giovedì, Gennaio 16, 2025
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Il mistero dell’Adriatico

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di Oliver Melis

Il triangolo dell’Adriatico è una zona di mare compresa tra Ancona, il Gran Sasso e Pescara. Di quella zona, nell’ottobre del 1978, ne parlò il mondo intero tra fantasia e realtà, mistero ed esagerazione. I protagonisti, i pescatori della zona, raccontavano di immense colonne d’acqua, di oggetti luminosi che si immergevano o emergevano dal mare, di bussole impazzite, nebbie impenetrabili e segnali inspiegabili captati dai radar di bordo.

La stampa non tardò a parlare di invasione UFO, quello fu un anno caldo per il numero delle segnalazioni, infatti il 1978 è stato l’anno con il maggior numero di segnalazioni UFO con il 1950, il 1954, il 1962 e il 1973.

Tutto cominciò nella notte tra il 14 e il 15 ottobre del 1978, quando si consumò una grave tragedia al largo di San Benedetto del Tronto. Due pescatori persero la vita in un naufragio, erano due fratelli di Martinsicuro. La morte, a detta di alcuni marittimi, avvenne in circostanze misteriose. Nella zona di mare tra l’Adriatico, Pescara, il Gran Sasso e Martinsicuro si contarono decine di avvistamenti, alcuni raccontarono anche di un’onda anomala che mise in fuga i turisti avanzando fino all’arenile di Pescara. Non sappiamo quanto esagerate furono queste voci o quanta suggestione condizionò i tanti racconti ma, a un certo punto, la paura fu tanta e venne chiesta la presenza delle Forze dell’Ordine e della Capitaneria di porto.

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Partirono le perlustrazioni del tratto di Adriatico dove si manifestavano i presunti avvistamenti, televisioni e giornalisti documentavano quanto accadeva e, a quanto si racconta, anche squadre di scienziati studiarono la casistica riportata dai testimoni. Nonostante questo, non ci furono risposte definitive. Ci fu chi negò del tutto quanto accadeva imputandolo a suggestione, altri proposero delle teorie per spiegare quanto accadeva in mare chiamando in causa la formazione di enormi bolle di gas proveniente dai fondali marini in grado di rovesciare barche o creare fenomeni luminosi; gli ufologi, immancabilmente, parlarono apertamente di una rotta degli UFO che sorvolava il Gran Sasso dirigendosi verso l’Adriatico.

Il caso del triangolo dell’Adriatico ha affascinato moltissime persone, soprattutto gli appassionati di Ufologia che, in quegli anni d’oro, parlavano di “flap”, serie di avvistamenti concentrati in poco tempo nella stessa area, e avevano la convinzione che qualcosa di extraterrestre fosse presente nei nostri cieli e non si dovevano accontentare unicamente dei casi raccontati nei libri e nelle riviste dedicate al tema che giungevano da oltre oceano. Anche la nostra nazione, secondo alcuni ben informati, aveva i suoi contatti, come nel misterioso caso “Amicizia”.

Chi, all’epoca, non era troppo giovane, ricorderà certamente la diretta da Pescara con Emilio Fede, allora giornalista Rai, che segui e documentò la vicenda. I pescatori avevano paura a uscire in mare, il clamore attorno a quanto succedeva era enorme. Il 9 novembre del 1978 l’ammiraglio Gallerano, all’epoca dei fatti comandante della Capitaneria di porto, decise di inviare una motovedetta in perlustrazione. Tra gli uomini a bordo era presente l’ufficiale Vitale Bellomo che, 40 anni dopo le dichiarazioni che aveva rilasciato a “Il Messaggero di Roma” ha aggiunto un piccolo tassello, forse quello definitivo ai fatti dell’Adriatico.

Non ho mai creduto agli Ufo – ci dice Bellomo, oggi 80enne – anche se quella notte un razzo strano lo abbiamo visto anche noi, ma ciò che ci apparve davvero strano fu il black out di almeno 30 minuti dei radar di bordo. Fummo presi per pazzi dalla Capitaneria di Porto di Ancona, mentre a Pescara qualcuno, la mattina seguente, fece uscire la notizia e nel giro di qualche giorno tutta la stampa internazionale si riversò sulla costa abruzzese.

La dichiarazione è stata rilasciata durante la trasmissione serale “In Cronaca” trasmessa su Rete8.

Un episodio, forse determinante, venne svelato dall’ufficiale Bellomo: “Una settimana dopo, all’altezza della Madonnina – racconta Bellomo – e me lo ricordo bene perché ero io di pattuglia, si spiaggiò un siluro con scritte in cirillico e la testata piena d’acqua. Ci venne ordinato di avvisare le autorità preposte e di non perdere mai di vista il siluro e nel giro di poche ore militari provenienti forse da Ancona, vennero, lo caricarono e lo fecero sparire in tutta fretta. Questo, a mio avviso, significa che in quei giorni erano in atto, all’insaputa di tutti, esercitazioni militari da parte di truppe alleate all’ex Unione Sovietica, o manovre militari di altra natura, coperte da un assoluto segreto.

Le ipotesi sul tavolo restano, però, tutte aperte: scosse sismiche, emissioni di gas metano, meteo tsunami, UFO o simulazione di scontri navali: per alcuni il mistero rimane inspiegato.

Il progetto Dedalus

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Fra il 1973 e il 1978 venne condotto uno studio dalla società interplanetaria britannica (British Interplanetary Society) per progettare una sonda spaziale automatica in grado di intraprendere un viaggio interstellare. Gli scienziati e ingegneri, guidati da Alan Bond, che lavorarono al progetto decisero di proporre un sistema di propulsione basato su un razzo a fusione nucleare.

Il progetto si basava sul criterio di utilizzare tecnologie già sviluppate, o di prossima realizzazione, per inviare una sonda automatica che avrebbe dovuto raggiungere il suo obiettivo in un tempo di volo stabilito in 50 anni.

Il bersaglio scelto era la Stella di Barnard, una nana rossa situata a una distanza di circa 5 anni luce dalla terra. La scelta era caduta proprio su quella stella perché si riteneva che in orbita attorno alla nana rossa ci fossero due pianeti, un’ipotesi parzialmente confermata dalla scoperta di un esopianeta, una superterra, avvenuta nel novembre 2018. Il progetto aveva una flessibilità tale che la sonda, secondo i suoi progettisti, avrebbe potuto raggiungere anche altre stelle.

La sonda spaziale automatica Dedalus avrebbe dovuto essere assemblata in orbita terrestre e possedere una massa iniziale di 54.000 tonnellate, di cui 50.000 solo di propellente, una parte della massa restante, 500 tonnellate, sarebbe stata costituita da carico scientifico.

L’astronave si sarebbe composta di due stadi, il primo dei quali avrebbe operato per due anni portando l’astronave ad una velocità pari al 7,1% di quella della luce, alla fine dei quali il primo stadio sarebbe stato sganciato e si sarebbe attivato il secondo per altri 1,8 anni, aumentando la velocità a circa il 12% di quella della luce, prima di spegnersi. L’astronave, una volta raggiunta questa velocità, avrebbe proseguito per 46 anni verso la sua destinazione finale.

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nella foto, le proporzioni tra la Dedalus e il razzo Saturn dell’Apollo 11

I propulsori, viste le temperature estreme, avrebbero dovuto essere realizzati in berillio e funzionare con reazioni termonucleari a impulso. Il combustibile per la propulsione, stivato in pastiglie composte da una miscela di deuterio ed elio 3, avrebbe dovuto alimentare la reazione di fusione. Quest’ultima sarebbe dovuta avvenire all’interno di una camera di reazione, attraverso un meccanismo di confinamento inerziale. L’innesco delle reazioni termonucleari sarebbe stato avviato da un fascio di elettroni.

Per accelerare la sonda sarebbero state fatte detonare 250 pastiglie di deuterio-elio 3 al secondo e il plasma ottenuto sarebbe stato incanalato  attraverso un ugello a contenimento magnetico. Il problema dell’elio 3, elemento molto raro, sarebbe stato risolto raccogliendolo o dall’atmosfera di Giove o dalla superficie Lunare, che sembra esserne ricca.

Il secondo stadio, quello che avrebbe dovuto portare la sonda fino all’obiettivo, sarebbe stato equipaggiato con due telescopi ottici da 5 metri di apertura e due radio telescopi da 20 metri di apertura. Passati 35 anni, gli strumenti avrebbero iniziato a scandagliare le zona attorno alla stella di Barnard tentando di individuare i pianeti. Le comunicazioni tra la sonda e la Terra sarebbero avvenute utilizzando la campana magnetica del propulsore della sonda. La sonda avrebbe anche portato 18 sonde autonome, da lanciare nei pressi del sistema di Barnard. Queste sonde sarebbero state lanciate tra 7,2 e 2,8 anni prima di raggiungere il bersaglio. Anche queste sonde sarebbero state equipaggiate di tutto punto, con  generatori elettronucleari autonomi, telecamere, sensori e motori ionici.

Tutta l’attrezzatura, durante il viaggio, sarebbe stata immagazzinata nella stiva di carico della Dedalus, per proteggerla dalle radiazioni con un disco di berillio spesso 7mm. La scelta del berillio per la realizzazione dello scudo ablativo dipendeva dalla sua leggerezza e dall’elevato calore latente di vaporizzazione.

Eventuali ostacoli di grandi dimensioni che l’astronave avesse incontrato durante il passaggio attraverso il sistema stellare sarebbero stati dispersi tramite una nuvola di particelle generate da velivoli di supporto che avrebbero circondato l’astronave.

La Dedalus sarebbe stata dotata anche di una serie di robot in grado di intervenire, in caso di danni, per procedere alle riparazioni.

Fantascienza pura.

Il nuovo propulsore a ioni della NASA è quasi pronto, nel 2022 sarà installato sul Lunar Gateway

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Per andare dalla Terra alla Luna abbiamo fatto ricorso ai missili a propellente chimico e, ancora oggi, utilizziamo lo stesso tipo di propulsione per portare i satelliti in orbita e per rinnovare attrezzature, merci ed equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale. Il sistema che utilizziamo è anche abbastanza costoso e pericoloso ed assai poco efficiente per i viaggi nello spazio profondo, non basterà costruire razzi più grandi e potenti per avventurarci oltre la Luna, lo spazio necessario per serbatoi abbastanza grandi da portare gli enormi quantitativi di carburante necessari sarebbe proibitivo da realizzare.

È molto semplice: per raggiungere gli altri pianeti abbiamo bisogno di un sistema di propulsione più sofisticato. La NASA ha preso sul serio questa sfida e ha iniziato a studiare nuovi approcci. Uno di questi, l’Advanced Electric Propulsion System (AEPS) ha appena superato un test importante.

Sviluppato in collaborazione con Aerojet Rocketdyne, AEPS è considerato un componente chiave per la propulsione di future missioni scientifiche su larga scala e per il trasporto merci. A quanto sembra, AEPS sarà il sistema di propulsione adottato sulla piattaforma orbitale Lunar Gateway, che sarà posizionata in orbita lunare a partire dal 2022.

L’AEPS è un propulsore di tipo ionico di nuova generazioneGenera la propulsione accelerando gli atomi ionizzati con un campo elettrico. La sua azione genera una quantità modesta di spinta rispetto ai tradizionali razzi chimici ma ha il vantaggio di poterlo fare a lungo, consumando inoltre poco carburante. Meno carburante significa meno peso da portare in orbita e oltre.

Il test cui è stato sottoposto con successo il nuovo tipo di propulsore doveva valutare l’efficienza dell’unità di alimentazione di scarico del sistema di propulsione e l’unità di elaborazione di potenza. Il team di ingegneri ha dimostrato che l’AEPS può convertire la potenza a un livello di alta efficienza, producendo un calore di scarto minimo. Il test è stato eseguito nella camera a vuoto termico presso il Glenn Research Center della NASA in Ohio.

Attualmente, il propulsore a ioni più potente in orbita lavora a 4,5 kilowatt di potenza. Ogni AEPS sarà oltre 10 volte più potente, raggiungendo i 50 kilowatt.

La nostra unità di alimentazione di scarico per l’AEPS ha eseguito il test con ottimi risultati, ottenendo significativi miglioramenti nell’efficienza della conversione. Si tratta di un risultato importante per le future missioni.” ha commentato Eileen Drake, CEO e presidente di Aerojet Rocketdyne in un comunicato . “Questi risultati testimoniano il focus e la dedizione del team di Aerojet Rocketdyne nel far avanzare lo stato dell’arte in questa area critica della tecnologia spaziale“.

Il prossimo passo sarà testare l’integrazione iniziale dei sistemi. Il team passerà quindi alla fase di finalizzazione del design e infine alla revisione critica del design. Una volta messo a punto il progetto, si passerà alla produzione effettiva.

A quanto si pensa, il Lunar Gateway disporrà di quattro propulsori AEPS e razzi di richiamo chimici.

Restando all’avanguardia nel settore della propulsione, ci siamo posizionati per un ruolo importante non solo nel tornare sulla Luna, ma anche in vista delle future iniziative per mandare astronauti su Marte“, ha continuato la Drake. “L’AEPS rappresenterà lo standard per la prossima generazione di esplorazioni dello spazio profondo e siamo entusiasti di essere all’altezza“.

La NASA andrà su Marte, ancora, però, non sa bene quando e, in parte, come. Per questo ha lanciato dei concorsi per risolvere alcune criticità tecniche

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La NASA cerca continuamente idee innovative e il modo di realizzarle e, spesso, cerca un aiuto esterno lanciando concorsi aperti anche a privati, per dcoprire nuove buone idee.

Questa volta, a dimostrazione che si sta lavorando sul serio in vista dell’invio di esseri umani su Marte, previsto nei programmi della NASA entro il 2040, l’agenzia spaziale federale americana ha lanciato un nuovo concorsi che mette in palio un premio potenziale di un milione di dollari destinato a chi invierà la migliore proposta su come trasformare il diossido di carbonio (CO2), sostanza abbondante su Marte, in glucosio (C6H12O6), sostanza utile per il consumo umano. 

L’obbiettivo finale è di trovare un modo per nutrire gli astronauti su Marte per periodi più o meno lunghi senza che debbano portarsi tonnellate di cibo dalla Terra.

Bisogna aggiungere che, se si trovasse il modo di implementare una simile tecnologia, se ne gioverebbe anche il nostro pianeta. Infatti, i livelli di CO2 nell’atmosfera della Terra stanno pericolosamente aumentando e ciò sta contribuendo al cambiamento climatico. per questa ragione, metodi che si rivelassero efficaci nello socmporre la CO2 ricavando una sostanza più utile, contribuirebbero notevolmente alla salvaguardia ambientale sul nostro pianeta.

Quindi se hai pratica con la chimica, se hai buone idee, se pensi che ci sia un modo e che sia realizzabile, non ti resta che proporre la tua idea alla NASA registrandoti sul sito creato appositamente per questo concorso: https://www.co2conversionchallenge.org/, potresti guadagnare un bel po’ di dollari, diventare famoso come il salvatore della Terra e, magari, trovare un impego stabile in enti come il MIT o la stessa NASA.

Se tu e la chimica non siete esattamente in confidenza, c’è un altro modo per collaborare alla futura missione verso Marte: il Programma Centennial Challenges, che mira a stimolare l’innovazione all’interno e all’esterno della tradizionale comunità aerospaziale. la NASA, ha lanciato una serie di sfide atte a trovare il modo di risolvere un certo numero di problemi tecnici.

Le Centennial Challenges della NASA sono state avviate nel 2005 per coinvolgere direttamente il pubblico nel processo di sviluppo tecnologico avanzato. Il programma offre incentivi per generare soluzioni rivoluzionarie a problemi di interesse per la NASA, la nazione ed il mondo. Il programma cerca innovazioni da fonti diverse e non tradizionali. I concorrenti non sono supportati dai finanziamenti governativi e i premi vengono assegnati ai team di successo solo quando la soluzione alle sfide soddisfano tutte le condizioni.

L’obiettivo del programma è stimolare l’innovazione nella ricerca di base e applicata, lo sviluppo tecnologico e lo sviluppo di prototipi dotati dell’adeguato potenziale per l’applicazione nell’ambito delle attività spaziali e aeronautiche.

In linea con lo spirito dei fratelli Wright e di altri innovatori americani, i premi della Centennial Challenge sono offerti a inventori indipendenti compresi piccole imprese, gruppi di studenti e singoli individui. Gli inventori indipendenti sono invitati a generare soluzioni innovative per problemi tecnici di interesse per la NASA per fornire loro l’opportunità di stimolare o creare nuove iniziative imprenditoriali.

Le sfide in corso

3-D Printed Habitat Challenge
La NASA sta portando avanti lo sviluppo di una tecnologia di costruzione additiva in 3D, necessaria per creare alloggi sostenibili per l’esplorazione dello spazio profondo, inclusa la futura missione verso Marte. La competizione è divisa in tre fasi focalizzate su design, materiali e fabbricazione.

Cube Quest Challenge
Il concorso Cube Quest, sponsorizzato dallo Space Technology Mission Directorate Centennial Challenge Program della NASA, offre un totale di 5 milioni di dollari ai team che soddisferanno gli obiettivi della sfida che consistono nel progettare, costruire e consegnare satelliti qualificati per voli in grado di svolgere operazioni avanzate vicino e oltre la luna.

Space Robotics Challenge
La Space Robotics Challenge, sponsorizzata dalla Space Technology Mission Directorate della NASA in collaborazione con lo  Space Center di Houston, invita i team a sviluppare e far progredire un software per controllare il robot umanoide Robonaut 5 in una missione NASA simulata, come quella su Marte, offrendo un Montepremi da un milione di dollari per ogni team che ci riuscirà con successo.

Vascular Tissue Challenge
NASA’s Vascular Tissue Challenge, in collaborazione con l’organizzazione no-profit  Methuselah Foundation‘s New Organ Alliance, offre un premio di 500.000 dollari da dividere tra le prime tre squadre che riusciranno a creare tessuti organici spessi, metabolicamente funzionali e vascolarizzati in un ambiente di laboratorio controllato.

Ulteriori informazioni sulle sfide si possono richiedere all’indirizzo email HQ-STMD-CentennialChallenges@mail.nasa.gov.

La pagina del sito della NASA relativa alle sfide è https://www.nasa.gov/directorates/spacetech/centennial_challenges/overview.html

I creazionisti sono più propensi a credere alle teorie complottiste

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Quando accade qualcosa che è difficile da spiegare, ci sono persone che sostengono che “tutto accade per una ragione” e che l’evento era “destinato ad accadere“.

Il loro pensiero cerca di trovare uno scopo recondito del destino per quello che, in realtà, era un evento squisitamente casuale.

Questo tipo di pensiero, chiamato pensiero teleologico, è ciò che dà origine al creazionismo, che, in questo caso, si riferisce alla convinzione che la Terra sia stata creata da un essere onnipotente all’inizio della storia. Lo stesso tipo di ragionamento favorisce il credere e trovare accettabili le teorie cospirative. Questo è quanto emerge da uno studio pubblicato il mese scorso.

Penso che questo studio sia un contributo prezioso e interessante per lavorare sui modi in cui le nostre sensazioni di pancia possono promuovere particolari visioni del mondo non scientifico“, ha detto Deborah Kelemen, psicologa che si occupa dei meccanismo dello sviluppo cognitivo all’Università di Boston, che non è stata coinvolta nello studio.

In precedenti ricerche, l’autore dello studio Pascal Wagner-Egger, uno psicologo sociale dell’Università di Friburgo, ed i suoi colleghi hanno scoperto che le persone che credono nelle teorie cospirative non rifiutano del tutto il fatto che si verifichino incidenti o eventi casuali.  

Non è che rifiutano la casualità ovunque, ma in alcuni eventi [storici e sociali], rifiutano la casualità vedendo una cospirazione“, ha spiegato Wagner-Egger. “È come se rifiutino la casualità negli eventi umani ma non in ogni evento che succede nel mondo“.

Wagner-Egger ed i suoi colleghi erano perplessi dal fatto che la fiducia nelle teorie cospirative non fosse associata a un completo rifiuto degli eventi casuali. Sospettavano che ciò fosse dovuto a un pregiudizio teleologico o a un modo di pensare predisposto che porta anche a credere nel creazionismo.

La teleologia descrive un modo di pensare che rifiuta il ragionamento scientifico, ma accetta senza riserve l’idea che gli eventi si verificano a causa dello scopo per cui servono.

Ad esempio, credere che “il sole sorge ogni giorno per fornire luce diurna” è un pensiero teleologico, che è in opposizione al fatto scientifico che il sole sorge perché la Terra ruota sul suo asse ogni 24 ore. (Nel romanzo satirico di Voltaire “Candido“, il personaggio del Dr. Pangloss porta questo tipo di pensiero alle sue assurde conclusioni logiche, sostenendo che gli occhiali si adattano al naso perché Dio ha creato il naso per adattarsi agli occhiali.) Il pensiero teleologico è comune nell’infanzia, ma per molte persone, persiste nell’età adulta.

Per capire se questo stesso modo di pensare possa innescare la fiducia nelle teorie del complotto, i ricercatori hanno analizzato, tramite dei sondaggi tematici costituiti da quiz a risposta multipla, tre gruppi di persone: un gruppo di oltre 150 studenti universitari svizzeri; un gruppo di oltre 1200 francesi; e un gruppo di oltre 700 studenti universitari francesi e svizzeri. In tutti i sondaggi effettuati, i partecipanti che affermavano di credere nel creazionismo tendevano anche a credere in teorie cospirative ben note, come quella che afferma che l’atterraggio sulla Luna dell’Apollo 11 fosse un falso, o che il governo degli Stati Uniti fosse coinvolto negli attacchi terroristici dell’11 settembre. Inoltre, i partecipanti che credevano nel creazionismo e nelle teorie cospirative erano anche più propensi a rispondere a domande che indicavano un chiaro pregiudizio teleologico.

Secondo Wagner-Egger, questi risultati sono sorprendenti perché il cospirazionismo e il creazionismo spiegano due diversi aspetti del mondo. “Il creazionismo e il pensiero teleologico riguardano il mondo naturale, mentre il cospirazionismo riguarda eventi sociali e storici“, ha spiegato. I risultati dell’indagine suggeriscono, però, che il pensiero teleologico stimola sia il creazionismo che il cospirazionismo.

I ricercatori non hanno individuato nessuna relazione tra cospirazione o pregiudizio teleologico sulla base di età, sesso, religione o orientamento politico ma hanno trovato un collegamento con il livello di istruzione. “È una constatazione comune che le persone con un mionr grado di istruzione siano più portate a credere nella ipotesi cospirative“, ha detto Wagner-Egger.

Non sarebbe questione solo di istruzione ma anche di status sociale. Ricerche precedenti hanno scoperto che “i gruppi di minoranza e le persone ai margini della società credono più nelle cospirazioni perché non sono integrate a livello sociale“, di conseguenza, sono più inclini a pensare che i leader e i governi abbiano interesse a perseguire scopi occulti incoffesabili.

In realtà, secondo il ricercatore, non è necessariamente un male analizzare in modo critico le informazioni provenienti dalle fonti ufficiali, ma i cospirazionisti tendono a concentrarsi solo sulla narrativa cospirativa, rifiutando di considerare gli argomenti che confutano le loro teorie. I cospirazionisti “non sono scettici nel modo giusto“, ha spiegato Wagner-Egger. “Se rifiuti tutti gli argomenti, viene a mancare la base per una discussione utile e costruttiva e non possiamo più discutere. Questo prefigura chiaramente un problema per il futuro“.

la crescente diffusione della fiducia nel cospirazionismo potrebbe avere gravi conseguenze poiché le convinzioni sulla cospirazione sono collegate a cose come il rifiuto dei vaccini e al negazionismo del cambiamento climatico. La gente dovrebbe fare attenzione quando segue le vecchie credenze, “perché quelle credenze sono basate sui nostri pregiudizi cognitivi“.

I pregiudizi cognitivi – come il pregiudizio teleologico – si sviluppano precocemente e sono ricorrenti a livello transculturale“, ha affermato Kelemen. “Premesso ciò, dovremmo iniziare a intervenire prima se vogliamo promuovere efficacemente l’alfabetizzazione scientifica e ridurre la mentalità non scientifica, che portano alla fiducia nelle teorie cospirative, che possono promuovere la paura e la paranoia“.

Wagner-Egger e i suoi colleghi hanno pubblicato i loro risultati il 20 agosto sulla rivista Current Biology.

Con la genetica la verità sul mostro di Loch Ness

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Con la genetica la verità sul mostro di Loch Ness
Con la genetica la verità sul mostro di Loch Ness

In passato abbiamo già parlato del mostro di Loch Ness, un presunto mostro preistorico molto simile al dinosauro che appariva nel film King Kong uscito nel 1933.

In poco tempo, la stampa che da sempre sguazza nelle notizie sensazionali, riprese una storia raccontata, poco dopo l’uscita del film, da un certo George Spicer  che riferì di avere avvisato il presunto mostro dall’aspetto preistorico camminare intorno alla zona del famoso Loch Ness, facendolo diventare il lago più famoso del mondo cui il mostro fu da allora associato.

Da allora il suggestivo lago scozzese è divenuto meta di turisti e ricercatori che hanno dato la caccia al povero Nessie senza, peraltro, arrivare alla soluzione del mistero. A partire dal 1933 gli avvistamenti si moltiplicarono a dismisura e grazie ai tanti curiosi vennero scattate anche le prime fotografie. Una delle foto più famose è la foto del chirurgo, chiamata così perché l’autore, il medico Robert Kenneth Wilson, non concesse al giornale, il Daily Mail il permesso di pubblicare il nome.

Sul mostro sono stati scritti libri, prodotti film e documentari, non mancano le fotografie che ritraggono il famoso plesiosauro di Loch Ness ma nessuno ha mai prodotto una sola  prova valida della reale esistenza del mostro o della sua discendenza, che sarebbe ormai antichissima. Infatti il primo “avvistamento” documentato risalerebbe addirittura al 566 d.C.

La scienza ufficiale, però, ha finalmente deciso di mettere un punto sulla questione che potrebbe mettere fine alle dicerie su Nessie. Un gruppo di scienziati di varie nazionalità hanno inziato una nuova campagna di ricerca nel lago scozzese. Il Team, guidato da Neil Gemmell (università di Otago, Nuova Zelanda), si trova in questo periodo a Loch Ness, armata di “una batteria di piccoli contenitori di plastica”.

A cosa servono? Servono a raccogliere dei campioni di acqua in diversi punti del lago e a varie profondità: lo scopo è quello di raccogliere un gran numero di elementi organici dispersi nelle acque e da questi estrarre il DNA, per confrontarlo poi con un database di sequenze di DNA di organismi noti e verificare se c’è qualcosa che indichi la presenza di un “dinosauro” o, comunque, di un animale insolito.

Il team utilizzerà una nuova metodologia di indagine, chiamata eDNA, Environmental DNA (Dna ambientale), che permette di ricostruire le caratteristiche di un ecosistema campionando le sostanze organiche presenti in un’area: un minuscolo frammento di pelle, una particella di escremento, un pezzetto di pelo…

Questo metodo ha permesso di scoprire che in alcune grotte della Spagna e della Francia vissero dei Neanderthal, anche se di questi non vi sono testimonianze, oppure che un gran numero di balene nuota di fronte alle coste del Qatar.

Nessie, se esiste, dovrebbe avere lasciato impronte genetiche rilevanti e rilevabili. I campioni d’acqua raccolti a Loch Ness saranno confrontati con quelli dell’immenso archivio della GenBank, la banca dati gestita dal National Institutes of Health degli Stati Uniti, che conserva circa 260 miliardi di coppie di Dna di organismi viventi (raddoppiandoli ogni 18 mesi dal 1982).

Ci si potrebbe domandare se un tale dispendio di tempo e risorse ha veramente senso e la risposta è “sì”: comunque vada, il risultato sarà il quadro completo dell’ecosistema di Loch Ness.

Non sappiamo se la popolazione di Loch Ness, che attorno al turismo legato a Nessie ha costruito la sua fortuna, sarà contenta, ma se anche si otterrà una risposta scientifica definitiva che dimostri l’infondatezza delle voci sull’esistenza del mostro di Loch Ness, continueranno per generazioni ad esserci turisti e fotografi, disposti a credere che Nessie viva davvero nel lago a dispetto di quanto potrebbe dimostrare la scienza.

La caccia a Nessie non finirà mai.

Elon Musk, l’uomo che sogna il futuro

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Elon Musk, Il 47enne CEO di Tesla e SpaceX, proprietario di Solar city e cofondatore di OpenAI, tempo fa dichiarò che non sarà felice finché l’umanità non avvierà la colonizzazione di Marte. Questa, insieme a molte altre sue dichiarazioni, sembra un’idea piuttosto azzardata ma Musk, rispetto a molti altri uomini, ha la mente e il denaro per incidere sul futuro: può farlo accadere.

Una delle curiosità su Elon Musk riguarda il suo essere il CEO di Tesla: nonostante possegga un patrimonio netto intorno ai 23 miliardi e mezzo di dollari, non ha mai preso una busta paga da Tesla, rifiutando ogni anno il suo salario minimo di 56.000 dollari.

Nel marzo scorso, gli azionisti di Tesla hanno approvato un piano che premia Musk con un pacchetto di stock option per un valore complessivo di 2,6 miliardi di dollari che, come riporta la CNBC, verrà versato in 12 tranches. A questo proposito, USNEWS osserva che, se Tesla dovesse raggiungere gli obbiettivi previsti per il prossimo decennio, il valore delle azioni aumenterebbe di conseguenza durante quel periodo di tempo, “il valore del pacchetto di stock option ora in mano a Musk potrebbe arrivare a superare i 50 miliardi di dollari“.

Elon Musk è noto per essere un maniaco del lavoro, non spende soldi in vacanze sontuose o hobby costosi. Invece, l’imprenditore passa la maggior parte del suo tempo in ufficio o negli stabilimenti delle sue aziende, ritirandosi in una delle sue quattro ville di Los Angeles alla fine della giornata.

Ma come ha accumulato tanto denaro, partendo praticamente da zero, quest’uomo considerato un visionario, un po’ pazzo e molto sognatore.

Cresciuto in Sudafrica, Musk è stato praticamente un autodidatta. Ha imparato a programmare e a 12 ha realizzato il suo primo videogioco. La vendita del codice sorgente gli fruttò 500 dollari.

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Fonte: Money – OnInnovation / Flickr  CC BY-ND 2.0

Poco prima del suo diciottesimo compleanno, Musk si è trasferì in Canada dove si adattò a svolgere anche lavori pesanti, come spalare grano, tagliare tronchi e pulire la caldaia di una segheria a 18 dollari l’ora, nel 1989 un salario importante per un lavoro simile.

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Fonti: MONEY , Esquire – Elon Musk: Tesla, SpaceX e la ricerca di un futuro fantastico – OnInnovation / Flickr CC BY-ND 2.0

Dopo essersi iscritto alla Queens University nel 1990, Musk cominciò a mantenersi vendendo PC assemblati e pezzi di ricambio. “Costruivo qualsiasi cosa potesse soddisfare le esigenze degli altri studenti,” racconta Musk, “da macchine per barare nei giochi a semplici elaboratori di testi a prezzi molto inferiori a quelli a cui li avrebbero trovati nei negozi.

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Fonti:  MONEY ,  Esquire  –  Elon Musk: Tesla, SpaceX e la ricerca di un futuro fantastico

Due anni dopo, Musk si trasferì all’Università della Pennsylvania con una borsa di studio parziale. Per coprire il resto della sua retta, Musk e un amico trasformarono la loro casa in un pub che apriva nei fine settimana. Per entrare si pagavano 5 dollari. “In pratica mi pagavo gli studi, college, strumenti e libri di testo compresi. In una notte sola guadagnavo abbastanza per pagare l’affitto di casa per tutto il mese.“, racconta Musk.

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Fonti:  MONEY ,  Esquire  –  Elon Musk: Tesla, SpaceX e la ricerca di un futuro fantastico – Shutterstock

Alla fine, Musk si laureò in fisica e in economia alla Wharton School e si trasferì a Stanford per conseguire il dottorato. Questa volta abbandonò gli studi nel giro di pochi giorni per fondare una startup di internet con suo fratello Kimball. Insieme realizzarono Zip2, un software di guida della città per i giornali, partendo con un capitale di 28.000 dollari fornito loro dal padre.

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Fonte:  Money– turtix / Shutterstock.com

Quattro anni dopo, nel 1999, vendettero Zip2 per 340 milioni di dollari, da cui Musk ottenne un guadagno netto di 22 milioni. Investì circa la metà dei suo guadagni per cofondare X.com, un servizio di online banking. Presto, l’azienda si fuse una rivale e divenne PayPal con Musk come azionista di maggioranza. Nel 2002, eBay acquistò PayPal e Musk ne uscì con altri 180 milioni di dollari.

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Fonte:  Money – 360b / Shutterstock.com

A questo punto Musk iniziò a sognare. O forse l’aveva sempre fatto ma stava aspettando di avere i mezzi per realizzare i suoi sogni: fondò la sua nuova società di esplorazione spaziale, SpaceX. Pochi anni dopo fondò la casa automobilistica dedicata alle auto elettriche, Tesla, e poi SolarCity, un fornitore di sistemi ad energia solare. Il successo di queste compagnie lo portò infine nel club dei miliardari, ma non prima che fallisse.

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Fonte: VentureBeat  – YMZK-Photo / Shutterstock.com

Alla fine del 2008, Musk divorziò dalla sua prima moglie e questo gli costò una parte notevole delle sue finanze. Un anno dopo, dichiarò di aver “esaurito i soldi” e di aver vissuto con prestiti da amici mentre cercava di mantenere a galla le sue compagnie. Quando, però, Tesla riuscì a quotarsi in borsa, nel 2010, per Musk si aprì l’olimpo della fortuna: Entro il 2012 apparve, su Forbes, nella lista degli uomini più ricchi del mondo con un patrimonio netto di $ 2 miliardi.

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Fonti: VentureBeat , Forbes , TechCrunch – Hadrian / Shutterstock.com
 

Nei cinque anni successivi, Musk accumulò una fortuna di 20,4 miliardi di dollari.

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Fonte: Bloomberg – Esther Dyson / Flickr CC BY-NC 2.0

Oggi il CEO di SpaceX possiede oltre 70 milioni di dollari in proprietà residenziali nel quartiere di Bel-Air di Los Angeles. Recentemente ha comprato la sua quinta villa megagalattica, una proprietà da 24 milioni di dollari ancora incompiuta.

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Fonte: The Real Deal , Variety – Google Maps

Musk cominciò ad acquistare proprietà a Bel-Air alla fine del 2012, quando acquistò una proprietà di 1,67 ettari per 17 milioni di dollari. La villa di oltre 6000 metri quadrati ha una biblioteca a due piani, un home theatre, una palestra e una cantina di 1.000 bottiglie.

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Fonte: variety – Google Maps

Come leader di una delle più innovative case automobilistiche, non sorprende che Musk abbia un’affinità per le auto. Nel 2013, ha pagato in un’asta 920.000 dollari l’auto sottomarina Lotus Esprit utilizzata in un film di James Bond. Oltre a guidare Tesla, possiede due auto a gas: una Ford Model T e una Jaguar E-Type Series 1 Roadster.

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Fonte: MONEY , CNBC – WIkimedia Commons CC BY 2.0

Nonostante abbia fondi da spendere, Musk non è un fan delle vacanze sontuose – o di qualsiasi altra vacanza. Nel 2015 dichiarò che, da quando aveva fondato SpaceX circa 12 anni prima, aveva fatto solo due settimane di vacanza.

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Fonti: Inc. , quartz – Wikimedia Commons CC BY 2.0

Nell’agosto 2018 Musk ha dichiarato in un’intervista concessa al New York Time di lavorare 120 ore alla settimana. “Ci sono stati momenti in cui non lasciavo la fabbrica per tre o quattro giorni. Questo è stato a scapito della possibilità di vedere i miei figli e incontrare amici“.

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Fonte: The New York Times – Tesla Owners Club Belgium / Flickr  CC BY 2.0

Si, perchè Elon Musk ha cinque figli. In un tweet del 2014, Musk dichiarò che portava tutti gli anni i bambini in campeggio. “Credo di essere un buon padre, vedo i miei figli  i bambini per poco più della metà della settimana e trascorro un bel po’ di tempo con loro, li porto con me anche quando esco dalla città.

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Fonti: Twitter , Elon Musk: Tesla, SpaceX e la ricerca di un futuro fantastico – OnInnovation / Flickr CC BY-ND 2.0

Nel 2012, Musk ha firmato il Giving Pledge promettendo di donare la maggior parte della sua ricchezza durante la sua vita. Sebbene sia già impegnato nella tutela ambientale e a migliorare il futuro dell’umanità, Musk ha realizzato donazioni considerevoli per le cause che gli interessano, incluso un regalo da 10 milioni di dollari al Future of Life Institute per la regolamentazione dell’intelligenza artificiale.

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Fonti: Twitter , Business Insider – jurvetson / Flickr CC BY 2.0

Alla fine della giornata, il multi-miliardario si rilassa con hobby poco costosi come ascoltare musica, giocare ai videogiochi e leggere libri. “Mi piace fare cose normali come uscire con i bambini, vedere gli amici e, a volte, impazzire su Twitter. Di solito, però, penso di più al lavoro.”

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Fonte: Business Insider – Wikimedia Commons CC BY 2.0

Da tutto questo esce il ritratto di un uomo passionale, tutto dedito a ciò che gli piace, ai suoi sogni e alle sue visioni. Un uomo che non ha esitato a rischiare tutto quanto aveva in imprese apparentemente impossibili solo per inseguire i suoi sogni.

Forse, uno dei pochi uomini viventi in grado di cambiare il futuro dell’umanità.

Un antiinfiammatorio utilizzato per il trattamento sintomatico dell’ictus sembra rallentare la progressione della Sclerosi Multipla Progressiva

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Uno studio clinico di fase due ha dimostrato che un farmaco antinfiammatorio attualmente utilizzato per il trattamento di pazienti affetti da ictus e può rallentare il danno neurologico della sclerosi multipla progressiva (SM) di quasi il 50%.

Nonostante siano oltre quarant’anni che la ricerca approfondisce gli studi sulla sclerosi multipla, sono pochissimi i farmaci chiaramente efficaci nel rallentare la progressione di questa patologia, caratterizzata da un continuo declino del sistema nervoso.

La sclerosi multipla è definita come una malattia neurodegenerativa demielinizzantecioè con lesioni a carico del sistema nervoso centrale. Per molti anni è stata considerata una malattia della sostanza bianca del sistema nervoso centrale, tuttavia un numero crescente di studi ha dimostrato anche un coinvolgimento della sostanza grigia.

Nella sclerosi multipla si verificano un danno e una perdita di mielina in più aree (da cui il nome “multipla”) del sistema nervoso centrale. Numerose evidenze sia cliniche che sperimentali indicano che, alla base della SM vi è una reazione del sistema immunitario che scatena un attacco contro la mielina. Tale attacco provoca in un processo infiammatorio che colpisce aree circoscritte del sistema nervoso centrale nel corso del quale vengono distrutte la mielina e le e le cellule che la producono, gli oligodendrociti. Queste aree di perdita di mielina (o «demielinizzazione»), dette anche “placche”, (infatti originariamente la denominazione di questa malattia era “sclerosi a placche“) possono essere disseminate ovunque negli emisferi cerebrali, con predilezione per i nervi ottici, il cervelletto e il midollo spinale.

Alla base della SM dunque vi è un processo di demielinizzazione che determina danni o perdita della mielina e la formazione di lesioni (placche) che possono evolvere da una fase infiammatoria iniziale a una fase cronica, in cui assumono caratteristiche simili a cicatrici, da cui deriva il termine «sclerosi».

Si ritiene che la demielinizzazione derivi da una risposta autoimmune o da un fallimento delle cellule produttrici di mielina. Sebbene gran parte delle cause della malattia rimangano ancora misteriose, è chiaro che l’infiammazione gioca un ruolo chiave. Nella SM progressiva primaria e secondaria, il danno provocato ai nervi dall’infiammazione è, non solo cronico ma, purtroppo, persistente e progressivo, portando a un peggioramento della disabilità nel tempo. L’altro tipo principale, la SM recidivante-remittente, si manifesta con periodi di remissione inframmezzati da periodi di infiammazione attiva con conseguenti peggioramenti.

Lo studio ha incluso 255 pazienti affetti da SM primaria o secondaria, di età compresa tra 21 e 65 anni, provenienti da tutti gli Stati Uniti. Di questi, 129, scelti in modo casuale, sono stati sottoposti a terapia con il farmaco ibudilast, mentre i restanti 126 sono stati sottoposti a placebo. Dopo due anni, i pazienti di entrambi i gruppi hanno mostrato una perdita di neuroni cerebrali, misurata dalla contrazione totale del cervello, ma coloro che assumevano ibudilast per via orale hanno mostrato una perdita del tessuto cerebrale inferiore del 48% rispetto al gruppo di controllo. I risultati completi dello studio sono riportati nel New England Journal of Medicine.

Secondo Robert Fox, ricercatore principale dello studio,  la speranza è che ulteriori studi possano confermare il beneficio dell’ibudilast nel rallentare la riduzione della massa cerrebrale che potrà tradursi in una diminuzione della progressione delle disabilità fisiche associate alla successiva fase 3.

Nel complesso, il farmaco sembra essere sicuro; le percentuali di eventi avversi, sia lievi che moderati o gravi, si sono rivelate simili sia nel gruppo sottoposto alla terapia che nel gruppo di controllo. Gli eventi che si sono presentati più comunemente tra i pazienti in trattamento con ibudilast, quindi possibili effetti collaterali, includono disturbi gastrointestinali, depressione e mal di testa.

Ibudilast è commercializzato in Giappone e Corea dal 1989, ma non è ancora stato approvato negli Stati Uniti. Tuttavia, la FDA ha concesso a MediciNova, la società farmaceutica che ha sponsorizzato la sperimentazione sulla SM, la designazione di “fast track” e lo status di farmaco orfano per l’ibudilast, per il trattamento della SM progressiva

Designazione e status indicano che l’agenzia accelererà la revisione della domanda di autorizzazione al commercio per il farmaco presentata dall’azienda, già archiviata anni fa, ammettendo un’urgenza per il trattamento dei pazienti. Quest’ultimo conferisce a MediciNova i diritti di commercializzazione esclusivi (non sarà possibile vendere la versione generica del farmaco basata sul principio attivo) per sette anni, una volta completata con successo la procedura di approvazione per tale indicazione.

MediciNova sta inoltre studiando l’uso dell’ibudilast per il trattamento della sclerosi laterale amiotrofica (SLA), nota anche come malattia del motoneurone.

La bufala dello Jinn

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di Oliver Melis

La notizia risale all’otto novembre del 2015, quando una creatura orrenda e misteriosa, che alcuni hanno paragonato a uno Jinn, creatura citata nel corano, è stata vista per le strade di Doha Corniche, in Qatar.

Un Jinn è, più o meno, la versione araba ortodossa di un Genio, quello della lampada di Aladino, per intenderci.

Nella nostra tradizione televisiva divenne famosa una genietta protagonista della sit-com “Genio per amore“.

Ma torniamo all’avvistamento del 2015: secondo la stampa locale, fu una donna ad incontrare la creatura in un parcheggio e, nonostante l’orrendo aspetto dell’insolito personaggio, la signora in questione ebbe la presenza di spirito di scattare una foto con il suo cellulare.

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L’immagine della misteriosa creatura ha subito preso a circolare sui media arabi e da lì è rapidamente diventata viìrale sui social.

La donna, testimone e autrice dell’immagine, raccontò di essersi molto spaventata all’apparizione della mostruosa, niente a che vedere con la deliziosa genietta di Strega per amore o con i simpatici geni di Walt Disney.

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L’avvistamento e la diffusione della foto in rete scatenarono una vera e propria psicosi di massa con centinaia di segnalazioni del presunto Jinn che si accavallarono in pochissimo tempo. L’unica cosa in comune tra i vari avvistamenti sembra essere stata la rapida sparizione del Jinn all’avvicinarsi delle persone.

Il notevole interesse sviluppato intorno alla vicenda stimolò l’interesse dei media; giova ricordare che i Jinn, nella cultura musulmana, sono creature citate nel corano il cui nome è spesso tradotto come genio o, arbitrariamente, come goblin o folletto. Nella religione preislamica e in quella musulmana è un’entità soprannaturale, intermedia fra mondo angelico e umanità.

Non trascorse molto tempo che i notiziari arabi svelarono il mistero individuando un brutto pupazzo, regolarmente in commercio, che manipolato per dargli fattezze più realistiche con l’aiuto di vernici e trucchi, era stato scambiato per vero da coloro che avevano visto la fotografia.

2Inutile dire che dei tanti testimoni che segnalarono di avere avvistato il misterioso Jinn non si sono più avute notizie e la stessa donna che per prima postò l’immagine è letteralmente scomparsa nel nulla.

Magari, vergognandosi per la brutta figura, si è rifugiata all’interno di una lampada.

Fonte: Red LCC

Revolver, l’IA che anticipa lo sviluppo dei tumori

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Un sistema di intelligenza artificiale chiamato Revolver sta rivelando modalità, in precedenza sfuggite ai ricercatori, di evoluzione comuni a tutti i tumori, attraverso le quali si sviluppano e diffondono sfidando i trattamenti terapeutici.

Le scoperte operate da questa IA potrebbero consentire ai medici di identificare con più precisione lo stadio di sviluppo delle neoplasie per stabilire protocolli più efficaci ed adatti per la terapia.

Secondo il professor Andrea Sottoriva, dell’Istituto di ricerca sul cancro di Londra, e responsabile del gruppo di studio che sta sviluppando Revolver “possiamo curare il cancro se riusciamo ad intervenire prima che lo sviluppo sia andato troppo avanti. La chiave sta nel metterci un passo avanti rispetto all’evoluzione della malattia e questo è ciò che dovrebbe permetterci di fare Revolver.“.

Revolver ha aiutato il team di Sottoriva a smascherare alcuni passaggi evolutivi chiave nei tumori. L’IA messa a punto dal gruppo di studio utilizza i dati di più pazienti per creare un “albero genealogico” genetico che rintraccia il modo in cui il cancro si evolve ed identifica la serie di mutazioni che più spesso portano al cancro.

Alcuni precedenti tentativi di creare alberi genealogici oncologici si sono spesso basati su campioni di singoli pazienti. Poiché, però, le mutazioni nei tumori sono così casuali e varie, anche in un unico paziente, le più importanti possono essere mascherate da innocue mutazioni di fondo e non essere identificate all’analisi.

Revolver ha aggirato questo problema analizzando simultaneamente i dati delle mutazioni avvenute in un campione di 178 pazienti, coprendo 768 varianti di tumore in quattro tipi di tumore: intestino, polmone , seno e rene.

Il lavoro dell’IA ha permesso di individuare con più precisione i passi evolutivi chiave dei tumori permettendo di distinguerli più chiaramente dalle mutazioni benigne. Tre mutazioni genetiche chiave erano individualmente già note come mutazioni cruciali dei polipi benigni nel colon nella trasformazione verso neoplasie maligne ma non erano mai state individuate contemporaneamente nello stesso paziente come, invece, è riuscito a fare Revolver.

L’IA ha immediatamente individuato le tre mutazioni dopo avere analizzato contemporaneamente i profili genici di 95 pazienti affetti da cancro del colon-retto. Inoltre ha identificato correttamente le mutazioni genetiche chiave già note che indirizzano l’evoluzione dei tumori polmonari, mammari e renali.

Comprendere l’evoluzione intra-tumorale durante la terapia del cancro è fondamentale per ottimizzare il trattamento“, ha spiegato Robert Gatenby del Moffitt Cancer Center di Tampa, in Florida, che ha aperto la strada a un metodo basato sulla teoria dei giochi per il trattamento del cancro alla prostata in sulla base dell’evoluzione. Secondo il medico statunitense,”Il gruppo di Sottoriva ha messo a punto un sistema molto sofisticato per predire l’evoluzione dei tumori e la sua rapida appliazione in campo clinico si rivelerà presto fondamentale.“.

Un altro passo in avanti verso una maggiore comprensione dei tumori e della loro terapia, un passo che apre strade interessanti amche nel capo della prevenzione.

Fonte: Nature Methods , DOI: 10.1038 / s41592-018-0108-x