Lo scorso 17 settembre sulla riva meridionale del Lago Cecita sono stati rinvenuti I resti di un “Elephas antiquus”, elefante dalle zanne dritte.
Il ritrovamento è stato reso possibile dalla straordinaria siccità che ha caratterizzato la scorsa estate causando il ritiro delle acque del lago che hanno lasciato scoperte porzioni di terreno sommerso. Questo ritrovamento, unitamente ad altri effettuati in quei giorni in tutta l’area, ha confermato le ipotesi da tempo sostenute da studiosi e archeologi, sull’importanza del comprensorio montano della Sila Grande, sia per la conoscenza del patrimonio “paleo-archeologico” che per le dinamiche insediative che hanno interessato la zona, dalla Preistoria all’Alto Medioevo. Dei risultati di questi rinvenimenti, se ne discuterà in una conferenza pubblica sabato 25 novembre al Centro visite “Cupone” di Camigliatello Silano.
L’elefante del lago Cecita”, affascina e apre nuovi scenari. Oltre ai resti fossili dell’elefante sono stati rinvenuti e recuperati diversi reperti metallici, soprattutto resti di armi pertinenti al popolo dei Longobardi.
Il pachiderma, secondo quanto finora ricostruito, sarebbe morto sulle rive del bacino per cause naturali. Ma non è solo questo l’elemento di novità. L’Elephas appartiene ad una specie che ha abitato l’Europa a partire dai 700.000 anni fa o anche prima. Questa informazione farebbe propendere per una datazione molto antica del contesto del lago Cecita.
A poca distanza dai resti dell’Elephas, sono state rinvenute “testimonianze d’interesse archeologico che rimandano a fasi di frequentazione del luogo, da parte dell’uomo, nel corso degli ultimi sei millenni”. Per questo motivo, si sta già lavorando per un progetto di ricerca indirizzato al recupero dell’elefante ed a ricognizioni esplorative lungo le sponde del bacino lacustre, tramite anche l’impiego di droni. Si cerca d’individuare nuovi siti d’interesse paleontologico e archeologico. Le attività di ricerca finora svolte sono state rese possibili grazie alla sinergia tra il segretario regionale Mibact per la Calabria, la Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di Catanzaro, Cosenza e Crotone, il Comune di Spezzano della Sila, il Parco nazionale della Sila, l’Università degli studi del Molise e l’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”.
Nell’ambito dell’incontro programmato a Camigliatello, si approfondiranno le scoperte tramite gli interventi di Giovanna Verbicaro, della Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio per Cosenza, Catanzaro e Crotone, Antonella Minelli, dell’Università degli studi del Molise, Felice Larocca, dell’Università degli studi di Bari e Mario Pagano, della Soprintendenza per Cosenza, Catanzaro e Crotone. I saluti introduttivi saranno curati da Salvatore Monaco, sindaco di Spezzano della Sila e Sonia Ferrari, commissario Parco nazionale della Sila.
La NASA sta sviluppando uno strumento chiave per una audace missione verso le lune di Marte, Phobos e Deimos, compreso un test di ritorno da Phobos.
Tra le tante missioni verso Marte il cui lancio è previsto per le prossime finestre di lancio, c’è un ambizioso piano per andare dove nessun veicolo spaziale è mai giunto prima: le lune di Marte.
La NASA ha recentemente annunciato che entrerà a far parte della missione prevista dalla Japanese Aerospace Exploration Agency (JAXA) e dell’Institute of Space and Aeronautical Science (ISAS), contribuendo alla realizzazione di uno strumento cruciale per la missione Mars Moons eXploration (MMX) il cui lancio è previsto per il 2024. MMX esplorerà le minuscole lune marziane Phobos e Deimos da vicino, quindi atterrerà su Phobos per una raccolta di campioni che riporterà sulla Terra. Il rientro sulla Terra della capsula con il prezioso carico raccolto su Phobos è previsto per il 2029.
Il contributo della NASA alla missione MMX sarà MEGANE, il Mars moon Exploration with GAmma-rays e NEutrons, uno spettrografo molto sofisticato. “Megane”, pronunciato meh-gah-nay, significa “occhiali” in lingua giapponese.
MEGANE analizzerà la composizione elementare di Phobos e Deimos basata sulle misurazioni dei raggi cosmici e delle particelle solari che bombardano continuamente la superficie delle due lune.
“Potremo studiare la composizione della regione da cui MMX raccoglierà i campioni“, ha affermato Thomas Statler (HQ della NASA) in un recente comunicato stampa.
MEGANE sarà sviluppato nell’ambito del Discovery Program della NASA, che offre un accesso a basso costo allo spazio per le missioni scientifiche planetarie.
L’obiettivo principale della missione MMX è capire l’origine delle lune marziane: sono asteroidi catturati asteroidi o materiale lanciato in cielo e rimasto in orbita da un antico impatto su Marte? Un obiettivo secondario è caratterizzare le dinamiche globali dell’atmosfera marziana e l’ambiente orbitale che occupano le lune.
Se i sospetti sull’origine delle due lune fossero veri, il campione riportato sulla terra dalla missione potrebbe rivelarsi un frammento di Marte stesso. Entrambe le lune probabilmente vengono colpite, di tanto in tanto, dagli oggetti ejectati dalla superficie di Marte in occasione di impatti particolarmente violenti, quindi c’è una buona probabilità che MMX possa trovare pietre marziane sulla superficie di Phobos.
L’astronomo Asaph Hall scoprì Phobos e Deimos nel 1877 usando il rifrattore da 26 pollici dell’Osservatorio Navale degli Stati Uniti durante un’opposizione favorevole. Deimos, sostanzialmente una piccola roccia, orbita attorno a Marte ogni 30 ore ad una distanza di 23.460 chilometri.
Phobos, d’altra parte, è il più grande, più vicino e più veloce della coppia. Orbita intorno a Marte in 7,7 ore, anche più velocemente di quanto ruoti, il che significa che Marte effettivamente sorge ad ovest e tramonta ad est dalla prospettiva della luna. Nessuna luna nel sistema solare abbraccia il suo pianeta così da vicino come Phobos, che orbita appena 6.000 chilometri sopra la superficie marziana. La sua orbita stretta è solo un indizio di ciò che recenti ricerche hanno dimostrato: Phobos è un mondo condannato, destinato a disintegrarsi in un anello di frammenti oppure a frantumarsi sulla superficie di Marte nel giro di 30 – 50 milioni di anni. Il destino del Deimos, più piccolo e più distante e, per ora, meno chiaro.
Su queste due lune si sono susseguite teorie bizzarre che hanno fatto la gioia di ufologi e complottisti fin dagli albori dell’esplorazione spaziale. Nel 1958 l’astrofisico russo Iosif Samuilovich Shklovsky propose che le lune potessero effettivamente essere stazioni spaziali svuotate!
Le prime immagini dell’aspetto delle due lune le dobbiamo al Mariner 7 che le fotografò nel 1969, seguito dalle missioni Viking negli anni ’70. Questi primi piani hanno rivelato mondi naturali e rocciosi, con lunghi solchi lungo la loro superficie, butterati dai crateri. L’Agenzia spaziale europea ha poi ripreso Phobos con la missione Mars Express durante un flyby, così come ha fatto l’orbiter della missione indiana Mars ed il Mars Reconnaissance Orbiter della NASA.
L’atterraggio su Phobos sarà il primo del genere ma sarà in realtà molto più facile che atterrare su Marte grazie alla sua trascurabile gravità.
L’agenzia spaziale russa Roscosmos ha contribuito all’hardware della missione ExoMars dell’ESA con componenti del TGO (Trace Gas Orbiter) e dellander Schiaparelli il cui atterraggio sul suolo marziano è fallito a causa di un problema software negli ultimi secondi della fase di atterraggio. Roscosmos avrà un ruolo anche nella seconda parte della missione Exomars il cui lancio è previsto nel luglio del 2020.
Ad oggi, la JAXA, l’agenzia spaziale giapponese, ha tentato una sola missione su Marte: la sfortunata missione Nozomi, che non è riuscita ad entrare in orbita attorno al Pianeta Rosso nel 2003 a causa di una valvola malfunzionante, che ha chiuso l’afflusso di carburante durante la fase di frenata. Tuttavia, JAXA ha esperienza di atterraggi su corpi celesti con mezzi in grado di riportare campioni come fece con la missione Hayabusa 1 che atterrò e prese campioni sull’asteroide 25143 Itokawa, che riportà poi i campioni sulla Terra nonostante una serie di gravi guasti che ne funestarono il viaggio di ritorno. JAXA sta ripetendo l’operazione con la sonda Hayabusa 2, che raggiungerà l’asteroide 162173 Ryugu nel giugno 2018.
Un’ultima notizia: durante l’opposizione che avverrà a luglio del 2018 Marte sarà in posizione particolarmente favorevole, tanto che attraverso un telescopio di media potenza sarà possibile vedere le “velocissime lune di Barsoom“, come le chiamò Edgar Rice Burrough.
Fino a pochi anni fa il Black Friday era un evento praticamente sconosciuto in in Italia ed era una tradizione tipica degli Stati Uniti.
L’origine del nome non è ben conosciuta, su alcuni siti viene riportato che forse l’espressione nasce a Filadelfia a causa del traffico pesantemente congestionato che veniva registrato in occasione di quel giorno mentre su altri dicono che l’espressione sia relativa ai libri contabili dei commercianti che in occasione di questo evento passavano tradizionalmente dal colore rosso – simboleggiante le perdite – al nero, che invece stava a indicare i guadagni, iniziando, di fatto, in questo giorno la corsa agli acquisti natalizi.
In ogni caso il Black Friday è un giorno particolarmente positivo per i guadagni delle attività commerciali.
Si tratta di un periodo intenso per il commercio negli Stati Uniti, infatti il Black Friday è legato alla tradizione del Thanksgiving, il giorno del ringraziamento, festa nazionale americana, che viene celebrato negli Stati Uniti ogni anno il quarto giovedì di novembre e al Black Friday fa tradizionalmente seguito il Cyber Monday, una giornata dedicata interamente agli sconti sui prodotti di elettronica.
Quest’anno il Black Friday avrà luogo il 24 novembre ma i grandi sconti e le grandi promozioni relative sono già iniziate nello scorso week end e proseguiranno, di fatto, fino a lunedì 27 novembre, giorno del Cyber Monday.
Sconti, promozioni, deal imperdibili si avvicendano in questi giorni nelle attività commerciali, sia online che nei negozi fisici.
Negozi e store onlinelanciano a ritmo serrato offerte e promozioni di durata limitata che permettono di portarsi a casa oggetti nuovi a prezzi impossibili in qualsiasi altro momento dell’anno. Per approfittare completamente del Black Friday è necessaria molta organizzazione.
Negli Stati Uniti il Black Friday non è solamente un’occasione in cui concludere acquisti vantaggiosi e portarsi avanti con i regali di Natale, ma è anche una vera e propria gara a chi si accaparra la migliore offerta. Sopravvivere al Black Friday può essere un’impresa ardua, perciò bisogna essere preparati e non lasciare nulla al caso se si vuole trarre il massimo vantaggio dalla situazione e non ritrovarsi a girovagare per un punto vendita o su internet con la sola preoccupazione di comprare qualcosa prima che lo faccia qualcun altro.
1 Informarsi
Il primo step fondamentale per chi intenda approcciarsi in modo efficace al venerdì nero è sicuramente rimanere informati e aggiornati su tutte le offerte in corso: per questo è importante visitare frequentemente siti come Amazon, Zalando e i tanti altri importanti store di e-commerce, tenendo contemporaneamente gli occhi aperti sui negozi dei principali centri commerciali o delle vie dello shopping. La cosa migliore è iscriversi alle mailing list e mettere le mani sui volantini pubblicitari nei giorni precedenti al Black Friday per sapere in anticipo cosa effettivamente sarà disponibile e stilare una lista dei propri desideri e delle proprie priorità.
2 Avere un piano
Una volta raccolte abbastanza informazioni, come dei novelli 007, sarà il momento del piano: sebbene sia luogo comune pensare che un’attenta pianificazione non potrà mai sostituire un colpo di fortuna, bisogna anche rilevare che di colpi di fortuna non ce ne sono poi tanti, specie se si deve competere con migliaia di altre persone che vogliono accaparrarsi l’oggetto delle nostre brame.
Il consiglio è quindi quello di arrivare al Black Friday preparati, con un piano strategico in mano: sarà quindi opportuno effettuare una ricognizione del punto vendita che interessa e prendere dimestichezza con gli store online, dal momento che il prodotto di interesse potrebbe non essere disponibile in negozio ma potrebbe esserlo online! Per fare un esempio, su siti come Amazon o Ebay in questi giorni ogni cinque o dieci minuti vengono lanciate nuove offerte e promozioni che, di solito, durano al massimo 30 minuti per volta.
3 Fare squadra
L’unione fa la forza, si sa, e questo motto è valido in tutte le circostanze della vita, tanto più quando bisogna competere con altre persone per il raggiungimento di un obiettivo. Si può infatti essere anche informati su tutte le promozioni e padroneggiare la navigazione dei siti, ma non si può essere in più posti contemporaneamente o, ancora peggio, essendo giorni feriali ci si potrebbe ritrovare bloccati sul posto di lavoro e perdere le migliori occasioni.
In questi casi è bene fare squadra con amici e familiari, condividere la lista dei desideri e stabilire chi ha le possibilità migliori di concludere l’affare: con un team affiatato sarà possibile effettuare gran parte degli acquisti a prezzi scontati che si desidera effettuare.
4 Non farsi prendere dall’ansia
Un altro consiglio utile tanto per il Black Friday è non farsi prendere dall’ansia: ci sono tante persone? I prodotti esauriscono? Non riesci ad arrivare in negozio o a collegarti al sito all’ora esatta che avevi pianificato? Don’t panic!
L’ansia è il peggior nemico dell’acquirente, in quanto si rischia di entrare in panico per un nonnulla e quindi effettuare acquisti impulsivi e non necessari: cercare di mantenere la calma anche quando la situazione sembra degenerare è un punto di forza per giungere al risultato con il prodotto desiderato.
5 Chi troppo vuole… nulla stringe!
Infine, la morale: come in tutte le cose, bisogna sapersi assestare sul giusto mezzo, e capire quando è il caso di lasciare il campo agli altri. Se si sono già finalizzati gli acquisti prefissati tanto vale fermarsi e goderseli, senza cercare di ottenere nuovi acquisti ad ogni costo.
Concludiamo questa lista di consigli ricordando che la cosa migliore è selezionare i prodotti di interesse prima di buttarsi a capofitto nella corsa, entrare su un sito web o in un negozio significa mettersi in competizione con moltissimi altri, concentrarsi su ciò che si desidera senza farsi incantare da offerte improvvise per qualcosa di non preventivato è la chiave vincete.
Il progetto Serpo era un presunto programma di scambio tra gli Stati Uniti e una razza extraterrestre avvenuto durante gli anni ’60.
Il progetto Serpo, secondo alcuni ufologi, partì durante l’amministrazione Kennedy e proseguì durante quella del Presidente Johnson. La storia venne rilanciata nel 2005, agganciata al famoso crash di Roswell del 1947, Corona e un crash avvenuto a Datil, località site sempre nel New Mexico.
A parlarne sarebbe stato per primo un individuo chiamato “Anonymus“, dietro il quale si celerebbe un ex dirigente della Dia (Defense Intelligence Agency). Anonimus racconta che un essere alieno sarebbe sopravvissuto al doppio incidente e, salvato dal Governo degli Stati Uniti, avrebbe avviato una collaborazione con i terrestri.
La collaborazione tra umani e alieni avrebbe portato a un viaggio, una sorta di “Erasmus” cosmico, che prevedeva una missione umana su un’astronave aliena fino a raggiungere il pianeta chiamato “Serpo“, abitato da 600,000 esseri alieni che vivevano in una comunità pacifica, guarda caso dalle parti di Zeta Reticuli…
Secondo Anonymus, il programma sarebbe dovuto terminare nel 1975 ma, per ragioni non che non sarebbero state rese note, finì solo tre anni dopo e vide il ritorno sulla Terra di soli sei membri (su dodici) della squadra, dal momento che due erano morti su Serpo e quattro avevano deciso di rimanere.
La storia, che si rifà al solito cliché del complotto sugli UFO ordito dal Governo USA, forse poco nota ha perso ulteriormente credito dopo la scomparsa nel 2006, di questa fonte informativa. Sul fatto furono rilasciate delle foto che però risultarono false.
Roswell, come ricordiamo è un “incidente” divenuto noto al grande pubblico circa trenta anni dopo i fatti grazie a qualche libro e a rivelazioni molto fantasiose e mai di prima mano.
Il variegato mondo dell’ufologia uscita dai libri e entrata nella rete ha subito delle trasformazioni, amplificando a dismisura la confusione che i cultori e gli ufologi, anche quelli apparentemente più quotati, hanno creato nel corso degli anni.
Questa è solo una delle tante storie curiose nate dalla fantasia delle persone che troppo spesso speculano su qualsiasi teoria, non importa quanto fantasiosa e priva di riscontri, per rimediare qualche euro con i click sui siti, convegni e libri.
Uno dei sogni dell’essere umano è quello di viaggiare nel tempo. Chi non ricorda il romanzo di Herbert G. Wells “La macchina del tempo“, dove un eccentrico scienziato riesce a costruire una macchina prodigiosa che lo fa viaggiare avanti nel tempo di oltre 800 mila anni e poi a ritroso per raccontare la storia del futuro della Terra, o i film Terminator o ancora Ritorno al futuro, dove una Delorean viene trasformata da un geniale scienziato in una macchina capace di muoversi lungo le epoche avanti e indietro, vivendo spettacolari avventure.
Ma questo sogno un giorno potrà essere realizzato o rimarrà solo relegato alla fantascienza?
Esistono delle bufale circolanti in rete come quella di “John Titor“, un tizio che agli inizi del 2000 raccontava su alcuni forum di essere un crononauta proveniente dal futuro, alla ricerca di una macchina, un calcolatore Ibm 5100 che nella sua epoca, il 2036, non esisteva più e che era però recuperabile tornando indietro nel tempo fino al 1975 per prenderne uno direttamente dalle mani del nonno. Qualcosa va storto nel viaggio e John si rifugia nell’anno 2000 elargendo a destra e a manca profezie che non si sono mai realizzate.
Ci sono stati alcuni imitatori del noto Titor ma senza aver avuto gran seguito, a parte forse Ethan Jensen proveniente, a suo dire, dal 2118 che nel 2005 ci ha raccontato su come John sarebbe stato punito al suo ritorno nel 2036 per aver rivelato troppo senza permesso. Titor in seguito non ha più dato notizie di sé…
Altri hanno visto in foto, filmati e addirittura dipinti possibili crononauti che utilizzavano apparecchi apparentemente inscpiegabili per l’epoca ma che in seguito si sono rivelati esagerazioni dove oggetti di uso comune venivano scambiati per Ooparts, cioè oggetti che non avrebbero dovuto esistere all’epoca, come i telefoni cellulari ad esempio.
Solo bufale a volte inventate con il chiaro intento di attirare lettori curiosi su un determinato sito o semplicemente delle burle ben architettate.
Ma la scienza cosa ci può dire? Esclude categoricamente che si possa viaggiare nel tempo, o per meglio dire nello spazio – tempo o lascia aperte alcune possibilità?
Il fisico Paul Davies ha delle idee in proposito e secondo lui la Relatività di Einstein ci potrebbe aiutare a viaggiare nel tempo. I metodi sarebbero almeno due, il primo metodo consiste nel raggiungere velocità prossime a quella della luce, infatti se fossimo in grado di spostarci a tali velocità dette “Relativistiche” supponiamo a una velocità pari al 99,99999% di quella della luce potremo spostarci nell’anno 3000 impiegando meno di sei mesi.
Gli oggetti che l’uomo ha mandato nello spazio, però, raggiungono velocità di pochi chilometri al secondo, ci vorrebbe molta energia per raggiungere delle velocità relativistiche, dove gli effetti del rallentamento del tempo sarebbero tali da poter effettuare un viaggio nel futuro. Il problema, secondo Davies, sono i costi, per accelerare 10 tonnellate al 99,9 per cento della velocità della luce sono necessari dieci miliardi di miliardi di joule, una quantità di energia equivalente all’intera produzione energetica dell’umanità di diversi mesi.Avvicinarsi ulteriormente ai 300mila chilometri al secondo della luce diventa ancora più costoso. Non è da escludere che in futuro si possa disporre di fonti di energia che ci consentano di muoverci molto velocemente, la questione è che dovrebbero essere investiti grandi capitali per studiare e sviluppare tale capacità. Ma il problema del metodo della velocità relativistica è che si può solo andare avanti nel tempo, senza nessuna possibilità di tornare al tempo di partenza, un lungo viaggio porterebbe il crononauta molto lontano sia nello spazio che nel tempo e un eventuale viaggio di ritorno alla Terra dilaterebbe ancora di più il parametro temporale, allontanandolo ulteriormente nel futuro.
Il secondo metodo potrebbe essere più promettente, suggerito sempre dalla Relatività generale che estende la Relatività ristretta e include gli effetti della gravità sullo spaziotempo.
La gravità rallenta il tempo. E noi possiamo studiarne gli effetti su sistemi che misurano lo scorrere del tempo. Nel 1976 i fisici Robert Vessot e Martin Levine lanciarono nello spazio con un razzo un orologio e videro che questo guadagnò un decimo di microsecondo rispetto a orologi uguali rimasti sulla Terra. Esperimenti analoghi effettuati con orologi atomici hanno confermato ulteriormente questa possibilità. Gli spostamenti nel tempo potrebbero essere effettuati sfruttando campi gravitazionali enormemente più intensi di quello del nostro pianeta, si potrebbero utilizzare ad esempio i campi gravitazionali di stelle molto dense o di corpi chiamati stelle di neutroni o addirittura i campi gravitazionali dei buchi neri. Il problema è però evidente, bisognerebbe raggiungere con la nostra astronave una stella di neutroni per compiere un consistente balzo nel tempo e l’astronave lo dovrebbe fare impiegando molta energia compiendo un viaggio che ci porterebbe al primo metodo e dovrebbe essere inoltre attrezzata per resistere alle intense radiazioni della stella di neutroni, impresa ingegneristica di enorme portata.
Visitare il passato, vedere come era la Terra milioni di anni fa, o semplicemente vedere il nostro passato recente, sarebbe possibile, secondo la stessa Relatività, senza ovviamente interferire, altrimenti cambieremo inevitabilmente il futuro come ci insegnano i tanti paradossi dei viaggi nel tempo.
Per la Relatività generale lo spaziotempo può essere curvato fino al punto di riconnettersi con se stesso, e quindi creare “curve chiuse” sia nello spazio sia nel tempo. Il primo a tracciare curve temporali fu il matematico austriaco Kurt Goedel. Risolvendo le equazioni della Relatività scoprì che nello spazio era possibile trovare orbite che si avvolgono a spirale in un universo in rotazione. La sua soluzione presupponeva però che l’universo fosse in rotazione, mentre oggi si ritiene che l’universo non ruoti. La teoria ha dimostrato che particelle possono tornare indietro dal futuro. Goedel scrisse infatti: «Effettuando un percorso di andata e ritorno a bordo di un’astronave lungo una rotta sufficientemente ampia, è possibile viaggiare in qualunque regione del passato, presente e futuro e tornare indietro».
Se fosse cosi allora il futuro esisterebbe già e sarebbe connesso a ogni tempo dell’universo, occhi aperti quindi, un possibile viaggiatore del tempo potrebbe palesarsi in ogni momento…
Una scossa di magnitudo 4.4 è stata registrata alle 13.37 con epicentro nella zona di Fornovo di Taro, in provincia di Parma. E’ quanto si legge sul sito dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.
Al momento non ci sono segnalazioni di danni. La scossa di terremoto con epicentro a Fornovo di Taro è stata avvertita nettamente in tutta la provincia di Parma, con molti cittadini che sono scesi in strada, ma al momento non ci sono segnalazioni di danni a persone e cose.
La notizia sarà aggiornata non appena giungeranno ulteriori informazioni.
A volte è un croupier di casinò altre volte ha seguito un corso apposito organizzato da uno dei tanti circoli dedicati a al gioco del poker all’americana disseminati sul territorio nazionale, spesso pagandolo anche cifre importanti eppure nel vasto carrozzone del poker costituisce una figura fondamentale per lo svolgimento di tornei e partite di cash game live.
Sconosciuto perché l’ormai conosciutissimo Texas Holdem in Italia è, per varie ragioni, praticato soprattutto online e per il giocatore medio che pratica il giochino tramite computer o app sullo smartphone il dealer è sostanzialmente il server, il maledetto server che fa uscire sistematicamente al river la maledetta carta che condanna il giocatore.
Per il dealer un torneo inizia molto prima che per i giocatori: c’è da vestirsi con la divisa della casa, preparare le poste, verificare i mazzi di carte e, infine, posizionarsi al tavolo assegnato in attesa che il floorman chiami l’atteso “giocatori ai tavoli!” ed inizi il torneo. Come per il server delle room online anche nei circoli dove si gioca dal vivo il dealer è sotto l’occhio critico dei giocatori, sempre pronti ad invocare il floorman in caso di errore o ad insultarlo nel caso l’estrazione delle carte non portasse i risultati attesi e non importa se, da regolamento, l’insulto al dealer può comportare penalità di vario genere fino all’esclusione dal torneo: in realtà il giocatore di poker paga per giocare e la casa non ci tiene ad indispettire un utente pagante per cui veri provvedimenti di tutela vengono presi solo in casi particolarmente gravi.
Le critiche che i giocatori muovono ai dealers sono varie e neppure troppo originali e al povero dealer non resta che fare la migliore imitazione possibile di un robot e proseguire per la sua strada restando imperturbabile.
Il lavoro del bravo dealer non è limitato a mischiare il mazzo e distribuire le carte, deve anche verificare che le puntate siano corrette, dare i resti senza fare errori valutando a colpo d’occhio l’ammontare anche quando i giocatori dichiarano puntate tipo “123.425” posando sul tavolo un mucchio di chips di tutti i colori, magari anche arrotondando arbitrariamente la cifra per “facilitare il resto“. Il dealer si occupa di gestire il main pot e di creare gli eventuali side pot, annuncia i cambi di livello e, di solito, deve continuamente ricordare ai giocatori di mettere sul tavolo l’ammontare del piccolo e grande buio e gli eventuali ante, il tutto mentre il giocatore tipo smanetta sullo smartphone completamente indifferente a ciò che succede al tavolo e quando viene richiamato per pagare i bui o gli ante guarda il dealer anche un po’ scocciato, salvo poi lamentarsi della lentezza con cui procede il gioco. È anche tenuto a prestare la massima attenzione per capire l’azione che il giocatore intende fare, ci sono modi legali ed illegali di posare le chips sul tavolo quando si intende fare una bet, un raise o una call, c’è gente che quando fa check non lo dichiara ma ricorre ad improbabili gesti, come picchiettare lievemente sul tavolo o sul dorso delle carte oppure fare movimenti arzigogolati con le mani per intendere che lascia l’iniziativa a chi gioca dopo di lui oppure si limita ad un cenno del capo… se per caso il dealer era impegnato in qualche altra operazione, come ad esempio effettuare un cambio di chips oppure sta accettando un nuovo giocatore al tavolo, può sfuggirgli l’azione non dichiarata e perdere il filo rallentando ulteriormente il gioco.
Per diventare dealer occorre frequentare un corso dove si impara il modo giusto di mischiare le carte acquisendo la necessaria destrezza, si imparano tutte le regole del poker texano con le varianti di gioco e tutta la casististica correlata, si studia la terminologia tecnica, come calcolare al volo l’importo di minimum raise, come gestire eventuali situazioni in cui un giocatore esprime la sua azione fuori turno, ad effettuare al momento giusto il color up ed il chiprace e tante altre cose.
Un corso da dealer può durare da uno a tre mesi ma, alla fine, è solo con l’esperienza al tavolo che si diventa dealer, quando ci si ritrova con dieci giocatori che svolgono azioni di tutti i tipi, ognuno col suo particolare modo di esprimersi e che sembrano più presi ad indurre all’errore il povero dealer che a giocare la propria partita nel modo migliore.
Terminato il corso si può trovare lavoro presso nei circoli dove si svolgono tornei e partite cash. La durata di una sessione di lavoro può variare da due – tre ore fino a più di otto, in funzione del torneo, del numero di partecipanti e della bravura ed esperienza. I dealers più affidabili ed esperti vengono staccati dalla sessione più tardi di quelli meno esperti, perché man mano che chiudono i tavoli diminuiscono i dealers attivi. Solitamente lo stesso dealer non sta allo stesso tavolo più di venti minuti consecutivi ed i circoli meglio organizzati fanno ruotare i dealers disponibili per per tutti i tavoli di gioco.
Si tratta di un lavoro che permette buoni guadagni se sei bravo e riesci a lavorare in più di un circilo, i più fortunati lavorano nei casino ed hanno un contratto ed uno stipendio fisso mentre i dealers impegnati nei circoli vengono solitamente pagati ad ore per importi dai dieci euro in giù e visti gli orari che si devono fare, solitamente i tornei partono dopo l’ora di cena e vanno avanti ad oltranza, spesso fino all’alba, il compenso medio del dealer va dai 25 ai 60 – 70 euro a sera. I dealers scelti per le partite cash, solitamente guadagnano qualcosa di più. Non è facile avere anche un altro lavoro quando vai a dormire all’alba.
Insomma, il dealer ha le occhiaie perenni come il giocatore incallito, qualche ruga prematura dovuta allo stoicismo necessario a sopportare critiche ed insulti, occhi perennemente spiritati e perenne sonno arretrato oltre ad un conto in banca solitamente esiguo.
Bisogna però dire che, rispetto alla maggior parte dei giocatori non occasionali, il dealer, almeno il conto in banca ce l’ha.
Il primo trapianto di una testa umana del mondo è stato effettuata su un cadavere in Cina, grazie ad un intervento chirurgico durato 18 ore durante il quale è stato possibile ricollegare con successo la colonna vertebrale, i nervi ed i vasi sanguigni.
Venerdì mattina, in una conferenza stampa a Vienna, il professor Sergio Canavero, direttore del gruppo di neuromodulazione avanzata di Torino, ha annunciato che un team dell’Università medica di Harbin ha “realizzato il primo trapianto di testa umana” e ha dichiarato che un’operazione pazienti vivi è ormai “imminente“.
L’operazione è stata effettuata da una squadra guidata dal dott. Xiaoping Ren, che lo scorso anno trapiantò con successo una testa sul corpo di una scimmia.
Questo dovrebbe essere il passo finale propedeutico al trapianto di testa su un donatore in morte cerebrale ed un volontario in stato di malattia terminale.
Il prof Canavero è un medico italiano la cui attività controversa lo ha portato a spostarsi in Cina per attuare il suo progetto di trapiantare la testa tra esseri umani, non essendo riuscito ad ottenere sostegno e finanziamenti tra le comunità mediche e scientifiche in Europa e negli Stati Uniti. L’equipe chirurgica, coordinata da Canavero e guidata dal professor Ren Xiaoping, avrebbe già eseguito con successo il trapianto di teste tra scimmie oltre che tra cadaveri umani.
Sergio Canavero, nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Vienna, in Austria ha sostenuto che l’intervento chirurgico da lui proposto, se fosse realizzato con successo, rappresenterebbe una terapia audace e quasi miracolosa per quei pazienti il cui corpo risulti affetto da malattie terminali. Non c’è dubbio, però, che un simile intervento sfiderebbe decenni di saggezza scientifica e solleverebbe profonde questioni etiche.
Secondo quanto riferito da Canavero, il governo cinese e Ren Xiaoping, il medico cinese con cui sta collaborando per eseguire la procedura, dovrebbero confermare la data dell’intervento “entro pochi giorni” e dovrebbe avvenire entro la fine dell’anno.
Un intervento di questo tipo non sarebbe possibile negli Stati Uniti o in Europa dove né la comunità scientifica né i governi sarebbero disposti a consentirlo.
Canavero ha dichiarato che non divulgherà l’identità del destinatario cinese (testa) o del donatore (corpo), che sarà un paziente cerebralmente abbinato per altezza e corporatura, ma altrimenti sano.
Tecnicamente parlando, da un punto di vista anatomico la procedura è un trapianto di corpo perché il ricevente manterrà la sua testa e ottenere un nuovo corpo.
L’intervento in questione avrà un costo stimato intorno ai 100 milioni di dollari e coinvolgerà diverse dozzine di chirurghi ed esperti medici. Al donatore ad al ricevente verranno tagliate simultaneamente le corde spinali con una lama diamantata. Ricevente e donatore, allo scopo di evitare la morte immediata dei tessuti verranno posti in uno stato di forte ipotermia.
Il ricevente e il donatore saranno posti in posizione seduta per facilitare quello che dovrebbe essere un intervento della durata di circa 30 ore, cruento e laborioso, per separare e ricollegare le ossa vertebrali, le vene giugulari, la trachea, l’esofago e altre strutture del collo. Il ricevente sarà aiutato a respirare artificialmente ed il suo sangue continuerà a circolare grazie ad un apposito apparecchio per la circolazione extracorporea. Dopo l’intervento il paziente sarà tenuto in uno stato di coma indotto farmacologicamente per un non specificato tempo di recupero.
Secondo Michael Sarr, un ex chirurgo della Mayo Clinic di Rochester, Minnesota, e redattore della rivista accademica Surgery, la procedura di Canavero è rivoluzionaria perché, a quanto se ne sa, quando si taglia un nervo il lato “a valle“, cioè la parte che riceve un segnale e lo conduce da qualche altra parte, muore mentre il lato “a monte”, cioè la parte che genera il segnale, muore solo per uno o due millimetri ma poi può ricrescere attraverso il canale precedentemente utilizzato dal nervo a valle ma solo per una lunghezza limitata.
Sarebbe questo il motivo per cui, se si amputa il polso e poi lo si reimpianta e si allineano i nervi, è possibile recuperare la funzionalità della mano mentre, un braccio braccio viene amputato all’altezza della spalla, non viene neanche tentato un reimpianto perché non porterà mai a una mano funzionale.
Il procedimento tentato da Canavero per superare questo problema tenterà di mantenere le estremità dei nervi bagnate con una soluzione per tenere stabili le membrane e poterle poi rimettere insieme fondendole. I nervi risulteranno uniti e non avranno bisogno di ricrescere.
Insomma, rispolveriamo Mary Shelley ed il suo “Frankenstein” oppure rivediamoci il vecchio film di Mel Brooks “Frankenstein junior“, stanno per diventare realtà.
È morto Totò Riina detto ‘o curtu, l’uomo che nonostante abbia trascorso in carcere gli ultimi 24 anni della sua vita era finora riconosciuto come il capo dei capi di Cosa Nostra, la mafia siciliana.
Ma cos’è la mafia? Che finalità si propone come organizzazione?
A breve esamineremo un breve compendio della storia della mafia italiana ma, prima, presenteremo una versione mitologica, ed anche un po’ romantica, che questa organizzazione criminale diffuse alle sue origini per darsi un’immagine accettabile per il popolino.
Per mafia (nota anche come «onorata società»), si intendono un certo tipo di organizzazioni criminali che svolgono la loro attività sui territori strutturandosi in modo da gestire tutti gli affari criminali dell’area, reinvestendo il denaro ricavato in attività lecite allo scopo di ripulirlo ed esercitare una notevole influenza sulla popolazione, addirittura in concorrenza con lo stato. In Italia, le organizzazioni mafiose hanno origini e tradizioni secolari, soprattutto nella parte meridionale del paese.
La nascita del fenomeno è tuttora ritenuta incerta: infatti le organizzazioni di tradizione secolare sono la camorra, la ‘ndrangheta e Cosa nostra. Da quest’ultima si suppone siano sorte ulteriori organizzazioni, quali la stidda nella Sicilia centro-meridionale (nelle provincie di Agrigento, Caltanissetta, Enna e Ragusa). Da ricordare anche la Sacra Corona Unita in Puglia che sarebbe nata da una costola della Nuova Camorra Organizzata.
Secondo alcuni studiosi, all’origine del fenomeno potrebbe esserci stata l’antica setta dei Beati Paoli, attiva a Palermo nel XII secolo. Secondo altri invece sarebbe dovuta all’immigrazione in Italia di tre cavalieri spagnoli fratelli tra di loro di nome Osso, Mastrosso e Carcagnosso, appartenenti alla setta segreta Garduna, fuggiti da Toledo nel XV secolo dopo aver vendicato col sangue l’onore di una sorella, che sbarcarono nell’isola di Favignana e che si rifugiarono nelle grotte di tufo dell’isola. Tuttavia la prima volta che il fenomeno viene descritto (seppure con un diverso nome) negli atti giudiziari risale solo al 1838, quando il funzionario del Regno delle Due Sicilie Pietro Calà Ulloa (anche procuratore generale di Trapani) parlò di “unioni e fratellanze, specie di sette», dando un primo quadro agghiacciante delle complicità e delle compiacenze che consentono alla malapianta di crescere”:
A proposito di Osso, Mastrosso e Carcagnosso c’è una leggenda, diffusa probabilmente per ‘nobilitare’ la mafia, che risale addirittura agli inizi del XV secolo.
I tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso, lavata con il sangue l’onta subita da una loro sorella, scapparono nell’isola di Favignana e per scampare al carcere, si rifugiarono nelle cave di tufo.
Lì lavorarono per 29 anni, 11 mesi e 29 giorni alle regole sociali che avrebbero esportato in Sicilia, Calabria e Campania mutuandole probabilmente da quelle della Garduña, l’associazione cavalleresca fondata a Toledo nel 1412.
E nonostante l’isola di Favignana faccia parte dell’arcipelago delle Egadi, in Sicilia, il racconto dei tre cavalieri colloca la camorra all’origine delle mafie.
«La camorra risiede nell’isola della Favignana in una tomba larga, segreta e profonda».
Le mafie derivano dalla camorra anche dal punto di vista storico-documentaristico, ma con una data e in un luogo diversi.
Sarebbero un fenomeno nato a Napoli nelle carceri borboniche su imitazione dei comportamenti massonici.
Si concretizzava in una sorta di estorsioni fra galeotti per la gestione del posto letto o dei posti a sedere all’interno delle celle. Isaia Sales, docente di criminalità organizzata presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, lo dice chiaramente: «La camorra è l’unica organizzazione disorganizzata. Questa impostazione di gruppi anarchici slegati gli uni agli altri non è mutata fino a oggi e si spiega così anche l’alto livello di litigiosità al suo interno. Il frastagliamento sul territorio, anziché indebolire la struttura, la rende ancora più forte. Quando viene sgominata una banda ce n’è subito un’altra pronta a prendere il posto. È la struttura con il più alto rimpiazzo dei boss: un esercito delinquenziale con un ricambio infinito».
Se la camorra si caratterizza per l’alta litigiosità al suo interno, per la sua imprevedibilità e per il ricorso alla violenza in maniera disinvolta e frequente, dal punto di vista del rituale di affiliazione non sembrano esserci grandi differenze con Cosa nostra e ‘ndrangheta.
Anche in questo caso esiste una ‘pungitura’ per far sgorgare il sangue del nuovo affiliato.
Anzi. I tre cavalieri spagnoli che, sempre secondo la mitologia mafiosa, simboleggiano Gesù Cristo, San Michele Arcangelo (patrono anche della polizia di Stato) e San Pietro su un cavallo bianco a guardia della posta della società, promettono che «la camorra in mano mia è come l’ostia consacrata in mano del sacerdote che a morire sì, ma abbandonarla mai».
A loro si deve anche la formalizzazione del rituale, matrice di tutte le successive varianti: «Giuro su questo pugnale d’omertà con la punta bagnata di sangue e davanti l’onorata società di essere fedele ai miei compagni e di rinnegare padre, madre, sorelle e fratelli e di adempiere tutti i miei doveri e, se necessario, anche col sangue». Il giuramento era suggellato da una stretta di mano e dal bacio da dare al capo della società.
Il bacio è sicuramente il gesto rituale più noto tra quelli legati all’affiliazione in Cosa nostra.
Di fatto, abbandonando la mitologia, la mafia nacque come braccio armato della nobiltà feudale per la repressione delle rivendicazioni dei contadini. A fine Ottocento si strinsero i legami tra mafia e politica, con l’ascesa di mafiosi al potere locale e l’affermarsi della prassi dello scambio di voti e favori, mentre si consolidava un rapporto di dominio-protezione della mafia sul territorio in cui operava. Il salto di qualità coincise con l’emigrazione meridionale negli USA agli inizi del 20° secolo. La mafia assunse un ruolo importante nella gestione dell’immigrazione clandestina, imponendo il proprio controllo sulla forza-lavoro e il racket sulle attività dell’area occupata, e intensificando le pratiche di scambio elettorale. Negli anni 1920 la domanda contadina di terra e le misure governative per la formazione di nuove proprietà permisero alla mafia di porsi come intermediario tra latifondisti e cooperative contadine.
Durante il fascismo Cesare Mori, prefetto di Palermo (1925-28), fu inviato dal duce a stroncare la mafia attraverso una feroce repressione ma, tra il 1943 e il 1945 la mafia, a cui gli Alleati si erano appoggiati per preparare lo sbarco, strinse rapporti con il movimento separatista e, dopo il 1945, con esponenti dei partiti al governo, che la legittimarono come forza antisindacale, anticontadina e anticomunista. Mentre le cosche locali si radicavano nel tessuto degli enti regionali, i mafiosi rientrati dagli USA fecero della Sicilia la centrale mediterranea del narcotraffico e del traffico di armi. La mafia del palermitano si organizzò quindi in ‘cupola’ (Cosa nostra), avviò un processo di controllo della criminalità organizzata e individuò nuovi settori di profitto (edilizia, mercati generali, appalti), configurandosi negli anni 1960 come organizzazione criminale implicata in attività ‘urbano-imprenditoriali’.
Negli anni 1970-80 la mafia divenne protagonista del narcotraffico, intrecciando rapporti con organizzazioni straniere. Nel 1979 iniziò una violenta offensiva volta a rimuovere gli ostacoli alla sua crescita con l’uccisione di uomini politici, poliziotti e magistrati, mentre si verificavano anche grandi conflitti intestini, dai quali emerse vincitore il gruppo detto dei Corleonesi. Vittime della mafia furono, tra gli altri, P. Mattarella nel 1980, P. La Torre e il generale C.A. Dalla Chiesa nel 1982 e il giudice R. Chinnici nel 1983. il culmine di tale guerra fu nel 1992 l’assassinio dei giudici G. Falcone e P. Borsellino, del finanziere N. Salvo e del deputato democristiano S. Lima. Nel frattempo, però, le rivelazioni di una serie di mafiosi ‘pentiti’ consentirono di compiere passi importanti nella lotta antimafia, arrivando all’arresto dei boss corleonesi L. Liggio, S. Riina e, nel 2006, B. Provenzano, insieme a moltissimi altri capimafia.
In passato il fenomeno mafioso è stato considerato frutto di strutture economico-sociali particolarmente arretrate, di un universo sociale composto da poveri contadini, grandi latifondisti e grandi affittuari, i cosiddetti gabellotti, dai cui ranghi provenivano molti capimafia. Altrettanto consolidata è l’interpretazione che chiama in causa una cultura ‘mediterranea’ lontana dai concetti moderni di Stato e legalità, incline a regolare i conflitti facendo ricorso alla legge non scritta della vendetta o faida. Secondo tale lettura, la famiglia più o meno patriarcale sarebbe il fulcro dell’organizzazione mafiosa, e la Sicilia ‘tradizionale’ esprimerebbe quest’unico modello di aggregazione sociale. La mafia, tuttavia, è riuscita a impiantarsi o riprodursi anche nei più progrediti Stati Uniti, attraverso flussi migratori e traffici di scala transoceanica, e nel suo stesso luogo d’origine è sopravvissuta con grande facilità al mutamento storico-sociale intervenuto con l’avvento della modernità.
La mafia ha le caratteristiche di una società segreta, o di un insieme di società segrete, sia pure collegate al complesso della cultura o della società siciliana, nelle quali si entra attraverso un rito di affiliazione e che restano stabili nel tempo in determinati territori. Oggi tale organizzazione viene indicata come Cosa nostra ma anche in passato, quando quest’espressione non esisteva, si sapeva che la mafia si articolava in gruppi locali, i quali talvolta potevano agire d’accordo tra loro, in altri casi competere e anche confliggere violentemente. Con riferimento all’intrigo che in quei luoghi si consumava, questi gruppi erano detti cosche, nasse, o anche talora partiti.
Non è peraltro vero che nell’Ottocento siciliano la famiglia fosse l’unico modello possibile di aggregazione sociale. In quei tempi l’isola conosceva un fiorire di confraternite, società di mutuo soccorso, circoli, e nel passaggio al nuovo secolo anche una complessa struttura di partiti locali. Queste associazioni da un lato rappresentarono modelli disponibili, e dall’altro luoghi all’interno dei quali le fazioni più o meno mafiose poterono occultarsi. Per spiegare i caratteri di segretezza e particolare compattezza riscontrabili nelle ‘fratellanze’ di mafia, molte fonti ottocentesche chiamarono in causa anche il modello delle logge massoniche, terreno classico degli intrighi dei gruppi dirigenti.
Nonostante la letteratura descriva spesso, e con toni rassegnati, la mafia come un’organizzazione onnipotente ed imbattibile, infiltrata e radicata fin nelle più alte istituzioni dello stato, può essere efficacemente combattuta, e lo è stata con buon successo sia in Italia sia negli Stati Uniti a partire dall’inizio degli anni 1980, grazie a nuove leggi, nuove istituzioni specializzate nel contrasto alla criminalità organizzata, e agli stessi drammatici conflitti interni all’universo mafioso che hanno visto molti affiliati (i così detti pentiti) collaborare con le autorità e rivelare i segreti dell’organizzazione.
La carruba è il frutto di un albero sempreverde chiamato Cerantonia o Carrubo, appartenente alla famiglia delle Fabaceae.
La distribuzione del genere Ceratonia comprende l’intera regione mediterranea, la penisola araba e la Somalia. L’unica specie presente in Italia è Ceratonia siliqua.
L’utilizzo del legume della Ceratonia siliqua nell’area mediterranea è rivolto specialmente all’alimentazione animale (specialmente asini e cavalli), e talvolta anche per quella umana. I frutti della Cerantonia vengono usati per la distillazione di alcol etilico e, sotto forma di preparato simile alla farina, come base di preparazione di alcune specialità dolciarie.
il carrubo è una pianta mellifera, ma la produzione di miele è rarissima e si ha solo dove c’è una certa quantità di esemplari, nel sud italia. Nei paesi dei monti Iblei, è possibile trovare pertanto gelati artigianali al gusto di carruba, biscotti fatti con farina di carruba e le caramelle di carruba, che vengono cotte in zucchero e sciroppo di carrube.
La carruba matura e viene raccolta tra agosto e settembre e può essere consumata direttamente, con la sua polpa zuccherina, masticando con pazienza. Ha un gusto simile a quello del cioccolato dolce.
Dalla macinazione fine del baccello di Carruba si ottiene una polvere, impropriamente detta “farina”, che, una volta tostata, grazie al suo gusto simile a quello del cacao, si può usare per farne creme e insaporireogni genere di alimenti dolci, neutri e salati. Nell’industria viene usata per fabbricare tavolette di carruba con un gusto simile a quello del cioccolato.
Nelle medicina popolare tradizionale, la carruba è utilizzata come astringente contro la diarrea.
La carruba si può trovare in commercio in tre forme: i baccelli interi, la polvere o “farina” di polpa di carruba, e le tavolette di simil-cioccolato di carruba. Peccato che la polvere di carruba e ancor di più le tavolette siano piuttosto rare.
Pochi sanno che la Nutella nacque come “crema Gianduja” a base di nocciole e carruba, prima della II Guerra Mondiale, e poi si impose durante la guerra come economico e convincente “surrogato” della cioccolata al latte. Fino agli anni Cinquanta si trovava una simil-cioccolata surrogato a base di carruba. In Grecia, e anche in Italia nel dopoguerra, la carruba era aggiunta alla dolcissima halvas di sesamo (bicolore) che in drogheria si vendeva a peso, avvolta in foglio di alluminio. La preparazione di una crema spalmabile di carruba e nocciole fatta in casa, è abbastanza semplice da realizzare, partendo nella lavorazione proprio dalla polvere di carruba e dalle nocciole (acquistate già tostate, perché non si possono tostare in casa a regola d’arte), e aggiungendo nel potente tritatutto per semi e granaglie solo l’olio strettamente necessario. Una volta ottenuti amalgama e sapore perfetto, regolare con pochissimo miele, quanto basta.
Per completezza, bisognai aggiungere che esiste anche la “farina di semi di carruba”. Nella polpa della carruba sono annegati semi durissimi e immangiabili che gli Antichi orientali chiamavano karati e considerandoli tutti convenzionalmente del medesimo peso usavano per pesare – intorno al grammo e sotto – pietre e metalli preziosi. Noi moderni utilizziamo questi semi tritati sotto forma di farina biancastra e insapore come addensante ed emulsionante naturale capace di creare con l’acqua una innocua gelatina che rende uniformi e vellutati gelati, creme e salse industriali, o che viene aggiunta a carni in scatola (è l’additivo E 410). Non va assolutamente confusa con la “farina di polpa di carruba”.
Fonti: http://alimentazione-naturale.blogspot.it – Wikipedia