giovedì, Gennaio 16, 2025
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Ritrovate le ossa di “Black Sam” Bellamy, il ricchissimo pirata soprannominato il “Robin Hood dei mari”

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Capitan “Black Sam” Bellamy era uno dei più famosi pirati che infestarono i “sette mari”. Durante il XVIII secolo, “l’età dell’oro” della pirateria, le sue scorrerie lo portarono a diventare il più ricco pirata mai conosciuto, accumulando una ricchezza equivalente a 120 milioni  di dollari in valuta odierna.

Nonostante la grande ricchezza accumulata, archeologi e scienziati forensi hanno scoperto quelle che credono essere le sue ossa in una enorme fossa comune insieme a quelle di almeno altri 100 pirati.

Sulle coste di Cape Cod, nel Massachusetts, gli archeologi si sono recentemente imbattuti nel più grande cimitero di pirati in America, contando, finora, le ossa di oltre 102 persone che componevano la gran parte dell’equipaggio della nave Whydah che affondò nell’aprile del 1717.

Crediamo di aver trovato il più grande cimitero di massa negli Stati Uniti“. ha detto il capo della spedizione Casey Sherman al The Telegraph.

È un terreno sacro… Che ci permette di imparare ogni giorno qualcosa di più su quanto accadde 300 anni fa“.

Secondo i ricercatori impegnati nel sito, è abbastanza probabile che i resti di uno dei corpi individuati nel sito appartenga a capitan Bellamy, poichè alcuni dei resti scheletrici sono stati trovati accanto ad una pistola decorata in un modo univoco corrispondente alle registrazioni storiche della pistola di Bellamy. Per avere la prova definitiva che si tratta realmente delle ossa del famigerato pirata, gli archeologi forensi stanno eseguendo dei test sul DNA prelevato da un osso del femore che confronteranno con il DNA di un discendente maschio di Bellamy che vive nel Regno Unito.

“Black Sam” Bellamy era un pirata particolarmente noto, non a causa della sua brutalità ma, piuttosto, per la sua benevolenza e il suo carisma. Il relitto della sua nave ammiraglia –  il Whydah  –  fu scoperto dagli archeologi nel 1984. Era una nave realizzata nel 1715 per trasportare schiavi dall’Africa al Nuovo Mondo. Sulla via del ritorno dal suo viaggio inaugurale in Giamaica, incrociò la rotta di Black Sam e dei suoi uomini che riuscirono a prendere la nave, insieme a centinaia di sacchi d’oro e oscene quantità di bottino, dopo un inseguimento durato tre giorni lungo l’Oceano Atlantico occidentale.

La breve carriera piratesca di Black Sam, durò sostanzialmente poco più di un anno, colpì molto l’immaginario popolare, sia per la rapidità e la ricchezza delle sue scorrerie che per il suo modo di comportarsi. Il suo equipaggio, composto in gran parte da neri e nativi americani cui aveva restituito la libertà, lo idolatrava e si sa che in molti casi alcuni suoi uomini lo definirono il Robin Hood dei mari.

Furono ben 53 le navi depredate da Bellamy e dal suo equipaggio, con la particolarità che raramente i suoi abbordaggi si concludeva con l’affondamento o il danneggiamento della nave abbordata. Questo pirata si limitava a depredare le ricchezza, limitando al minimo i danni inferti ad esseri umani o cose.

Secondo quanto riporta Wikipedia, “Bellamy divenne noto per la misericordia e la generosità verso coloro che catturava durante le incursioni, tanto da essere anche detto “il Principe dei pirati”. Diverse testimonianze narrano che, ogni volta che conquistava una nave, chiedeva di provarla. Se non la riteneva abbastanza veloce, la restituiva al legittimo proprietario e se ne andava per la sua strada. A ogni estemporaneo sbarco per i rifornimenti non risparmiava regalie, doni o offerte in denaro ai più bisognosi.

La carriera piratesca di Black Sam Bellamy iniziò quando, dopo una breve avventura alla ricerca di tesori affondati insieme a galeoni spagnoli davanti alle coste della Florida, insieme con il suo amico Paul Williams, si unì all’equipaggio di della nave pirata Mary Anne (o Marianne), comandata dal famoso Benjamin Hornigold, in precedenza corsaro inglese agli ordini di Sua Maestà britannica. Il Capitano Hornigold – per un periodo insieme a Edward Teach (passato alla storia come Barbanera) – scorrazzava con successo nei Caraibi ed era noto per essere meno cruento di molti degli altri pirati: generoso, leale, e a suo modo coerente, attaccava solo navi francesi e spagnole.

Quando, per varie ragioni, Hornigold decise di ritirarsi chiedendo il perdono al suo amico governatore delle Bahamas, lasciando la nave in disarmo dopo un urto contro una barriera corallina, Bellamy colse la palla al balzo, riarmò la Mary Anne, rimpinguò l’equipaggio e partì per una serie di fortunate scorrerie che gli fruttarono diverse navi e una fortuna in denaro, oro e preziosi. Tra le altre, catturò il Sultana che divenne l’ammiraglia della sua flotta, al comando della Mary Anne mise il suo inseparabile amico Paul Williams, fino all’avventurosa cattura della Whydah Gally, una splendida nave di 300 tonnellate di stazza che, viaggiando sulla rotta degli schiavi, aveva appena terminato la seconda tappa ed era carica di ori e pietre preziose. Black Sam non avrebbe mai immaginato di poter entrare in possesso in un sol colpo di tanta ricchezza e insieme ai suoi, visto l’insperato grande bottino, valutò la possibilità di ritirarsi dalla pirateria. Fedele alla sua reputazione di pirata generoso, Bellamy concesse in dono al capitano e all’equipaggio del Whydah Gally la sua ammiraglia: il Sultana, facendo dell’enorme Whydah Gally la sua nuova ammiraglia.

whyda

Il “Pirata gentile” probabilmente pensava, a soli 29 anni, con poco più di un anno di strabiliante carriera piratesca alle spalle, con un’immensa fortuna accumulata e soprattutto con l’amore della sua Maria, che lo attendeva a terra, di ritirarsi per sempre e vivere una vita in pace. Stesso sogno condiviso da tutto il suo affezionato equipaggio.

Purtroppo, il destino si sarebbe compiuto sulla via del ritorno, sotto forma di una violentissima tempesta che investì la flotta di Bellamy al largo delle coste del Massachusetts, nei pressi di Cape Cod. Bellamy morì all’età di soli 29 anni, con oltre 140 membri dell’equipaggio. Al naufragio, tuttavia, sopravvissero due uomini: John Julian, un semi-nativo americano che fece perdere le proprie tracce, e Thomas Davis, un gallese catturato e processato a Boston che, grazie alle sue testimonianze ottenne il perdono.

Nel 1984 venne ritrovato il relitto della Whydah. Al momento dell’affondamento l’ammiraglia di Bellamy era la più grande nave mai catturata. Il suo carico includeva grandi quantitativi di avorio, oro, argento, preziosi e 30.000 sterline. La scoperta del relitto e del relativo tesoro venne resa pubblica nel luglio 1984. L’esplorazione e il recupero furono condotte dall’équipe di Barry Clifford che, successivamente, fondò il “Museo Samuel Bellamy” sulle rive del Provincetown, in Massachusetts, poco distante dal luogo dell’affondamento.

Il museo ospita gran parte degli oggetti ritrovati in fondo al mare, compresa la “Flangia di bordo” di Bellamy. La flangia era un simbolo di autorità e fu ritrovata non presso gli alloggi di Black Sam, come generalmente usavano i capitani pirati, ma vicino a quelli dell’equipaggio, contribuendo ad alimentare la leggenda del pirata popolare, anarchico e libertario. Vero è che Bellamy – che le fonti riportano avventuriero idealista, passionale e di animo gentile – era anche un apprezzato poeta, filosofo e pensatore.

Nel 2000, nel 2005 e nel 2006 l’équipe di Clifford ha eseguito ulteriori rilevazioni, recuperando altre venticinquemila libbre di materiale, oltre a 15 cannoni.

Gran parte di ciò che sappiamo sulle imprese della Whydah deriva proprio dalle dichiarazioni fornite da Davis durante il suo processo. Ora, dopo il ritrovamento dei corpi dell’equipaggio della Whydah, con alcune prove fisiche sul tavolo, i ricercatori sperano di scoprire ancora di più delle avventure in alto mare di questo carismatico pirata.

Terra piatta

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di Oliver Melis

Abbiamo sentito ripetere innumerevoli volte: “Nel medioevo la gente pensava che la terra fosse piatta“. Aggiungiamo anche una seconda affermazione che abbiamo sentito poche volte: Colombo ha dimostrato che la Terra non è piatta contrariamente a quanto pensavano i suoi contemporanei, che credevano che il suo tentativo sarebbe fallito perché ritenevano che le caravelle sarebbero cadute oltre il bordo della Terra.

La sfericità del nostro pianeta era già stata dimostrata da Pitagora e da altri matematici greci nel VI secolo a.C.. Aristotele, inoltre, osservò la forma dell’ombra della Terra sulla Luna e la curvatura della costa, ben nota ai marinai che navigavano verso la terraferma. Nel II secolo a.C. Eratostene stimò con grande precisione la forma e la circonferenza del nostro pianeta. Ai tempi di Colombo queste teorie erano note alle persone con un buon grado di istruzione e cultura.

L’idea di un Cristoforo Colombo convinto che la Terra fosse piatta è in realtà abbastanza recente: risale al 1828, prima non se ne trova alcun cenno, ed è riportata nella biografia dell’esploratore scritta da Washington Irving.

Il professor Jeffrey Russell sostiene che questo mito su Colombo ebbe origine in una storia sul navigatore del 1828 scritta da Washington Irving, secondo il quale i teologi e gli esperti del periodo si opposero al finanziamento dei viaggi perché la terra era piatta. Questo è noto per essere un falso.

Colombo, come tanti nella sua epoca, sapeva che la terra era rotonda.

Colombo affrontò l’opposizione nel suo viaggio, ma non da parte di persone che pensavano che sarebbe caduto dal bordo della Terra piatta, ma per un errore di valutazione sulla grandezza reale del pianeta, dimensioni sottostimate da Colombo che secondo alcuni poteva fallire la sua missione per mancanza di scorte alimentari e acqua potabile.

caravelle terra piatta

In realtà, è probabile che l’idea della Terra piatta fosse universalmente diffusa in Europa solo nei secoli precedenti al IV A.C., successivamente si diffusero le idee dei grandi pensatori greci che, come abbiamo visto, ne provarono la sfericità arrivando perfino a calcolarne, con buona approssimazione, la circonferenza. Fu intorno a questa data che i pensatori greci iniziarono come abbiamo visto, non solo a realizzare che la terra era un globo, ma calcolarono – con grande accuratezza- le dimensioni precise del nostro pianeta.

L’idea di una Terra piatta tornò a diffondersi nei primissimi secoli del Medio Evo, quando con la caduta dell’impero romano ed il diffondersi di numerose superstizioni legate all’affermazione del cristianesimo, la cultura restò confinata in una ristrettissima elìte.

Come ci insegna Colombo, però, che utilizzò carte e studi a lui precedenti, già all’alba del secondo millennio la consapevolezza di un pianeta circumnavigabile era tornata a diffondersi con il ritorno della diffusione delle arti e delle scienze.

Probabilmente non è un caso che oggi, come nel medio evo, tornino in auge idee e false teorie su forma e dimensione del nostro pianeta. Allora furono superstizioni, favole e leggende a diffondere tra il popolino, che aveva però la scusa dell’ignoranza non essendo disponibili scuole ed informazioni alla portata di tutti, l’idea che la Terra fosse piatta, oggi, nonostante l’alfabetizzazione di massa, false teorie e bufale si diffondono grazie alla rete e alla credulità di tanti che preferiscono giustificare le proprie difficoltà ed i propri problemi con l’idea di una serie di complotti globali orditi da millenni dalla classe dominante ai danni del popolino.

Nessun assertore dell’idea di una Terra piatta, al di là dei riscontri empirici evidenti a chiunque abbia osservato l’orizzonte dal mare o abbia preso un aereo, ha mai risposto a due domande semplicissime: “Quale sarebbe lo scopo del far credere alla gente che la Terra sia rotonda? Cosa ci guadagnerebbe l’elìte dominante dalla sfericità del pianeta?

Il MIT, in collaborazione con l’ENI, sta costruendo una centrale nucleare a fusione

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Se ne parla da parecchi anni ma finora nessuno è mai riuscito a realizzarla. Nonostante i passati fallimenti, tra 15 anni potremmo vivere in un mondo dove l’energia sarà a buon mercato, se non gratis, in quantitativi illimitati. Il MIT ha annunciato che sta lavorando con un’azienda privata per costruire una centrale nucleare a fusione in grado di generare 100 megawatt di potenza. Se tutto andrà secondo i piani, la nuova centrale potrebbe essere attiva e funzionante già nel 2033. L’ambizioso progetto è stato finanziato con 50 milioni di dollari dall’italiana ENI. Della cifra messa a disposizione, un po’ più della metà sarà spesa in ricerca e sviluppo.

Ma cos’è la fusione nucleare? In termini grossolani, si può immaginare un tavolo da biliardo: Se nella fissione nucleare le sfere che si staccano l’una dall’altra, la fusione nucleare si verifica quando due sfere si scontrano. Ma invece di palle da biliardo, una centrale nucleare usa atomi di idrogeno, che rilasciano enormi quantità di energia mentre si fondono per formare l’elio.

Molti ritengono che la fusione nucleare sia il prossimo grande passo nella produzione di energia. Se vi si riuscisse, sarebbe possibile fornire al mondo intero quantità illimitate di energia sicura e sostenibile senza emissioni di carbonio, sostituendo i combustibili fossili, mitigando, quindi, il cambiamento climatico in corso. A differenza della fissione nucleare, la fusione non comporta il rilascio di pericolosi residui in forma di scorie radioattive nè rischia di provocare incidenti catastrofici come accadde a Chernobyl o a Fukushima.

Attualmente esistono alcuni prototipi funzionanti di centrali nucleari a fusione nucleare ma gli scienziati non sono ancora riusciti a controllare una reazione senza causare un deficit energetico, ovvero a produrre più energia di quanta ne viene impiegata per indurre la fusione. Ciò che rende le cose diverse questa volta è la disponibilità di superconduttori ad alta temperatura; un bene che è diventato commercialmente disponibile solo negli ultimi anni. Ciò consentirà agli scienziati del MIT di rafforzare il campo magnetico che circonda il combustibile a plasma caldo utilizzato nei reattori tokamak e, pertanto, rendere possibile la produzione di reattori più piccoli ed economici.

È una questione di dimensioni, e di velocità“, ha detto a Nature Robert Mumgaard, amministratore delegato di Commonwealth Fusion Systems (CFS), una società privata coinvolta nel progetto. “Gli sforzi congiunti di accademici e industriali dovrebbero contribuire ad accelerare il processo e portare questa tecnologia sul mercato nei prossimi anni” ha concluso.

Ci sono anche diverse start-up che lavorano a progetti simili, tra cui Tokamak Energy, una compagnia britannica con sede vicino a Oxford. Eppure, gli esperti dicono che il progetto del MIT, finanziato dall’ENI, è il più promettente.

Se il MIT può fare quello che sta dicendo – e non ho motivo di pensare che non possano farlo – questo è un importante passo avanti“, ha detto a Nature Stephen Dean, di Fusion Power Associates, un gruppo di advocacy di Gaithersburg, nel Maryland.

L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha spiegato in un comunicato che “La fusione è la vera fonte di energia del futuro, poiché è completamente sostenibile, non rilascia emissioni o sprechi a lungo termine ed è potenzialmente inesauribile. L’ENI è determinata a raggiungere  rapidamente il risultato auspicato.

[Fonti: MIT , Nature ]

Messico: UFO show

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di Oliver Melis

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Questa immagine è tratta da un filmato girato a Mexicali, in Messico, da alcuni automobilisti, filmato che alcuni siti web hanno fatto girare riprendendo le affermazioni fatte dagli stessi autori che affermerebbero che l’oggetto è metallico e forse di natura extraterrestre.

I filmati sono stati promossi online nel gennaio 2018 come la prima “prova” della vita extraterrestre. Pedro Ramírez, che si definisce un “Ufologo”, ha pubblicato il video sulla sua pagina Facebook il 1 ° gennaio 2018, dichiarando che è stato girato a Mexicali, la capitale dello stato messicano, sotto potete accedere al video.

https://www.facebook.com/Ufologopedroramirez/videos/2029530017318770/

Ramírez non ha girato il video, e la persona che lo ha fatto può essere ascoltata mentre descrive un oggetto non identificato. Una donna dice: “È qualcosa di metallico, perché il sole lo sta illuminando“.

Nel post che accompagna il video, Ramirez ha scritto:

Come sappiamo dagli ultimi due mesi del 2017, l’attività Ovni non si ferma al confine con il Messico, sappiamo che le entità aliene sono preoccupate a causa dei recenti lanci spaziali con i quali sono sicuri che inviamo materiale bellico nell’orbita terrestre. Attirato da questi eventi, “Loro” stanno monitorando le attività della Terra in questa parte del pianeta.

Quest’anno sarà cruciale per quelli di noi che seguono da vicino questo fenomeno, la NASA e la compagnia SpaceX hanno programmato diversi lanci nello spazio, alcuni con motivazioni “sospette”.

Questo è quanto afferma Ramirez.

Nessuna conferma è stata offerta riguardo alla natura di questo “Ovni”, il termine in lingua spagnola per un UFO, ma siamo abbastanza certi che quanto filmato non sia nulla di diverso da un gruppo di palloncini legati assieme e portati in quota dai venti. Almeno un altro UFO “fasullo” ha messo in dubbio la valutazione di Ramírez su Twitter, “Il video del cosiddetto ‘UFO a forma di umanoide” ripreso in Mexico è diventato anch’esso virale.

Fonte: Snopes

L’esagono delle Bermuda

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Qualche anno fa, precisamente nel 2016, usci una notizia che spiegava il mistero del triangolo delle Bermuda diventando, grazie anche a un certo giornalismo sensazionalista, virale.
Alcune immagini riprese da un satellite mostravano dei fori di forma esagonale nelle nuvole sopra la zona nota come “Triangolo delle Bermuda“, fori che sarebbero la causa di grandi esplosioni di aria che provocherebbero la scomparsa di navi e aerei.

Il 26 aprile 2016, Science Channel ha presentato un episodio nel corso del programma “What on Earth?” che in parte si proponeva di spiegare le sparizioni di navi e aerei nell’area nota come il Triangolo delle Bermuda attraverso un fenomeno meteorologico noto come microbursts.

La notizia è diventata virale quando testate giornalistiche come il Daily Mail e Mirror Online del Regno Unito hanno dato la notizia di questa scoperta il 21 Ottobre 2016: “Il mistero dietro il Triangolo delle Bermuda potrebbe essere stato finalmente risolto. Il tratto di 500.000 km nell’Oceano Atlantico settentrionale è stato accusato di aver fatto sparire nel nulla almeno 75 aerei e centinaia di navi. Ma gli scienziati sostengono che la verità dietro il triangolo della morte è causata da strani buchi esagonali nelle nubi che creano terrificanti venti con aria ad alta pressione. Si ritiene che queste micidiali esplosioni d’aria possano capovolgere le navi e portare aerei a precipitare nell’oceano.

Le testate che hanno fatto diventare virale la presunta scoperta hanno insomma giocato sui seguenti punti:
L’esistenza di una foto satellitare che ritraeva alcuni vuoti esagonali nelle nubi sopra le Bermuda;
– L’esistenza di immagini prodotte da un altro satellite, che aveva la capacità di mappare le onde oceaniche e il vento, ha catturato lo stesso tipo di formazioni nuvolose sul Mare del Nord, anche esse associate a grandi onde e forti venti.

I meteorologi affermano che questo modello è la firma di un fenomeno reale chiamato microburst che crea forti venti.

Unendo questi punti sarebbe logico arrivare alla soluzione del mistero affermando che la causa delle decine di scomparse è stata trovata. Niente di più falso, non c’è alcuna correlazione tra le misteriose e spesso false notizie della scomparsa di navi e aerei.

Sia il Daily Mail che il Mirror hanno riportato questa notizia nell’ottobre del 2016, utilizzando in parte le citazioni di Science Channel in un modo che suggeriva di aver eseguito rapporti originali per verificare le affermazioni fatte nel video. Una citazione, dal climatologo dell’Arizona State University Randall Cerveny, ha spiegato i meccanismi di uno scoppio mentre metteva in gioco il termine “bomba atomica“:
“Questi tipi di forme esagonali sull’oceano sono essenzialmente bombe ad aria. Sono formate da quelle che vengono chiamate microbursts e sono esplosioni d’aria che scendono dal fondo di una nuvola e poi colpiscono l’oceano e creano onde che a volte possono essere di dimensioni enormi quando iniziano a interagire tra loro.”

Un’altra citazione, presa dal meteorologo della Colorado State University, Steve Miller, ha trasformato una banale affermazione scientifica in un mistero allettante:
Di solito non si vedono i bordi dritti con le nuvole. Il più delle volte, le nuvole sono casuali nella loro distribuzione.

Entrambe le affermazioni sono reali. Tuttavia, nessuno scienziato sostenne che il meccanismo che stavano descrivendo avesse una relazione con la presunta sparizione di navi e aerei nell’area. In un articolo apparso su USA Today del 21 ottobre 2016, entrambi gli scienziati hanno suggerito che i loro commenti erano stati mal interpretati da Science Channel.
Steven Miller, che è apparso sul rapporto di Science Channel, ha detto che questo modello meteorologico non può essere la causa delle scomparse nel Triangolo delle Bermuda, perché accade ovunque.

Si tratta di un fenomeno comune che si verifica globalmente – il più delle volte accade in luoghi di latitudine medio-alta sopra gli oceani, e di solito durante la stagione fredda“, ha detto lo scienziato dell’Istituto Cooperativo per la Ricerca nell’Atmosfera dell’Università Statale del Colorado.
Qualsiasi spiegazione fisica per un numero anomalo di sparizioni in un’area specifica dovrebbe avere, come caratteristica distintiva, qualcosa che la rende unica a quell’area. La spiegazione della nuvola esagonale non riesce a soddisfare questa condizione, come spiega Miller su USA Today:
Le immagini meteorologiche satellitari che mostrano pattern a nido d’ape, come quelli sopra il Triangolo delle Bermuda, sono strane da vedere, ma non sono rare. Queste cellule aperte e chiuse si verificano quando l’aria fredda e secca si mescola con l’acqua calda.”

Gli schemi sono solitamente individuati nel nord dell’Atlantico settentrionale e nel Pacifico settentrionale durante il tardo autunno e l’inizio della primavera. Un rapporto di Science Channel che collega il fenomeno meteorologico al Triangolo delle Bermuda ipotizza che i modelli di nubi, che possono creare correnti ascensionali e discendenti, potrebbero essere responsabili di attività insolite.

Infine, l’esistenza del Triangolo delle Bermuda come un luogo misterioso in cui le navi e gli aerei scompaiono frequentemente senza spiegazione è lontano da un fatto accettato. Un libro del 1975, di Lawrence Kusche, ha esaminato le registrazioni di molte delle cosiddette sparizioni e le ha trovate discutibili, inaccurate o abbellite.

Nel 2013, il World Wide Fund for Nature (WWF) ha pubblicato uno studio esaustivo delle regioni di spedizione più pericolose negli oceani del mondo. Del triangolo delle Bermuda non c’è traccia alcuna.

Fonte: Snopes, Il Giornale.it

La stazione spaziale cinese di Tiangong-1 sta per precipitare in atmosfera – Ecco dove è più probabile che colpisca

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Come abbiamo visto in un precedente articolo la stazione spaziale cinese Tiangong-1, ormai fuori controllo, è destinata a rientrare nell’atmosfera nelle prossime settimane, generando una certa ansia perché sembra certo che alcuni pezzi, anche di considerevoli dimensioni, finiranno per schiantarsi a terra.

L’orbita della Tiangong-1 sta decadendo di circa 6 chilometri a settimana dalla sua quota orbitale di circa 280 chilometri. Secondo le stime più aggiornate fornite dall’ESA si presume che probabilmente rientrerà nell’atmosfera tra il 29 marzo e il 9 aprile.

L’orbita della stazione è compresa tra le latitudini di 42,8 ° N e 42,8 ° S. Questo comporta che una stretta fascia compresa tra l’area centro nord degli Stati Uniti, la Spagna settentrionale, gran parte dell’Italia, la Grecia e alcune regioni dell’Asia sono comprese nell’area di maggior rischio di impatto, essendo sorvolate più a lungo dal percorso della stazione cinese, area indicata in giallo nella mappa sottostante, mentre non sono del tutto esenti da una quota di rischio America centrale, parte dell’Africa nord-orientale e l’Australia, in verde nella mappa. C’è da dire che l’orbita della Tiangong-1, che significa palazzo celestiale, sorvola anche ampie porzioni degli oceani per cui la speranza è che parti le pericolose possano schiantarsi in acqua.

Purtroppo, non sappiamo ancora esattamente quando rientrerà la stazione spaziale, per cui, al momento, è impossibile sapere esattamente dove potrebbe cadere. Potremmo non saperlo fino a poche ore prima del rientro.

Ovviamente, gran parte della stazione, se non tutta, potrebbe bruciare al rientro a causa dell’attrito, questo molto dipenderà dall’angolo di incidenza con il quale approccerà l’atmosfera.

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La stazione Tiangong-1 pesa circa 8.500 chilogrammi e misura circa 10.4 per 3.4 metri.

Secondo alcune stime, tra il 10 ed il 40 percento della stazione potrebbe arrivare a terra. Probabilmente a bordo della stazione si trovano anche alcuni materiali pericolosi, tossici o radioattivi, per cui è fortemente consigliato, in caso di avvistamento di frammenti caduti a terra, di avvisare el autorità ed evitare di avvicinarvisi.

Come detto, la maggior parte dell’orbita della Tiangong-1 sorvola l’oceano e, secondo gli esperti, le probabilità di essere colpiti dai detriti della stazione spaziale cinese sono significativamente inferiori alle probabilità di essere colpiti da un fulmine.

 

L’UFO di Aviano

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di Oliver Melis

Una notizia immessa in rete alcuni anni fa aveva destato parecchio clamore, infatti nella base Usaf di Aviano era stato fotografato un UFO, un oggetto misterioso dalla classica forma discoidale che faceva capolino da un hangar, secondo alcuni un mezzo extraterrestre ospitato segretamente nella base o, forse, secondo altri ben informati, un prototipo segreto costruito sfruttando tecnologia aliena recuperata in un UFO crash, la retroingegneria, cosi come viene chiamata la pratica di studiare presunti scafi alieni per ricavarne un ibrido con tecnologia terrestre avrebbe preso vita forse addirittura dal crash, sempre presunto, avvenuto ai tempi niente meno che di Mussolini.

La notizia, però, si è presto sgonfiata diventando l’ennesima bufala data in pasto ai tanti credenti che vedono UFO e alieni in ogni dove, nessun mezzo alieno e nessuna retroingegneria con prototipo terrestre in bella vista.

La notizia, uscita nella rivista inglese “Fortean Times” pubblicava la foto del presunto congegno alieno con tanto di didascalia che recitava: «Astronave o aereo spia? Una delle strane forme presenti negli hangar della base di Aviano. La foto è stata migliorata al computer».

L’autore dell’articolo, Robert Irving ha in seguito ammesso che la foto era stata manipolata aggiungendo l’UFO con un programma di fotoritocco per sovrapporre il disco volante alla foto che ritraeva l’hangar.

La CIA e L’AIDS

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di Oliver Melis

La terribile malattia che prende il nome di AIDS esplode nei primi anni ottanta apparentemente dal nulla mietendo moltissime vittime. Questa sua repentina apparizione ha portato alla nascita di tutta una serie di voci incontrollate sulla sua comparsa, affermazioni che riassumiamo di seguito:

  • Un virus creato per la guerra batteriologica fuori controllo che è sfuggito ai suoi creatori

  • Diffusione da gruppi etnici specifici (ad esempio, haitiani)

  • Immesso con il fluoruro nell’acqua potabile

  • Immesso dai centri di controllo per le malattie infettive per eliminare gli omosessuali

  • Sviluppato dalla CIA

  • Sviluppato dai russi

  • Creato nei laboratori di Hitler

Gli scienziati sono generalmente d’accordo sul fatto che l’AIDS abbia superato la barriera delle specie dagli scimpanzé agli umani. (Gli scimpanzé ospitano un virus chiamato SIV, virus dell’immunodeficienza simiana, che è considerato simile all’HIV). L’AIDS non è l’unico nuovo contagio ad essere iniziato in questo modo; Ebola e Marburg, due malattie infettive che uccidono un numero incredibile di persone che le contraggono, sono passate agli umani dalle scimmie.

Che alcune malattie possano fare il salto di specie è un fatto noto e con una spiegazione semplice che, spesso, non è ben accetta a qualcuno che invece tende a sostituire le spiegazioni scientifiche con ipotesi contorte, disturbate, mitiche e apparentemente, almeno per loro, più logiche. Per qualcuno le malattie mortali non vengono dal nulla, una malattia viste le nostre conoscenze può e deve essere curata o almeno tenuta sotto controllo ed ecco che nascono le teorie alternative che vedono queste malattie, l’AIDS in questo caso, create dall’uomo e sfuggite di mano. La comparsa apparentemente repentina di questa malattia ha fatto nascere teorie cospirative che vedono agenti patogeni sfuggiti in qualche modo da laboratori segreti per errore o a volte consapevolmente. Agenti patogeni creati per sterminare gruppi etnici ad esempio.

Per alcuni è più semplice che  sia la CIA ad agire in questi termini, cioé permettendo o utilizzando malattie create in laboratorio, piuttosto che accettare l’idea che la natura sia in grado di sviluppare virus letali che provocano malattie incurabili.

Queste elucubrazioni mentali spostano il problema cosi che chi propone o anche solamente abbraccia queste teorie abbia davanti un nemico tangibile.

Le dicerie sull’origine dell’AIDS si suddividono in due categorie:

  • Esperimenti di guerra biologica su gruppi Africani o Haitiani

  • Tentativi deliberati di ridurre la popolazione di determinate categorie come ad esempio gli omosessuali

Nel suo studio sull’origine dell’AIDS, la folklorista Patricia Turner ha identificato un numero di motivi ricorrenti nelle centinaia di versioni delle voci che ha raccolto:

Una parte del governo degli Stati Uniti era di solito l’autore della cospirazione: la CIA, l’esercito, l’amministrazione Reagan, il Pentagono, i Centri per il controllo delle malattie, l’estrema destra e “i superpoteri”.

Gli obiettivi della cospirazione erano africani o haitiani o comunque neri, ritenuti inferiori o reietti della società. Altri hanno sostenuto che la cospirazione era mirata a limitare la popolazione Gay.

In genere la teoria prevedeva che l’esperimento sfuggisse di mano a causa del coinvolgimento di gruppi che non dovevano essere messi in pericolo dai cospiratori stessi.

Il fatto che le prime vittime dell’AIDS fossero membri di gruppi ai margini della società (omosessuali e tossicodipendenti) sostenevano la convinzione che la malattia fosse stata deliberatamente prodotta allo scopo di liberare la società da particolari classi di indesiderabili. Ora sappiamo che l’AIDS è un virus trasmesso per via ematica, ma quella conoscenza non era nota quando questa nuova piaga cominciò a prendere vita. In retrospettiva, ha senso che le prime vittime dell’AIDS appartenessero in gran parte da quei due gruppi, ma all’epoca il meccanismo attraverso il quale la malattia si diffondeva era un mistero, un condizione che ha portato alcuni ad aggrapparsi a una comunanza tra i due gruppi di vittime prevalenti e ad accettare una spiegazione basata su quella comunanza.

Anche chi per inclinazione religiosa o morale ha concluso che omosessuali e tossicodipendenti erano abomini agli occhi di Dio non guardavano alla CIA come autori del virus, ma al Creatore, vedendo l’AIDS come un atto deliberato da una divinità liberarsi di coloro che avevano infranto le sue leggi.

Voci circolanti sull’AIDS attribuito alla CIA o a un gruppo all’interno del governo USA forse sono dovute a una deliberata disinformazione di origine sovietica allo scopo di screditare gli Stati Uniti. Voci nate per la prima volta nel giornale sovietico Literary Gazette nel 1985 che sosteneva che l’AIDS fosse stato creato in un laboratorio di ricerca dell’esercito a Fort Detrick nel Maryland. L’unica fonte citata era il patriota, un giornale indiano di sinistra che, secondo gli esperti americani, era un canale privilegiato del KGB per le sue campagne di disinformazione.

Nuovi dati sulla distribuzione dell’acqua sulla Luna

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Una nuova analisi dei dati di due missioni lunari dimostra che la presenza di acqua sulla Luna è ampiamente distribuita sulla superficie e non è limitata a una particolare regione o tipo di terreno. L’acqua sembra essere presente giorno e notte, anche se non sempre sembra facilmente accessibile.

Queste ultime scoperte potrebbero aiutare i ricercatori a capire l’origine dell’acqua della Luna ed a stabilirne le possibilità di utilizzo come risorsa. Se la Luna ha abbastanza acqua, e se è ragionevolmente conveniente accedervi, i futuri esploratori potrebbero essere in grado di usarla come acqua potabile o convertirla in idrogeno e ossigeno, utilizzandoli, quindi, come combustibile per razzi e per rinnovare le scorte di ossigeno per la respirazione.

“A quanto sembra, orario e latitudine non hanno importanza, l’acqua sembra essere diffusa un po’ ovunque sulla Luna”, ha dichiarato Joshua Bandfield, uno scienziato ricercatore presso lo Space Science Institute di Boulder, in Colorado, e autore principale del nuovo studio pubblicato su Nature Geoscience.

Questi risultati contraddicono alcuni studi precedenti, che avevano suggerito che l’acqua lunare era principalmente concentrata alle latitudini polari e che la forza del segnale dell’acqua aumentava e diminuiva in base al giorno lunare (29,5 giorni terrestri). Da questi dati, alcuni ricercatori avevano dedotto che le molecole d’acqua possono “saltare” attraverso la superficie lunare fino a quando non entrano nelle trappole fredde situate nelle zone scure dei crateri vicino ai poli nord e sud. Nella scienza planetaria, una trappola fredda è una regione così fredda che il vapore acqueo e altri volatili che vi vengono a contatto rimangono stabili per un lungo periodo di tempo, forse fino a diversi miliardi di anni.

I dibattiti continuano a causa delle sottigliezze sulle varie metodologie di rilevamento effettuate finora. L’evidenza principale è arrivata da strumenti di telerilevamento che misuravano la forza della luce solare riflessa dalla superficie lunare. Quando l’acqua è presente, strumenti come questi raccolgono un’impronta digitale spettrale a lunghezze d’onda vicine a 3 micrometri, che si trova al di là della luce visibile e nel regno della radiazione infrarossa.

Ma la superficie della Luna può anche diventare abbastanza calda da “illuminare” o emettere la propria luce nella regione infrarossa dello spettro. La sfida è districare questa miscela di luce riflessa ed emessa. Per riuscirci, agli scienziati occorrono informazioni molto precise sulla temperatura della superficie lunare.

Bandfield e colleghi hanno inventato un nuovo modo per rilevare le informazioni sulla temperatura, creando un modello dettagliato dalle misurazioni effettuate dallo strumento Diviner del Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA, o LRO. Il team ha applicato il modello di temperatura elaborato ai dati raccolti in precedenza dal Moon Mineralogy Mapper, uno spettrometro a infrarossi di cui il Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, in California, ha fornito l’orbiter indiano Chandrayaan-1.

Secondo i nuovi rilevamenti, l’acqua diffusa e relativamente immobile sulla superficie lunare  suggerisce che potrebbe essere presente principalmente come OH, un parente più reattivo dell’H2O, costituito da un atomo di ossigeno e un solo atomo di idrogeno. L’OH, chiamato anche idrossile, non rimane a lungo da solo, preferendo attaccare le molecole o attaccarsi chimicamente ad esse. L’idrossile dovrebbe quindi essere estratto dai minerali per poter essere usato.

La ricerca suggerisce anche che qualsiasi H2O presente sulla Luna sia reperibile in depositi di ghiaccio.

La classificazione di ciò che accade sulla Luna potrebbe anche aiutare i ricercatori a comprendere le fonti d’acqua e il loro accumulo a lungo termine su altri corpi rocciosi in tutto il sistema solare.

I ricercatori stanno ancora discutendo su ciò che i risultati dicono loro sui depositi d’acqua della Luna. I risultati indicano che OH e/o H2O sono stati portati sulla Luna dai venti solari sebbene non si escluda che almeno una parte dell’acqua e dell’idrossile presenti potrebbero essere stati lentamente rilasciati da minerali situati in profondità in cui erano rimasti bloccati durante la formazione della Luna.

Alcuni di questi problemi scientifici sono molto, molto difficili ed è solo attingendo a più risorse ed ai dati forniti da diverse missioni che siamo in grado di dare una risposta“, ha detto lo scienziato del progetto LRO John Keller del Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, Maryland.

Fonte: Nasa

Ipotesi sulla nascita della vita

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di Oliver Melis

Uno dei principali interrogativi che si sta ponendo la ricerca scientifica riguarda le origini della vita. Sono molte le ipotesi sulle quali si lavora alcune delle quali sembrano puntare sulla panspermia, ossia l’idea che la vita, o almeno i suoi mattoni fondamentali, sia giunta sulla Terra viaggiando a cavallo di comete e meteoriti precipitati sul nostro pianeta durante la sua fase primordiale mentre altre ipotesi sembrano convergere verso alcune reazioni chimiche che potrebbero essersi verificate spontaneamente generando i mattoni della vita come fenomeno particolare della Terra, rendendo l’esistenza della vita, di fatto, qualcosa di unico o, almeno, rarissimo.

Un’ipotesi sullo sviluppo della vita chiama in causa gli oceani, per la precisione i suoi fondali dove sono state scoperte molte sorgenti termali di origine vulcanica che ospitano un ecosistema di esseri viventi che possono proliferare nonostante la mancanza di luce. Alcuni batteri, sarebbero il primo anello di questa catena e forse sono stati i primi esseri viventi a essersi sviluppati, al riparo da sbalzi termici, dalle radiazioni del Sole e dal pesante bombardamento meteorico che ha imperversato sulla Terra per milioni di anni.

vita

Ma la vita potrebbe anche essersi formata in luoghi lontani, impensabili, nello spazio ad esempio, o, secondo alcuni, sulle comete. Gli elementi fondamentali sarebbero stati portati sulla Terra proprio da questi corpi celesti, residui della formazione del sistema solare. E’ innegabile che la Terra neonata subì un intenso bombardamento di meteoriti, asteroidi e parti di comete. Queste ultime, come è stato dimostrato, contengono moltissimi composti organici che forse potrebbero aver resistito all’impatto con il nostro pianeta. Il problema che, però, sorge ancora, è capire come abbiano fatto questi composti a formarsi sulle comete.

Un’ulteriore un’ipotesi sulla nascita della vita prevede che possa essersi sviluppata nel sottosuolo, nell’argilla. La concentrazione di molecole prebiotiche sia negli oceani che in atmosfera sarebbe molto bassa per consentire adeguate combinazioni atte a formare un organismo vivente in grado di riprodursi. Invece certi cristalli contenuti nell’argilla potrebbero aver fornito una sorta di innesco. Una volta avvenuto l’innesco la vita si sarebbe trasferita negli oceani che avrebbe, nel corso dei miliardi di anni, generato la diversità biologica che oggi osserviamo.

Un esperimento effettuato da Stanley Miller, dimostrò che nell’atmosfera primordiale, che era composta da anidride carbonica, metano, ammoniaca, vapore acqueo e altri gas, lo scoccare di una scarica elettrica equiparabile a un fulmine, dava luogo alla formazione di una serie di molecole “prebiotiche“, gli amminoacidi e gli acidi nucleici, forse le basi da cui si è evoluta la vita, avvenuto in ambienti con grande presenza di un liquido come l’acqua, la vita sarebbe quindi nata nei mari.

Amminoacidi e acidi nucleici possono spontaneamente assemblarsi e l’Rna che può prendere la forma di filamenti di acidi nucleici è in grado di immagazzinare informazioni e avere una propria attività biologica. (l’RNA messaggero trasporta le informazioni dal DNA ai ribosomi che producono le proteine, l’RNA ribsomiale consente ai ribosomi di leggere quelle informazioni) Poiché queste attività si realizzano attraverso diverse reazioni biochimiche, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che sia stato proprio l’RNA a innescare le reazioni da cui è sorta la vita. La tesi è di Charles W. Carter Jr. e Peter R. Wills, rispettivamente dell’Università di Aukland, in Nuova Zelanda, e dell’Università del North Carolina a Chapell Hill, negli Stati Uniti, che la illustrano in due articoli pubblicati su “BioSystems” e su “Molecular Biology and Evolution”.

Questa teoria,  chiamata mondo a RNA”, ha avuto molto successo, soprattutto dopo che è stato dimostrato, grazie a un RNA costruito artificialmente, in grado di autoreplicarsi anche se è stato sottolineato che l’attività catalitica dell’Rna è troppo bassa per innescare la produzione di complesse catene di proteine e Carter ha avanzato l’ipotesi che la vita sia emersa grazie a una combinazione di peptidi e Rna.

Diversi peptidi hanno la capacità di stimolare varie reazioni biochimiche con un’efficienza molto superiore a quella dell’RNA. Insieme, peptidi e RNA possono fare ciò che l’RNA da solo è estremamente improbabile che faccia: dare origine a catene proteiche.

Fonte: Cicap. Le scienze.