venerdì, Marzo 7, 2025
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Metano su Marte, forse localizzato il punto di origine

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Nel 2013 il rover della NASA Curiosity rilevò la presenza di metano nell’aria di Marte. Quello del rover non è stato l’unico rilevamento di metano nell’atmosfera di Marte, nel corso del tempo questo gas è stato rilevato varie volte dai diversi strumenti che scandagliano il Pianeta Rosso, e in vari punti. Purtroppo, però, la presenza del metano si è rilevata fuggevole, al punto che da un anno a questa parte, la sonda Europea Trace Gas Orbiter, inviata, praticamente, proprio per confermare i rilievi precedenti e la loro eventuale stagionalità, non riesce a rilevare alcuna traccia di metano nell’atmosfera di Marte, nemmeno a concentrazioni bassissime come 50 parti per trilione, pur avendo scansionato ormai l’intera atmosfera marziana.

Insomma, siamo sicuri che il metano c’era, oltre che da Curiosity è stato rilevato anche dalla sonda dell’ESA Mars Express per ben due volte, ma è scomparso e non sappiamo né da dove arrivasse né che fine abbia fatto. Secondo gli scienziati, il metano nell’atmosfera di Marte dovrebbe metterci circa 300 anni a degradarsi completamente e scomparire.

Una nuova relazione pubblicata dal planetologo italiano Marco Giuranna, dell’INAF, conferma, ad una rilettura ed una nuova interpretazione dei dati rilevati da Mars Express, di poter confermare la rilevazione di Curiosity del 2013, avendo la sonda europea rilevato il gas metano nella stessa area e quasi nello stesso momento in cui ne rilevò la presenza il rover. L’aspetto più interessante è che il rilascio sembra essere avvenuto in una zona di faglia nei pressi del Gale Crater, dando adito ad ipotesi relative alla sua origine.

Il risultato più probabile, secondo il team, è che 39-54 tonnellate di metano siano state all’epoca rilasciate nell’atmosfera di Marte da una fonte sotterranea. Dopo aver considerato quando è iniziata l’uscita e la probabile dimensione, gli scienziati sono stati in grado di creare una probabile griglia per le emissioni.

Metano Curiosity Mars Express

Le fonti più probabili di fuoriuscita del metano rilevato da Curiosity.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il modello suggerisce che l’emissione potrebbe provenire da Aeolis Mensae, un’area caratteristica a quasi 500 chilometri a est del Gale Crater. L’idea più accettata è che una rottura del permafrost marziano ha permesso un rilascio significativo di gas metano. Si pensa che le caratteristiche di Aeolis Mensae siano favorevoli a questo tipo di formazione del permafrost, aumentando la possibilità che rotture periodiche o linee di faglia possano consentire un rilascio. L’accumulo di gas potrebbe aver causato una frattura del permafrost, oppure il permafrost potrebbe essere stato fessurato dall’impatto di un meteorite.

Siamo ancora lontani dal capire quale sia la sorgente del metano.” Ha commentato Marco Giuranna a Reccom Magazine. “Il mio ultimo lavoro ha individuato per la prima volta una potenziale sorgente (luogo di origine) e questo è sicuramente un primo passo importante. Può senz’altro trattarsi di metano abiotico, ma non dimentichiamo che il fatto che fuoriesca ora, non significa che sia stato generato ora. Può tranquillamente trattarsi di metano formatosi molto tempo fa, quando le condizioni sul pianeta erano molto diverse.”

Per ora non abbiamo ancora abbastanza elementi per favorire un’ipotesi piuttosto che un’altra, ma neanche per escluderla.” Ha concluso il planetologo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.

Questa indagine mette in evidenza uno dei vuoti nella nostra conoscenza di Marte. Ormai conosciamo bene la superficie del pianeta, ma ne sappiamo ancora molto poco del sottosuolo marziano. In questo momento è in corso la missione InSight che ha lo scopo di indagare la geologia del sottosuolo di Marte proprio per questa ragione.

Se si accertasse che il metano liberato nell’atmosfera di Marte non è di origine biologica per molti sarebbe una delusione: sarebbe molto più eccitante sccoprire che il metano marziano è di origine biologica ma, comunque, localizzare una fonte intermittente plausibile per il rilascio di metano consentirebbe agli scienziati di categorizzare meglio i dati mentre pianificano le missioni e cercano le migliori posizioni per esplorare la composizione profonda del pianeta.

SpaceX Dragon Crew, le cose da fare prima che possa portare un equipaggio alla ISS

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Tra le migliaia di spettatori che hanno assistito al lancio del Falcon 9 che ha portato la prima navicella Crew Dragon dal Kennedy Space Center alla Stazione Spaziale Internazionale, forse nessuno era più interessato di Bob Behnken e Doug Hurley. I due astronauti veterani della NASA che per primi voleranno sulla capsula di SpaceX.

I due saranno l’equipaggio della prossima missione della Crew Dragon, Demo-2, che si svolgerà a luglio. I due hanno seguito il lancio dal rinnovato centro di controllo del Kennedy Space Center e, 24 ore dopo, erano al controllo missione di SpaceX, ad Hawthorne, in California, per osservare la fase di avvicinamento della capsula alla ISS.

A quanto pare, gli astronauti hanno apprezzato lo spettacolo. La Crew Dragon è entrata in orbita dopo un lancio senza problemi dallo storico Complesso di lancio 39A del KSC, e il giorno dopo si è agganciata automaticamente senza incidenti al modulo Harmony della ISS con circa 15 minuti di anticipo sul programma.

Sono anni che seguiamo lo sviluppo della capsula“, ha detto Behnken in conferenza stampa dopo il lancio. “Vedere un successo come questo ci dà sicuramente molta fiducia nel futuro.”

“Tutto è andato liscio”, ha aggiunto Hurley. “Dal nostro punto di vista, questo è proprio ciò che vogliamo vedere. Stiamo facendo passi da gigante. ”

Cosa resta da fareLa missione Demo-1 si è conclusa l’8 marzo con un disinnesto dalla ISS riuscito perfettamente, seguito, sei ore dopo, dall’ammaraggio nell’Oceano Atlantico al largo della costa della Florida, in vista delle navi di recupero SpaceX. Le fasi finali della missione sono sembrate andare bene come il tutte le precedenti.

Le ispezioni di recupero e post-volo si sono svolte senza intoppi e quindi la missione si è conclusa senza apparenti problemi ma questo non significa che non ci siano cose da sistemare e mettere a punto prima del lancio con equipaggio a bordo. Già prima del lancio, funzionari della NASA avevano avvisato che era già stato identificato un problema da risolvere prima che sulla capsula possano salire gli astronauti per la missione con equipaggio.

Una parte di questo lavoro coinvolge sistemi che non non necessari per la missione Demo-1 perché priva di equipaggio. Ad esempio, il veicolo spaziale non disponeva di un sistema di supporto vitale completo a bordo, c’era solo una versione a funzionamento ridotto destinata a raccogliere dati di test.

Un altro sistema non necessario per Demo-1 era il display con le interfacce che utilizzeranno gli astronauti durante il volo spaziale

Altri lavori riguardano alcuni problemi riscontrati durante il test della navicella Demo-1 che, sebbene non fossero tali da ritardare il lancio, dovranno essere corretti prima di Demo-2.

Uno di questi problemi si sarebbe verificato con i propulsori. Durante i test a vuoto termico del veicolo spaziale, gli ingegneri hanno scoperto che, in alcune circostanze, le temperature potevano diventare abbastanza basse da congelare le linee del propellente.

Un razzo Falcon 9 che trasporta Crew Dragon si stacca dal 2 marzo al Launch Complex 39A presso il Kennedy Space Center alle 2:49 am Eastern. Credito: SpaceX
Il razzo Falcon 9 che trasporta la Crew Dragon si stacca dal Launch Complex 39A del Kennedy Space Center. – Credit: SpaceX

 

 

 

 

 

 

 

 

La soluzione permanente, che sarà implementata su Demo-2 e successivamente sulla versione definitiva della Crew Dragon, sarà quella di installare dei riscaldatori sulle linee del propellente .

Altre correzioni potrebbero essere necessarie al Crew Dragon in base all’analisi dei dati raccolti durante il volo. “Non sarei sorpreso se ciò accadesse“, ha dichiarato Hans Koenigsmann, responsabile di progetto di SpaceX. “Si è trattato di un volo di collaudo, che ci ha permesso di imparare molte cose cose e di acquisire esperienza con i nostri sottosistemi.”

Programma di bilanciamento contro sicurezza

Il volo Demo-2 al momento è previsto per luglio, un mese dopo una prova in volo del sistema di interruzione della missione del Crew Dragon, in cui si utilizzerà la stessa capsula del Demo-1. Koenigsmann ha affermato che, anche se dovesse essere necessario apportare modifiche alla navicella spaziale, potrebbe essere ancora possibile effettuare la missione entro l’estate.

Alcuni funzionari della NASA non hanno però manifestato lo stesso ottimismo, ventilando la possibilità che si potrebbe arrivere verso fine anno prima che la NASA possa essere disposta a mettere i propri astronauti sulla Crew Dragon.

Il 13 febbraio, la NASA ha emesso un avviso di gara che annunciava l’intenzione di acquistare due posti sulla Soyuz dalla società spaziale statale russa Roscosmos. Un posto verrebbe utilizzato nell’autunno di quest’anno e l’altro nella primavera del 2020, assicurando la presenza americana sulla stazione fino al prossimo settembre, indipendentemente dallo stato del programma di equipaggio commerciale.

Questi posti danno alla NASA, Boeing e SpaceX, un po ‘di respiro. “Quello che non vogliamo è che i team si sentano spinti a dover far volare le capsule prima di essere davvero pronti“.

Un’altra opzione che la NASA ha annunciato di star studiando è quella di trasformare il volo di prova della Starliner in una missione che potrebbe arrivare alla durata di sei mesi. L’equipaggio composto da tre astronauti selezionato per quella missione è già stato sottoposto ad addestramento per un soggiorno di lunga durata sulla ISS.

Tuttavia, l’amministratore della NASA Jim Bridenstine ha detto prima del lancio della demo-1 che la NASA non ha ancora deciso sulla durata della missione Boeing. “Man mano che si avvicina, saremo in grado di valutare quali sono i bisogni, e faremo delle determinazioni in base a quali siano questi bisogni“, ha affermato. “Non c’è una sequenza temporale in questo momento.

Nonostante tutto, da SpaceX trapela ottimismo sul fatto che le tempistiche previste saranno rispettate.

Dall’ESA una conferma indipendente della presenza di metano su Marte

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Vi ricordate che qualche tempo fa i planetologi erano sconcertati dal fatto che non si riusciva più a rilevare la presenza di metano nell’atmosfera di Marte? Ebbene, ora il metano è stato ritrovato… Facciamo un po’ di storia: ci fu un grande scalpore quando emersero rapporti secondo i quali il rover Curiosity aveva rilevato metano su Marte. Ma c’era un problema: non si poteva escludere che i suoi sensori fossero difettosi o che qualche dato fosse stato male interpretato.

La sonda dell’Agenzia spaziale europea Mars Express, in orbita intorno al pianeta rosso, nel 2013 rilevò la presenza di metano nell’area del Gale Crater, proprio la regione esplorata da Curiosity, solo un giorno prima di del rover.

Altri strumenti hanno rilevato metano su Marte. Questa, però, è stata la prima volta che due apparecchiature distinte hanno rilevato il metano (CH 4) nella stessa regione e praticamente nello stesso momento. Nonostante varie rilevazioni riportate da gruppi separati e diversi esperimenti, e sebbene siano stati proposti meccanismi plausibili per spiegare l’abbondanza, la variabilità e la durata del metano nell’attuale atmosfera marziana, il dibattito sul metano divide ancora la comunità di Marte“, ha spiegato lo scienziato planetario Marco Giuranna dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.

Prima del nostro studio, le rilevazioni di metano su Marte non erano state confermate da osservazioni indipendenti: quest’ultima scoperta costituisce la prima conferma indipendente di una rilevazione di metano“. Questa scoperta rende le rilevazioni precedenti più difficili da spiegare come un errore nei dati, o una scarsa risoluzione spettrale, o persino – come è stato suggerito – spiegarlo come metano già presente all’interno di Curiosity quando giunse su Marte.

No. Quel metano è decisamente marziano.

E potrebbe essere davvero un grosso problema. Qui sulla Terra, abbiamo una certa quantità di quel gas – circa 1.800 parti per miliardo in volume (ppbv) nell’atmosfera, di cui il 90-95% è generato da creature viventi o morte. Esistono processi geologici che possono generare metano in modo abiotico. Sui giganti gassosi e ghiacciati come Giove, Saturno, Urano e Nettuno, l’abbondanza di metano viene prodotta attraverso processi chimici.

Plutone ha ghiaccio di metano. La luna di Saturno Titano ha laghi di metano liquido. si tratta, quindi, di qualcosa che, decisamente, non è una rarità nel sistema solare. Su Marte la concentrazione globale di metano è minuscola rispetto a quella terrestre – appare a raffiche, con una media globale di soli 10 ppbv . Ma capire da dove viene il metano di Marte, e come, ci dirà qualcosa di nuovo ed eccitante sul Pianeta Rosso – anche se la fonte non fosse biologica.

L’orbiter Mars Express aveva già rilevato il metano in precedenza, nel 2004, utilizzando lo strumento Planetary Fourier Spectrometer (PFS). È lo strumento che ha realizzato anche il rilevamento del 2013, ma con nuove tecniche di osservazione e analisi che aumentano la fiducia nei risultati.

A causa del suo assorbimento debole, dell’abbondanza relativamente bassa e dell’elevata variabilità spaziale e temporale, le analisi quantitative di CH 4 con il PFS richiedono un’attenzione particolare al modo in cui gli spettri vengono raccolti, gestiti e analizzati“, ha detto Giuranna.

Lo scienziato dell’INAF ha anche spiegato che il team ha sviluppato un nuovo approccio per selezionare e recuperare i dati dal PFS, analizzandolo con metodi che migliorano l’accuratezza e “riducono le incertezze statistiche“.

gale cratere pfs

(Giuranna et al., Nature Geoscience, 2019)

Ciò ha richiesto molto lavoro, ricominciando ad analizzare i dati dal cielo, motivo per cui il risultato è stato rilasciato solo ora, circa sei anni dopo il rilevamento. Ma quel lavoro meticoloso ha dato i suoi frutti, perché ha ristretto l’area dove possiamo cercare il rilascio di metano e, guarda caso, è proprio l’area dove opera il rover Curiosity.

Secondo i ricercatori, la zona transitoria nella regione di faglia vicino al Gale Crater è il luogo più probabile di rilascio del metano. Ciò potrebbe anche spiegare perché scompare e riappare in modo così particolare.

“Il terreno accidentato della Aeolis Mensae è collegato con la regione della Medusae Fossae Formation (MFF) ed è nelle immediate vicinanze della località in cui il QFP è stato proposto per contenereghiaccio superficiale”, ha detto Giuranna. Il permafrost è uno dei migliori sigilli per il metano, è possibile che il ghiaccio sfuso nel QFP possa intrappolare e sigillare il metano del sottosuolo.”

Quel metano potrebbe essere rilasciato episodicamente lungo le faglie che sfondano il permafrost a causa del parziale scioglimento del ghiaccio, l’accumulo di pressione del gas, o stress dovuti ad aggiustamenti planetari o all’impatto locale dei meteoriti“.

Non lo sapremo finché non saremo in grado di dare un’occhiata, ma ora sappiamo che ulteriori indagini sarebbero assolutamente utili.

Nel frattempo, la ricerca di metano è in corso. Lo strumento PFS continua a monitorare l’atmosfera marziana e il suo intero arretrato di dati sarà rianalizzato utilizzando le nuove tecniche del team.

Potrebbe essere anche opportuno rivedere i dati negativi attuali del Trace Gas Orbiter dell’ESA alla luce di questa nuova rivelazione.

La ricerca è stata pubblicata su Nature Geoscience .

Confermata l’esistenza di galassie prive di materia oscura

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Un team di ricercatori di Yale ha confermato di avere scoperto una galassia quasi priva di materia oscura.
Nel 2018, lo stesso gruppo aveva pubblicato uno studio sulla galassia NGC 1052-DF2, in breve DF2, la prima galassia conosciuta che contiene poca o nessuna materia oscura. Si è trattato di un risultato molto significativo perché ha dimostrato che la materia oscura non è sempre associata alla materia tradizionale su scala galattica. Ha anche escluso diverse teorie secondo le quali la materia oscura non è una sostanza ma una manifestazione delle leggi di gravità su scala cosmica.

La materia oscura in genere permea le galassie. Trovarne una senza materia oscura è stato un fatto senza precedenti che ha stimolato un ampio dibattito all’interno della comunità scientifica.

Ora, un paio di nuovi studi comparsi in The Astrophysical Journal Letters hanno confermato la scoperta.

Nessuno sapeva che esistessero tali galassie, e la cosa migliore al mondo per uno studente di astronomia è scoprire un oggetto, che sia un pianeta, una stella o una galassia, di cui nessuno sapeva o nemmeno pensato” ha spiegato Shany Danieli, uno studente di astronomia laureato a Yale.

Danieli è anche l’autore principale di uno dei nuovi studi che confermano le osservazioni del primo studio su DF2, utilizzando misurazioni più precise dal Keck Cosmic Web Imager dell’Osservatorio di Weck Keck. I ricercatori hanno scoperto che le stelle all’interno della galassia si muovono ad una velocità coerente con la massa della materia normale della galassia. Se ci fosse materia oscura in DF2, le stelle si muoverebbero molto più velocemente.

Van Dokkum è l’autore principale dell’altro nuovo studio, che descrive in dettaglio la scoperta di una seconda galassia priva di materia oscura: DF4.

Scoprire una seconda galassia con poca o nessuna materia oscura è altrettanto eccitante della scoperta iniziale su DF2“, ha detto van Dokkum. “Questo significa che le possibilità di trovare altre galassie come queste sono più alte di quanto pensassimo in precedenza. Poiché non abbiamo buone idee su come si formano queste galassie, speriamo che queste scoperte incoraggino un numero maggiore di ricercatori a lavorare su questa cosa“.

Sia DF2 che DF4 fanno parte di una relativamente nuova classe di galassie chiamate UDG (galassie ultra-diffuse). Sono grandi come la Via Lattea ma hanno da 100 a 1.000 volte meno stelle. Questo le rende meno luminose e più difficili da osservare.

Ironia della sorte, la mancanza di materia oscura in questi UDG rafforza l’ipotesi dell’esistenza della materia oscura. Secondo i ricercatori, infatti, la materia oscura è una sostanza non associata alla materia normale, dal momento che possono essere trovate separatamente.

Fonti:

  • Shany Danieli, et al., “Still Missing Dark Matter: KCWI High-resolution Stellar Kinematics of NGC1052-DF2,” ApJL, 2019; doi:10.3847/2041-8213/ab0e8c
  • Pieter van Dokkum. et al., “A Second Galaxy Missing Dark Matter in the NGC 1052 Group,” ApJL, 2019; doi:10.3847/2041-8213/ab0d92

Crescita di “funghi” su Marte? Nessuna evidenza dimostrabile

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Un nuovo lavoro, un po’ particolare, pubblicato su una rivista scientifica poco conosciuta, ha suscitato l’interesse di molti tabloid e siti web scandalistici e complottisti sulla possibilità che esista vita su Marte. Secondo questo documento, un team internazionale di scienziati sta sostenendo di aver individuato le prove che sulla superficie del Pianeta Rosso crescono dei “funghi.

Le cosiddette “prove” sarebbero principalmente alcune fotografie inviate dai rover Curiosity e Opportunity della NASA, che catturano una vista a volo d’uccello di ciò che assomiglia, beh, ai funghi. Come prevedibile, queste immagini si sono rapidamente diffuse in rete, soprattutto tra i siti ufologici e cospirazionisti, oltre che sui soliti giornali scandalistici del Regno Unito, ma, giustamente, si sono alzate anche alcune voci scettiche.

Si dice spesso che non si dovrebbe giudicare un libro dalla sua copertina, ma si può parzialmente giudicare un documento scientifico da dove è stato pubblicato. Basta uno sguardo al  sito web del Journal of Astrobiology and Space Science e risulta subito abbastanza chiaro che non si tratta certo di una testata affidabile dedicata alla scienza seriamente affrontata.

Sul suo sito web, la rivista cerca documenti relativi a studi su argomenti come “Proteggere la Terra dagli organismi marziani” in modo che siano presentati “tutti i punti di vista” sulla biologia di Marte (?).

Per quanto riguarda il lavoro sui funghi, misteriosamente intitolato “Evidence of Life on Mars?“, il comitato di redazione afferma di riconoscere le sue “implicazioni controverse” e di averlo sottoposto alla revisione di sei scienziati indipendenti e otto revisori esperti. Tre di questi revisori avrebbero respinto il documento a titolo definitivo e un editore si sarebbe opposto con veemenza al documento, al punto di spingere per non pubblicarlo anche dopo l’approvazione della maggioranza degli “esperti”.

Tuttavia, il documento è stato infine pubblicato e il giornale in un comunicato stampa è insolitamente gentile, chiedendo semplicemente: “Perché opporsi alla pubblicazione di prove?“. Alludendo anche a motivazioni religiose come fonte di tale “opposizione irrazionale“. Non bisogna, però, lasciarsi ingannare da questa domanda apparentemente innocua. Questo documento non è pieno di prove inconfutabili e ragionamenti inoppugnabili. Pur ammettendo che “le somiglianze nella morfologia non sono la prova della vita” e che le loro prove sono “circostanziali e non verificate“, gli autori affermano che la risposta al titolo del loro giornale è un “sì clamoroso“.

“Ammettiamo”, dice il co-autore Regina Dass, micologo della Pondicherry University in India, “non abbiamo una pistola fumante, nessuna foto di cellule o struttura cellulare, non ci sono prove definitive, solo molte prove che gridano: Biologia! ” La NASA non ha risposto a queste affermazioni, ma i suoi scienziati hanno già studiato il fenomeno che si vede nella foto di copertina.

Invece che funghi, la NASA li chiama “mirtilli“, ma a differenza degli autori del controverso studio, nessuno all’agenzia spaziale pensa davvero che queste minuscole sfere siano un segno di vita, per non parlare di un fungo, frutto o vegetale.

Nel 2004, il rover Opportunity scoprì milioni di questi “mirtilli” e dopo attente analisi si è deciso che si trattava di composti di ossido di ferro, cioè ematite. Con circa tre centimetri di diametro, queste sfere di ematite solidificata sono diverse da qualsiasi cosa mai vista su Marte prima. Si trovano incorporati nella roccia marziana, come i mirtilli in un muffin; secondo la NASA, queste sfere di ematite si sono solidificate in presenza di acqua e poi rilasciate lentamente dall’erosione.

Non siamo in disaccordo con la NASA, la NASA ha alcuni dei più grandi scienziati e ingegneri del mondo“, sostiene il co-autore dello studio Vincenzo Rizzo, biogeologo del Consiglio Nazionale delle Ricerche. “Tuttavia, l’ematite può anche essere un prodotto dell’attività biologica: proprio come le stromatoliti che vengono modellate attraverso l’azione di cianobatteri, funghi e batteri e aiutano anche a cementare l’ematite terrestre, dovremmo aspettarci che gli stessi processi biologici abbiano contribuito a modellare l’ematite su Marte“.

Qualunque cosa gli autori possano dire, sembra certamente che gli esperti più importanti del mondo non la vedano nello stesso modo. In molti su Reddit sono stati pronti a liquidare lo studio, dicendo che sembra essere una pubblicazione “vanitosa”, priva dei principali standard.

Un utente, con il nome di Zeeblecroid, è stato brutalmente succinto nelle loro critiche:

Il diario e l’articolo sono entrambi spazzatura: c’è una comunità di autoproclamati astrobiologi che usano banali trucchi visionari (perlopiù travisano foto banali di elementi geologici di base come prove evidenti della presenza di vita) e lo hanno fatto per decenni. almeno dalla metà degli anni ’90.”

La verità è che gli umani sono notoriamente irrazionali quando si tratta di vedere come è veramente la superficie di Marte, quando non sono proprio in malafede. Nel 2014, la NASA fu citata in giudizio da un autoproclamato “astrobiologo” per non aver indagato su ciò che secondo lui era chiaramente un fungo o qualcosa di simile sulla superficie di Marte. Risultò essere nient’altro che una roccia.

Ad occhio e croce, anche questa volta ci troviamo di fronte a qualcosa di simile: questo nuovo documento, con tutto il rispetto, trae conclusioni azzardate basate esclusivamente su sensazioni ed impressioni, senza alcuna reale prova.

Il documento è stato pubblicato sul Journal of Astrobiology and Space Science

Nuove prove di fonti d’acqua sotterranee su Marte

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A metà del 2018, un gruppo di ricercatori dell’Agenzia Spaziale Italiana hanno rilevato la presenza di un lago di acqua liquida circa 1500 metri al di sotto della calotta ghiacciata che ricopre il polo sud di Marte. Ora, i ricercatori del Centro di ricerca sul clima e l’acqua (AWARE) della USC hanno pubblicato uno studio che suggerisce che acque sotterranee profonde potrebbero ancora essere attive su Marte e potrebbero originare flussi superficiali in alcune aree vicino all’equatore su Marte.

I ricercatori dell’USC hanno stabilito che le acque sotterranee probabilmente esistono in un’area geografica più ampia rispetto ai soli poli di Marte e che esiste un sistema attivo, profondo fino a 750 metri, da cui le acque sotterranee arrivano in superficie attraverso crepe nei crateri specifici che hanno analizzato .

Heggy, che fa parte del team dell’esperimento radar Mars Express MarsSis che sonda il sottosuolo Marte e il co-autore Abotalib Z. Abotalib, un ricercatore post-dottorato presso la USC, ha studiato le caratteristiche dei solchi che appaiono sulle pareti di alcuni crateri su Marte.

Finora, gli scienziati hanno ritenuto che queste formazioni caratteristiche fossero collegate a flussi di acqua superficiale.

Suggeriamo che questo potrebbe non essere vero. Proponiamo un’ipotesi alternativa che i solchi siano formati dalla fuoriuscita di acqua proveniente da una fonte sotterranea pressurizzata che arriva in superficie spostandosi verso l’alto lungo le fessure del terreno“, dice Heggy. “L’esperienza acquisita con le nostre ricerche sull’idrologia del deserto è stata la chiave di volta per raggiungere questa conclusione, abbiamo visto gli stessi meccanismi verificarsi nel Sahara e nella penisola arabica e ci ha aiutato a studiare lo stesso meccanismo su Marte“, ha detto Abotalib Z. Abotalib, autore principale dello studio.

I due scienziati hanno concluso che le fratture all’interno di alcuni crateri di Marte hanno permesso alle sorgenti d’acqua di sollevarsi in superficie a causa della pressione profonda al di sotto. L’acqua fuoriesce in superficie, generando le caratteristiche linee nitide e distinte che si trovano sulle pareti di questi crateri. I due scienziati forniscono anche una spiegazione su come queste caratteristiche idriche variano con le stagioni su Marte.

Lo studio, che sarà pubblicato il 28 marzo 2018 in Nature Geoscience, suggerisce che le acque sotterranee potrebbero essere più profonde di quanto si pensasse in precedenza nelle aree in cui tali flussi sono osservati su Marte. I risultati suggeriscono che queste fratture del terreno associate a sorgenti, dovrebbero essere esplorate per verificare la disponibilità effettiva di acqua da utilizzare in caso colonizzazione. Il loro lavoro suggerisce che dovrebbero essere sviluppati nuovi metodi di indagine per studiare queste fratture.

Ricerche precedenti effettuate per esplorare la presenza di acque sotterranee su Marte si basavano sull’interpretazione degli echi elettromagnetici inviati dagli esperimenti di rilevamento radar dall’orbita a bordo di Mars Express e Mars Reconnaissance Orbiter. Questi esperimenti misuravano il riflesso delle onde sia dalla superficie che dal sottosuolo ogni volta che era possibile la penetrazione. Tuttavia, questo metodo non ha fornito prove della presenza di acque sotterranee, a parte la rilevazione nel Polo Sud del 2018.

Gli autori di questo studio hanno utilizzato immagini e modelli ottici ad alta risoluzione per studiare le pareti dei crateri di grande impatto su Marte. L’obiettivo era di correlare la presenza di fratture con le fonti che generano brevi flussi d’acqua. Heggy e Abotalib, che hanno studiato a lungo le falde acquifere del sottosuolo e il movimento dei flussi di acque sotterranee sulla Terra e negli ambienti desertici, hanno trovato similitudini tra i meccanismi di movimento delle acque sotterranee nel Sahara e su Marte.

Le acque sotterranee sono una prova evidente della passata somiglianza tra Marte e Terra e suggeriscono che hanno un’evoluzione simile, in una certa misura“, dice Heggy. Questi rari e sconcertanti flussi d’acqua su Marte sono di grande interesse per la comunità scientifica.

Comprendere come si è formata la falda freatica su Marte, dove è oggi e come si muove, ci aiuta a limitare le ambiguità sull’evoluzione delle condizioni climatiche su Marte negli ultimi tre miliardi di anni e su come queste condizioni abbiano formato questo sistema di acque sotterranee. le somiglianze con il nostro pianeta e se stiamo attraversando la stessa evoluzione del clima e lo stesso percorso effettuato da Marte. Capire l’evoluzione di Marte è cruciale per comprendere l’evoluzione a lungo termine della nostra Terra e l’acqua sotterranea è un elemento chiave in questo processo.”

Il nuovo studio suggerisce che le falde acquifere che sono la fonte di questi flussi d’acqua potrebbero trovarsi a profondità maggiori di 750 metri. “Tale profondità ci impone di prendere in considerazione ulteriori tecniche di ricerca per individuare le falde acquifere profonde.

Fonte: www.nature.com/articles/s41561-019-0327-5

Ambiente: la campagna “PiantiamoLa” di The Marsican Bear

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Riceviamo e pubblichiamo volentieri il manifesto della campagna ambientalista promossa dal sito “The Marsican Bear” atta a sensibilizzare l’opinione pubblica verso la conservazione ed il ripristino del verde in Italia.

PiantiamoLa con le scuse, pianta un albero con noi.

Unisciti a noi di The Marsican Bear e diventa sostenitore della campagna PiantiamoLa attraverso la quale cerchiamo di contrastare la deforestazione.

Tramite la campagna PiantiamoLa vogliamo raccogliere piccole donazioni con le quali acquistare e piantare degli alberi.
Abbiamo scelto questo nome per dire e dirci “piantiamola con le scuse;”

si usa spesso la scusa che “l’inquinamento è un qualcosa di così grande e complesso che le mie azioni non hanno ripercussioni” o
anche “vorrei aiutare ma non ho modo e denaro per farlo”, bene con la nostra campagna vi stiamo dicendo che con piccole donazioni (anche di 1€) il tuo contributo insieme a tanti altri avrà delle ripercussioni positive, eccome.

Abbiamo scelto di piantare alberi perché pensiamo sia la giusta strada ecologica per magari risanare e arrestare l’aumento della concentrazione media di CO2 in atmosfera.

Con i piccoli contributi non stiamo finanziando soltanto la riforestazione ma stiamo proteggendo la Terra a 360°. Proteggendo le foreste proteggeremo le fonti d’acqua e la biodiversità e di conseguenza la vita degli
esseri umani.

Se vuoi diventare sostenitore e vuoi saperne di più ti invitiamo a visitare la pagina:
http://www.themarsicanbear.com/piantiamola/

Se vuoi effettuare la tua donazione: https://paypal.me/themarsicanbear

Invitiamo i nostri lettori a contribuire a questa campagna.

Operazione Mainbrace

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di Oliver Melis

Nel 1952, venne effettuata un’operazione navale su larga scala chiamata Operation Mainbrace (14-25 settembre 1952). Questa esercitazione navale organizzata dall’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), coinvolse forze armate provenienti da Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia, Danimarca, Belgio e Paesi Bassi. Circa 80.000 uomini a bordo di 1.000 aerei e 200 navi parteciparono a un’esibizione di forza intesa a dimostrare l’efficacia della NATO nel caso in cui l’Unione Sovietica attaccasse l’Europa occidentale.

Non fu un’esercitazione normale perché, secondo alcuni rapporti, si verificarono un certo numero di contatti con oggetti volanti non identificati, rapporti presentati da personale navale a bordo di diverse navi nell’Atlantico che descriverebbero un grande UFO blu / verde a forma di triangolo che volava basso, a una velocità di circa 1.500 miglia orarie. Altri tre UFO vennero segnalati nella zona in una formazione triangolare, a una velocità simile.

Il 19 settembre 1952, il personale della Royal Air Force di stanza presso la RAF Topcliffe in Inghilterra segnalò un UFO avvistato mentre uno dei loro aerei effettuava la manovra di atterraggio. Diversi operatori radar avrebbero visto un oggetto circolare di colore argenteo compiere manovre impossibili e accelerare in modo incredibilmente rapido.

Il tenente John Kilburn, presente all’avvistamento, ricorda: “All’improvviso [l’oggetto] ha accelerato a un’incredibile velocità verso ovest, svoltando in direzione sud-est prima di scomparire. Tutto ciò accadde in un lasso di tempo di quindici-venti secondi. I movimenti dell’oggetto non erano identificabili con nulla che io abbia visto nell’aria e il tasso di accelerazione era incredibile“.

Il successivo avvistamento avvenne il giorno seguente e, per fortuna, era presente un fotografo. Sfortunatamente, le foto che scattò non sono mai state rese pubbliche. Durante l’operazione Mainbrace era presente anche la USS Franklin D. Roosevelt, una portaerei di classe Midway da 45.000 tonnellate. A bordo della USS FDR c’era il fotografo della stampa Wallace Litwin e mentre stava scattando foto degli aerei impegnati nell’esercitazione, un altro oggetto volante si presentò sopra la flotta. Litwin riuscì a scattare tre foto dell’UFO mentre faceva alcune manovre impressionanti. Le fotografie a colori furono esaminate dagli ufficiali della Marina Militare, ma i risultati non sono mai stati resi disponibili al pubblico. Durante le sue indagini, il capitano Edwin J. Ruppelt (il direttore del progetto Blue Book) ha mostrato le foto, affermando che: “Si sono rivelati eccellenti… A giudicare dalle dimensioni dell’oggetto in ciascuna foto successiva, si capisce che si muoveva rapidamente.”

Lo stesso giorno, tre agenti dell’aeronautica danese notarono un oggetto a forma di disco che sorvolava la loro nave e scompariva all’orizzonte. Il 21 settembre, sei piloti britannici che volano in formazione sul Mare del Nord individuarono un oggetto sferico lucido alzarsi dall’acqua che si avvicinò alla loro posizione. I piloti si impegnarono nell’inseguimento ma l’UFO scomparve rapidamente dalla loro vista. Sulla via del ritorno alla base, uno dei piloti notò che l’oggetto stava nuovamente seguendoli. Si girò per inseguirlo ma, ancora una volta, l’oggetto accelerò e scomparve.

Nello stesso periodo, il panico si diffuse alla base RAF  di Sandwich nel Kent, in Inghilterra, dove tutti gli operatori radar stavano fissando increduli gli schermi; i loro strumenti avevano rilevato un’oggetto enorme e non identificato delle dimensioni di una nave da guerra, che si librava a grande quota sopra la Manica.

Quando l’operazione Mainbrace terminò, erano decine i militari ed i civili che avevano assistito a questi eventi straordinari.

Apparentemente, i testimoni erano altamente qualificati e la conferma del radar escludeva fenomeni spiegabili in modo naturale come gas di palude, Venere o Giove o palloni meteorologici d’alta quota. Successivamente fu condotta un’indagine approfondita, ma i risultati furono secretati.

In seguito, girarono delle voci sulla presenza del generale Dwight Eisenhower a bordo della FDR durante l’operazione. Eisenhower, secondo la mitologia ufologica, alcuni anni dopo avrebbe firmato un accordo segreto con gli alieni ma la storia, da noi già trattata si rivelò una bufala colossale. La storia venne raccontata da Timothy Good, ufologo, violinista anche nella Royal Philarmonic Orchestr, nel corso di un programma televisivo diceva che Dwight D. Eisenhower incontrò per almeno tre volte una delegazione di extraterrestri appartenenti alla specie dei Grigi.

Gli incontri, mai confermati da esponenti del governo, si sarebbero tenuti nel febbraio del 1954, all’interno della Holloman Air Force Base, nel New Mexico. All’incontro parteciparono anche alti dirigenti della FBI. Tutte le volte che il Presidente doveva incontrare la delegazione aliena, veniva detto che egli si trovava in vacanza a Palm Springs.

Eisenhower avrebbe assistito all’atterraggio della nave spaziale il cui equipaggio, pare, abbia chiesto al Presidente di rendere pubblica la notizia della loro presenza sulla Terra. Ovviamente mai nulla di ufficiale è stato detto in proposito, anche se voci di corridoio senza nessun fondamento hanno girato per anni.

La maggior parte dei ricercatori UFO concordano che questi molteplici avvistamenti nell’operazione del grande raduno di forze abbia attirato l’attenzione degli alieni, ma dimentica che la CIA, l’agenzia di Intelligence statunitense, ha ammesso che molti casi di avvistamento rimasti per decenni inspiegabili erano test di volo della flotta militare. Più nello specifico, dei famigerati e top secret aerei spia U2 che, volando a quota 18.000 metri, un’altezza superiore a quella dei normali aerei passeggeri e militari, riuscivano a riflettere i raggi del sole anche dopo il tramonto.

Un segreto che, secondo il governo Usa, doveva rimanere tale per evitare che i sovietici venissero a conoscenza degli scopi militari statunitensi durante la Guerra Fredda.

Niente alieni quindi, ma tranquilli, di casi misteriosi per gli affezionati all’ufologia ce ne sono ancora a bizzeffe.

Fonti: thinkaboutit-ufos.com

Il nostro cervello genera nuovi neuroni anche in tarda età

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Un nuovo studio ha dimostrato che gli esseri umani sviluppano nuovi neuroni anche in tarda età.

I risultati, che rivelano quanto a lungo la neurogenesi  si estende davvero negli esseri umani, mostrano anche che il processo di generazione di nuovi neuroni si blocca nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer. La scoperta potrebbe, tra l’altro, aiutare i ricercatori ad esplorare nuove strade per trattare questa malattia.

La neurogenesi avviene in gran parte durante lo sviluppo embrionale e, al momento della nascita, la maggior parte dei neuroni si è già formata. Ma non è la fine della storia. Negli anni ’60 fu scoperto che la neurogenesi continua anche negli adulti: nuove cellule del sistema nervoso continuano a crescere nel cervello, anche mentre si invecchia.

Apparentemente, questo meccanismo è comune a tutti i mammiferi ma non è stato facile determinarne il funzionamento negli esseri umani a causa di una serie di difficoltà nello studio del cervello umano. Ora, però, una ricerca condotta dalla biologa molecolare Maria Llorens-Martin dell’Università spagnola Autónoma de Madrid, si è concentrata sul tessuto cerebrale di pazienti umani deceduti per esaminare la neurogenesi dell’ippocampo adulto (AHN) in dettaglio.

Il nostro gruppo di ricerca è focalizzato sullo studio dei meccanismi che controllano la neurogenesi dell’ippocampo adulto, sia in condizioni fisiologiche che patologiche,” spiega il sito web del laboratorio. “In particolare, siamo interessati a determinare il potenziale terapeutico della stimolazione della neurogenesi adulta dell’ippocampo per il trattamento di malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer (AD) e altre tauopatie“.

Per scoprire se continuano a svilupparsi nuovi neuroni nelle persone anziane, i ricercatori hanno studiato una regione dell’ippocampo chiamata giro dentato (DG) in campioni di tessuto prelevati da 13 persone decedute. I soggetti, di età compresa tra 43 e 87 anni, erano tutti morti in seguito a patologie varie, tra cui cancro, ictus, sepsi e altre cause fatali, ma tutti erano considerati neurologicamente sani prima di morire e avevano lasciato i loro corpi alla scienza.

Le osservazioni ottenute hanno permesso di capire qualcosa di importante sulla neurogenesi dell’adulto: contrariamente a quanto si riteneva un tempo, si estende almeno fino al nono decennio di vita, dicono i ricercatori, e questo è dimostrato da migliaia di cellule chiamate neuroni che esprimono doublecortin (DCX +) nella DG, che provano la neurogenesi in atto.

Complessivamente, questi dati supportano fortemente l’idea che le sottopopolazioni di cellule DCX + abbiano un grado variabile di maturazione nel DG umano“, spiegano gli autori nel loro articolo. “L’abbondanza relativa di neuroni immaturi DCX + rilevata, insieme all’espressione dei marcatori cellulari caratteristici delle fasi iniziali e tardive della maturazione, suggerisce che queste cellule abbiano un lungo periodo di maturazione durante l’AHN negli esseri umani.

L’analisi del cervello di 45 pazienti deceduti di Alzheimer di età compresa tra 52 e 97 anni, ha permesso di rilevare “un declino marcato e progressivo in questo numero man mano che il progresso della malattia è più avanzato“. Al contrario, nelle persone neurologicamente sane, sembra che l’età porti a un declino più moderato nella neurogenesi dell’adulto, con il tessuto DG dei 13 pazienti sani che mostra una diminuzione più lieve delle cellule DCX +.

Il numero di cellule DCX + rilevato in individui neurologicamente sani di qualsiasi età è stato costantemente superiore a quello riscontrato nei pazienti con AD, indipendentemente dall’età di questi pazienti“, spiegano i ricercatori . “Questi dati supportano fortemente l’idea che l’AD sia una condizione che differisce dall’invecchiamento fisiologico e suggeriscono che, nonostante un declino fisiologico correlato all’età nella popolazione delle cellule DCX +, i meccanismi neuropatologici indipendenti contribuiscono a devastare la popolazione di neuroni immaturi nell’AD“.

I ricercatori sostengono anche che la neurogenesi dell’adulto nei pazienti con AD sembra essere negativamente colpita anche nelle prime fasi della malattia, prima che le placche senili diventino pronunciate.

Anche se è necessario fare molta più ricerca prima di poter capire perché questo accade, il team propone che un sistema per monitorare l’individuazione precoce dei deficit di AHN con metodi non invasivi potrebbe aiutare i medici a raccogliere i biomarcatori del primo AD prima che progredisca.

I nostri dati portano alla luce l’esistenza di una popolazione dinamica di neuroni immaturi nel DG umano durante l’invecchiamento fisiologico e patologico fino al decimo decennio di vita“, concludono i ricercatori.

I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature Medicine.

Un premio per il miglior progetto di colonia su Marte – Mars Colony Prize

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La Mars Society ha bandito un concorso per il miglior progetto per organizzare una colonia su Marte con 1000 abitanti. È previsto un premio di $ 10.000 per il primo classificato, $ 5.000 per il secondo e $ 2500 per il terzo. Inoltre, i migliori 20 articoli saranno pubblicati in un libro “Mars Colonies: Plans for Settling the Red Planet”.

La colonia dovrebbe essere autosufficiente nella misura massima possibile, vale a dire fare affidamento su una massa minima di importazioni dalla Terra. Fare in modo che tutte le cose di cui la gente ha bisogno siano disponibili su Marte come sulla Terra evidentemente richiederà molto più di una forza lavoro limitata a 1000 persone, sarà quindi necessario aumentare sia la quantità che la variabilità della forza lavoro disponibile attraverso l’uso di robot e intelligenza artificiale. La colonia dovrà essere in grado sia di produrre materiali sfusi essenziali come cibo, tessuti, acciaio, vetro e plastica direttamente su Marte, sia di fabbricare strutture ed apparecchiature, quindi l’utilizzo della stampa 3D e di altre tecnologie di fabbricazione avanzate saranno essenziali. L’obiettivo è far sì che la colonia sia in grado di produrre tutto il cibo, i vestiti, i rifugi, l’energia, i prodotti di consumo comuni, i veicoli e le macchine necessarie per sostentare 1000 persone, con un numero minimo di componenti chiave,

Ovviamente, per molto tempo le importazioni continueranno ad essere necessarie, quindi sarà necessario pensare alla produzione di prodotti esportabili, sia materiali che intellettuali che la colonia potrebbe utilizzare per pagare il materiale importato. In futuro, ci si può aspettare che il costo di spedizione delle merci dalla Terra a Marte sarà di $ 500 / kg e il costo di spedizione delle merci da Marte alla Terra sarà di $ 200 / kg. In base a questi presupposti, il progetto dovrà prevedere un sistema di economia e dimostrare che, dopo un certo investimento iniziale in termini di tempo e denaro, può avere successo e portare il pianeta all’autosufficienza.

I progetti di colonia marziana saranno valutati attraverso un punteggio che sarà assegnato in base ai seguenti parametri:

  • 40 punti di progettazione tecnica: quali sistemi saranno utilizzati? Come funzioneranno?
  • 30 punti economici: come può la colonia avere successo economico?
  • 10 punti sociali / culturali: come dovrebbe essere la società marziana? Che tipo di scuole, arti, sport e altre attività dovrebbero esserci? Come, dato un nuovo inizio, la vita su Marte può essere organizzata meglio che sulla terra?
  • 10 punti politico / organizzativo: quale sistema di governo dovrebbe avere la colonia?
  • 10 punti estetici: come può essere resa bella la colonia?

Il concorso è aperto a tutte le persone di ogni nazionalità. Il progetto può essere sviluppato da singoli individui o da un team. Ogni concorrente dovrà presentare un rapporto di non più di 20 pagine che presenta il suo progetto entro e non oltre il 31 marzo 2019. Gli autori dei 10 migliori progetti selezionati, saranno invitati a presentarli di persona di fronte di un pubblico di giudici scelti dalla Mars Society al convegno della International Mars Society a Los Angeles in California nel settembre 2019.

I partecipanti devono presentare i loro rapporti sul piano di progettazione utilizzando il modulo di presentazione del progetto che si trova sul sito Web del Mars Colony Prize all’indirizzo http://marscolony.marssociety.org. unitamente all’invio del progetto, i partecipanti dovranno fornire una dichiarazione nella quale concedono alla Mars Society i diritti non esclusivi di pubblicare i loro rapporti e l’accettazione della decisione dei giudici come definitiva. I report dovranno essere inviati in formato PDF e essere scritti in 12 point Times typestyle, 1″ di margini.

Le relazioni dovranno essere inviate per via telematica secondo le modalità indicate nel sito http://marscolony.marssociety.org.

I partecipanti potranno, se vorranno, trovare spunti avvalendosi di un certo numero di documenti, inclusi i piani preliminari per le colonie di Marte e i loro sottosistemi necessari, disponibili sull’archivio di ricerca MarsPapers.org selezionando “Insediamento umano” o “Utilizzo delle risorse di Marte” nella Categoria Parola >> casella a discesa.

A questo indirizzo è disponibile il manuale di referenze per i partecipanti al contest della Colonia Marziana