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La (quasi) bufala della termoablazione come terapia rivoluzionaria per i tumori

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Periodicamente, qualcuno torna a riproporre su Facebook una notizia, pubblicata su alcuni quotidiani nazionali, secondo la quale l’ospedale di Chioggia avrebbe effettuato il primo intervento in Italia per rimuovere un tumore al fegato tramite la tecnica della termoablazione. Una tecnica che, secondo chi ha scritto l’articolo, costituisce una novità assoluta per l’Italia in particolare e per la terapia dei tumori in generale. Ovviamente, alla notizia viene associata sistematicamente l’informazione che tale tecnica viene tenuta nascosta e non pubblicizzata perchè, a fronte di un sistema rapido e quasi indolore per eliminare qualsiasi tumore, la lobby dei farmaci, individuata nell’onnipresente “Big Pharma” conviene poter continuare a vendere i farmaci chemioterapici.

Ad una prima occhiata la notizia è accattivante e, complice la cattiva memoria che abbiamo, sembra davvero una gran novità ma, leggendo con attenzione l’articolo collegato alla notizia, la prima cosa che si nota è che risale al 2016, non si tratta quindi di una novità di oggi ma, semmai, di qualche tempo fa.

Se l’incongruenza stimolasse la curiosità di un nostro amico, questi, con un uso corretto di Google search, potrebbe scoprire rapidamente la verità sull’articolo in questione: la termoablazione, pur essendo una tecnica di lotta ai tumori abbastanza recente, è ben nota e comunemente utilizzata nei casi per i quali è indicata e l’articolo in questione per “prima volta” intendeva che la tecnica indicata era stata usata si per la prima volta ma la prima volta per l’ospedale di Chioggia.

Un ulteriore approfondiento potrebbe portare il nostro amico curioso a consultare il sito dell’AIRC e a scoprire una verità non così rivoluzionaria.

Vediamo quindi cosa ci dice l’AIRC in materia di termoablazione:

Il calore che distrugge il tumore

Il termine “termoablazione” significa letteralmente “distruzione attraverso il calore” e in medicina identifica anche una delle opzioni terapeutiche disponibili contro il cancro. Non si tratta in realtà di una tecnica nuova in oncologia, dal momento che le prime termoablazioni percutanee, ovvero eseguite “attraversando la pelle” senza far ricorso alla classica chirurgia, risalgono agli anni ’90 del secolo scorso. Nel corso degli anni, però, i progressi in campo tecnologico e la maggiore comprensione dei meccanismi fisici e biologici alla base della termoablazione hanno reso la terapia sempre più precisa, efficace e sicura.

Due sono le forme di termoablazione più utilizzate oggi nella cura dei tumori: quella a radiofrequenza e quella con microonde. Semplificando molto, è importante sottolineare che la principale differenza tra le due termoablazioni è rappresentata dal tipo di “onde” utilizzate per generare calore, che nel primo caso sono onde radio e nel secondo microonde, che hanno una lunghezza d’onda molto inferiore alle prime. Nella termoablazione a radiofrequenza, una corrente alternata ad alta frequenza crea temperature comprese tra 60 e 100 °C, mentre con le microonde si generano campi magnetici che fanno salire la temperatura oltre i 100 °C.

Come e perché funziona

Come fa il calore a distruggere il cancro? Tutte le nostre cellule sono sensibili al calore e le cellule tumorali lo sono ancora di più: per indurre un danno irreversibile alla struttura e al funzionamento cellulare con una temperatura di circa 40-45 °C servono tempi lunghi, dai 30 ai 60 minuti, ma se la temperatura sale oltre i 60 °C si assiste a una rapida distruzione delle proteine che si rivela tossica per la cellula e ne causa la morte per necrosi. In particolare, con la termoablazione si causano al tumore danni diretti che distruggono l’integrità delle membrane delle cellule e degli organelli in essa presenti e rallentano o bloccano del tutto la replicazione del DNA. Non mancano però anche i danni indiretti (e voluti): anche dopo la termoablazione si osservano danni a cellule e tessuti che vanno dall’apoptosi (morte cellulare programmata), a danni che interessano i vasi sanguigni che nutrono il tumore. Negli ultimi anni è inoltre emerso un altro punto di forza della termoablazione che consiste nella sua capacità di causare infiammazione e di stimolare quindi il sistema immunitario a reagire contro le cellule tumorali ancora presenti nell’area.

La tecnica presenta però anche alcuni limiti che non la rendono adatta all’uso per tutti i tipi di tumore. Innanzitutto il calore è più concentrato nella parte più interna del tumore, ma diventa sempre meno “letale” man mano che ci si allontana dal centro e inoltre, soprattutto con la radiofrequenza, c’è il rischio che il calore si disperda attraverso il sangue o l’aria contenuta nei tessuti (per esempio quello polmonare) rendendo la tecnica meno efficace. Sono oggi in fase di studio diverse strategie per superare tali problemi: associando per esempio tecniche o farmaci che bloccano il flusso sanguigno si riesce a ridurre la dispersione del calore nella termoablazione a radiofrequenza.

Per molti ma non per tutti

L’intervento di termoablazione del tumore avviene mediante l’utilizzo di uno speciale “ago, un elettrodo, che viene inserito attraverso la pelle fino a raggiungere il tumore, in un viaggio guidato da ecografia, tomografia computerizzata o risonanza magnetica, per permettere un posizionamento estremamente preciso. L’intervento dura pochi minuti (tra 10 e 30) e pur non essendo un’operazione chirurgica classica, richiede l’uso di anestesia, a volte anche generale. Rispetto ai decenni passati, oggi la tecnica può essere utilizzata in un numero più ampio di tumori, anche benigni, ma in molti casi non viene presa in considerazione poiché si rivelerebbe inefficace. Un primo criterio di scelta è senza dubbio il tipo di tumore. La termoablazione nasce come terapia per il tumore del fegato e ancora oggi il fegato è uno degli organi nei quali il trattamento è più utilizzato, sia nel caso di malattia primaria (ovvero originaria del fegato) sia nel caso di metastasi . Altri tumori contro i quali la termoablazione ha un ruolo importante sono quelli del polmone, dei reni e delle ossa e più recentemente anche quelli di senosurrene e testa-collo. Ma anche fra questi tipi di tumore non tutti sono adatti a essere trattati con il calore, che viene in genere riservato ai tumori di dimensioni ridotte (in genere non superiori ai 5 cm) o che si trovano in aree non operabili chirurgicamente, oppure a pazienti che, per diverse ragioni, non possono essere sottoposti a chirurgia. Molti esperti ritengono che la termoablazione rivestirà un ruolo sempre più importante in oncologia in futuro dal momento che sono sempre di più i tumori diagnosticati in fase iniziale – e quindi ancora di piccole dimensioni – e sono sempre più numerosi i pazienti anziani, nei quali gli interventi chirurgici tradizionali spesso risultano troppo rischiosi.

In conclusione

La termoablazione rappresenta ormai da oltre due decenni una delle possibili terapie per il trattamento del cancro, ma non è sempre utilizzabile e, almeno allo stato attuale delle conoscenze e delle tecnologie, non può sostituire la chirurgia o eliminare le altre terapie cosiddette tradizionali, come chemioterapia e radioterapia. La termoablazione viene oggi riservata a tumori piuttosto piccolinon operabili o a pazienti particolarmente fragili e non in grado di sottoporsi a un intervento chirurgico. Rispetto alla chirurgia tradizionale presenta il vantaggio di dare meno complicanze, riuscire a preservare meglio i tessuti che circondano il tumore, ridurre i tempi e i costi del ricovero in ospedale e trattare pazienti che non potrebbero altrimenti essere trattati.

Ci sono però anche svantaggi come la non completa rimozione del tumore e il conseguente possibile ritorno della malattia, anche se l’efficacia varia notevolmente in base al tipo di tumore e di termoablazione. Attualmente mancano studi di confronto diretto che possano stabilire con certezza se l’efficacia della termoablazione è paragonabile a quella della più classica chirurgia nella cura del cancro.

L’idea di evitare il bisturi è chiaramente benvoluta dai pazienti. Questo ha generato l’offerta di un gran numero di trattamenti non scientificamente validati e proposti da strutture non specializzate che promettono addirittura di eliminare il tumore una volta per sempre e di evitare anche la chemioterapia.

Purtroppo, malgrado gli indubbi sviluppi tecnologici della termoablazione, la medicina è ancora ben lontana dall’ottenere risultati di questo genere.

Il Virus del Nilo occidentale

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In questi giorni le cronache italiane ci informano di un certo numero di casi, seguiti, purtroppo, anche da ben 12 decessi, di “virus del Nilo occidentale” che si sono verificati in Veneto. Cos’è il Virus del Nilo occidentale? Come si prende? Quanta paura bisogna averne?

La febbre del Nilo occidentale (West Nile Fever), ci spiega il sito dell’Istituto Superiore di Sanità, è una malattia provocata dal virus West Nile (West Nile Virus, Wnv), un virus della famiglia dei Flaviviridae isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, nel distretto West Nile da cui prende il nome. Il virus è diffuso in Africa, Asia occidentale, Europa, Australia e America.

I serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare (più frequentemente del tipo Culex), le cui punture sono il principale mezzo di trasmissione all’uomo. Altri mezzi di infezione documentati, anche se molto più rari, sono trapianti di organi, trasfusioni di sangue e la trasmissione madre-feto in gravidanza. La febbre West Nile non si trasmette da persona a persona tramite il contatto con le persone infette. Il virus infetta anche altri mammiferi, soprattutto equini, ma in alcuni casi anche cani, gatti, conigli e altri.

Incubazione e sintomi

Il periodo di incubazione dal momento della puntura della zanzara infetta varia fra 2 e 14 giorni, ma può essere anche di 21 giorni nei soggetti con deficit a carico del sistema immunitario.

La maggior parte delle persone infette non mostra alcun sintomo. Fra i casi sintomatici, circa il 20% presenta sintomi leggeri: febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati, sfoghi cutanei. Questi sintomi possono durare pochi giorni, in rari casi qualche settimana, e possono variare molto a seconda dell’età della persona. Nei bambini è più frequente una febbre leggera, nei giovani la sintomatologia è caratterizzata da febbre mediamente alta, arrossamento degli occhi, mal di testa e dolori muscolari. Negli anziani e nelle persone debilitate, invece, la sintomatologia può essere più grave.

I sintomi più gravi si presentano in media in meno dell’1% delle persone infette (1 persona su 150), e comprendono febbre alta, forti mal di testa, debolezza muscolare, disorientamento, tremori, disturbi alla vista, torpore, convulsioni, fino alla paralisi e al coma. Alcuni effetti neurologici possono essere permanenti. Nei casi più gravi (circa 1 su mille) il virus può causare un’encefalite letale.

Diagnosi

La diagnosi viene prevalentemente effettuata attraverso test di laboratorio (Elisa o Immunofluorescenza) effettuati su siero e, dove indicato, su fluido cerebrospinale, per la ricerca di anticorpi del tipo IgM. Questi anticorpi possono persistere per periodi anche molto lunghi nei soggetti malati (fino a un anno), pertanto la positività a questi test può indicare anche un’infezione pregressa. I campioni raccolti entro 8 giorni dall’insorgenza dei sintomi potrebbero risultare negativi, pertanto è consigliabile ripetere a distanza di tempo il test di laboratorio prima di escludere la malattia. In alternativa la diagnosi può anche essere effettuata attraverso Pcr o coltura virale su campioni di siero e fluido cerebrospinale.

Prevenzione

Non esiste un vaccino per la febbre West Nile. Attualmente sono allo studio dei vaccini, ma per il momento la prevenzione consiste soprattutto nel ridurre l’esposizione alle punture di zanzare.

Pertanto è consigliabile proteggersi dalle punture ed evitare che le zanzare possano riprodursi facilmente:

  • usando repellenti e indossando pantaloni lunghi e camicie a maniche lunghe quando si è all’aperto, soprattutto all’alba e al tramonto
  • usando delle zanzariere alle finestre
  • svuotando di frequente i vasi di fiori o altri contenitori (per esempio i secchi) con acqua stagnante
  • cambiando spesso l’acqua nelle ciotole per gli animali
  • tenendo le piscinette per i bambini in posizione verticale quando non sono usate.

Terapia e trattamento

Non esiste una terapia specifica per la febbre West Nile. Nella maggior parte dei casi, i sintomi scompaiono da soli dopo qualche giorno o possono protrarsi per qualche settimana. Nei casi più gravi è invece necessario il ricovero in ospedale, dove i trattamenti somministrati comprendono fluidi intravenosi e respirazione assistita.

Diffusione

In Italia, fino ai casi attualmente segnalati in Veneto, le zone colpite hanno riguardato, già in passato si erano verificati casi, soprattutto in Emilia-Romagna. Dal 2008 si sono verificati casi di contagio anche in Lombardia e nuovi casi di contagio si sono verificati anche nel 2013 e 2014. Agli inizi di settembre 2017, a Collesalvetti (Livorno) si è verificato un caso di contagio di cui hanno dato notizia gli organi di informazione locali e nazionali, e per cui il Comune di Collesalvetti ha disposto, limitatamente alla località Le Buchette dove il caso si è verificato, trattamenti di disinfestazione e di prevenzione. L’uomo colpito è stato ricoverato all’Ospedale di Livorno e sottoposto ai trattamenti del caso. A scopo precauzionale diverse AVIS locali hanno deciso di effettuare controlli in tal senso sul sangue dei donatori. Anche il Centro Nazionale Trapianti italiano nel 2009 ha deciso di eseguire test per la valutazione di eventuali infezioni da WNV. Il verificarsi di una risposta anticorpale in alcuni donatori provenienti dal Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Marche e Basilicata è risultata decisamente inaspettata ed ha mostrato con grande evidenza che l’infezione da WNV nell’essere umano è presente in diverse regioni italiane. Le zona adiacenti a fiumi o bacini lacustri, in genere, sono più esposte al contagio, data la naturale proliferazione di zanzare in tali zone. Nel 2011 sono state riscontrate diverse morti tra gli equini per il virus anche in Sardegna. Il primo caso di febbre del Nilo occidentale neuroinvasiva in Italia si è verificato nel settembre 2008. Nel 2011 in Sardegna il virus ha causato la morte di due uomini, di 70 e 34 anni rispettivamente.

 

Marte, il progetto di Elon Musk

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“Vuoi svegliarti al mattino e pensare che il futuro sarà grande – ed è questo che significa essere una civiltà dello spazio. Si tratta di credere nel futuro e pensare che il futuro sarà migliore del passato. E non riesco a pensare a qualcosa di più eccitante di andare là fuori ed essere tra le stelle.” – (Elon Musk, CEO e Lead Designer, SpaceX)

Questa frase fu pronunciata da Elon Musk durante la presentazione dell’aggironamento tecnico e di design di quella che fino a quel momento era stata chiamata BFR (Big Falcon Rocket).

Ma la cosa migliore è affidarsi ancora alle parole di Musk stesso per comprendere i suoi progetti:

La cosa più importante che voglio trasmettere in questa presentazione è che penso che abbiamo capito come pagarlo. Questo è molto importante.

Nella presentazione dello scorso anno, eravamo ancora alla ricerca del modo giusto per pagare questa impresa. Abbiamo esaminato varie idee: Kickstarter, elemosina, raccolta di mutande usate da rivendere, ecc. Ora pensiamo di avere trovato un modo per raggiungere questo obiettivo.

Il nostro design aggiornato sfrutta un veicolo più piccolo, ancora abbastanza grande ma un solo veicolo in grado di fare tutto ciò che è necessario per le attività in orbita terrestre alta. Essenzialmente vogliamo rendere superflui i nostri attuali veicoli. Vogliamo avere un sistema, un booster e una nave, in grado di sostituire completamente i sistemi Falcon 9, Falcon Heavy e Dragon. Se riusciamo a farlo, allora tutte le risorse spese per i programmi Falcon 9, Falcon Heavy e Dragon potranno essere investite sul BFR. Si tratterebbe di n cambiamento fondamentale nella nostra politica economica.

Progressi

Il serbatoio criogenico per stoccare l’ossigeno liquido

Questo enorme serbatoio criogenico per l’ossigeno liquido è in realtà un serbatoio di dodici metri: puoi vedere la relativa scala in Figura 1 . Ha un volume di mille metri cubi. Si tratta di un volume di pressurizzazione maggiore più grande di un Airbus A380, tanto per dare un metro di paragone. Abbiamo sviluppato una nuova matrice in fibra di carbonio che è molto più forte e più capace in criogenia di qualsiasi altra cosa sviluppata in precedenza, e contiene fino a 1200 tonnellate di ossigeno liquido.

Fig. 1. 
Fig. 1. Serbatoio di ossigeno liquido criogenico sviluppato da SpaceX.

Abbiamo testato con successo il serbatoio fino alla sua pressione di progetto e poi siamo andati un po’ oltre. Volevamo vedere dove si sarebbe spezzato e siamo riusciti in questo sforzo. Lo abbiamo sparato a circa 90 metri di quota, lo abbiamo visto precipitare e lo abbiamo ripescato. Ora abbiamo una buona idea di ciò che serve per creare un enorme serbatoio in fibra di carbonio che possa contenere liquido criogenico. Si tratta di un progresso estremamente importante nel nostro obbiettivo di creare un’astronave leggera.

Test sui motori a reazione

Il prossimo elemento chiave è sul lato motore. Dobbiamo avere un motore estremamente efficiente; il motore Raptor sarà il motore di spinta più potente, credo, di qualsiasi motore di qualsiasi tipo mai realizzato. Abbiamo già effettuato 42 test per 1200 secondi di accensione del motore. Abbiamo acceso il Raptor per 100 secondi consecutivi. Naturalmente questo motore potrebbe già restare acceso per molto più di 100 secondi, il limite indicato è dovuto esclusivamente alle dimensioni dei serbatoi di prova. La durata prevista dell’accensione per l’atterraggio su Marte è di circa 40 secondi. Il motore di prova funziona attualmente a 200 atmosfere, o 200 bar, il motore di volo sarà a 250 bar, e riteniamo che nel tempo potremmo arrivare a poco più di 300 bar.

Atterraggio perfetto in propulsione

Il successivo elemento chiave è l’atterraggio tramite sistemi di propulsione. Per atterrare su un posto come la Luna dove non c’è atmosfera, e certamente senza passerelle, o atterrare su Marte dove l’atmosfera è troppo rarefatta per atterrare con le ali anche se ci fossero delle landig areas, è necessario essere in grado di gestire ogni momento della fase di atterraggio con i propulsori, senza commettere il minimo errore. Serve un atterraggio perfetto gestito con i propulsori.

L’atterraggio morbido gestito con i propulsori lo pratichiamo normalmente con il booster recuperabile del Falcon 9 ( Fig. 2 ). L’atterraggio finale del Falcon 9 è sempre gestito con un singolo motore mentre con il BFR avremo la possibilità di gestirlo con più motori. Volete un fattore di pucker minimo all’atterraggio, dovete essere in grado di contare essenzialmente sull’atterraggio. L’obbiettivo finale è quello di ottenere un’affidabilità molto elevata nell’atterare con un solo motore per avere maggiore sicurezza usandone due o più. Pensiamo di raggiungere, in poco tempo, un’affidabilità di atterraggio alla pari con quella degli aerei di linea commerciali più sicuri.

Fig. 2. 
Fig. 2. Falcon 9 che completa con successo un atterraggio in propulsione.

Falcon 9 può anche atterrare con altissima precisione. In effetti, crediamo che la precisione a questo punto sia abbastanza buona da non aver bisogno di gambe per la prossima versione. Letteralmente atterrerà con tanta precisione che tornerà sui suoi supporti di lancio.

Tasso di lancio

Quando consideri seriamente l’idea di stabilire una base autosufficiente su Marte o sulla Luna o altrove, alla fine avrai bisogno di migliaia di navi e decine di migliaia di operazioni di rifornimento. Ciò significa che si dovranno effettuare molti lanci al giorno. Per sapere quando avverrà un atterraggio sarà necessario consultare l’orologio, non un calendario.

Quindi, mentre il tasso di lancio attuale di SpaceX è piuttosto elevato rispetto agli standard convenzionali, è comunque un tasso di lancio molto piccolo rispetto a quello che alla fine sarà necessario ( figura 3 ).

Fig. 3. 
Fig. 3. Frequenza di lancio aggiornata e prevista per il 2017/2018.

Appuntamento e attracco

Un’altra tecnologia chiave è quella relativa alle operazioni di rendez-vous automatizzato e di attracco. Per rifornire l’astronave in orbita, devi essere in grado di pianificare l’incontro ed attraccare con la struttura di rifornimento con altissima precisione per poi effettuare il trasferimento del propellente. Questa è una delle cose che abbiamo perfezionato con la capsula Dragon. Dragon 2 esegue già il rendez-vous automatico e l’aggancio senza il controllo di nessun pilota alla Stazione Spaziale Internazionale.

Il Dragon 2, attualmente in servizio, si collega direttamente alla stazione spaziale, senza alcun intervento umano. Basta premere il pulsante “go” e attraccherà. Nel mese di agosto 2018 inizieremo i test per ottenere la licenza per poter far volare con equipaggio la nuova capsula Dragon Crew, che è una Dragon 2 riprogettata per ospitare astronauti.

Dragon ci ha anche permesso di perfezionare la tecnologia relativa allo scudo termico. Quando entri in atmosfera ad alta velocità, rischi di fondere  quasi completamente. È la ragione per cui le meteore non raggiungono la Terra: si sciolgono o si disintegrano prima di raggiungere il suolo, a meno che non siano molto grandi. Per rientrare nell’atmosfera devi disporre di una sofisticata tecnologia per lo scudo termico in grado di sopportare temperature incredibilmente elevate ed è ciò che abbiamo perfezionato con Dragon, anch’esso è una parte fondamentale di qualsiasi sistema di colonizzazione di Marte perchè, pur essendo l’atmosfera di Marte molto sottile, genera un grande attrito entrandoci dallo spazio.

Evoluzione del veicolo

Falcon 1

Falcon 1 è stato il primo passo. Molte persone hanno sentito parlare di SpaceX relativamente di recente, quindi si potrebbe pensare che il Falcon 9 e la capsula Dragon siano apparsi all’improvviso e già pronti ma non è così. Abbiamo iniziato con poche persone che non sapevano come costruire un  missile. E il motivo per cui ho finito per essere l’ingegnere capo o capo progettista, non era perché volevo esserlo, ma perché non potevo assumere nessuno. Nessuno con esperienza era alla nostra portata e ho finito per essere quello che pensava a tutto. E ho incasinato i primi tre lanci, i primi tre lanci falliti. Fortunatamente il quarto lancio – che ci è costato gli ultimi fondi disponibili per il Falcon 1 – è andato bene o sarebbe stata la fine per SpaceX.

Il Falcon 1 era un razzo piuttosto piccolo. Quando stavamo realizzando il Falcon 1 ci siamo chiesti quela fosse il più piccolo carico utile che avremmo potuto mettere in orbita e abbiamo concluso che potevamo lanciare circa mezza tonnellata nella bassa orbita terrestre. Ed è così che abbiamo dimensionato Falcon 1, ma è davvero piccolo rispetto al Falcon 9.

Falcon 9

Il Falcon 9, in particolare quando si calcola il carico utile, può portare in orbita circa trenta volte più carico utile del Falcon 1. E Falcon 9 abbiamo innovato tanto e siamo capaci di riutilizzare il booster principale, che è la parte più costosa del razzo. Stiam lavorando per poter presto riutilizzare anche la carenatura, il grande cono anteriore. Riteniamo di poter arrivare a riutilizzare tra il 70% e l’80% di tutto il sistema Falcon 9.

Falcon Heavy

All’inizio di quest’anno è stato effettuato il primo lancio del Falcon Heavy. Falcon Heavy è diventato un programma molto più complesso di quanto avessimo previsto.

Si potrebbe pensare che il progetto del Falcon Heavy sia stato relativamente semplice perché porta due Falcon 9 legati al primo stadio centrale come potenziamenti. In realtà non è stato facile. Abbiamo dovuto ridisegnare quasi tutto tranne il livello superiore per poter prendere una maggiore quantità di carico utile. Falcon Heavy è diventato un molto più nuovo di quanto ci fossimo resi conto all’inizio, quindi ci è voluto molto più tempo del previsto per realizzarlo ma, alla fine, il lancio è ndato bene, i booster sono rientrati regolarmente a terra e la Tesla Roadster un giorno passerà vicino Marte per poi perdersi nella cintura di asteroidi. Ora è partito lo sviluppo effettivo del BFR ( Figura 4 ).

Fig. 4. 
Fig. 4. Panoramica dei veicoli di SpaceX: Falcon 1, Falcon 9, Falcon Heavy e BFR.

BFR

Dalla figura 5 , si può vedere che la differenza del carico utile trasportabile dal BFR rispetto agli altri veicoli attualmente in servizio è enorme. Con il BFR in configurazione completamente riutilizzabile, senza alcun rifornimento orbitale, ci aspettiamo di avere una capacità di carico utile di 150 tonnellate in bassa orbita terrestre. Questo è paragonabile a circa 30 tonnellate per Falcon Heavy, che è parzialmente riutilizzabile. Questo fa una differenza enorme nei costi, come vedremo più avanti.

Fig. 5. 
Fig. 5. Confronto in tonnellate del carico utile trasportabile dai veicoli SpaceX.

Il BFR sarà davvero un bel veicolo. Il diametro del corpo principale sarà di circa 9 metri e il booster sarà sollevato da 31 motori Raptor che producono una spinta di circa 5.400 tonnellate, sollevando il veicolo da 4.400 tonnellate verso l’alto.

Panoramica della nave BFR

La nave è lunga 48 metri. La massa secca dovrebbe essere di circa 85 tonnellate. Tecnicamente, il nostro design dice 75 tonnellate ma inevitabilmente ci sarà una crescita di massa. La nave conterrà 1.100 tonnellate di propellente con un progetto di risalita di 150 tonnellate e una massa di ritorno di 50 tonnellate.

Nella figura 6, si può vedere la sezione del motore nella parte posteriore, i serbatoi del propellente nel mezzo e poi un grande vano di carico nella parte anteriore. La baia di carico utile è in realtà alta otto piani. In effetti, si potrebbe montare un’intera pila di razzi Falcon 1 nel vano del carico utile. Rispetto al design proposto in rpecedenza, è stata ora inserita una piccola ala a delta sul retro del razzo. Il motivo è espandere la dotazione della missione dell’astronave BFR. A seconda che tu stia atterrando o stai entrando in un pianeta o una luna che non ha atmosfera, un’atmosfera sottile o un’atmosfera densa, e a seconda che tu stia rientrando senza carico nella parte anteriore, un piccolo carico utile o un pesante payload, devi bilanciare il razzo in maniera diversa nel suo ingresso in atmosfera. L’ala delta sul retro, che include anche un lembo diviso per il controllo del beccheggio e del rollio, ci consente di controllare l’angolo di beccheggio pur avendo una vasta gamma di carichi utili nel naso e una vasta gamma di densità atmosferiche. Nel progetto iniziale cercavamo di evitare di avere l’ala a delta, ma si è rivelata necessaria per generalizzare la capacità dell’astronave in modo che potesse atterrare ovunque nel sistema solare.

Fig. 6. 
Fig. 6. Corpo principale del BFR.

Carico BFR / area della cabina

L’area di carico ha un volume pressurizzato di 825 metri cubi, superiore all’area pressurizzata di un A380. Il BFR è in grado di trasportare un’enorme quantità di carico utile. In una configurazione progettata per un viaggio di esseri umani verso Marte, dato che ci vorranno almeno tre mesi di viaggio in uno scenario davvero buono ma, più probabilmente, fino a sei mesi o anche più, serviranno delle cabine e non solamente dei sedili. La configurazione per il viaggio verso Marte prevede 40 cabine. Potremmo ammassare cinque o sei persone per cabina se volessimo ma prevediamo di non mettere più di due o tre persone in ogni cabina. La previsione è di trasportare all’incirca un centinaio di persone in ogni viaggio verso Marte. Il progetto prevede anche un deposito centrale per le scorte di alimenti e cose di prima necessità, una cucina, un rifugio schermato anti-tempesta solare e un’area di intrattenimento. Penso che questa configurazione prevista sia una buona soluzione per questa versione del BFR.

Il corpo principale del BFR

Nel corpo centrale del veicolo, si trova il propellente, metano e ossigeno sub-raffreddati. Quando si raffreddano il metano e l’ossigeno al di sotto del loro punto di liquefazione, si ottiene un aumento di densità piuttosto significativo. L’aumento di densità previsto va dal 10 al 12 percento, il che fa una grande differenza per il carico del propellente. Prevediamo di trasportare 240 tonnellate di metano (CH4 ) e 860 tonnellate di ossigeno.

I motori del BFR

La sezione del motore della nave è composta da quattro motori Raptor a vuoto e due motori a livello del mare ( Fig 7). I due motori centrali hanno una gamma cardanica molto alta e possono oscillare molto velocemente. La cosa fondamentale è che la nave è in grado di atterrare utilizzando uno solo dei due motori centrali. Quando inizia la fase di atterraggio, la nave accenderà entrambi i motori ma se uno dei motori centrali fallisce in qualsiasi momento, sarà in grado di atterrare con successo con l’altro motore. All’interno di ogni motore c’è una grande quantità di ridondanza perché vogliamo che il rischio di atterraggio sia il più vicino possibile allo zero.

Fig. 7. 
Fig. 7. I Motori del BFR.

Capacità di razzo

La Figura 8 offre un rudimentale raffronto sulla capacità dei missili, partendo dalla fascia bassa con il Falcon 1 da mezzo tonnellata e poi salendo fino al BFR da 150 tonnellate. Penso che sia importante notare che il BFR ha più capacità del Saturn V, rispetto al quale sarà, inoltre, pienamente riutilizzabile. Ora veniamo alla parte più importanti: i costi.

Fig. 8. 
Fig. 8. Capacità del razzo: carico utile trasportabile in orbita terrestre bassa in tonnellate. Il BFR ha una maggiore capacità di carico utile rispetto al Saturno V, pur essendo completamente riutilizzabile.

Quando guardi i veicoli e confronti il costo marginale di lancio, l’ordine si inverte ( Fig. 9). So che a prima vista può sembrare strano, ma non lo è. Pensate agli aerei. Se volessi acquistare un piccolo velivolo turboelica monomotore, il costo andrebbe da uno a mezzo a due milioni di dollari. Per noleggiare un 747 dalla California all’Australia il costo è di mezzo milione di dollari, andata e ritorno. Il turboelica monomotore non può nemmeno arrivare in Australia. Quindi un velivolo gigante completamente riutilizzabile come il 747 costa un terzo rispetto ad un veicolo nuovo molto più piccolo. In un caso devi ordinare e far costruire un intero velivolo, nell’altro caso devi solo effettuare il rifornimento di carburante e poco altro. È davvero pazzesco che costruiamo questi sofisticati missili e li buttiamo ogni volta che voliamo. Questo è assurdo. La riutilizzabilità dei veicoli è assolutamente importante. Spesso mi viene detto, “ma potresti ottenere più carico utile se lo rendessi spendibile.” Dico “sì, potresti anche ottenere più carico da un aereo se ti sei sbarazzato del carrello di atterraggio e dei flap e ti paracadutassi quando fossi sulla destinazione. Ma sarebbe pazzesco e venderesti zero aerei.La riusabilità è assolutamente fondamentale.

Fig. 9. 
Fig. 9. Costo di lancio: costo marginale per lancio che tiene conto della riusabilità. A causa della piena riutilizzabilità, BFR offre il costo marginale più basso per lancio, nonostante la capacità enormemente superiore rispetto ai veicoli esistenti.

Valore della ricarica

Ora voglio parlare del valore del rifornimento in orbita. È una cosa estremamente importante. Lanciando in orbita il BFR e non si fa rifornimento, si possono portare 150 tonnellate di carico in orbita terrestre bassa ma non si ha il carburante per andare altrove.

Tuttavia, se si inviano navi serbatoio e si effettua un rifornimento in orbita, è possibile riempire completamente i serbatoi e ottenere 150 tonnellate di propellente per arrivare fino a Marte. E se la nave serbatoio ha una capacità di riutilizzo elevata, allora si paga solo il costo del propellente, il costo dell’ossigeno e il costo del metano, per un costo finale estremamente basso. Insomma, il costo per rifornire la tua astronave in orbita è minuscolo e ti può permettere di arrivare fino a Marte. Quindi rendez-vous automatizzato, docking e ricarica sono assolutamente fondamentali.

Pagamento per BFR

Tornando alla domanda “Come paghiamo per questo sistema?” Il primo punto da sottolineare è che il BFR finirà per sostituire tutti gli altri sistemi. Falcon 9, Falcon Heavy e Dragon saranno dismessi e si punterà tutto sul BFR. Questo ci permetterà di dirottare tutte le risorse su questo sistema.

Ovviamente, alcuni dei nostri clienti sono prudenti e vogliono vedere il BFR completare con successo più lanci prima di sentirsi confidenti, quindi quello che intendiamo fare è portare avanti il progetto BFR e avere una scorta di veicoli Falcon 9 e Dragon in modo che i clienti possano sentirsi a proprio agio. Se vogliono usare il vecchio razzo o nave spaziale, possono farlo perché avremo una riserva in magazzino, ma tutte le nostre risorse saranno dedicate alla costruzione del BFR; crediamo di poterlo fare con le entrate che riceviamo per il lancio di satelliti e per la manutenzione della stazione spaziale.

Satelliti

La dimensione di questo nuovo veicolo è di nove metri di diametro, forse perfino troppo grande per inviare su solo satelliti. In realtà possiamo inviare qualcosa di quasi nove metri di diametro in orbita. Ad esempio, se volessero fare un nuovo Hubble (due mesi fa SpaceX ha inviato in orbita il nuovo telescopio orbitante TESS, utilizzando un Falcon 9), si potrebbe inviare in orbita un telescopio con uno specchio con una superficie pari a 10 volte l’attuale Hubble, come singola unità che non deve essere dispiegata. Si possono lanciare un gran numero di piccoli satelliti. Volendo, il BFR potrebbe anche raccogliere vecchi satelliti o ripulire i detriti spaziali, potrebbe diventare uno dei business del futuro. La carenatura si aprirà, si ritrarrà e poi tornerà indietro, consentendo il lancio di satelliti significativamente più grandi di qualsiasi cosa che abbiamo fatto prima o molti più satelliti di quanto mai fatto prima ( Fig. 10 ).

Fig. 10. 
Fig. 10. Posizionamento di satelliti nell’orbita terrestre.

Stazione Spaziale Internazionale

il BFR potrà essere utilizzato anche per trasportare uomini, strumenti e rifornimenti alla Stazione Spaziale Internazionale ( figura 11 ). So che sembra troppo grosso rispetto alla stazione spaziale, ma anche lo Shuttle sembrava grande, quindi funzionerà. Sarà in grado di fare ciò che la navicella Dragon fa oggi in termini di trasporto di merci e potrà anche rpendere il posto della Dragon Crew per il trasporto di carichi e astronauti. Ma BFR potrà andare molto oltre, ad esempio, potrà andare sulla Luna.

Fig. 11. 
Fig. 11. Ancoraggio con la Stazione Spaziale Internazionale.

Missioni lunari

Sulla base dei nostri calcoli, possiamo effettivamente realizzare missioni di superficie lunari senza la necessità di produrre propellente per il ritorno sulla superficie della Luna ( Fig. 12 ). Se ci posizioniamo in un’orbita di parcheggio alta e sfruttiamo una nave cargo per il rifornimento in orbita,  possiamo andare fino alla Luna e tornare indietro ( Fig. 13 ). Questo permetterebbe la creazione di una base lunare, siamo nel 2018, dovremmo avere una base sulla Luna ormai.

Fig. 12. 
Fig. 12. Stabilire una base lunare.
Fig. 13. 
Fig. 13. Missioni di superficie lunari.

Marte

Diventare una specie multi-pianeta aumenterebbe le nostre possibilità di sopravvivere, come specie, ad una catastrofe globale. L’invio di una misisone esplorativa su Marte dovrebbe avvenire dopo avere individuato un’area datta per l’atterraggio.

Architettura per il viaggio su Marte

L’approccio sarebbe lo stesso che ho menzionato prima, cioè inviare l’astronave in orbita, rifornirla fino all’orlo di carburante e poi inviarla su Marte ( Fig. 14 ). Su Marte, però, sarà necessario produrre localmente il propellente per il ritorno. Un asetto positivo di Marte è che la sua atmosfera abbonda di CO2 e, per quanto se ne sa, è disponibile molta acqua ghiacciata. Questo ti dà CO2 e H2O, quindi puoi creare CH4 e O2 usando il processo di Sabatier. Dovrei menzionare che, a lungo termine, questo può essere fatto anche sulla Terra. A volte ricevo alcune critiche come: “Perché stai usando la combustione nei razzi e hai le macchine elettriche?” Beh, non c’è modo di costruire un razzo elettrico, vorrei che ci fosse, ma a lungo termine si potrà usare l’energia solare per estrarre CO2 dall’atmosfera. Combinando la CO2 con acqua si possono produrre carburante e ossigeno per il razzo. La stessa cosa che stiamo progettando di fare su Marte, potremmo fare sulla Terra per combattere l’inquinamento ed il riscaldamento globale.

Fig. 14. 
Fig. 14. Architettura di trasporto per Marte.

Atterrare su Marte non sarà la cosa più difficile, il problema è che dovremo costruire un deposito di propellente per riempire i serbatoi e tornare sulla Terra. Poiché Marte ha una gravità inferiore a quella terrestre, non ci sarà bisogno di uns econdo rifornimento in orbita, potremo lanciare la nave salla superficie marziana e dirigerci direttamente verso la Terra. Abbiamo calcolato che per il viaggio di ritorno sarà necessario un carico utile compreso tra 20 e 50 tonnellate, ma si tratta di un singolo stadio fino alla Terra.

Ingresso nell’atmosfera marziana

entreremo nell’atmosfera marziana molto velocemente, alla velocità di sette chilometri e mezzo al secondo. Avremo, forse, qualche ablazione dello scudo termico, un po’ come una pastiglia dei freni che si consuma. Ma avremo uno scudo termico multiuso. L’usura prevista non è tale da sollevare timori per il rientro sulla Terra.

Atterraggio su Marte

Poiché Marte ha un’atmosfera, anche se non particolarmente densa, possiamo rimuovere quasi tutta l’energia cinetica aerodinamicamente. E abbiamo provato la retropropulsione supersonica molte volte con Falcon 9, quindi ci sentiamo molto a nostro agio.

Marte, obiettivi della missione

Pensiamo di effettuare le nostre prime missioni cargo nel 2022. Al momento è più un’aspirazione che una previsione realistica ma speriamo di riuscirci. Abbiamo già iniziato a costruire il sistema: sono stati ordinati le parti per i serbatoi principali, la struttura è in costruzione e sta iniziando la costruzione della nave. Contiamo di fare il primo volo di prova del BFR verso la metà del 2019. Sono abbastanza fiducioso del fatto che potremo lanciare la prima nave in tempo per il rendez-vous del 2022 con Marte ( Fig. 15). La sincronizzazione Terra-Marte avviene all’incirca ogni due anni, quindi ogni due anni c’è l’opportunità di volare su Marte.

Fig. 15. 
Fig. 15. Obiettivi iniziali della missione su Marte.

Nel 2024 speriamo di poter inviare quattro navi: due cargo e due con equipaggio. L’obiettivo della prima missione è trovare un buon deposito di acqua ghiacciata mentre la seconda missione dovrebbe costruire l’impianto per l’estrazione del propellente. Dovremmo – avendo inviato sei navi lì – disporre di parecchie attrezzature per costruire l’impianto di estrazione ed il deposito di propellente. Installeremo una centrale per produrre energia grazie a pannelli solari, e quindi tutto il necessario per estrarre e rifinire l’acqua, estrarre la COdall’atmosfera, e quindi sintetizzare e stoccare metano ed ossigeno a temperature criogeniche.

Base di Marte

La base inizierà con una nave, poi più navi, quindi inizieremo a costruire la città e ad espanderla. Inizialmente dovremo rifugiarsi nelle astronavi, poi nel sottosuolo e in cupole atte a proteggere dalle radiazioni cosmiche ma, nel tempo, troveremo il modo di terraformare Marte e renderlo davvero un bel posto dove stare ( Fig. 16 ).

Fig. 16. 
Fig. 16. Progressione della base di Marte.

È una bella immagine. Su Marte, l’alba e il tramonto sono blu. Il cielo è blu all’alba e al tramonto e rosso durante il giorno. È l’opposto della Terra ( Fig. 17 ).

Fig. 17. 
Fig. 17. Colonia di marte.

Trasporto di linea da luogo a luogo sulla Terra

Ma c’è dell’altro. Se costruisci una nave che è in grado di andare su Marte, cosa succede se prendi la stessa nave e vai da un posto all’altro sulla Terra? Abbiamo esaminato questo aspetto e i risultati sono piuttosto interessanti ( Fig. 18 ).

Fig. 18. 
Fig. 18. Confronti temporali tra la Terra e la Terra.

Con il BFR, il trasporto da un luogo all’altro della Terra, qualsiasi luogo, avverebbe a 27.000 chilometri all’ora. La maggior parte di quelli che le persone considerano viaggi di lunga distanza sarebbero completati in meno di mezz’ora. La cosa grandiosa di andare nello spazio è che non c’è attrito, quindi una volta che sei fuori dall’atmosfera, sarà liscio come la seta. Nessuna turbolenza, un viaggio tranquillo e piacevole. Se stiamo costruendo questa cosa per andare sulla Luna e su Marte, allora perché non andare anche in altri posti sulla Terra?

Grazie.

Fonte: https://www.liebertpub.com

È stato annunciato il cast di StarWars ep. IX: c’è anche Carrie Fisher

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Star Wars: Episodio IX inizierà le riprese il 1 agosto a Londra.  Lucasfilm ha annunciato il cast degli attori che parteciperanno al film, che è ancora senza titolo, descritto come “l’ultimo capitolo della saga di Skywalker“.

Confermati Daisy Ridley, Adam Driver, John Boyega, Oscar Isaac, Lupita Nyong’o, Domhnall Gleeson, Kelly Marie Tran, Joonas Suotamo e Billie Lourd e Anthony DanielsMark Hamill riprenderà anche il ruolo di Luke Skywalker, la cui forma fisica è svanita alla fine di Star Wars: The Last Jedi . Nel frattempo, Billy Dee Williams riprenderà il suo ruolo di Lando Calrissian per la prima volta dal 1983 in Star Wars: Return of the Jedi .

Inoltre, la defunta Carrie Fisher, morta prima dell’uscita di Star Wars: The Last Jedi nel 2017, apparirà nel ruolo del generale Leia Organa attraverso l’uso di filmati inediti registrati per The Force Awakens .

Abbiamo disperatamente amato Carrie Fisher“, ha dichiarato il regista JJ Abrams. “Trovare una conclusione veramente soddisfacente per la saga di Skywalker senza di lei sarebbe stato impossibile, e non abbiamo intenzione di ricreare il personaggio in CGI. Con il sostegno e la benedizione di sua figlia Billie, abbiamo trovato un modo per onorare il lascito e il ruolo di Carrie come Leia nell’episodio IX usando filmati inediti che abbiamo girato per episodio VII. “

Abrams, che ha anche diretto The Force Awakens , ha co-sceneggiato il film con Chris Terrio.

Star Wars: Episodio IX uscirà nelle sale il 20 dicembre 2019.

Articolo originale pubblicato su Newsarama.

L’assedio di Waco

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L’assedio di Waco fu un’operazione di polizia federale condotta dall’amministrazione Clinton nel 1993 per espugnare un ranch di Waco (Texas) nel quale si erano barricati i davidiani, i membri, cioè, di una setta religiosa che faceva capo a David Koresh.

L’assedio durò 50 giorni: cominciò il 28 febbraio e si concluse il successivo 19 aprile con l’incendio del ranch, dopo il quale si contarono 76 morti tra i membri della setta (fra cui 24 cittadini del Regno Unito, 20 bambini e due donne in gravidanza), compreso il leader della setta.

davidiani vivevano in una specie di comune, situata al vertice di una collina chiamata Mount Carmel (“Monte Carmelo”) nei pressi della cittadina di Waco.

Secondo quanto riporta Wikipedia, sulla collina era nata la setta nel 1955 ma, in seguito ad una scissione, si erano formate due fazioni, ognuna delle quali reclamava il possesso della collina e del ranch; i davidiani insediati sul Carmelo erano guidati da George Roden, che aveva espulso dal ranch la fazione fedele a Koresh (pseudonimo di Vernon Howell).

Secondo Howell-Koresh, nel 1987 Roden avrebbe compiuto atti sacrileghi sul cadavere di una defunta esponente della setta, Anna Hughes; Koresh avrebbe allora tentato, con alcuni fedelissimi, di accedere con la forza alla cappella sulla collina, ma Roden armato di una mitraglietta IMI Uzi avrebbe iniziato a sparare contro i suo fedeli ed anche contro gli uomini del locale sceriffo, nel frattempo sopraggiunti.

Roden fu arrestato e condannato alla prigione mentre Koresh, saldati i debiti della comunità riprese legalmente il possesso del del ranch e della collina. Nel 1989 Roden, agli arresti domiciliari, uccise con un’ascia un davidiano che era andato a trovarlo e fu quindi rinchiuso in manicomio.

Nel frattempo David Koresh informò i suoi fedeli che Dio lo aveva incaricato di procreare una stirpe quanto più ampia possibile per creare una “Casa di Davide“. Tutte le donne della comunità, pertanto, dividendosi dai propri mariti, si disposero a facilitare l’avveramento del disegno divino rivelato al loro profeta.

Nel 1993 il governo degli Stati Uniti cominciò ad indagare su Koresh e su quanto stesse accadendo davvero dentro al ranch; sulla base anche di informazioni fornite da un fuoriuscito della setta circa il possesso da parte del leader di armi ed esplosivi, si formularono diverse ipotesi di reato (possesso illegale di armi, abuso di alcool e droga, pedofilia, ecc.) e si decise per una perquisizione dei locali.

Secondo quanto riporta Gore Vidal nel suo “La fine della libertà“, Koresh si dimostrò sempre disponibile al confronto con i federali, ma questi mai risposero ai suoi appelli finchè, il 28 febbraio 1993 una squadra di agenti federali giunse al Mount Carmel Center, un complesso di edifici nel quale avevano luogo le attività dei davidiani, per verificare la presenza di armi ed esplosivo in un arsenale della setta mascherato da deposito.

Durante la perquisizione nacque una sparatoria tra le due parti in cui morirono 4 agenti e altre 16 persone rimasero ferite. Gli agenti sopravvissuti riuscirono a fuggire dal centro e, poche ore dopo, iniziò l’assedio di Waco ad opera dell’FBI e della Delta force.

Il Posse Comitatus Act del 1878 vieta l’utilizzo dei federali per le risoluzioni dei conflitti sul diritto privato, ma esistono eccezioni legali alla sua applicazione in caso di emergenza (invocati soprattutto dagli anni ’80 in relazione alla lotta alla droga, ma non solo. Reagan applicò un’eccezione nel 1987 nel caso della rivolta penitenziaria di Atlanta, e Clinton nel caso stesso di Waco).

Il 19 aprile 1993, un gruppo di agenti speciali dell’FBI e reparti scelti della “Delta Force”, che utilizzarono anche veicoli corazzati e carri armati di grossa stazza, circondarono la collina ed il ranch in cui era rifugiata la setta religiosa non lasciando loro nessuna possibilità di fuga. Al termine dell’assedio, settantasei, tra uomini, donne e bambini morirono, mentre nessun federale rimase ucciso.

l'assedio di waco
l’assedio di waco

All’interno della comune vennero rinvenute 305 armi automatiche appartenute alla setta, tra cui AK47 e AR15 modificati.

Teorie del complotto

Il giorno 19 aprile 1993 l’FBI utilizzò un alto numero di granate contenenti gas CS durante l’assalto alla setta di Waco. Il gas CS è altamente infiammabile ed esplosivo in ambienti chiusi e il successivo uso di dispositivi incendiari ne avrebbe provocato l’esplosione. Tutti gli edifici che componevano il ranch bruciarono totalmente e molti cadaveri recuperati dopo il raid presentavano dosi letali di cianuro, un prodotto della combustione del gas CS.

Nel 1999, il direttore dell’FBI, Louis Freeh, ammise che «almeno due bombe lacrimogene pirotecniche furono sparate a Waco», specificando, però, che «avevano come obiettivo il bunker sotterraneo di cemento, lontano dall’edificio principale in legno, però sono rimbalzate, finendo su un campo aperto. Non hanno nulla a che fare con le fiamme».

Le buone intenzioni delle ammissioni di Freeh per provare a tranquillizzare gli animi gli si ritorsero contro, e ripresero le proteste che accusavano l’amministrazione Clinton di strage di Stato per l’assedio di Waco e, in particolare verso Janet Reno, ministro della Giustizia, accusata di depistare le indagini per fare luce sulla vicenda.

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Fino ad allora, l’FBI aveva dichiarato che il rogo era scaturito dopo l’appiccamento di un incendio all’interno del centro da parte dei davidiani, intenti a porre fine all’assedio con un suicidio di massa. Sebbene ci fossero state accuse più o meno pesanti alla violenta azione delle autorità nei confronti della setta, fino ad allora solo i complottisti avevano avanzato l’ipotesi di un rogo doloso innescato molto probabilmente dalle forze governative per concludere il controverso capitolo della setta di David Koresh.

A complicare ulteriormente la posizione del governo, ci fu anche la presunta scomparsa di 3 cartelle di documenti sui fatti di Waco dall’ufficio di Vince Foster, tra l’altro morto suicida nel ’93 e sulla cui morte furono aperte tre inchieste federali, senza che mancassero, anche in quel caso, numerose formulazioni complottiste e accuse di depistaggio alla presidenza.

La presunta attività della Delta Force, l’unità antiterrorismo americana, sul luogo dell’assedio di Waco costituirebbe inoltre una violazione della legge americana che vieta la presenza di qualsiasi gruppo delle forze armate nel corso di operazioni della polizia.

Scelti gli astronauti che collauderanno le capsule Dragon e Starliner: la NASA li annuncerà il 3 agosto

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Le capsule spaziali Starliner CST-100 della Boeing e Crew Dragon della SpaceX stanno per avere i loro primi astronauti: il 3 agosto la NASA annuncerà gli astronauti assegnati ai voli di prova e ai viaggi inaugurali del programma commerciale con equipaggio.

L’evento sarà trasmesso dalla NASA dallo Johnson Space Center (JSC) di Houston alle 1500 GMT, dove l’amministratore della NASA Jim Bridenstine introdurrà gli astronauti. Saranno coinvolti anche il direttore del JSC Mark Geyer e il direttore del Kennedy Space Center Bob Cabana, nonché i rappresentanti di SpaceX e Boeing. È quanto risulta da una nota pubblicata dalla NASA.

Il programma commerciale con equipaggio della NASA permetterà, per la prima volta, a Boeing e SpaceX di lanciare astronauti verso Stazione Spaziale Internazionale.

Si tratterà di una serie di lanci di collaudo legati all’ottenimento dell’autorizzazione ad effettuari voli con equipaggio per lo Starliner di Boeing, che utilizzerà come lanciatore un razzo Atlas 5 della United Launch Alliance, e per la capsula Crew Dragon di SpaceX che verrà lanciata dai collaudatissimi razzi  con il primo stadio recuperabile Falcon 9 realizzati in casa dall’azienda di Elon Musk.

Sia Boeing che SpaceX, dopo un percorso di sviluppo e test delle loro navicelle spaziali costellato di ritardi, sono pronti ad effettuare i primi voli di prova con equipaggio a partire da agosto 2018. Attualmente la capsula Dragon di SpaceX trasporta rifornimenti verso la Stazione Spaziale Internazionale volando in automatico.

La Capsula Dragon Crew è una versione modificata, in grado di trasportare fino a sette membri di equipaggio sulla Stazione Spaziale Internazionale. Si tratterà, come è nello spirito di SpaceX di una capsula riutilizzabile fino a dieci volte e le sue missioni operative di avvarrano del lanciatore della SpaceX Falcon Heavy

L’ottenimento da parte di Boeing e SpaceX della licenza di volo con astronauti a bordo è fondamentale per la NASA che a metà 2019 esaurirà il proprio contratto di collaborazione con ROSCOSMOS per l’invio di astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale con le vecchie ma affidabili capsule Soyuz.

Nel caso che le due compagnie non riuscissero ad ottenere le licenze necessarie al volo spaziale umano per le loro capsule entro il 2019, la NASA rischia di non poter mandare astronauti sulla ISS almeno fino a tutto il 2020.

La base nazista in antartide, Neu Berlin o base 211

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Tra le tante ipotesi di complotto che si susseguono e talvolta intersacano sul web ce n’è una relativa ad un presunto rifugio di gerarchi nazisti situato sotto i ghiacci dell’Antartide: la Base 211Neu Berlin.

Sulla base di presunte dichiarazioni rese dopo la guerra da altrettanto presunti, o forse sarebbe meglio scrivere fantomatici, ex membri del governo nazista, qualcuno ha ipotizzato che il regime, fin dall’inizio della guerra, si fosse impegnato nel realizzate luoghi di rifugio sotterranei sicuri per le loro forze militari. La notizia troverebbe conferma nel fatto che, dal 1940, sarebbero stati molti i sommergibili tedeschi inviati nella zona antartica.

Secondo teorie cospirative indimostrate e assolutamente prive di riscontri, l’Operazione Highjump, una missione esplorativa antartica voluta dal contrammiraglio Richard E. Byrd della US Navy e comandata da Richard Cruzen, che le forze armate statunitensi organizzarono negli anni successivi alla guerra, avrebbe avuto lo scopo occulto di individuare le ipotetiche ultime basi naziste in Antartide.

Altre teorie pseudostoriche correlano questa base agli UFO, alla morte di Hitler e alla costruzione del Quarto Reich. Ad alimentare ulteriormente la leggenda, si è aggiunto un altro fatto: pare che dopo la resa del Reich, l’ammiraglio Karl Dönitz avesse ordinato, via radio, a tutti gli U-Boot ancora in circolazione di cessare la propria attività e quindi di arrendersi. Il 10 luglio 1945 (circa 2 mesi dopo l’ordine di resa dato da Dönitz) un U-Boot Tipo IX, numero 530, approdò in Argentina.

La cosa che più lasciò perplessi era che il sottomarino a bordo fosse privo di documenti di navigazione e addirittura di armamento, con poco carburante ed equipaggio ridotto al minimo. Il 530 era comandato da Otto Wermuth, che con esso era salpato il 3 marzo 1945 da Horten in Norvegia. Il sottomarino navigò ben 130 giorni, di cui la metà trascorsi in mare senza la minima possibilità di rifornimento. Al suo arrivo in Argentina, l’equipaggio fu arrestato e tradotto in un campo di prigionia e, quindi, interrogato dai servizi segreti su cosa fosse accaduto durante gli ultimi mesi di navigazione, ottenendo risultati dubbi e contrastanti.

L’apparente occultamento delle prove (eliminazione di documenti ed armamento) a bordo del 530 diede vita a diverse ipotesi che avrebbero voluto fornire una risposta alla domanda: tra queste quella secondo la quale il 530, negli ultimi 2 mesi, avesse fatto rotta verso Antartide, più precisamente verso la segretissima Base 211, con lo scopo di trasportarvi scienziati, armamento e progetti segretissimi, e come ultimo obiettivo quello di fare ritorno in Argentina e di arrendersi.

Il destino finale dell’U-Boot 530 fu quello di essere usato (e infine affondato) come bersaglio dalla marina statunitense il 27 novembre 1947.

Nel 2011 questa leggenda ebbe nuova fama grazie ad una foto satellitare scattata da Google Maps, in cui appariva il presunto hangar di ingresso della Base 211. Nonostante si trattasse solo del soffitto crollato di un lago o di una grotta sotterranea, la notizia si diffuse molto via internet e oggi è ancora visibile alle coordinate 66°36’12.34”S 99°43’11.21”E.

Resta da dire che nel 2016 un gruppo di studio del Russian Arctic National Park avrebbe condotto le ricerche nell’artico, sull’isola di Alexandra Land, trovando oltre 500 reperti militari risalenti proprio alla seconda guerra mondiale come latte di petrolio, uniformi militari, documenti, munizioni, strumenti meteorologici.

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In realtà, la base militare nazista nell’Artico era già stata menzionata anni fa attraverso un libro tedesco, il Wettertrupp Haudegen nel 1954, ma nessuno mai lo aveva considerato come testo attinente alla realtà, tanto da essere ritenuto solamente un mito di guerra. Il libro raccontava che la base militare tedesca nell’Artico doveva servire come punto di aiuto per tutti i sottomarini che viaggiavano verso il Mare del Nord. La stazione di servizio avrebbe svolto la sua attività solo per un anno dal 1943 al 1944, visto che, i militari dovettero abbandonare la base per aver contratto una bruttissima infezione intestinale, la trichinellosi, dopo aver mangiato carne di orso contaminata da parassiti.

Forse, l’idea di una base nascosta sotto il ghiaccio dell’antartide passò davvero nelle menti dei gerarchi nazisti e le voci sulla presenza, e poi l’effettivo ritrovamento, della base artica di Alexandra Land potrebbe aver dato fiato alle ipotesi dei complottisti e di qualche nostalgico.

Ad oggi, a parte qualche bufala come quella su Google maps, non è emersa alcuna evidenza della reale esistenza di tale base.

La base 211 è una delle ambientazioni nelle quali si svolgono i fatti della trilogia ucronica di “Occidente” dello scrittore e giornalista Mario Farneti, in cui L’Italia fascista non aveva partecipato alla seconda guerra mondiale, ritrovandosi, anzi, poi alleata con gli USA contro l’URSS in una vittoriosa guerra successiva ed il regime era potuto arrivare fino ai giorni nostri, quando i nazisti di “Nuova Berlino” con il loro 4° reich riemergono dall’antartide con il solito progetto di dominare il mondo.

Politica: l’immunologo Silvestri bolla come deprimente la proposta di legge “free vax” dei 5 stelle alla regione Lazio

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Il professor Guido Silvestri, immunologo vicino al movimento cinque stelle di cui è anche consulente in campo sanitario, parla su facebook dell’assurda proposta presentata alla regione Lazio dai consiglieri Davide Barillari e Roberta Lombardi. Intitolata “Legge quadro di revisione del sistema vaccinale regionale” la proposta di legge presentata dai due esponenti del Movimento 5 Stelle nella Regione Lazio sembra più un manifesto dei movimenti free vax e no vax.

Come analizzato dalla testata di settore Quotidiano Sanità, la proposta porta alla ribalta tutti i cavalli di battaglia delle associazioni per la “libertà di scelta” sui vaccini. Rendendo molto più burocratico e complesso, dove non addirittura umiliante, vaccinare i propri figli.

Come riporta l’Espresso, un esempio su tutti è il secondo punto dell’articolo 11, quello che regola i rapporti con le scuole, e che prevede una quarantena di 4-6 settimane per i bimbi vaccinati con virus attenuato al fine di evitare contagi. Un punto particolarmente caro ai movimenti free vax e conseguente a una celebre bufala che da anni gira sul web, partita dalla non corretta interpretazione di un bugiardino.L'assurda legge no vax del Movimento 5 Stelle nel Lazio: quarantena per i bambini vaccinati

Guido Silvestri ha rilasciato uno sfogo sconsolato su Facebook in cui stigmatizza l’assurda proposta di legge ed auspica che i vertici del movimento cinque stelle stoppino la cosa evitando di far fare a tutto il movimento la figura di ideologia “antiscientifica“.
Di seguito, lo sfogo del professor Silvestri sul social network:

PERCHE’?

Esami pre-vaccinali? Bambini vaccinati in quarantena? E’ deprimente, semplicemente deprimente. Non credo ci possano essere altre definizioni per quello che si prova a leggere questa proposta di legge regionale per il Lazio.

L’unico motivo di ottimismo, tirato per i capelli, e’ che questa e’ una iniziativa del tutto simbolica che ovviamente non avra’ nessuno effetto pratico, e che verra’ completamente sconfessata a livello nazionale e ministeriale.

Ma dal punto di vista scientifico e culturale e’ una presa di posizione totalmente assurda, e da quello politico rappresenta un clamoroso regalo a quelli che “M5S e’ contro la scienza” . E preciso, se mai ce ne fosse bisogno, che mi dissocio nel modo piu’ assoluto da questa roba.

Per questo faccio una domanda pubblica alla leadership del movimento. Nel maggio 2017, in mezzo ad un attacco mediatico nazionale ed internazionale contro M5S sui vaccini, una proposta del genere sarebbe stata stoppata immediatamente. Ora, invece, passa senza alcun problema.

Allora vi chiedo: PERCHE’? Scienza e Medicina non seguono il vento dei sondaggi e del “news cycle”, ma si basano su esperimenti, dati, ed evidenze. Quella che era una bestialita’ scientifica nel maggio 2017 rimane una bestialita’ nel luglio 2018, anche se il clima politico e’ completamente cambiato.

Per questo dico: attenzione con questi equilibrismi che sanno tanto di furbata acchiappa-voti. Perche’ su certi temi non si possono tenere i piedi in due staffe. Non e’ piu’ nemmeno una questione di scienza, o di opinioni politiche. E’ solo una elementare questione di coerenza logica.

PS: Spero che i tanti medici e scienziati dentro M5S si facciano sentire, perche’ ci sono cose che non possono essere accettate in silenzio.” (Guido Silvestri)

Marte, il radar italiano MARSIS scopre un lago di acqua salata sotto il polo sud di Marte

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Conferenza stampa di presentazione di un’importante scoperta scientifica inerente Marte, effettuata da un team tutto italiano.

La scoperta è stata possibile grazie all’utilizzo dello strumento MARSIS (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding), un radar italiano istallato a bordo della sonda europea Mars Express.

MARSIS (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding) è un radar italiano multifrequenza utilizzato dalla missione ESA Mars Express.
I suoi obiettivi principali sono l’identificazione e la mappatura di acqua, sia liquida che ghiacciata, nello strato fino a 5 km sotto la superficie del pianeta.

Utilizzando tecniche SAR (Radar ad apertura sintetica) può scandagliare il sottosuolo. In orbita intorno a Marte e grazie alle lunghe antenne di 20m applicate alla sonda, lo strumento riceve e analizza gli echi delle onde radio che vengono riflesse dal suolo e dal sottosuolo.
Nel sottosuolo, la presenza di una sacca di acqua è facile da rilevare poichè modifica fortemente il segnale riflesso. Anche nel caso di ghiaccio l’identificazione è possibile anche se più difficile da effettuare, generando un eco simile a quello della roccia. Lo strumento permette inoltre di caratterizzare i materiali e quanto è liscia la superficie.

Gli scienziati ESA hanno comunicato nel novembre del 2005 di aver individuato un lago ghiacciato nel sottosuolo marziano, nei pressi di Chryse Planitia, per mezzo del radar MARSIS. Nel 2007 attraverso il radar sono state effettuate delle stime di massima sulla quantità di acqua immagazzinata nel polo sud del pianeta sotto forma di ghiaccio

Partecipano alla conferenza stampa:

Enrico Flamini, Professore di Planetologia presso l’Università di Chieti-Pescara e Responsabile di Progetto dell’esperimento MARSIS per l’Agenzia Spaziale Italiana.,

Elena Pettinelli Responsabile del Laboratorio di Fisica Applicata alla Terra ed ai Pianeti dell’Università degli studi Roma Tre, co-investigator di MARSIS,

Roberto Orosei Ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e responsabile scientifico del radar MARSIS.

La nuova scoperta di MARSIS – conferenza stampa

Il dott. Flamini annuncia che è stata scoperta acqua liquidi sotto la superficie di Marte.

Nel passato, spiega lo scienziato italiano, L’acqua era abbondante su Marte e si presentava in superficie con oceani, fiumi e laghi. Quest’acqua è in parte evaporata e portata via dal vento solare durante gli ultimi miliardi di anni ma continua ad essere presente in superficie sotto forma di ghiaccio al polo nord e, in parte, al polo sud, mista a ghiaccio di co2.

Il succo della scoperta odierna è la scoperta di un lago di acqua salata, individuato grazie alle indagini di MARSIS, che sembra possedere tutti i requisiti per ospitare la vita.

Il lago si trova ad un chilometro e mezzo di profondità, esiste da molto tempo, ha acqua liquida, sali ed è protetto dai raggi cosmici: questi, dicono gli autori della ricerca, sono elementi che potrebbero far pensare anche a una nicchia biologica.

Ora la dottoressa Pettinelli sta spiegando come opera MARSIS e come si è arrivati alla scoperta attuale.

Il lago si trova in profondità sotto la calotta ghicciata del polo sud marziano.

Già altri depositi di acqua erano stati in passato mappati dal Mars Advanced Radar per Subsurface e Ionosferic Sounding (MARSIS).

Come spiegano gli scineziati, la sola immagine del radar non è sufficiente a dimostrare che si tratti di acqua liquida. Un altro indizio viene dalla permittività del materiale riflettente: cioè la sua capacità di immagazzinare energia in un campo elettrico. L’acqua ha una maggiore permettività rispetto a roccia e ghiaccio. Calcolare la permittività richiede la conoscenza della potenza del segnale riflessa dalla patch luminosa, qualcosa che i ricercatori hanno solo potuto stimare e, secondo i dati rilevati, la permittività nell’area esaminata è più alta che altrove su Marte e paragonabile a quella dei laghi subglaciali della Terra. Sebbene non sia possibile misurare lo spessore dello strato d’acqua, secondo il dott. Orosei non stiamo parlando di un film sottile di acqua ma, probabilmente di una profondità di almeno qualche metro. L’area del lago sembra presentare un diametro di almeno 20 chilometri.

Non tutti sono ottimisti circa la possibilità che il lago rappresenti un ambiente idoneo alla vita, gli alti livelli di sale, che unitamente alla pressione dei ghiacci sovrastanti impediscono all’acqua di congelare alle temperature di molti gradi sotto lo zero che si ritiene vi siano, non sembrano l’ideale per la presenza di eventuali forme di vita paragonabili a quelle della Terra ma c’è da dire che eventuali forme di vita marziane avrebbero avuto miliardi di anni per adattarsi a vivere in quelle condizioni, anche se naturalmente, al momento non è dimostrato nè dimostrabile che possano essercene. Un altro importante fatto da rilevare è questo grande lago è protetto dai raggi cosmici dalla sua profondità.

Ora il team di ricerca italiano che gestisce il MARSIS tenterà di scoprire se nell’area sono presenti altri laghi in profondità e se siano collegati tra loro come succede per i laghi subglaciali situati in profondità sotto il polo sud della Terra.

Il dott. Orosei, dell’Istituto di Radioastronomia di Bologna dell’Inaf ha affermato che “Il lago, buio e salato, è probabilmente profondo qualche metro e si trova nella regione di Marte chiamata Planum Australe, nel Polo Sud del pianeta. Si tratta della prima evidenza della presenza di acqua liquida sotto al polo sud di Marte, un vasto lago subglaciale ampio quasi venti chilometri. Questa notizia era attesa da 30 o 40 anni. I dati raccolti dal radar Marsis fra maggio 2012 e dicembre 2015 mostrano che si tratta di una massa d’acqua stabile. Il grande lago buio e salato del Polo Sud potrebbe non essere l’unico: potrebbero essercene altri e, ora, sappiamo come cercarli.

La ricerca, ora, soprattutto con la missione Exomars che partirà nel 2020, tenterà di individuare altri laghi nelle zone più temperate di Marte.

La calcolatrice di Leonardo Da Vinci

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di Oliver Melis

Leonardo da Vinci fu, indiscutibilmente un genio visionario capace di immaginare il futuro. Famosissimi sono i suoi disegni in cui, nei suoi codex, riportava i progetti di macchine meravigliose e decisamente fantascientifiche per il suo tempo. Così ci sono giunte le sue idee per realizzare macchine da guerra che somigliano ai moderni carriarmati o i suoi progetti sulle macchine volanti e molto altro ancora.

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Tra i tanti progetti tramandatici da Leonardo, alcuni non hanno una finalità ben chiara e questo ha lasciato spazio agli appassionati per sbizzarrire la fantasia sulle incredibili invenzioni del poliedrico scienziato ed artista italiano.

Per esempio, il folio 36v del Codice di Madrid di Leonardo da Vinci riporta dei disegni progettuali di un insieme di ingranaggi, costituito da numerose rotelle simili tra loro. La descrizione dell’uso cui sarebbe stato destinato lo strumento non è molto comprensibile ma, una ricostruzione degli anni ’60 effettuata da Roberto A. Guatelli, un ingegnere che lavorava per l’IBM allo scopo di creare repliche dei macchinari leonardeschi, identificherebbe il macchinario come una primitiva calcolatrice meccanica, inventata quasi 150 anni prima della “pascalina” di Blaise Pascal.

calcolatrice di leonardo

La replica costruita da Guatelli venne esposta ma subì moltissime critiche. Secondo i critici, la macchina originale non avrebbe mai potuto funzionare, perchè l’attrito provocato dai materiali in uso all’epoca sarebbe stato eccessivo. Probabilmente il marchingegno era solo un ingranaggio moltiplicatore.

Se si fosse trattato davvero del progetto per una calcolatrice sarebbe stato piuttosto incompleto: da nessuna parte è previsto un sistema di input per la macchina e le rotelle non sono numerate. Tuttavia, l’oggetto sembra facilmente convertibile in una calcolatrice, il che dimostra che Leonardo Da Vinci, consapevolmente o meno, andò davvero vicino ad inventare la prima macchina capace di effettuare calcoli.

Fonte: history-computer.com