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L’ammoniaca sulla superficie di Plutone potrebbe essere la prova di un oceano di acqua liquida capace di sostenere la vita

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Gli astronomi hanno rilevato la presenza di ammoniaca sulla superficie di Plutone. Ciò potrebbe avere implicazioni affascinanti per il pianeta nano, come i ricercatori hanno dettagliato in due nuovi studi. Infatti, l’ammoniaca sulla crosta ghiacciata del pianeta farebbe pensare a un oceano salato ricco di sostanze organiche nascosto sotto la superficie di Plutone, un oceano che potrebbe contenere gli ingredienti giusti per la vita. Inoltre allude alla presenza di elusivi vulcani di ghiaccio, che traggono acqua e ammoniaca dal sottosuolo, riversandole su tutta la superficie.

I dati provengono dalle osservazioni effettuate da New Horizons, la sonda spaziale che ha sorvolato il pianeta nano nel 2015. Durante il flyby, la strumentazione della sonda ha raccolto una enorme quantità di dati, compreso lo spettrogramma della Virgil Fossa, una regione fortemente colorata di un ricco rosso brunastro.

Le firme nello spettro del vicino infrarosso sono coerenti con la presenza di ghiaccio di ammoniaca miscelato con acqua ghiacciata in alcune aree, mentre in altre sembra vi siano solo tracce di ghiaccio di ammoniaca.

collage di pluto

“È stata una grande sorpresa per tutti noi del team dedicato all’interpretazione dei dati di Plutone”, ha detto a Science News Dale Cruikshank, scienziato planetario del NASA Ames Research Center . “Significa che ci sono molte sorprese che aspettano di essere scoperte in quella parte del Sistema Solare.”

Ciò che rende ancora più sorprendente la scoperta è il fatto che l’ammoniaca non dura a lungo (in termini cosmici) all’aperto nel Sistema Solare. La luce ultravioletta e le radiazioni cosmiche la degradano in tempi relativamente brevi. Ovviamente si parla di tempistiche nell’ordine dei milioni di anni.

Plutone ha miliardi di anni e se fosse stata là da sempre, sarebbe già scomparsa; quindi l’ammoniaca essersi depositata in tempi relativamente recenti.

C’è un indizio nel modo in cui l’ammoniaca si è distribuita sulla superficie di Plutone: sembra essere stata cersata in superficie da diverse bocche criovulcaniche: si tratta di vulcani che eruttano liquidi sottozero come acqua, metano e ammoniaca invece di roccia fusa.

Ciò si aggiunge al crescente corpo di prove a sostegno dell’ipotesi che vi siano oceani liquidi al di sotto della superficie gelata di Plutone. Un documento pubblicato all’inizio di questo mese afferma che uno strato di gas intrappolato sotto il ghiaccio superficiale di Plutone potrebbe isolare l’acqua e impedirne il congelamento dopo che è stata sciolta dal calore del nucleo di Plutone.

La presenza di ammoniaca è un altro pezzo del puzzle. L’ammoniaca è un antigelo naturale che può abbassare il punto di congelamento dell’acqua fino a meno 100 gradi Celsius. Si è a lungo pensato che corpi ghiacciati come Plutone potrebbero avere dei criovulcani, quindi trovare prove a supporto della teoria è stato per i ricercatori profondamente gratificante, così come il supporto per gli ipotizzati oceani sottosuperficiali.

Ma la presenza di ammoniaca potrebbe avere altre implicazioni. Si pensa che il rossore di Plutone derivi da molecole note come toli, composti organici che si formano quando la radiazione ultravioletta o cosmica cuoce composti che contengono carbonio, come metano o anidride carbonica.

Il fatto che il rossore appaia nelle aree in cui appaiono insieme acqua e ammoniaca suggerisce che nell’acqua liquida al di sotto della crosta ghiacciata potrebbero esserci anche composti organici.

Esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che l’irradiazione di ammoniaca e di composti organici con la luce ultravioletta può produrre molecole che creano blocchi base della vita, come le nucleobasi che costituiscono l’RNA e il DNA. “Il materiale rosso associato al ghiaccio d’acqua può contenere nucleobasi risultanti da un’elaborazione energetica sulla superficie di Plutone o all’interno“, sostengono Cruikshank e la sua squadra in un articolo .

Significa che c’è vita su Plutone? Probabilmente no. Si sta a -230 gradi Celsius! Eppure, avere trovato prove dell’esistenza di oceani liquidi sotto il ghiaccio, potenzialmente ricchi di sostanze organiche, rendo questa ipotesi almeno leggermente possibile. Non abbiamo modo di sapere se vi siano delle prese d’aria idrotermali sul fondo marino alieno di Plutone, ma con tutta quell’ammoniaca nell’acqua, qualsiasi forma di vita possa essere emersa, si sarà dovuta adattare a condizioni piuttosto estreme.

Significa che i precursori della vita potrebbero essere più resistenti di quanto pensiamo.

La ricerca è stata pubblicata su Astrobiology and Science Advances.

Buchi neri: sembra che Hawking avesse ragione

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Un analogo di un buco nero creato in laboratorio ha fornito nuove prove che questi misteriosi oggetti spaziali emettono realmente radiazioni. Si tratta di una evidenza indiretta: i fisici hanno dimostrato che l’analogo di un buco nero ha una temperatura misurabile, che è un prerequisito necessario per l’emissione della radiazione prevista da Stephen Hawking.

Secondo la relatività generale , un buco nero è implacabile. Il suo potere gravitazionale è così intenso che nemmeno la luce, la cosa più veloce nell’Universo, può raggiungere la velocità di fuga. Pertanto, un buco nero sotto la relatività generale non emette radiazioni elettromagnetiche.

Ma secondo una teoria proposta da Hawking nel 1974, un buco nero emette qualcosa quando alla relatività si aggiunge la Meccanica Quantistica: un tipo teorico di radiazione elettromagnetica chiamata, opportunamente, radiazione di Hawking. Questa emissione teorica assomiglia alla radiazione di corpo nero e viene prodotta dalla temperatura del buco nero, che è inversamente proporzionale alla sua massa. Tuttavia, siamo ancora sul piano teorico, rilevare la radiazione di Hawking è molto più facile a dirsi che a farsi. Questa radiazione, se esiste, è troppo debole per essere individuata con i nostri strumenti attuali.

E neanche misurare la temperatura di un buco nero è sarebbe cosa facile. Un buco nero con la massa del Sole avrebbe una temperatura di soli 60 nanokelvin. La radiazione cosmica di fondo a microonde che assorbirebbe sarebbe molto più alta della radiazione Hawking emessa, e più grande è il buco nero, minore è la sua temperatura.

Ma cosa sono gli analoghi di laboratorio? All’inizio dell’anno ne è stato realizzato uno con la fibra ottica. Questa volta, invece, il sistema è stato realizzato con un gruppo di atomi di rubidio ultrafreddi raffreddati a pochi miliardi di gradi sopra lo zero assoluto. Questi sono chiamati condensati di Bose-Einstein.

Quando questa condensa inizia a fluire, crea qualcosa chiamato buco nero acustico: questo oggetto intrappola il suono (fononi) anziché la luce (i fotoni). Sul lato ad alta energia dell’esperimento, la condensa scorre lentamente; sul lato a bassa energia, scorre più veloce. In sostanza si crea un “orizzonte degli eventi” sonico.

Come il fisico Jeff Steinhauer, del Technion-Israel Institute of Technology, e colleghi hanno dimostrato nel 2016, quando una coppia di fononi entangled appare in questo orizzonte degli eventi, uno dei fononi viene spinto via dalla condensa a bassa velocità, questo è l’analogo della radiazione Hawking.

Nel frattempo, il condensato ad alta velocità si muove più velocemente dell’altro fonone, quindi viene inghiottito dall’analogo di un buco nero, o almeno così pensava il team di Steinhauer. Ma Ulf Leonhardt, che ha guidato l’esperimento in fibra ottica menzionato sopra, ha scoperto che si trattava di un’anomalia statistica, quindi il team è tornato sui suoi passi e ha perfezionato l’esperimento. I nuovi risultati dimostrano di nuovo  che un fonone viene spinto fuori in uno spazio ipotetico, mentre l’altro viene inghiottito dall’ipotetico buco nero.

Leonhardt è compiaciuto del risultato: “Mi congratulo davvero con Jeff per il suo lavoro, che è un passo importante per la comunità scientifica“, ha detto a Physics World . “È qualcosa di cui dovrebbe essere orgoglioso e qualcosa che dovremmo tutti celebrare come un documento eccellente“.

L’esperimento, però, ha prodotto anche un altro risultato.

La principale novità del lavoro di de Nova e colleghi è uno schema di rilevamento intelligente che usano per estrarre la temperatura della radiazione emessa“, ha scritto il matematico Silke Weinfurtner, dell’Università di Nottingham, in un editoriale che accompagna il documento . “I risultati di questo lavoro forniscono la prima prova fornita da un simulatore quantistico dell’esistenza della temperatura Hawking“.

Quindi, pare proprio che Hawking avesse ragione.

A parte questo, il metodo utilizzato per rilevare la temperatura dell’analogo di un buco nero potrebbe aiutarci ad acquisire una più profonda comprensione della termodinamica dei buchi neri.

Fonte: Nature.

Superconduttori topologici

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Un foglio sottile di carbonio ordinario, dello spessore di un solo atomo, è stata l’invenzione che è valsa il premio Nobel per la Fisica 2010 ai suoi inventori, Andre Geim e Konstantin Novoselov. I due fisici dell’Università di Manchester, Regno Unito, hanno dimostrato che il carbonio, in questa forma piatta, possiede proprietà eccezionali che hanno origine nel mondo della meccanica quantistica, inaugurando una nuova era  nella ricerca di materiali, che si è evoluta includendo numerosi materiali simili, di spessore monoatomico, che hanno proprietà insolite grazie alla loro ‘ultra-finezza’.

Tra questi ci sono i Transition Metal Dichalcogenides (TMD), materiali che offrono diverse caratteristiche chiave non disponibili nel grafene e che stanno emergendo come semiconduttori di prossima generazione.

Monolayer TMDC structure
Monostrati di Transition Metal Dichalcogenide (TMDC) sono semiconduttori atomicamente sottili di tipo MX 2 , con un atomo di metallo M di transizione ( Mo , W , ecc) e atomo calcogeno X ( S , Se , o Te ). Uno strato di atomi M è inserito tra due strati di atomi X. Fanno parte della grande e nuova famiglia dei cosiddetti materiali 2D , nome usato per sottolineare la loro straordinaria ‘sottigliezza’; un monostrato di MoS 2 (Bisolfuro di Molibdeno) ha uno spessore di soli 6,5 Å.
La scoperta del grafene mostra come nuove proprietà fisiche emergano quando un cristallo bulk di dimensioni macroscopiche viene assottigliato fino a uno strato atomico. Come la grafite , cristalli bulk TMDC sono formati di monostrati legati fra loro dalla forza di Van-der-Waals . Monostrati TMDC hanno proprietà che sono nettamente differenti da quelle dei semimetalli di grafene, fra queste il tipo di gap di banda, che è diretta e possono essere utilizzati in elettronica come transistori e in ottica come emettitori e rivelatori. La sperimentazione sui TMDC è un campo di ricerca e sviluppo che emerge dopo la scoperta del gap di banda diretta e le potenziali applicazioni in elettronica.

Lo studio dei superconduttori topologici (TSC) è una nuova area nel campo della fisica della materia condensata, ed ha attirato una grande attenzione negli ultimi anni. I TMD potrebbero essere utilizzati per realizzare superconduttori topologici  e quindi fornire una piattaforma per la computazione quantistica. E’ proprio questo l’obiettivo finale del gruppo di ricerca guidato da Cornell Eun-Ah Kim, professore associato di fisica “La nostra proposta è molto realistica – è per questo che è eccitante“, ha detto della ricerca del suo gruppo, “abbiamo una strategia teorica per materializzare un superconduttore topologico , che sarà un passo verso la costruzione di un computer quantistico.” Yi-Ting Hsu, uno studente di dottorato nel Gruppo Kim, è autore di “Topological superconductivity in monolayer transition metal dichalcogenides” pubblicato l’11 aprile su Nature Communications . Altri membri del team includono ex allievi di Kim del gruppo di Mark Fischer, ora presso l’ETH di Zurigo in Svizzera, e Abolhassan Vaezi, ora presso la Stanford University. La proposta del gruppo è che le insolite proprietà dei materiali TMD favoriscano due stati superconduttori topologici, che, se confermati sperimentalmente, apriranno nuove possibilità per la manipolazione di superconduttori topologici a temperature vicine allo zero assoluto.

L’obiettivo del gruppo è un superconduttore che opera a circa 1 grado Kelvin (circa – 272,15° C), che potrebbe essere raffreddato con elio liquido a sufficienza per mantenere il potenziale quantum computing in uno stato di superconduttore. Teoricamente, è necessario un computer quantistico abbastanza potente per giustificare la potenza necessaria per mantenere il superconduttore a 1 grado Kelvin, e IBM ha già un computer 7-qubit (quantum bit), che opera a meno di 1 Kelvin, a disposizione del pubblico attraverso la sua esperienza IBM Quantum. Un computer quantistico con circa sei volte più qubit cambierebbe radicalmentela la computazione, ha detto Kim, “Se si arriva a 40 qubit, supererà la potenza di calcolo di tutti i computer classici, e per ospitare un 40-qubit [computer quantistico] a temperatura criogenica non è un grosso problema. Sarà una rivoluzione”.

Kim e il suo gruppo stanno lavorando con Debdeep Jena e Grace Xing rispettivamente ingegnere elettrico e informatico, e Katja Nowack , fisica, attraverso un gruppo di ricerca interdisciplinare di concessione dal Centro Cornell per Materials Research. Ogni gruppo porta ricercatori provenienti da diversi reparti che lavorano insieme, con il sostegno sia dell’università sia dell programma di Material Research e centri di progettazione del National Science Foundation.

Stiamo unendo le competenze di ingegneria di DJ e Grace, e la competenza di  Katja, in sistemi mesoscopici e superconduttori“, ha detto Kim. “Sono necessarie diverse competenze per unirsi e perseguire l’obiettivo“.

Fonte: Phys.org

Per approfondire: https://press.princeton.edu/titles/10039.html

Stefania de Luca è owner del gruppo facebook Astrofisica, cosmologia e fisica particellare

 

Il James Webb Space Telescope ha superato il test di resistenza alle temperature estreme nel vuoto

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Il telescopio spaziale James Webb della NASA ha superato con successo un’altra fase di test, avvicinandosi al suo lancio, previsto per il 2021. Il veicolo spaziale ha superato il test di vuoto termico che serve a garantire che il suo hardware funzioni correttamente nel vuoto dello spazio e resista alle estreme variazioni di temperatura che incontrerà nella sua missione.

Una metà dell’osservatorio Webb, noto come “elemento spaziale“, ha completato questo test presso le strutture della Northrop Grumman, il principale partner industriale della missione, a Los Angeles. L’altra metà del James Webb, comprensiva del telescopio e degli strumenti scientifici, ha già completato con successo i test termici sotto vuoto presso il Johnson Space Center della NASA a Houston, prima della consegna a Northrop Grumman l’anno scorso.

Nell’ultimo test ambientale, il James Webb è stato posizionato all’interno di una speciale camera a vuoto termico. Il team di test ha drenato l’atmosfera dalla stanza per replicare il vuoto dello spazio ed ha esposto l’elemento del veicolo spaziale Webb a una vasta gamma di temperature calde e fredde, passando da meno 148 a 102 gradi Celsius. Questa variazione delle temperature garantisce che il veicolo spaziale sopravviva alle condizioni estreme che sperimenterà nello spazio.

L’elemento del veicolo spaziale è costituito dal “bus“, che è l’equipaggiamento che fa volare effettivamente il telescopio nello spazio, oltre al rivoluzionario parasole tascabile a cinque strati che manterrà i sensibili strumenti del Webb all’ombra preservandolo nelle temperature di esercizio super-fredde. L’elemento spaziale è fondamentale per il successo degli obiettivi scientifici del Webb e deve essere accuratamente testato e convalidato per il volo.

Con il completamento di questo ultimo test di vuoto termico, tutti i componenti del Webb sono stati esposti alle varie condizioni che incontreranno durante il lancio e in orbita a un milione di miglia dalla Terra.

I team di Northrop Grumman e del NASA Goddard Space Flight Center devono essere elogiati per aver completato con successo un test di vuoto termico nel veicolo spaziale“, ha detto Jeanne Davis, program manager del James Webb Space Telescope Program. “Questo incredibile risultato apre la strada al prossimo importante traguardo, che consiste nell’integrare il telescopio e gli elementi del veicolo spaziale.

I prossimi passi consisteranno nell’unire le due metà del Webb per formare il telescopio completamente assemblato e completare un ciclo finale di test e valutazione prima del lancio. La versione completa dell’elemento spaziale verificherà che il Webb sia pronto per procedere al sito di lancio.

Fornito dal Goddard Space Flight Center della NASA

Da Wikipedia:

Il telescopio spaziale James Webb (JWST o Webb) è un telescopio spaziale orbitante per l’astronomia a raggi infrarossi, il cui lancio è previsto salvo ulteriori slittamenti[2] per marzo 2021[3][4][5], con partenza dallo spazioporto di Arianespace a Kourou, nella Guiana Francese, trasportato in orbita solare da un razzo Ariane 5. Il telescopio è il frutto di una collaborazione internazionale tra NASAAgenzia Spaziale Europea (ESA) e Agenzia spaziale canadese (CSA).

Panoramica

Il JWST, in fase di realizzazione, noto come “Next Generation Space Telescope” (NGST, da qui anche, la nomea di “successore di Hubble”), nel 2002 è stato titolato a James Webb,[6] amministratore[7] della NASA durante i programmi GeminiMercury e Apollo[8]e fautore del centro di controllo del Johnson Space Center (JSC) di HoustonTexas.

Il telescopio Webb aprirà nuovi orizzonti per l’astronomia a raggi infrarossi grazie a tecnologie di progettazione d’avanguardia. Sarà il più grande telescopio mai inviato nello spazio, e amplierà i percorsi aperti nell’universo dal telescopio Hubble.

Le innovazioni rispetto ai precedenti telescopi spaziali sono il grande specchio primario di 6,5 metri, per studiare lunghezze d’ondanella banda infrarossa, e la presenza di un ampio parasole multistrato per il mantenimento di una temperatura operativa molto bassa per bloccare le interferenze da sorgenti di calore non oggetto di studio quali ad esempio il Sole, la Luna, la struttura e la strumentazione stessa del telescopio.[9]

Diversamente da Hubble, orbitante intorno alla Terra, Webb orbiterà intorno al Sole a 1,5 milioni di km, al punto L2 di Lagrange, orbita già utilizzata per le missioni WMAPHerschel e Planck; orbita che terrà il Webb allineato con l’orbita terrestre[10] consentendo al parasole di proteggere il telescopio dalla luce e dal calore di Sole, Terra e Luna e garantendo comunicazioni continue con il centro di controllo e un’ininterrotta raccolta di dati non essendo ostacolato dall’interferenza oscuratrice dell’orbita lunare.

Per il JWST sono state sviluppate diverse tecnologie innovative. Le più importanti includono uno specchio primario costituito da 18 specchi esagonali in berillio ultraleggero che dispiegandosi dopo il lancio comporranno un’unica grande superficie di raccolta. Un’altra caratteristica del JWST è l’ampia schermatura romboidale a cinque strati (separati dal vuoto) in Kapton, un materiale plastico in film che, come un parasole, attenua il calore e garantisce stabilità alle notevoli escursioni termiche a cui gli strumenti saranno sottoposti. Lo studio di metrologie estremamente precise nei test acustici e ambientali[11] ha contribuito allo sviluppo di strumenti di precisione (interferometria laser dinamica) nell’ordine dei picometri[12].Il Webb è fornito di un impianto criogenico(cryocooler) per il raffreddamento (7 K) dei rilevatori nel medio infrarosso e di micro-otturatori innovativi progettati dal Goddard che, come piccole tapparelle programmabili consentono di selezionare determinati spettri di luce durante la simultanea di una osservazione, permettendo di analizzare sino a 100 oggetti contemporaneamente nello spazio profondo con un’ampiezza visuale di 3,2 x 3,3 minuti d’arco[13]

JWST è il prodotto di una collaborazione tra la NASA, l’ESA e l’Agenzia Spaziale Canadese (CSA ). Il NASA Goddard Space Flight Center ha gestito le fasi di sviluppo. I principali partner industriali privati sono Northrop Grumman e Orbital ATK per lo schermo parasole; lo Space Telescope Science Institute (STScI) gestirà le operazioni di ricerca, raccolta ed elaborazione dei dati del Webb successive al lancio.

Osservatorio

Telescopio Webb, vista anteriore

Telescopio Webb, prospettiva anteriore

L’osservatorio è la componente spaziale del sistema JWST (che comprende anche i sistemi a terra) ed è composto da tre elementi: la strumentazione scientifica integrata (ISIM, integrated Science Instrument Module); il telescopio ottico (OTE, Optical Telescope Element) che comprende gli specchi e la montatura di supporto; il sistema navicella , che comprende la navicella (Spacecraft Bus) e lo schermo solare.

L’OTE è l’occhio dell’osservatorio. Raccoglie la luce proveniente dallo spazio e la invia agli strumenti scientifici situati nel modulo ISIM. La montatura portante (Backplane) supporta la struttura ottica.

Lo schermo solare (Sunshield) separa la parte del telescopio direttamente colpita e riscaldata dalla luce solare (l’intero osservatorio) dai componenti elettronici (ISIM) che, elaborando frequenze dell’infrarosso, devono operare a bassa temperatura. La temperatura di esercizio è mantenuta dal sistema criogenico sotto i 50 K (-223 °C o -370 °F) .

Telescopio Webb, vista posteriore

Telescopio Webb, prospettiva posteriore

La navicella fornisce le funzioni di supporto per il funzionamento dell’osservatorio e integra i principali sottosistemi necessari al funzionamento del veicolo spaziale: il sistema di energia elettrica, il sistema di controllo dell’assetto, il sistema di comunicazione, il sistema di comando e gestione dei dati, il sistema di propulsione e il sistema di controllo termico.

I blocchi logici[14] sono, nel dettaglio:

Lancio, orbita e posizionamento

Il telescopio spaziale James Webb sarà lanciato su un razzo Ariane 5 dalla rampa di lancio ELA-3 di Arianespace, complesso situato nei pressi di Korou, in Guiana Francese, fornito dall’ESA.[15] La vicinanza equatoriale e la rotazione terrestre contribuiscono ad una spinta ulteriore del razzo vettore.[15][16]

Webb incapsulato nel razzo Ariane 5

Webb incapsulato nel razzo Ariane 5

File:The James Webb Space Telescope Folds Up animation.ogv

Webb incapsulato. Animazione

Il JWST orbiterà[17] intorno al secondo punto di Lagrange (L2) lungo un asse Terra-Sole, distante 1.500.000 km dalla Terra. Il punto di equilibrio L2 consentirà un tempo ridotto per compiere un’orbita completa, pur essendo più distante dell’orbita terrestre. Il telescopio si attesterà sul punto L2 in un’orbita halo, inclinato rispetto al piano dell’eclittica. Poiché L 2 è un punto di equilibrio instabile in cui le accelerazioni gravitazionali esercitate da Sole e Terra bilanciano l’accelerazione centripeta del telescopio necessaria a compiere l’orbita a quella determinata distanza dal Sole, la sonda seguirà una traiettoria chiusa intorno al punto di Lagrange nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole.

La particolarità di questa orbita è che consente al telescopio di essere allineato su un asse teorico consentendo al parasole del satellite di proteggere il telescopio dalla luce e dal calore di Sole, Terra e Luna.

La posizione di JWST presso L2 rende le comunicazioni con la Terra continue, effettuate attraverso il Deep Space Network (DSN), del JPL utilizzando tre antenne radio situate in Australia, Spagna e California. Durante le operazioni di routine, JWST effettuerà sequenze in uplink di comandi e dati di downlink fino a due volte al giorno, attraverso il DSN. L’osservatorio è in grado di eseguire sequenze di comandi (controlli e osservazioni) in modo autonomo. Lo Space Telescope Science Institute, gestore delle ricerche e dei dati, trasferirà i dati settimanalmente ed effettuerà le opportune correzioni giornalmente.

Perché un telescopio ad infrarossi

L’opacità dell’atmosfera terrestre, costituita da vapore acqueo e anidride carbonica, ostacola la visualizzazione dei telescopi ottici a terra in quanto la luce proveniente dallo spazio viene bloccata o alterata da questi elementi, nonostante le recenti innovazioni dovute all’ottica adattiva che corregge le sfocature in campi ridotti e in presenza di stelle luminose. Il telescopio spaziale Hubble ha ovviato a queste implicazioni, orbitando oltre l’atmosfera.[18] La polvere cosmica e i gas delle nubi interstellari sono però un limite anche per i telescopi ottici spaziali. Inoltre, poiché l’Universo è in costante espansione, la luce dei corpi nello spazio profondo in allontanamento tende anch’essa a spostarsi, giungendo quindi a noi con ridotta frequenza (spostamento verso il rosso). Questi oggetti sono perciò rilevabili più facilmente se osservati con strumenti ottimizzati per lo studio delle frequenze nell’infrarosso.

Le osservazioni a raggi infrarossi consentono lo studio di oggetti e di regioni dello spazio altrimenti oscurate dai gas e dalle polveri nello spettro visibile. Le nubi molecolari feconde di formazioni stellari, i dischi protoplanetari, e i nuclei di galassie attive sono tra gli oggetti relativamente freddi (rispetto alle temperature stellari) che emettono radiazioni prevalentemente nell’infrarosso e quindi studiabili da un telescopio a infrarossi.

Studio dei corpi nel vicino e medio infrarosso

A seconda delle proprietà termiche e fisiche dei corpi oggetto di studio, le osservazioni nel medio e vicino infrarosso sono più appropriate in base al seguente prospetto:[19]

Vicino infrarosso Medio infrarosso
Luce ultravioletta dalle galassie distanti Luce visibile delle galassie distanti
Molecole e atomi ad alte energie Molecole a basse energie
Sistemi protostellari in formazione Stelle molto giovani in formazione
Esopianeti caldi vicini alle proprie stelle Esopianeti distanti dalle proprie stelle a temperature terrestri

Le osservazioni nel medio infrarosso caratterizzeranno nane brunecomete e altri oggetti della fascia di Kuiper, pianeti del sistema solare ed esopianeti.

Ricerca scientifica

JWST è un telescopio general-purpose, diversamente da missioni quali GaiaSpitzerFermi, finalizzate a studi settoriali specifici. Le ricerche spazieranno ampi settori di astronomiaastrofisicacosmologia. Le osservazioni del Webb, anche a seguito della scoperta dell’ultra deep field di Hubble, saranno incentrate su alcuni temi principali, grazie ai diversi strumenti progettati e dedicati allo studio di lunghezze d’onda differenti:

Cosmologia e struttura dell’Universo: prima luce

  • Il JWST consentirà di studiare la struttura a grande scala dell’Universo, che si espande o contrae sotto l’influenza della gravità della materia al suo interno. Tramite l’osservazione di remote supernove con luminosità nota, si potrà stimarne le dimensioni e la struttura geometrica, approfondendo gli studi teorici sulla natura e la densità della materia oscura e dell’energia oscura. Rilevando sottili distorsioni nelle forme delle galassie più lontane causate dalle deformazioni gravitazionali di masse invisibili sarà possibile studiare la distribuzione della materia oscura, il suo rapporto con la materia ordinaria e l’evoluzione di galassie come la via Lattea. Mediante campagne osservative nel vicino infrarosso e successive analisi in follow-up a bassa risoluzione spettroscopica e fotometrica nel medio infrarosso verrà approfondito lo studio delle galassie più antiche.

    Rappresentazione dell'evoluzione dell'Universo

    Rappresentazione dell’evoluzione dell’Universo

  • Con il JWST si potrà approfondire la teoria sulla reionizzazione[20], il periodo primordiale dell’Universo in cui l’idrogeno neutro sarebbe reionizzato in seguito alla crescente radiazione delle prime stelle massicce. Successivamente al raffreddamento dell’universo i protoni e neutroni si combinarono in atomi ionizzati di idrogeno e deuterio, quest’ultimo ulteriormente fuso in elio-4 e conseguente costituzione delle prime stelle massicce ad opera della forza di gravità e in seguito esplose come supernovae.

Origine ed evoluzione delle prime galassie

  • La capacità di JWST di sondare la regione infrarossa dello spettro ad altissima sensibilità permetterà di superare i limiti dei telescopi ottici e catturare la luce debole, spostata verso il rosso, degli oggetti più antichi e lontani. Il JWST consentirà di indagare sulla presenza di buchi neri nella maggior parte delle galassie e la loro percentuale di massa, rispetto alla materia visibile.
  • Webb sarà in grado di vedere i cluster delle prime stelle formatesi in seguito al raffreddamento dell’idrogeno e alla costituzione degli elementi chimici più pesanti, necessari alla formazione dei pianeti e della vita Inoltre osserverà le fasi costitutive dell’Universo, a seguito dell’esplosione successiva delle prime stelle in supernove che hanno formato le prime galassie nane ricche di gas, progenitrici delle galassie attuali che hanno formato la struttura cosmica oggi conosciuta. JWST, analizzando le spettrografie delle singole stelle nelle regioni affollate, studierà la conformazione, il rigonfiamento dei dischi centrali delle galassie, le stelle più antiche, le analogie con la via Lattea, la distribuzione della materia passata e presente e le relazioni di questa materia con la formazione stellare

Modello di una giovane stella circondata da un disco proto-planetario

Modello di una giovane stella circondata da un disco proto-planetario

Nascita e formazione di stelle e pianeti

  • JWST sarà in grado di penetrare le nubi di polvere nei dischi proto-stellari, studiando i parametri che definiscono la massa di una stella in formazione e oggetti di massa minore, nane brune e pianeti delle dimensioni di Giove (gioviani), che non raggiungono uno stato aggregativo tale da consentire una formazione stellare.

Evoluzione dei sistemi planetari e condizioni per la vita

  • Mediante la tecnica dei transiti, della velocità radiale e con osservazioni di follow-up supportate da telescopi a terra verranno stimate le masse di esopianeti e studiate le loro atmosfere cercando eventuali biofirme.[21] I coronografi e lo studio spettroscopico consentiranno la visualizzazione diretta in banda infrarosso di esopianeti vicino a stelle luminose.comprese eventuali differenze stagionali, la vegetazione, la rotazione, il clima. La spettroscopia, analizzando la luce riflessa degli esopianeti e separandola in lunghezze d’onda distinte permetterà di identificare i loro componenti chimici per determinarne le componenti atmosferiche. Webb potrà cercare biomarcatori chimici, come ozono e metano, generati da processi biologici. L’ozono si forma quando l’ossigeno prodotto da organismi fotosintetici (quali alberi e fitoplancton) sintetizzano la luce. Poiché l’ozono è fortemente legato alla presenza di organismi Webb lo cercherà in atmosfere planetarie come possibile indicatore di vita elementare. JWST, a causa della luce solare non potrà essere rivolto verso i corpi interni al sistema quali Luna, Venere e Mercurio ma potrà caratterizzare tutti i corpi esterni a Marte, gli asteroidi Near-Earth, comete, lune planetarie e corpi ghiacciati del sistema solare esterno

Marte, il rover “Curiosity” scopre un deposito di argilla

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Il “rover Curiosity” della NASA ha confermato che la regione di Marte che sta esplorando, chiamata “unità portante di argilla,” si merita ampiamente la sua denominazione. Il rover recentemente ha effettuato due perforazioni su campioni di roccia, chiamati “Aberlady” e “Kilmarie“, che hanno rivelato una grande quantità di minerali argillosi mai trovati fin’ora durante la missione. Entrambi i bersagli perforati sono comparsi in un nuovo selfie, scattato dal rover il 12 maggio 2019 nel 2405° giorno della missione.

Questa regione situata sul lato inferiore del Monte Sharp, era stata già osservata dagli orbiter della NASA prima che Curiosity sbarcasse nel 2012. La regione è ricca di argilla, un minerale ricco di acqua, elemento indispensabile per la vita. Curiosity continua ad esplorare il Monte Sharp, per scoprire se può essere stata miliardi di anni fa sede di un lago. Lo strumento di mineralogia del rover chiamato CheMin (Chimica e Mineralogia), ha fornito le prime analisi dei campioni di roccia praticate nell’unità portante di argilla. CheMin ha anche trovato una piccola quantità di ematite, un minerale di ossido di ferro che finora era stato individuato in quantità importanti solo nella zona nord, sulla cresta rocciosa denominata Vera Rubin Ridge.

Questa nuova scoperta oltre a provare la presenza, in passato, di significative quantità d’acqua nel Gale Crater, crea anche discussioni su cosa era presente in quella regione. È probabile che le rocce nella zona si siano formate come strati di fango in antichi laghi, ipotesi supportata da altri rilevamenti effettuati da Curiosity nella zona più bassa del Monte Sharp. L’acqua ha interagito con i sedimenti nel tempo e ha lasciato nelle rocce presenti in quella zona una quantità abbondante di argilla.

Durante queste nuove perforazione e analisi, Curiosity ha avuto il tempo di fotografare il passaggio di alcune nuvole, ovviamente in nome della ricerca scientifica. Il rover ha usato le sue telecamere di navigazione in bianco e nero (Navcams) per scattare immagini di nuvole vaganti il ​​7 maggio e il 12 maggio 2019, equivalenti al giorno marziano 2400 e 2405. Sono probabilmente nuvole di ghiaccio d’acqua posizionate a circa 31 chilometri di quota.

Il team di missione ha cercato di coordinare le immagini delle nubi con il lander InSight della NASA, atterrato a circa 600 chilometri di distanza, che ha recentemente acquisito proprie immagini delle nubi. Catturare le stesse nuvole da due punti panoramici differenti nello stesso istante può aiutare gli scienziati a calcolarne l’esatta altitudine.

Fonte: NASA

Maggiori informazioni su Curiosity sono a:

https://mars.nasa.gov/msl/

Maggiori informazioni su Marte sono a:

https://mars.nasa.gov/

Come la Russia (sì, la Russia) progetta di mandare i suoi cosmonauti sulla Luna entro il 2030

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Lo scorso giovedì, il leader della società spaziale statale russa Dmitry Rogozin ha tenuto un discorso di ampio respiro all’Università di Mosca. Il discorso ha cercato di descrivere le attività che Roscosmos va sviluppando e ha parlato delle prospettive future, compreso di un potenziale sbarco lunare.

Il piano russo

Particolarmente interessanti nel discorso di Rogozin sono stati gli accenni alla possibilità che la Russia effettui uno sbarco lunare indipendente con i cosmonauti entro il 2030. Insomma, la Russia vorrebbe rimettersi in gara con americani e cinesi per tornare sulla Luna.

Secondo il piano prospettato da Rogozin, il primo passo sarà lo sviluppo di un nuovo lanciatore pesante con una capacità di 103 tonnellate per l’orbita terrestre bassa e 27 tonnellate per l’orbita polare lunare. Approssimativamente un lanciatore del genere equivarrebbe alla versione aggiornata dello Space Launch System della NASA, noto come Block 1B.

Il piano include lo sviluppo di una navicella entro il 2022, con il primo volo verso la Stazione Spaziale Internazionale previsto entro il 2023. I voli nello spazio profondo di questo veicolo spaziale inizierebbero a metà degli anni ’20. Nel frattempo si dovrebbe svolgere una missione lunare automatica che dovrebbe raccogliere campioni lunari e riportarli sulla Terra.

In termini di strategia, Rogozin ha detto di non credere che ci sia molto potenziale per l’utilizzo industriale della Luna, un tema che è invece un componente chiave dei piani della NASA e delle imprese private per inviare i propri equipaggi sulla Luna. Secondo Rogozin, però, una stazione lunare sarebbe strategica nel ruolo di linea di difesa contro comete e asteroidi. (Non ha però chiarito come funzionerebbe).

Questo intervento di Rogozin arriva in un momento in cui ci sono molti dubbi sul futuro dell’attuale capo di ROSCOSMOS. Secondo voci locali Rogozin starebbe per essere rimosso dal suo incarico. Un rispettato analista aerospaziale russo, Vadim Lukashevich, ha condiviso alcune considerazioni sul discorso sul suo account Facebook.

Le difficoltà in cui versa attualmente l’agenzia spaziale statale russa partono dagli ormai frequenti fallimenti dei lanci dei missili russi, dalle incertezze sul futuro incerto della sua partnership di lunga data con la NASA, problemi di finanziamento e altro ancora. Per queste ragioni, è difficile immaginare che la Russia lanci un ambizioso programma per sbarcare sulla Luna.

Resta da dire, però, che la Russia gode di una tradizione e delle capacità potenziali di realizzare un obbiettivo simile, quello che è da dimostrare è che vi sia un’effettiva volontà politica di tornare ad investire massicciamente sull’esplorazione spaziale e sull’invio di cosmonauti sulla Luna, impresa abbandonata negli anni ’70 del secolo scorso dopo che gli americani vi atterrarono per primi.

Individuato un pianeta “Proibito” nella zona nota come “deserto nettuniano”

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Una nuova ricerca, guidata dal dott. Richard West e dal gruppo di astronomia e astrofisica dell’Università di Warwick, ha identificato un pianeta canaglia. NGTS-4b, anche soprannominato ‘The Forbidden Planet‘ dai ricercatori, è un pianeta più piccolo di Nettuno ma tre volte più grande della Terra.

È grande 20 masse terrestri ed ha un raggio inferiore del 20% rispetto a Nettuno e la sua temperatura media dovrebbe essere sui 1000 gradi Celsius. Orbita attorno alla sua stella in soli 1,3 giorni.

È il primo pianeta extrasolare del suo genere ad essere stato trovato nel deserto nettuniano.

Il deserto nettuniano è una regione prossima alle stelle dove si riteneva non si potessero trovare pianeti delle dimensioni di Nettuno. Questa zona riceve una forte irradiazione dalla sua stella, il che significa che i pianeti non mantengono la loro atmosfera gassosa che evapora lasciando solo un nucleo roccioso. Tuttavia NGTS-4b ha ancora la sua atmosfera di gas.

Per trovare nuovi pianeti, gli astronomi cercano i cali della luminosità di una stella: quando il pianeta nella sua orbita si trova a passare tra la stella e la Terra ne blocca parzialmente la luce, provocando un calo della luminosità. I sistemi di individuazione di solito possono individuare cali almeno dell’1% ma i telescopi NGTS possono registrare cali di luminosità di appena lo 0,2%.

I ricercatori ritengono che il pianeta possa essersi trasferito nella zona chiamata “Deserto Nettuniano” solo nell’ultimo milione di anni e questo giustificherebbe il fatto che ha ancora la sua atmosfera che, comunque, starebbe evaporando.

Il Dr. Richard West, del Dipartimento di Fisica dell’Università di Warwick, ha così commentato: “Questo pianeta si trova proprio nella zona in cui pensavamo che delle dimensioni Nettuno non potessero stare. È davvero straordinario che abbiamo trovato un pianeta in transito davanti ad una stella con oscillazioni luminose di meno dello 0,2%, una cosa che non era mai successa con telescopi basati sulla superficie della Terra ed è stato fantastico trovarlo dopo aver lavorato a questo progetto per un anno.”

Ora stiamo setacciando i dati per vedere se possiamo individuare altri pianeti nel deserto di Nettuno, forse si tratta di un deserto più verde di quanto si pensasse una volta.”

Ulteriori informazioni: Richard G West et al, NGTS-4b: A sub-Neptune transiting in the desert, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (2019). DOI: 10.1093/mnras/stz1084
Fonte: Phys.org

Incontri inspiegati nel cielo

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di Oliver Melis

Il 6 gennaio 1995, avvenne un incontro molto particolare tra un jet della British Airways con 60 passeggeri a bordo e un oggetto volante illuminato a forma triangolare e rimasto non identificato a una quota di 13.000 piedi sopra i Pennines. Al comando del jet passeggeri c’era il capitano Roger Wills, assistito dal co-pilota Mark Stuart.

Iniziarono la discesa verso l’aeroporto di Manchester con un Boeing 737, quando diciassette minuti prima del contatto con la pista, un oggetto misterioso balenò sul il lato destro del velivolo a una distanza descritta come “molto vicina”. Così vicino, che l’equipaggio si “abbassò” sui posti di pilotaggio mentre l’oggetto li superava. Un controllo immediato con il controllo del traffico aereo a Ringway confermò che nulla era stato rilevato sul radar, tranne che per il 737 stesso.

L’equipaggio del volo BA 5601 non ha riportato l’incidente ai propri colleghi; tuttavia, la direzione di British Airways è stata infine informata di ciò che era accaduto. In linea con le procedure stabilite, un rapporto, completo di schizzi dell’UFO, è stato inviato al Joint Air Miss Working Group, una parte dell’Autorità per l’aviazione civile.

Le dichiarazioni del portavoce della CAA affermano che qualsiasi suggerimento che l’oggetto fosse un UFO sarebbe stato “puramente speculativo“, aggiungendo che l’inchiesta poteva durare fino a sei mesi.
Il portavoce ha dichiarato inoltre alla stampa: “Una percentuale molto piccola di situazioni near miss che coinvolgono velivoli non tracciati rimane irrisolta.”

In questo caso però si fa un errore concettuale, gli UFO sono letteralmente da intendere come oggetti volanti non identificati, quindi definire un qualcosa di sconosciuto UFO in realtà non è una speculazione. Solo chi associa gli UFO agli extraterrestri specula, spesso sul nulla.
Un membro dell’equipaggio ha detto: “Sono ragazzi preparati e sensibili. Tutti parlano di ciò che hanno visto ed è giusto che venga segnalato, così gli esperti possono provare a stabilire di cosa si trattava. ”

All’epoca dei fatti ci fu l’interessamento di un giornalista che contattò il Ministero della Difesa britannico per un commento. Il loro portavoce, Kerry Philpott, fece la seguente dichiarazione: “A titolo di routine, il Ministero della Difesa è stato notificato dall’Autorità per l’aviazione civile del rapporto redatto dai piloti della British Airways il 6 gennaio. Ho consultato esperti del Dipartimento con responsabilità in materia di difesa aerea, che hanno confermato di non essere a conoscenza di prove che indichino che le nostre difese aeree sono state violate. Poiché questa è la nostra unica preoccupazione, l’interesse del MOD in questo particolare incidente si è concluso. Nessuna informazione successiva è arrivata alla nostra attenzione, il che suggerirebbe che la valutazione originale era errata. L’incidente del 6 gennaio rimane una questione per il CAA. ”

All’inizio del 1996, l’Autorità per l’aviazione civile pubblicò le sue conclusioni sul caso.

Il primo ufficiale riferisce che la sua attenzione, inizialmente concentrata sullo scudo antiabbagliante di fronte a lui, è stata deviata verso qualcosa nella sua visione periferica. Alzò lo sguardo in tempo per vedere un oggetto oscuro passare lungo il lato destro dell’aereo ad alta velocità; era a forma di cuneo con quella che avrebbe potuto essere una striscia nera sul lato.
“Stimò che le dimensioni dell’oggetto fossero da qualche parte tra quelle di un aereo leggero e di un Jetstream, anche se sottolineò che si trattava di pura speculazione. Non ha fatto alcun tentativo di deviare dal suo corso e nessun suono è stato ascoltato o sentito sentire. Era certo che ciò che vedeva fosse un oggetto solido, non un uccello, un pallone o un aquilone.”

Con una varietà di suggerimenti convenzionali trovati mancanti, il CAA Working Group ha concluso:

Avendo esaminato a fondo le varie ipotesi il Gruppo ha concluso che, in assenza di prove concrete che potessero identificare o spiegare questo oggetto, non è stato possibile valutare né la causa né il rischio rispetto a uno qualsiasi dei normali criteri applicabili alle segnalazioni di airmiss. L’incidente rimane quindi irrisolto.”

Sicuramente il caso irrisolto ha fatto sobbalzare sulla sedia più di un ufologo e in tanti in passato hanno strumentalizzato casi simili, casi al limite perché i piloti, benché preparati e allenati, sono pur sempre esseri umani e non sono in grado di valutare situazioni del genere, fatti che accadono in una frazione di secondo rimangono perciò non identificati e appartengono a quella percentuale di casi UFO non spiegati che da un lato vengono usati per portare acqua al mulino di chi crede che siano oggetti extraterrestri e dall’altro dimostrano che non ci sono prove evidenti che gli UFO siano alieni.

Fonte: Mysteriousuniverse.org; Newsbbc

Potrebbe essere stata l’esplosione di una supernova a spingere i primi ominidi ad assumere l’andatura bipede

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Secondo quanto afferma un nuovo studio pubblicato sul Journal of Geology è possibile che sia stata l’esplosione di una supernova, avvenuta circa 2,6 milioni di anni fa, ad aver spinto gli antichi esseri umani ad assumere l’andatura bipede. Le particelle cosmiche emesse da questa supernova hanno bombardato la superficie terrestre a livelli così elevati da provocare incendi boschivi a livello globale, secondo quanto scrivono i ricercatori dell’Università del Kansas.

Ciò avrebbe portato alla formazione di vaste distese di savane in luoghi che in precedenza erano ricoperti di foreste. I primi ominidi comparsi nel nordest dell’Africa furono costretti ad imparare a camminare su due gambe per potersi orientare guardando da una posizione più alta per poter attraversare queste vaste aree.

La teoria è stata elaborata da un team guidato dal fisico Professor Adrian Melott nel tentativo di unire diversi filoni di ricerca. “Si pensa che ci fosse già una certa tendenza per gli ominidi a camminare su due gambe, anche prima di questo evento ma sappiamo che si erano adattati principalmente per arrampicarsi sugli alberi“, ha spiegato. “Non avendo più molti alberi a disposizione dovettero adattarsi a spostarsi nell’erba alta della savana per passare da un albero all’altro. Questo adattamento permise loro di poter guardare oltre le cime dell’erba sia per mantenere la direzione che per vedere da lontano l’arrivo dei predatori.”

Il professor Melott è arrivato a formulare questa ipotesi dopo una ricerca sulle sulle supernove storiche e sugli indizi sull’impatto che ebbero sulla Terra. Antichi giacimenti marini di isotopi di ferro-60, una forma radioattiva di ferro, hanno fornito un indizio cruciale. Secondo il professor Melott, questi elementi potrebbero essere arrivati ​​sulla Terra da una supernova esplosa a 163 anni luce durante il passaggio dall’Epoca Pliocenica all’Era Glaciale.

Abbiamo calcolato che la ionizzazione dell’atmosfera provocata dai raggi cosmici prodotti da sulla base dei depositi di ferro-60“, ha affermato. “Secondo noi, un simile evento avrebbe aumentato la ionizzazione dell’atmosfera inferiore di 50 volte. Di solito, non si ottiene una ionizzazione della bassa atmosfera perché i raggi cosmici non penetrano così in profondità, ma quelli più energici delle supernove arrivano direttamente sulla superficie, quindi ci sarebbero stati un bel po’ di elettroni espulsi dall’atmosfera.

Il team del professor Melott suggerisce nell’articolo che questa maggiore ionizzazione della bassa atmosfera avrebbe favorito la formazione di moltissimi fulmini che, abbattendosi sugli alberi avrebbero portato ad incendi diffusi. Melott è convinto che la sua teoria sia supportata dalla scoperta di depositi di carbonio nel suolo risalenti all’incirca nello stesso momento in cui è avvenuto il bombardamento di raggi cosmici.

Sappiamo che nel mondo c’è stato un aumento di carbone e fuliggine a partire da qualche milione di anni fa. È dappertutto, e nessuno ha alcuna spiegazione del perché sia presente in tutto il mondo in zone climatiche differenti. Questa potrebbe essere una spiegazione“, ha detto.  “Si ritiene che l’aumento degli incendi abbia stimolato la transizione dal bosco alla savana in molti luoghi. Dove prima c’erano solo foreste, queste sono state sostituite da ampie savane con qualche arbusto qua e là“.

Secondo Melott, anche se le cose fossero andate come lui pensa, non c’è alcun pericolo che possa ripetersi un simile evento nei prossimi milioni d’anni. La stella più vicina prossima ad esplodere e trasformarsi in una supernova è Betelgeuse, che dista 652 anni luce dalla Terra, troppo lontana per avere effetti apprezzabili dalle nostre parti.

Trovate tracce di materia organica di origine extraterrestre nelle montagne del Sud Africa

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Sulle montagne Makhonjwa del Sud Africa è possibile accedere ad alcune delle rocce più antiche del pianeta e, a quanto pare, non tutto di ciò che si può vedere in questo magnifico paesaggio ha avuto origine sulla Terra. La novità interessante è che alcuni ricercatori sostengono di avervi scoperto tracce di materiale organico extraterrestre sepolto all’interno di sedimenti vulcanici risalenti ad oltre 3,3 miliardi di anni fa.

Questa è la prima volta che abbiamo trovato prove reali della presenza di carbonio di origine extraterrestre in rocce terrestri“, ha spiegato l’astrobiologa Frances Westall del CNRS Center for Molecular Biophysics, in Francia. Per miliardi di anni, la Terra è stata colpita da meteoriti, comete e asteroidi che hanno lasciato testimonianze del proprio impatto.

Cosa hanno lasciato queste rocce spaziali, oltre a grandi cicatrici sulla superficie del nostro pianeta?

A volte molte cose.

Molti scienziati pensano che alcuni dei mattoni della vita siano arrivati sul nostro pianeta sotto forma di molecole spaziali. In effetti la recente scoperta in Sudafrica aggiunge ulteriore peso a questa possibilità.

In un deposito vulcanico chiamato Josefsdal Chert, che fa parte della regione dei Monti Makhonjwa, Westall e il suo team hanno scoperto uno strato di roccia spesso 2 mm caratterizzato da due segnali “anomali“. Utilizzando la spettroscopia di risonanza paramagnetica elettronica (EPR), i ricercatori hanno scoperto che la roccia, antica 3,3 miliardi di anni, conteneva due tipi di materia organica insolubile, che suggeriscono entrambe origini extraterrestri (la più antica materia organica extraterrestre mai identificata).

Uno dei segnali EPR assomiglia a qualcosa che gli scienziati hanno già visto in precedenza nelle condriti carbonacee: antichi campioni di meteoriti contenenti composti organici. L’altra lettura anomala, che suggerisce la presenza di nanoparticelle di nichel, cromo e ferro, non è qualcosa che si vede solitamente nelle formazioni rocciose terrestri, e rafforza l’ipotesi secondo la quale parti di questo sottile strato roccioso originariamente provenivano da qualche luogo molto, molto più lontano.

“I cosiddetti “spinelli cosmici” si formano durante l’ingresso di oggetti extraterrestri nell’atmosfera terrestre,” ha spiegato l’ingegnere chimico Didier Gourier della PSL Research University. Per quanto riguarda il modo in cui questi due diversi e contraddittori segnali EPR potrebbero esistere all’interno della Josefsdal Chert nello stesso momento storico, il gruppo di ricerca dice che è difficile saperlo con certezza. “È difficile immaginare un singolo evento d’impatto che preservi sia la materia organica che le particelle di spinello in uno strato sedimentario così sottile“, scrivono gli autori nel loro articolo .

La materia organica idrogenata può sopravvivere solo se la temperatura della materia in caduta non supera le poche centinaia di gradi, mentre gli spinelli cosmici si formano attraverso un alto grado di fusione dell’oggetto, mentre cade verso la superficie della Terra.

Nella loro ipotesi, i ricercatori suggeriscono che potrebbe essersi verificata una pioggia di micrometeoriti che potrebbero essersi mescolate nell’atmosfera con nuvole di cenere vulcaniche, e mentre la materia si spostava lentamente verso la superficie della Terra, tracce di carbonio extraterrestre si sono conservate insieme agli spinelli cosmici di nuova formazione per miliardi di anni.

Certo, resta molto di ipotetico per ora. E anche se questo scenario fosse il modo in cui è successo, non sappiamo quale forma abbia preso questa antica materia organica, né possiamo essere sicuri che la sua caduta sulla Terra sia in qualche modo legata all’evoluzione della vita come la conosciamo oggi.

Eppure, per la scienza la scoperta di sostanze organiche extraterrestri è un fatto importante, e tutte le incognite sono ottime vie per continuare a esplorare.

Fonte: Geochimica et Cosmochimica Acta.