici.
 Un squadra di ricercatori composta da storici medievali, microbiologi, biochimici, parassitologi, farmacisti e analizzatori di dati stanno effettuando studi sulle antiche ricette utilizzate dai medici medievali per curare le infezioni e verificare se in esse vi fosse qualcosa di efficace.
A tal fine, stano compilando un database di ricette mediche medievali he permetterà di classificare tutte le sostanze utilizzate dalal farmacopea antica.

Uno studio pilota effettuato su una ricetta vecchia 1.000 anni chiamata collirio di Calvo tratta da un antico testo medico inglese. Questa terapia era usata contro un’infezione dei follicoli ciliari, provocata da batteri quali lo Staphylococcus aureus, di cui molti ceppi risultano resistenti alla meticillina. Gli stafilococchi sono responsabili anche di una varietà di altre infezioni gravi e croniche, sepsi e polmonite.

Questo collirio di Calvo contiene vino, aglio, una specie Allium (come porri o cipolla) e oxgall. La ricetta prevede che, dopo la miscelazione degli ingredienti, la mistura deve riposare in un recipiente di ottone per nove notti prima dell’uso.
Lo studio condotto u questa ricetta ha dimostrato, in vitro ed in vivo su topi, importanti effetti antistafilococco, efficace, in particolare, contro lo stafilococco aureo. Il potenziale clinico della medicina europea premoderna è poco conosciuto e studiato.
recentemente, il chimico cinese Tu Youyou è stato insignito del Premio Nobel per la medicina per la scoperta di una nuova terapia per la malaria dopo avere effettuato uno studio su oltre 2.000 ricette dell’antica letteratura cinese sulla medicina a base di erbe.
Certo, ci sono superstizioni medievali e trattamenti che non avremmo replicare oggi, quali lo spurgo corpo di un paziente di umori patogeni.
Molte ricerche in questa direzione hanno, però, dimostrato che molti dei farmaci usati nel medioevo avevano soprattutto effetto di placebo o palliativo e che, in molti casi, erano frutto soprattutto di superstizioni. Ciò non toglie che, come nel caso del collirio di Calvo, possano essere rinvenute altre terapie efficaci.
 sl medicina 3Un antico testo, ristampato continuamente fino al 1800, il “Lilium Medicinae” contiene 360 ricette e migliaia di ingredienti. Tutte queste informazioni sono state caricate in un database che ne permetterà un’analisi comparativa alla ricerca di antichi principi attivi di cui sia provata l’efficacia.
La ricerca di nuovi antibiotici è oggi fondamentale affinché le infezioni batteriche moderne, fino ad ora controllate con gli antibiotici, non tornino ad essere n flagello come in passato. Ad aiutarci in questo difficile compito potrebbe essere proprio la storia della medicina  e l’utilizzo appropriato dell’antica sapienza derivata dall’esperienza di medici che non avevano gli strumenti attuali.
La ricerca procede in disparate direzioni: i biochimici cercano nuove molecole di sintesi per elaborare nuovi principi attivi, altri ricercatori fanno ricerche sulla peculiare resistenza ia batteri del drago di Komodo, il cui sangue potrebbe essere dotato di un antibiotico naturale, altri ancora si rivolgono alla tradizione e alla saggezza antica.
L’importante è che emergano risultati positivi, non importa da quale direzione arriveranno.

Addio Panem Et Circenses

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di Fabiana Lanzi

A Roma non ci vivo solamente, io Roma la vivo ogni giorno, da cittadina e da pendolare. Con l’affanno di chi sa cosa significa spostarsi con i mezzi pubblici di questa città che, da Capitale, si sta trasformando sempre più a periferia dell’impero.

A Roma corri e ti indigni.

Corri perché se perdi il treno sai che  il prossimo vale, minimo, dai trenta ai quaranta minuti di attesa.

Corri perché, se sul tuo tragitto hai bisogno del bus numero 53 – l’autobus fantasma, così lo chiamano – e per una manciata di minuti lo perdi, serve un bel segno della croce e una buona dose di pazienza  prima di vederne un altro.

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Il degrado alla stazione Colosseo

Si corre a Roma, ci si  indigna, anche per acquistare il biglietto alle macchinette automatiche, dove infili i tuoi due euro e, puntualmente, non funzionano e ti  rubano i soldi e allora corri dagli addetti al controllo e: “Signorì, che je potemo fa, chiami il servizio clienti” ( a cui non risponde nessuno ) e riprendi la tua corsa, con due euro in meno nelle tasche. Correndo, con lo sguardo doppio tipico di ogni romano, che sta attento alla strada, agli incroci, al  suv che sbuca a cento all’ora da una rampa e così attraversi una babilonia dal cielo azzurro.

Arrivi alla prima stazione della metropolitana e quello che c’è da fare sono scale e scalini, e non mi riferisco a quelle di Regina Coeli, un tempo dimostrazione di verace romanità per ogni malandrino, né a quelle che ci portano fin sopra la cupola di San Pietro. Parlo degli scalini delle scale mobili che, in due stazioni su tre, non sono funzionanti e quando finalmente raggiungi le seggiole arancioni della linea A ti accorgi di quanto questa città sia lontana dal famoso “panem et circenses”- Addio panem ma, addio pure circenses, direi – perché, oltre ai mezzi pubblici fantasma e mal funzionanti, oltre l’indignazione quotidiana, oltre le tristezze dell’ultimo Natale (ricordate l’albero comatoso di Piazza Venezia e piazza Navona vuota?) basta fare una passeggiata a Ponte Milvio.

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Ponte Milvio

Basta scendere alla fermata Flaminio e prendere il tram 2, per trovarsi davanti Piazza di ponte Milvio, la famosa piazza del libro di Moccia, dove sono spariti all’improvviso i tavolini, tutti. Persino le modeste e casuali sedie del bar Pallotta senza obbligo di consumazione. E’ un caso piccolo ma molto simbolico per chi in città ci vive. E’ il racconto di come si può trasformare la Capitale (in peggio) pur seguendo alla lettera le regole. Si, a Ponte Milvio sedie e tavolini sono scomparsi perché il municipio ha fatto il nuovo piano di occupabilità del suolo, e in attesa che i bar aggiornino le domande e gli uffici rispondano, invece di prorogare le vecchie autorizzazioni ha deciso di fare tabula rasa.  In punta di diritto, nulla da eccepire. E’ un modo come un altro di agire, un modo super legale. Però, sicuri che migliori le cose togliendo alla città anche lo sfizio di un aperitivo seduti?

Lo stesso è stato fatto a Capocotta ( il “mare gratis” dei romani) con i chioschi ritenuti fuori norma, tutto sigillato in attesa di nuovi bandi, che però non sono mai arrivati.

Star senza panem e senza circenses è senza dubbio una novità per Roma, dove il lavoro ha stentato sempre ma la qualità della vita, il divertimento e il relax con pochi spicci, interclassista e casuale, non è mai mancato.

Se ne va Sky, chiude Almaviva, scappano quelli del progetto Torri, tornano le voci di un trasloco Mediaset dalla storica sede del Palatino, è in dubbio la costruzione del nuovo stadio. Cose che capitano all’improvviso, tutte insieme, senza un minimo comune denominatore, ma che trasmettono ai romani lo stesso messaggio: Roma sta perdendo gli ultimi brandelli di fascino e prestigio.

Quel che mi domando è se l’invocazione delle regole in questa città si sta trasformando nell’ideologia dell’immobilismo, del non fare per non sbagliare.

Con questa domanda continuo il mio tour sui mezzi ATAC, che per colpa di manager o semplici autisti, hanno contribuito  con i loro comportamenti a diffondere il credo che “ATAC” non sia un acronimo, ma la prima parte dell’espressione tutta romana “attaccatevearcazzo”. E sono tanti i retroscena da raccontare e i luoghi in cui il degrado e l’immobilismo fanno da padroni, così tanti che bisogna scegliere un luogo simbolico da dove cominciare:

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Parchi privi di manutenzione

Via Libero Leonardi-Cinecittà Est, ad esempio. Due fermate di bus oltre il capolinea della metro. Estrema periferia. Cemento popolare e borghesia impoverita, parcheggi arroventati, tre parchetti di erbacce secche e panchine arrugginite.

I figli della periferia corrono tra aiuole sterrate e altalene sbilenche. Tra cestini stracolmi e cespugli pieni di rifiuti.

Nessun privilegio, tutta Roma è così.

 

E’ così la stazione Termini, che di sera si trasforma in un dormitorio a cielo aperto, una città dentro la città. Un doppio volto. Se di giorno è il crocevia di viaggiatori e pendolari, al tramonto attraversare Via Marsala, Via Giolitti, Piazza dei Cinquecento, Via Amendola vuol dire essere catapultati in una realtà da terzo mondo.

Io continuo a correre, a vivere e amare questa città, a cui cerco di dare un’immagine fortemente rappresentativa ogni volta che mi trovo davanti a situazioni e disagi quotidiani. Provo con  il Colosseo, così da comprendere in un baleno tutta la storia di Roma imperiale, potenza e crudeltà, magnificenza  e sangue. Con la Cupola di San Pietro, che con le sue curve armoniose ci racconta la Roma papale e rinascimentale, arte, solennità, spiritualità e opulenza. Ma nessuna di queste immagini riesce ad annodare in un attimo i fili sparsi e spezzati di questo preciso periodo.

A mio avviso, la torre trasparente delle Smart che si erge sul bordo del Raccordo ha la giusta potenza simbolica e imbattibile per la Roma di oggi. Ogni volta che passo davanti a quella vetrina verticale, a quei sette piani di cristallo dove come giocattoli stanno esposte le celebri micro vetture, mi sembra di sentire il soffio dei nostri giorni.

Vanità e leggerezza, superbia e tecnologia, infantilismo e edonismo, ansia e paralisi, ricchezza e dure scadenze rateali, speranza e depressione: tutto si concentra in quella torre di Babele che sfida l’azzurro del cielo.

E’ il monumento della nostra epoca ambiziosa e fragile, che vorrebbe andare lontano ma resta bloccato dietro un vetro.

Il blog personale di Fabiana Lanzi
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Lazarus Long, l’immortale di Robert A. Heinlein

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(titolo originale Time Enough for Love, letteralmente “abbastanza tempo per l’amore”)

Lazarus Long, l’immortale è, probabilmente, tra i romanzi tardivi di Heinlein, quello in cui l’autore traccia un po’ il bilancio della sua vita e detta il suo testamento spirituale. Si tratta di un’opera profondamente intima in cui l’autore trova il modo di riprendere le fila di eventi lasciati in sospeso in molti dei suoi precedenti romanzi e racconti.

Lo svolgimento è intenso, a tratti commovente, dove traspare l’orgoglio dell’autore per le sue passate creazioni ma anche il rimpianto per il tanto che si sarebbe potuto fare e non è stato fatto. Leggere Time Enough for Love ti porta ad alternare momenti di commozione ad altri di esaltazione quasi selvaggia e tutta la prima del romanzo è permeato da una lenta rassegnazione  che, ad un certo punto, verrà sostituita da dall’ansia di fare e dal bisogno di futuro.

Lazarus Long è il Capostipite, l’ultimo sopravvissuto delle Famiglie Howard, un gruppo di esseri umani che, partecipando ad un programma di selezione genetica e ricorrendo a tecniche mediche è riuscito ad aumentare moltissimo la propria aspettativa di vita. Lazarus è ormai una leggenda ed è molto tempo che ha fatto perdere le proprie tracce, ora è stanco e non ha più nessuno scopo nella vita, avendo fatto tutto. Re, schiavo, medico e banchiere, profeta e capitano, ha visto e fatto tutto e si ritira in una stanzetta di albergo deciso a morire ma qualcuno ne segnala la presenza alle autorità, che hanno altri piani per lui. Ira Wheatheral, suo discendente e governatore del pianeta in cui Lazarus si nasconde, lo fa salvare ritenendo che l’immensa esperienza fatta da quest’uomo non possa essere dispersa. Inizia a questo punto un braccio di ferro tra Lazarus ed Ira. Il primo accetta di farsi curare se l’altro riuscirà ad inventare qualcosa di nuovo ed interessante che lui non ha già fatto. In questa fase è particolarmente interessante il rapporto di complicità e confidenza che viene a instaurarsi tra il senescente Lazarus ed il computer senziente Minerva. Lazarus impone anche un patto secondo il quale Ira e le persone che orbitano intorno a loro dovranno ascoltare ogni giorno il racconto della sua vita in una sorta di “Mille e una notte” al contrario, con la promessa che, se non troverà il suo pubblico ogni giorno disponibile, lazarus potrà utilizzare il pulsante del suicidio, com’è suo diritto.

I racconti di Lazarus sono un misto di fatti realmente accadutigli e di invenzioni. I vari racconti sono intervallati da raccolte di interessanti aforismi dello stesso Lazarus.

Alla fine Ira e Minerva troveranno effettivamente qualcosa di interessante che Lazarus non ha mai fatto e il capostipite, circondato dall’affetto dei suoi lontani discendenti, vivrà una nuova imprevedibile avventura, durante la quale capirà che c’è ancora abbastanza tempo per l’amore e che la morte può attendere.

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Zannone, l’isola del peccato

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Acque verde smeraldo, cielo azzurro e un paesaggio incontaminato, Zannone ha tutto quello che ci si aspetta da un’isola non lontana dalla terraferma.

Zannone, però, ha anche una reputazione che non ti aspetti: l’isola delle orge.
Nella villa coloniale bianca che spicca su un costone roccioso che si affaccia sul Mar Tirreno, il marchese Casati Stampa teneva sontuose feste a base di sesso.
Zannone è l’atollo più dalla natura più incontaminata delle isole pontine, eppure la sua più grande attrazione, perfino più della sua meravigliosa natura è il suo buio, oscuro, passato fatto di scandali sessuali che videro protagonisti il marchese e e sua moglie Anna Fallarino, una ex attrice.
Era un uomo lascivo, un voyeur che amava osservare e fotografare la giovane moglie fare sesso con ragazzi più giovani“. Così raccontano gli anziani pescatori che portano i turisti in barca tra scogli e faraglioni.
Poi, un giorno, si stufò, sparò a moglie ed amante e si uccise.

La piscina romana dove Anna Fallarino divertita a nuotare nudi.

 L’antica piscina romana dove Anna Fallarino nuotava nuda.
Negli anni ’60, l’isola di Zannone è stata il rifugio segreto delle vacanze che la coppia aristocratica e sessualmente disinibita aveva affittato dallo Stato.
Il nobile andava a caccia, mentre la sua bella moglie passava il tempo facendo altro“. raccontano i pescatori.
Questo “altro” aggiungono, “comprendeva nuotare nelle antiche vasche romane e intrattenersi sulla spiaggia con giovani uomini“.
L’isolamento garantito da Zannone, rendeva l’isola il luogo ideale per ospitare feste in maschera che culminavano in scene in stile fetish simili a quelle presentate da Stanley Kubrick nel film “Eyes Wide Shut”.
E il suo ambiente esotico si abbinava alla perfezione alle provocanti fotografie di nudo di Anna scattate dal marito.
In quegli anni, decine di yacht e motoscafi approdavano all’isola nei week end, trasportando duchi, baroni, contesse, vip e miliardari.

Mussolini isola: Italia & # 39; s vacanze dittatore a tema

A quanto pare, gli ospiti del  marchese bevevano notevolmente. Durante recenti lavori di manutenzione, mucchi di bottiglie rotte e schegge di vetro sono stati ritrovati sepolti nel terreno.
Secondo alcune indiscrezioni, all’interno della villa c’era una sala degli specchi nascosta che permetteva di spiare gli ospiti mentre facevano sesso.
La villa era un ritrovo hot della jet-society dell’epoca“, ricorda l’ex custode Salvatore Pagano che un tempo viveva accanto ai marchesi. “È stato pazzesco qui“.
I residenti della vicina isola di Ponza, da dove partono le visite guidate all’isola, ancora ricordano la coppia scandalosa.
Sapevamo tutti quello che succedeva lì“, dice una guida turistica “Era soprannominata l’isola dei sex parties ma nessuno ha mai detto una parola all’epoca“.

Oggi, Zannone & # 39; s terreno accidentato è quasi deserta.

È quello che noi chiamiamo il segreto di Pulcinella“, aggiunge, intendendo che tutti sapevano.

Poi avvenne la tragedia.

I giochi erotici terminarono nel sangue nel 1970, quando Anna si innamorò di uno dei suoi molti amanti. In un impeto di gelosia, il marito uccise la coppia, per poi spararsi alla testa nella loro soffitta a Roma.
I tabloid si precipitarono a pubblicare parti del diario segreto del marchese, noto come il “diario di velluto verde”, del marchese  dove erano riportati nel dettaglio i triangoli amorosi di sua moglie.
Furono anche rinvenute 1.500 foto erotiche raffiguranti Anna, chiuse nei cassetti dell’ufficio del marchese.
Oggi su Zannone non c’è nulla, nemmeno un bar. Solo un faro e la villa bianca con i colonnati e un patio con vista sul mare, visibilmente in stato di abbandono.
La villa era stata costruita nel 1930 ed è passata da una nobile famiglia dell’aristocrazia italiana all’altra, famiglie che usavano l’isola come riserva di caccia privata, popolandola con centinaia di ​​mufloni.
Le pecore, unici abitanti moderni di Zannone, sono una specie protetta, e sono a casa loro sulle ripide scogliere scure.

L'isola & # 39; s acque incontaminate competere con quelli delle Seychelles.

Le acque incontaminate dell’isola competono con quelle delle Seychelles.

Per i visitatori, l’escursione alla casa del marchese, situata sul punto più alto di Zannone, è difficile e faticosa. La villa si trova sui terreni di un monastero medievale in rovina, ornato di statue di terracotta, con affreschi, alcune abitazioni, una piccola cappella.
È un curioso mix di sacro e blasfemo.
Secondo le leggi attuali la villa sarebbe stata una costruzione abusiva. Oggi non è consentito edificare su un sito archeologico.
Zannone è passata dall’essere un luogo di meditazione, dove il silenzio e la preghiera regnavano sovrani, ad un luogo di perdizione, teatro di trasgressione e scandali.
Quando si compì la tragedia della scandalosa coppia, la villa fu chiusa e l’isola fu bonificata dallo Stato.
Ora l’isola è il parco giochi dei turisti, che possono fare il bagno nelle stesse acque in cui Anna Fallarino faceva l’amore con i suoi numerosi amanti. È un luogo attraente. Arrivandoci in barca, è possibile immergersi e nuotare sotto la villa,  davanti alla spiaggia privata di ciottoli dove la moglie del Marchese un tempo prendeva l’abbronzatura integrale.
Tronchi d’albero caduti, palme e fluorescenti alghe verdi fanno fanno sembrare l’isola un paradiso in stile Seychelles.
Attualmente, solo biologi, scienziati e appassionati di birdwatching sono, di tanto in tanto, autorizzati a passare la notte sull’isola, rigorosamente in tenda. Quando il sole tramonta, i turisti tornano alle loro barche e Zannone torna ad essere un’isola proibita, custode dei suoi molti segreti.
Zannone è raggiungibile solo in barca dall’isola di Ponza.
Gli ex pescatori ora portano i visitatori in escursione al prezzo di € 27 a persona. Il pranzo viene servito a bordo con snack e bevande. Le barche partono dal porto di Ponza alle ore 11 e rientrano per le 17:00
Maggiori informazioni tramite Cooperativa Barcaioli ponzesi ( +39 0771 809.929 ).
I traghetti e le barche ad alta velocità per l’isola di Ponza partono tutti i giorni da Terracina e Anzio (www.navlib.it ; www.laziomar.it). Entrambi i porti sono raggiungibili con il treno dalla stazione centrale Termini di Roma.

The Philadelphia experiment

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di Oliver Melis

L’Esperimento di Philadelphia sarebbe avvenuto il 28 ottobre del 1943 sotto la guida di Franklin Reno, indicato anche come “Dott. Rinehart“, insieme al quale avrebbero partecipato anche scienziati di fama mondiale come Albert Einstein e Nikolas Tesla. Secondo i sostenitori della teoria dell’esperimento, alle ore 17:15 il cacciatorpediniere USS Eldridge (DE-173) ormeggiato nei pressi del molo di Philadelphia, sarebbe scomparso, ricomparendo, dopo pochi minuti, a Norfolkm in Virginiam per poi rimaterializzarsi nuovamente presso lo stesso molo di Philadelphia. L’Esperimento di Philadelphia è un presunto test condotto nel corso del Progetto Arcobaleno dalla United States Navy.

Il Progetto Arcobaleno (Rainbow Project) sarebbe stato un esperimento scientifico che avrebbe visto il coinvolgimento di Albert Einstein. L’esperimento, secondo alcuni, doveva deformare tramite un campo elettromagnetico il flusso della luce nell’area attorno a una nave tanto da renderla invisibile. I sostenitori del progetto (smentito dalle fonti ufficiali degli enti che lo avrebbero portato a termine) attribuiscono al progetto stesso anche numerosi altri scopi irrealizzabili dal punto di vista scientifico.

Secondo i sostenitori del progetto, installando nello scafo cavi elettrici lungo tutto il perimetro si sarebbe creato un campo magnetico funzionante in maniera simile al processo di degauss o demagnetizzazione, il procedimento con il quale si elimina la carica magnetica da un oggetto, sia di natura metallica ferrosa o di altra natura; Il procedimento è effettivamente usato, ad esempio, per la creazione di acciaio amagnetico, come anche sullo scafo di una nave, per renderla meno individuabile da mine magnetiche.

L’esperimento sarebbe fondato sulla teoria del campo unificato di Einstein, che presuppone una relazione tra le radiazioni elettromagnetiche e la forza gravitazionale, sfruttando per la generazione del campo magnetico delle bobine progettate da Tesla. Secondo i sostenitori della teoria, l’invisibilità sarebbe dovuta al campo magnetico, che avrebbe curvato la luce attorno all’oggetto, facendola passare oltre lo stesso senza rifletterla.

Altre ipotesi danno assegnano all’esperimento lo scopo di misurare le distorsioni magnetiche e gravitazionali, anche se non se ne capisce il fine. Un’ultima e fantasiosa ipotesi, che non ha nessun riscontro scientifico, ma in passato ampiamente divulgata, è quella secondo la quale il Progetto Arcobaleno sarebbe stato in grado di teletrasportare oggetti a grandi distanze.

Sulla base di questo ipotetico esperimento, adottando alcune delle tesi complottiste, sono stati, in passato, realizzati diversi film di fantascienza.

L’esperimento

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The Philadelphia experiment

Chi sostiene la teoria che vorrebbe che la USS Eldridge sia stata coinvolta in un esperimento di teletrasporto, afferma che l’imbarcazione ormeggiata nel porto di Philadelphia sarebbe scomparsa dopo aver emesso un lampo di luce azzurra, materializzandosi istantaneamente in Virginia per poi riapparire, dopo qualche minuto, nuovamente nel molo di Philadelphia. Al termine dell’esperimento alcuni marinai scomparvero nel nulla, mentre cinque furono ritrovati fusi con il metallo della struttura della nave come se le molecole dello scafo e quelle dei loro corpi si fossero compenetrate. Ancora oggi non è stato possibile trovare nessun documento che confermi l’esperimento e, tanto meno, è stato possibile rintracciare i testimoni dell’evento. Svariate ricerche hanno portato a identificare l’origine della leggenda in una serie di pubblicazioni su giornali sensazionalistici, unite alle esperienze di personale di marina che avrebbe assistito all’uso di bobine elettromagnetiche nei porti dove si stavano costruendo le installazioni necessarie alla nascente pratica della demagnetizzazione degli scafi navali in modo da renderli quasi inattaccabili dalle mine magnetiche.

La nascita della leggenda

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The Philadelphia experiment

Nel 1955, Morris K. Jessup, un astronomo dilettante, avanzò un’ipotesi sull’uso delle forze elettromagnetiche nella propulsione spaziale dei dischi volanti che, dichiarò, aveva osservato egli stesso. Morris sosteneva che l’utilizzo dei razzi avrebbe sottratto ingenti risorse ad altri settori della ricerca. Durante lo stesso anno, Jessup affermò di aver ricevuto tre missive firmate da un certo “Carlos Miguel Allende”, nelle lettere l’autore avrebbe citato l’esperimento di Philadelphia, riferendosi ad una serie di articoli di giornali scandalistici senza citare nesusuna fonte verificabile. Secondo Jessup, Allende avrebbe raccontato nelle lettere di essere uno dei testimoni oculari dell’esperimento, avvenuto mentre si trovava a bordo della SS Andrew Furuseth. Riferì inoltre che Allende sarebbe stato a conoscenza della scomparsa e del destino di alcuni membri dell’equipaggio della Eldrige. Allende, a una richiesta di approfondimento da parte di Jessup, avrebbe risposto solo dopo mesi, questa volta col nome di Carl M. Allen, dichiarando di non poter fornire ulteriori prove, ma che le stesse sarebbero emerse tramite ipnosi regressiva di altre persone coinvolte, se si fosse provato a scavare nella storia.

Nel 1957 Morris K, Jessup disse di essere stato contattato dall’Office of Naval Research di Washington. L’ente aveva ricevuto una copia del suo libro: The Case for the UFO (1955), con diverse annotazioni da parte di tre persone che trattavano di due tipi di creature che avrebbero vissuto nello spazio. Tra queste vi sarebbero state anche annotazioni che alludevano all’esperimento di Philadelphia, come se chi scrivesse ne fosse a conoscenza. Le affermazioni di Jessup riportarono all’attenzione dell’opinione pubblica l’esperimento Philadelphia, facendo circolare anche l’ ipotesi che alcune delle di queste annotazioni potessero essere state scritte da esseri extraterrestri. Un confronto calligrafico sembrò, comunque, dimostrare che uno degli autori delle note risultasse essere Allende/Allen, e anche le altre sarebbero state scritte dalla stessa persona, ma con penne diverse. L’indirizzo del mittente corrispondeva ad una fattoria abbandonata.

Jessup fu trovato morto nel 1959 nella sua macchina. La sera prima aveva organizzato un appuntamento nel quale si proponeva di divulgare nuove scoperte sul fantomatico esperimento navale ma all’appuntamento non arrivò mai. Gli investigatori sostennero l’ipotesi del suicidio dovuto al crollo di notorietà, mentre per i sostenitori della teoria del complotto Jessup fu assassinato per metterlo a tacere.

Su questa storia scrissero ni parecchi, spesso manipolandola riportando notizie imprecise e artefatte. La notorietà assunta dalla vicenda portò alla realizzazione anche di un film ma nessuna delle tesi proposte nell’esperimento trovarono conferma e nessuno dei supposti testimoni si fece vivo.

La storia dell’esperimento di Philadelphia entra, quind,i a pieno titolo nel regno delle leggende metropolitane, una delle tante che verrà, in seguito alla morte di Jessup, accostata a grandi scienziati, agli alieni e al triangolo delle Bermuda in un libro di Berlitz, nonostante il luogo dell’esperimento si trovi a centinaia di chilometri di distanza. L’apparato teorico del presunto esperimento sarebbe pura fantascienza e nessuna prova dimostra che Albert Einstein avrebbe partecipato. Il grande scienziato collaborò negli anni ’40 collaborò effettivamente con la Marina statunitense ma solo per delle ricerche sulle esplosioni. Il secondo, ma non meno importante, scienziato coinvolto, Tesla, all’epoca dei fatti narrati era già morto. Nel 1990, in una conferenza, un certo Alfred Bielek, raccontò di essere un sopravvissuto all’esperimento e disse di essere stato catapultato nel futuro per salvare la nave e di essere poi riuscito a tornare nel suo tempo. Quanto narrato da lui è simile alla trama del film del 1983, The Philadelphia experiment, quindi poco credibile, tanto più che la sua versione dei fatti cambiò diverse volte, ed è quindi poco attendibile.

L’equipaggio della Eldridge e la SS Andrew Furuseth

Nel 1999, durante un incontro tra veterani, l’equipaggio della USS Eldridge venne intervistato dal giornale Philadelphia Inquirer. La nave, varata il 27 agosto 1943, era rimasta in porto a New York fino a metà settembre, e nell’ottobre dello stesso anno parti per il suo viaggio inaugurale alle Bahamas, tornando a Long island il 18 ottobre. Secondo il giornale di bordo la Eldridge non è mai stata a Philadelphia. La nave prestò regolare servizio sino al 1951 per la US Navy. In seguito fu venduta alla marina civile per la quale operò fino al 1977. I diari di bordo della a SS Andrew Furuseth ci dicono che fu in navigazione nel mare mediterraneo fino al ’44. Nemmeno questa nave fu, all’epoca, ormeggiata al molo di Philadelphia.

Oliver Melis è owner su facebook delle pagine Perle complottare e le scie chimiche sono una cazzata.

Il tricorder medico di Star Trek è realtà, grazie ad un concorso

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Nella nostra epoca, il progresso tecnologico ha, spesso, preso spunto per idee e invenzioni dalla fantascienza…

Uno degli oggetti più affascinanti utilizzati dai personaggi della serie fantascientifica Star Trek e quel dispositivo medico in grado di fornire attraverso una breve scansione una diagnosi completa dello stato del paziente: il tricorder. dispositivo medico per tutti gli usi, il Tricorder, ha ispirato anche alcune persone giuste per ricreare la sua capacità quasi magica per diagnosticare istantaneamente un paziente. Qualche tempo fa, l’organizzazione no-profit X-Prize Foundation ha bandito un concorso per a realizzazione di uno strumento simile.

Alla fine, un team composto da due fratelli della Pennsylvania, un medico e un ingegnere informatico specializzato nell’intelligenza artificiale, si è aggiudicato i 2,5 milioni di dollari messi in palio per il primo premio e, un secondo premio da 1 milione di dollari, è stato aggiudicato al “Dinamics Biomarkers Group” di Taiwan.

L’obiettivo del concorso Qualcomm Tricorder XPrize era quello di creare uno scanner sanitario non-invasivo, leggero e portatile, in grado di diagnosticare 12 diverse malattie e l’assenza totale di malattie in un tempo minimo di 90 minuti fino ad un massimo di 24 ore per rilasciare la diagnosi. Lo scanner, inoltre, doveva essere in grado di monitorare costantemente cinque diversi parametri vitali tra i quali il battito cardiaco e la funzione respiratoria.

Il dispositivo realizzato dal team vincente è “più avanzato” rispetto alla versione fittizia. XPrize tramite YouTube

Dal 2012, 312 gruppi provenienti da 38 paesi hanno presentato i propri progetti. Due finalisti sono stati annunciati lo scorso dicembre, e sei in totale sono stati premiati alla cerimonia di premiazione a Los Angeles.

Il team che sta dietro il progetto vincitore è stato diretto dai fratelli Dr. Basil Harris, un medico di pronto soccorso, e George Harris, un ingegnere di rete. “DxtER”, da loro realizzato, è un dispositivo con intelligenza artificiale.

Il gruppo vincente ha realizzato il proprio dispositivo partendo dal presupposto che un unico dispositivo non avrebbe potuto fare tutto ciò che veniva richiesto dai parametri stabiliti per il concorso e hanno risolto il problema realizzando un dispositivo in grado di utilizzare diversi tipi di estensioni sensoriali

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DxtER, il Tricorder. XPrize

(sensori) non invasivi per raccogliere le informazioni sullo stato di salute del paziente e comparare, in tempo reale, i dati ottenuti con le informazioni presente in un data base medico.

Per effettuare una diagnosi precisa sulla base di tutti e 13 i parametri indicati, si è dovuta sviluppare un’intelligenza artificiale piuttosto complessa ma questa attività ha portato ad arrivare oltre: DxtER, infatti, è in grado di diagnosticare 34 condizioni cliniche diverse molto prima della scadenza massima prevista di 24 ore. 

Ovviamente, lo sviluppo di questo straordinario tricorder non è finito ma lo scopo del concorso è stato raggiunto: creare un dispositivo medico veramente rivoluzionario e portatile.

Il premio assegnato al team vincitore servirà per far avanzare lo sviluppo oltre la fase del prototipo e la Fondazione Qualcomm ha impegnato 3.8 milioni per ulteriori sviluppi, arrivando a concedere 2,5 milioni di dollari All’università di San Diego, in California, per avere ulteriore aiuto. Anche la fondazione Roddenberry (il creatore di Star Trek) concederà un ulteriore finanziamento di 1.6 milioni per rendere operativo il tricorder e farlo adottare da ospedali e comunità nei paesi in via di sviluppo.A quanto pare, sarà un ospedale del Mozambico il primo ad utilizzare i dispositivi in ​​situazioni di vita reale.

“La creazione di innovazioni tecnologiche in un settore così complesso come l’assistenza sanitaria è un bel traguardo,” ha osservato il dr. Paul Jacobs, presidente esecutivo di Qualcomm Incorporated, “Quello che queste squadre hanno compiuto è un ottimo trampolino di lancio per rendere l’assistenza sanitaria via cellulare una valida opzione in tutto il mondo.”

Scala della competizione. XPrize tramite YouTube

 

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La squadra vincente. XPrize

Fonte: IFLScience

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L’uomo falena

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Point Plessant è una cittadina degli Stati Uniti situata nel West Virginia. Questo luogo è stato reso famoso nel 1966 da un curioso fatto di cronaca che lo fece conoscere in tutto il mondo.

Era la sera del 15 novembre quando due coppie stavano percorrendo sulla stessa macchina la provinciale che li avrebbe ricondotti a casa. All’altezza di una fabbrica di tritolo abbandonata dopo la fine della seconda Guerra Mondiale, scorsero due forti luci rosse, simili a due fari.

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L’uomo falena – Mothman

Incuriositi accostarono e scesero dalla vettura per vedere di cosa si trattasse. Scoprirono che quei fari erano in realtà dei enormi occhi. Di fronte a loro c’era una creatura semi-umana, alta più di due metri, priva di collo e ricoperta da una peluria grigia e ali da pipistrello raccolte dietro la schiena. Spaventati, risalirono in auto e fuggirono a tutta velocità verso il centro abitato. Il loro incubo, però, era appena iniziato.

L’essere prese il volo e attaccò dall’alto l’automobile. La creatura aveva un’ impressionante apertura alare di quattro metri, una velocità in volo che sfiorava i 160 chilometri orari planando sul tettuccio della vettura e fissandoli dal parabrezza con i suoi occhi rossi. Forse i primi lampioni e le prime abitazioni dovettero farlo desistere poiché, come era apparso, scomparve nella notte. Sconvolti, i ragazzi si precipitarono al comando di polizia e raccontarono l’accaduto allo sceriffo. In altri casi, tutta questa storia sarebbe finita nel dimenticatoio. Ma non si trattava di ragazzi soliti a fare bravate.

La notizia, come spesso capita, arrivò alle orecchie di un giornalista locale che scrisse un articolo a riguardo. Fu lui a battezzare con ogni probabilità lo strano mostro “Mothman” o uomo falena probabilmente ispirato dalla serie Batman in onda proprio in quell’anno. L’avvenimento non fu l’unico, tra il 1966 e il 1967 furono oltre 100 le apparizioni nella zona dello strano essere. Il giorno dopo altri quattro testimoni avvistarono il mostro in volo sopra l’area dei capannoni TNT utilizzati come deposito per la dinamite.

Il 25 novembre un testimone vide il mostro in pieno giorno mentre spiegava le ali per cercare di seguire il suo furgone. Il 26 novembre una donna si trovò il mostro di fronte nel suo giardino. Mothman divenne per alcuni un presagio di morte perché si narra che apparisse in luoghi di presunti disastri. Ma come veniva descritta la creatura? Il mostro veniva descritto come un essere di grandi dimensioni, fino a tre metri di statura con grandi occhi rossi e testa incassata nel busto con grandi ali che alcuni descrivono come quelle di un pipistrello.

Per tredici mesi ci furono continue segnalazioni che culminarono il 15 dicembre del 1967 con il crollo del Silver bridge, ponte costruito sul fiume Ohio. Un Ufologo, John Keel si interessò al mistero e indagò sul mostro per circa dieci anni. Keel raccontava di telefonate dove un misterioso personaggio lo informava di future sventure, diceva anche che spesso nei luoghi degli avvistamenti si notavano dei Man in black con delle strane apparecchiature.

Vennero fatte le più strane congetture sul presunto mostro volante, venne collegato agli UFO o a esperimenti militari sfuggiti di mano, visto che spesso veniva avvistato nei pressi di un deposito dismesso di tritolo in uso nella seconda guerra mondiale. Il 15 dicembre del 1967 un tragico evento fu collegato alla presenza del mostro volante nella cittadina di Poin Pleasant, il ponte Silver bridge costruito sul fiume Ohio crollò causando la morte di 46 persone. Keel sosteneva che in qualche modo il mostro volesse mettere in guardia gli abitanti della cittadina comparendo poco prima dei disastri. Keel sostiene la stranezza del crollo e delle dinamiche con i due semafori sul rosso e l’accumularsi del traffico.

Loren Coleman, autore del bestseller sulla vicenda “Mothman”, (Mothman and Other Curious Encounters), afferma:“C’è gente che mi ha scritto dicendo che strane creature sono state avvistate anche dopo l’11 settembre”. mentrer Rick Moran, un giornalista che ha condotto per la rivista Fortean Times  un’indagine sul caso, non vede particolari misteri in quell’episodio. “Non credo che il crollo del ponte sia veramente collegato alla vicenda di Mothman”. L’indagine che si svolse all’epoca, infatti, determinò che il crollo fu dovuto a una serie di eventi: il deterioramento del metallo, un cedimento strutturale, il cattivo tempo e l’accumularsi del traffico sul ponte. Tutto ciò contribuì al crollo del ponte.

Moran ha intervistato tutti coloro che ancora vivevano a Point Pleasant e che avevano assistito a qualcosa di strano tra il 1966 e il 1967. “Le versioni dei testimoni corrispondevano a quelle date tanti anni prima” dice Moran. “Più le domande si facevano specifiche e più mi convincevo che i testimoni avevano effettivamente visto qualcosa”.
Che cosa?“

Un fatto che colpisce, come spiega Joe Nickell, esperto nella soluzione di misteri ed enigmi paranormali. “La creatura aveva occhi luminosi come i fari di un automobile. Ora, chi come me si interessa di ornitologia saprà che di notte gli occhi di alcuni uccelli risplendono di colore rosso se illuminati da una torcia o dai fari di un auto. Il rosso che si vede non è il colore dell’iride, ma quello della membrana vascolare sottostante”.

Nella Virginia dell’Ovest e in altre zone esiste una creatura alata, che ha abitudini notturne e grandi occhi rotondi, che sembrano rossi se illuminati. Ha il collo incassato tra le spalle, ha ali molto grandi, lunghe zampe e ricorda da vicino i disegni fatti dai testimoni che dissero di avere visto Mothman.

Stiamo parlando di un barbagianni, un uccello che si muove solo di notte e che per questo si vede raramente e può indubbiamente spaventare chi se lo dovesse trovare davanti. Certo non ha le dimensioni di un uomo, ma, grazie all’estesa apertura alare e alle lunghe zampe, può apparire più grande di quello che effettivamente è.

“Il buio, la sorpresa, la paura e altri fattori emotivi possono alterare il ricordo e la percezione di quanto è stato probabilmente visto e, cioè, un barbagianni”.

Ufo, alieni, esperimenti genetici, mostri da altre dimensioni, il tentativo di spiegare i fatti di Point Pleasant sono stati tanti ma davano più domande che risposte.

Un paio di giorni prima alcuni operai che lavoravano in un cimitero videro l’essere volante ma solo dopo il susseguirsi degli eventi raccontarono dell’avvistamento, forse suggestionati dai fatti.

Vestito bianco e oro o nero e blu? Spiegato perché vedevate lo stesso vestito con colori differenti

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Qualcuno forse ricorderà quella storia, diventata virale sui social qualche anno fa, in cui un vestito veniva visto in due colori diversi da persone diverse senza che si capisse come mai. Forse ora c’è la spiegazione.

Un interessante  studio in proposito è stato condotto da Pascal Wallisch alla New York University e pubblicato sul  Journal of Vision.

Quando il vestito bianco e oro è salito alla ribalta nel febbraio 2015, non si capiva la ragione per cui alcune persone lo vedevano bianco e oro e altri nero e blu. La teoria predominante era che aveva qualcosa a che fare con il modo in cui il nostro cervello percepisce le ombre ma non c’era nessuna sicurezza.

Wallisch ha fatto un passo avanti: egli suggerisce che la causa principale di questa strana impressione risieda in come le persone pensavano fosse illuminato dalla luce solare il vestito. Wallisch ha provato a mostrare il vestito a persone appena sveglie e ha notato che i più mattinieri sono più propensi a vederlo bianco e oro mentre chi si sveglia tardi tende a vederlo nero e blu.

Abbiamo dimostrato che la nostra ipotesi secondo la quale tutto dipendeva dalla percezione dell’illuminazione del vestito.” Ha scritto Wallis, “la percezione del colore sembra proprio dipendere dalla differenza tra luce naturale e artificiale che influenza fortemente l’interpretazione personale degli osservatori, rispetto a fattori demografici, come l’età o il sesso, che hanno un’influenza minore“.

I suoi risultati sono basati su uno studio condotto su 13.417 persone che prendono parte a sondaggi online. 8.084 hanno risposto nel marzo 2015, mentre ulteriore campione di 5333 persone ha preso parte ad una replica dello studio l’anno dopo. Guardando fattori come sesso ed età non si trova nessuna correlazione mentre tenendo conto dei modelli di sonno-veglia si è potuto stabilire un collegamento.

Nel primo sondaggio, si è dimostrato che è più probabile di circa l’11% che i mattinieri vedano il vestito colorato in bianco e oro rispetto a chi si alza a giornata inoltrata.

Nella seconda indagine, questa differenza è salita al 40 per cento. La differenza, secondo l’ipotesi di Wallisch, potrebbe dipendere dal minore interesse verso l’argomento, ormai sparito dai social dopo un anno, che ha permesso ci fossero meno “troll”.

Insomma la causa principale della differenza di percezione sembra proprio che sia l’illuminazione, Chi vede l’immagine alla luce del sole la percepisce bianco oro mentre, per chi la vede alla luce artificiale, appare nero e blu.

Nell’indagine si è notato anche un forte incremento delle persone che vedevano il bianco oro tra gli ultra sessantacinquenni, forse dovuto alle diverse abitudini di sonno e veglia dei pensionati e alla loro maggiore tendenza a restare più tempo in casa, utilizzando la luce artificiale.

Secondo Wallisch, però, la faccenda non è ancora del tutto risolta e ha pianificato una successiva indagine statistica online.

Ancora non sappiamo come si sono concluse le ricerche di Wallish ma non è detto che qualche novità sulla diversa percezione dei colori alla luce solare, rispetto alla luce artificiale non esca fuori presto.

OOPArts: la pila di Baghdad

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OOPArts: la pila di Baghdad
OOPArts: la pila di Baghdad

Pila di Baghdad è il nome attribuito ad un oggetto probabilmente scoperto nel 1936 nel villaggio di Khuyut Rabbou’a, nei pressi di Baghdad, in Iraq. Il manufatto venne poi rinvenuto, in un mucchio di reperti depositati in uno scantinato, nel 1938, da Wilhelm König, del Museo Nazionale dell’Iraq che scrisse un libretto ipotizzando potesse trattarsi di una cella galvanica primitiva, forse utilizzata per placcare con una sottile patina d’oro alcuni manufatti d’argento; da allora l’oggetto fu conosciuto come pila di Baghdad.

Se questa ipotesi fosse corretta, la batteria di Baghdad anticiperebbe l’invenzione di Alessandro Volta della cella elettrochimica di circa 1800 anni.

Davvero i Parti avevano inventato la supposta pila, che König datò nel periodo tra il 250 aC e il 224 dC? Siamo innanzi a un OOPArts?

E’ difficile capire se effettivamente ci troviamo davanti ad una batteria. Secondo St. John Simpson la pila avrebbe una datazione più recente essendo un esempio di ceramica Sassanide, riconducibile a un periodo di tempo tra il 224 e il 640 dC.
Tuttavia, molti esperimenti hanno provato a dimostrare le capacità elettriche di questo artefatto.

La pila di Baghdad era davvero una batteria?

La pila di Baghdad, come qualsiasi oggetto composto da due metalli differenti, può funzionare da rudimentale pila se immerso in una soluzione acidula, composta ad esempio da aceto o succo di limone ma, in questo modo, la corrente generata è minima. Non è possibile ottenere una corrente di intensità ragionevole, e far sì che la pila funzioni più di qualche minuto quando i due metalli sono rame e ferro, a meno di non usare soluzioni acide sconosciute all’epoca.

In una pila, la corrente viene generata tramite due reazioni differenti che avvengono vicino ai due elettrodi tra questi e opportune sostanze disciolte nel liquido in cui sono immersi. Sono stati proposti vari tipi di elettroliti, basati su sostanze conosciute al tempo ma la pila di Baghdad è un cilindro chiuso ermeticamente che avrebbe potuto funzionare al massimo per pochi minuti.

Candidati più promettenti della pila di baghdad sono alcuni oggetti simili trovati in Seleucia. W.F.M. Gray ha provato ad utilizzarli con solfato di rame e la pila, in questo modo, riesce a funzionare per un breve tempo, finché l’elettrodo di ferro non viene ricoperto da uno strato di rame. Jansen e altri ricercatori hanno usato benzochinone, una sostanza che si trova nelle secrezioni di alcuni centopiedi, mescolato con aceto. Tutti questi processi non funzionano granché in quanto manca nella pila di Baghdad qualcosa che separi gli elettroliti che reagiscono con i due elettrodi. Comunque la possibilità, lontana, che l’oggetto fosse una rudimentale batteria esiste e non è al di fuori delle possibilità tecniche del tempo.

Sono stati provati altri esperimenti per capire se il manufatto possa essere utilizzato come batteria. Nel 1980 nella serie televisiva “Il misterioso mondo di Arthur C. Clarke”, l’egittologo Arne Eggebrecht creò una cella voltaica utilizzando un vaso riempito di succo d’uva, ottenendo la produzione di mezzo volt di energia elettrica e dimostrando di poter placcare d’argento una statuetta in due ore, utilizzando una soluzione di oro e cianuro.

Tuttavia, recentemente, sono nati molti dubbi sulla validità di questi esperimenti.
Su Discovery Channel, nel programma MythBusters, sono state costruite repliche delle giare per capire se era possibile utilizzarle per la galvanotecnica; dieci vasi di terracotta sono stati usati come delle batterie e del succo di limone è stato scelto come elettrolita per attivare la reazione elettrochimica tra il rame e il ferro. Collegati in serie, hanno agito da batterie producendo 4 volt di energia elettrica.

La teoria della pila galvanica per placcare gli oggetti non gode di particolare stima oggi, infatti, come asserisce Paul Craddock del British Museum, “Gli esempi che vediamo da questa regione e periodo sono di doratura convenzionale e doratura a mercurio. Non c’è mai stata alcuna prova a sostegno della teoria galvanica“.

Anche la prova citata da König nel suo testo, ovvero che ancora oggi gli artigiani di Baghdad usino una particolare tecnica di doratura galvanica, è stata esclusa in quanto la tecnica usata in Iraq è molto simile a quella utilizzata nel secolo scorso in Inghilterra, paese colonizzatore, ed è comunque molto differente dall’elettrochimica presente nella pila in quanto contiene zinco, molto più ossidabile del ferro, e sali di cianuro, sconosciuti in epoca antica.

L’asfalto che copre il “vaso” lo isola totalmente tanto che bisogna modificare l’oggetto per far si che gli elettroni possano circolare; inoltre avrebbe bisogno anche di una manutenzione costante per funzionare. L’ archeologo Ken Feder fa notare come il manufatto non possieda eletttrodi o fili esterni conduttori che possano indicare collegamenti tra i vasi per il loro uso.

In molti hanno notato la somiglianza tra il manufatto ed i contenitori usati per trasportare i rotoli sacri nella vicina Seleucisa, presso il fiume Tigri.

Insomma, la pila di baghdad potrebbe essere una pila solo nel caso in cui venisse forzata a esserlo. I soli metalli chiusi in una giara non bastano e non abbiamo nessun altro indizio che ci indichi che in quel tempo conoscessero l’elettricità, magari per usarla a scopi mistici – rituali o per impressionare il popolo.

Fosse stato cosi avremo certamente avuto qualche indizio in più.

Gli OOPart

OOPArt è l’acronimo inglese di Out Of Place ARTifacts, “manufatti, reperti fuori posto“. Il termine fu coniato dal naturalista e criptozoologo americano Ivan Sanderson per indicare una categoria di oggetti che sembrerebbero avere una difficile collocazione nella storia. Vengono classificati come OOPArt tutti quei reperti archeologici e paleontologici che, secondo comuni convinzioni riguardo al passato, si suppone non sarebbero potuti esistere nell’epoca a cui si riferiscono le stime cronologiche.

Questi ritrovamenti hanno dato vita a un filone complottista detto “archeologia misteriosa” e, nel tempo, gli OOPArts sono stati presi come prova per supportare bizzarre teorie ufologiche e/o creazioniste ma anche come prova di supposti viaggiatori temporali e quant’altro.

Alcuni “esperti” di OOPArt sostengono che alcuni di questi oggetti metterebbero in crisi le teorie scientifiche e le conoscenze storiche consolidate. Tuttavia, solo in rari casi, tali affermazioni hanno un qualche sostegno scientifico. Solitamente, alla luce di nuove scoperte, gli oggetti trovano una corretta collocazione nell’epoca di fabbricazione e, molto spesso, molti finiscono per rivelarsi come mere contraffazioni senza che alcuna conoscenza dei fatti storici possa essere messa in discussione.

La Terra è piatta?

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di Oliver Melis

Da qualche anno, tra le tante teorie complottiste che spopolano in rete, ha trovato un certo seguito l’idea che il nostro pianeta sia, in realtà, una grande tavola piatta. Ma da dove vengono idee del genere?

I Greci nel periodo arcaico ritenevano che la terra fosse piatta.

flat earthAnassimandro la concepì come un corto cilindro introducendo il concetto di antipodi: ma cosa c’era dall’altra parte? e l’altra parte era raggiungibile? C’era qualcuno e viveva a testa in giù? Questo portò alla nascita di un dualismo, alto – basso, sopra – sotto, che proseguirà anche con la concezione della Terra sferica. Questa dualità turbava i filosofi e i pensatori che ritenevano che i due mondi non potessero entrare in collegamento e anche con l’introduzione del concetto di terra sferica si riteneva impossibile attraversare le zone equatoriali perché troppo calde.

Non sappiamo con certezza chi fu il primo a ritenere la Terra sferica, alcuni sostengono sia stato Pitagora nel VI secolo AC, nonostante i pitagorici sostenevano che la Terra fosse piatta. Pitagora, pur basandosi su canoni estetici, tenne conto anche della sfericità degli altri corpi celesti. Secondo altre fonti sarebbe stato Parmenide a scoprire la sfericità della Terra. Anche Aristotele considera la Terra sferica perché questo implica, con il geocentrismo, che nulla debba sostenere la Terra nello spazio, e fu il primo a fornire evidenze scientifiche di una Terra non piatta ne “il coelo”, dove egli notò che i viaggiatori che si spostano verso sud vedono le costellazioni salire più in alto rispetto all’orizzonte, cosa possibile solo se l’orizzonte di chi sta a sud forma un certo angolo con l’orizzonte di chi sta a nord, concludendo, così, che la Terra non poteva essere piatta.

Aristotele notò inoltre che l’ombra della Terra sulla Luna è sempre circolare, indipendentemente da quanto sia alta la Luna sull’orizzonte, fatto giustificabile con una Terra sferica e non a forma di disco piatto,; in tal caso, infatti, l’ombra sarebbe stata ellittica.

Platone nei suoi scritti, invece, reputa la Terra un dodecaedro.

Ai tempi di Plinio il vecchio, nel primo secolo, la Terra era generalmente considerata sferica, lo stesso Tolomeo disegnò le mappe considerandola una sfera. Inventò inoltre il sistema di latitudine e longitudine. Tolomeo notò che, navigando verso le montagne, queste paiono emergere come fossero nascoste dall’acqua, portandolo, quindi, ad asserire che le montagne venissero nascoste dall’acqua incurvata sulla superficie della sfera terrestre.

Lucrezio nel primo secolo riteneva invece che la Terra fosse piatta perché pensava fosse assurdo il concetto di antipodi.

Il primo a misurare la circonferenza terrestre fu Erastotene nel 240 DC. Egli sapeva che a Siene, oggi Assuan, il giorno del solstizio d’estate, il Sole si trovava allo zenit mentre ad Alessandria, le ombre, nello stesso giorno, formavano un certo angolo e, nonostante stime rozze e numeri arrotondati, Erastotene si avvicinò molto alla misura esatta della circonferenza oggi nota.

La teologia cristiana riteneva assodata la sfericità della Terra e dibatteva unicamente sulla possibilità che gli antipodi potessero essere popolati perché si riteneva impossibile che i discendenti di Adamo ed Eva avessero potuto arrivarci. Gli stessi autori dell’alto medio evo, ritenevano la Terra piccola e insignificante al centro della sfera del cosmo (Boezio). Un’indicazione grafica che nel medioevo si ritenesse sferica la terra, sta nell’utilizzo del globo crucigero nelle insegne di molti reami. Tommaso D’Aquino, nel suo Summa Theologiae, usa l’idea della Terra sferica per dimostrare che le varie branche delle scienze si distinguono per il metodo e non per l’argomento trattato.

Come abbiamo visto, in questo breve excursus storico, anche in passato si cercava di dare una risposta certa alla forma della Terra utilizzando il metodo deduttivo. L’osservazione diretta senza senza nessun confronto e senza nessun tentativo di interpretazione di quello che si osserva può trarrei in inganno. Il Sole sembra muoversi nel cielo, apparentemente, sorge e si sposta durante il giorno da est verso ovest percorrendo la volta celeste, lo stesso fanno le stelle, le quali, apparentemente, attraversano il cielo facendoci vedere nelle diverse stagioni diverse costellazioni. Un altro esempio potrebbe essere l’acqua che occupa una superficie in modo omogeneo, formando una superficie perfettamente piana. Sappiamo che la Terra è un’enorme sfera che ruota attorno al proprio asse e gira attorno a una stella, il Sole. Noi sappiamo anche che è grazie alla forza di gravità che gli oceani rimangono sulla Terra e dall’altra parte non cadono essendo “a testa in giù”.

Ma, allora, perché c’è ancora tanta gente che non crede alla sfericità della Terra?

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Terra piatta

Qui entrano in gioco altre considerazioni, il complottismo, ad esempio, cioè qualcuno vuole impedire che determinate cose si sappiano e la teoria della Terra piatta è una di queste informazioni che qualcuno, in questo caso la NASA, ente che si occupa di gestire l’esplorazione dello spazio, ci tiene nascosta inscenando false missioni spaziali e producendo filmati, foto e dati “taroccati” per ingannarci.

Non tutti i complottisti, ovviamente, sono d’accordo. Alcuni vedono in questa teoria il tentativo di inquinare il loro lavoro in un campo specifico, insomma qualcuno creerebbe teorie fasulle da spacciare come vere, in modo che tutte le teorie del complotto, correlate o meno siano considerate tutte fasulle.

Perché, alla luce delle conoscenze moderne,  la Teoria della Terra piatta non ha senso?

– Come ci insegnano i Greci, grandi osservatori, la Terra deve essere una sfera perché la sua ombra proiettata sulla luna è un cerchio e questo prova che la Terra sia una sfera perché se fosse un disco schiacciato la sua ombra sarebbe un’ellisse.

– Chi non è stato in spiaggia e magari ha fatto un’osservazione, cioè ha visto un’imbarcazione “emergere” dal mare? Le imbarcazioni non emergono ma percorrono la curvatura della Terra diventando visibili, se la Terra fosse piatta vedremo invece un puntino lontano ingrandirsi lentamente.

– Se piantiamo due bastoni perpendicolari al terreno in luoghi distanti l’ombra che proiettano sarà differente, se la Terra fosse piatta le ombre sarebbero uguali, visto che sarebbero paralleli tra loro.

– Più salgo di quota, più vedo lontano, questo perché l’orizzonte è solo una linea immaginaria e salendo posso vedere oggetti che da una quota più bassa restano nascosti dietro la curvatura della Terra.

– Se la Terra fosse piatta si potrebbe vedere il Sole illuminarne la porzione diurna della Terra.

– la forza di gravità. Per i Terrapiattisti non esiste e al suo posto ci sarebbe un’accelerazione di 9,81 m/s che ci terrebbe saldamente al terreno. A che velocità si muove la Terra piatta? se la Terra esiste da 4,5 miliardi di anni a che velocità ci spostiamo?

– Le foto e i filmati fatti dagli astronauti e dai satelliti dall’orbita terrestre o sulla luna sarebbero un falso? Chi lo ha indubbiamente dimostrato? Nessuno. Perché scienziati e organizzazioni come la NASA mentirebbero? A quale scopo? Non si capisce bene cosa ci guadagnino, anzi, chissà le spese per montare tutto il circo delle missioni spaziali. La teoria Terrapiattista sconfina nel complotto e chi la reputa una teoria corretta accusa chiunque definendolo “indottrinato”. La scienza, però, non è dottrina e chi la rifiuta o la calpesta deve ricordare che la sua vita dipende da essa e ne trae comunque benefici di ogni sorta.

In realtà, come per ogni teoria complottista, c’è sempre chi specula e guadagna sulla credulità di alcuni, ad esempio, vendendo libri o facendosi pagare per partecipare a conferenze ed eventi o anche solamente grazie ai click collezionati sui siti web.

Oliver Melis è owner dei gruppi facebook NWO Italia e Perle Complottare

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