venerdì, Marzo 7, 2025
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Due settimane senza macchie solari: siamo entrati nel minimo solare?

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Il nostro Sole attraversa un ciclo di attività di 11 anni, durante il quale produce moltissimi brillamenti che “sporcano” la superficie con le cosiddette macchie solari. Da oltre due settimane il Sole compare agli osservatori privo di macchie, inducendo il sospetto che, forse, abbiamo raggiunto il fatidico minimo solare di questo ciclo. Per confermare questo sospetto, tuttavia, è necessario aspettare ancora circa tre mesi, perché il valore viene calcolato su un periodo di 12 mesi.

Le macchie solari sono regioni (relativamente) più fredde della superficie solare che all’osservazione appaiono come macchie scure. Sono modellate dall’attività magnetica, che i ricercatori ritengono si verifichi nelle profondità del Sole.

Il ciclo di attività del Sole è qualcosa che è ben studiato, ma non ancora ben compreso. Anche a febbraio abbiamo avuto un mese intero senza macchie solari. In realtà, si tratta di un comportamento che ci aspettiamo dal Sole in questa fase del suo ciclo”. Così David Williams, uno ricercatore che si occupa delle operazioni strumentali per la missione dell’ESA Solar Orbiter.

In precedenza, i ricercatori avevano previsto la fine del ciclo solare nel periodo che andrà tra la metà del 2019 e la fine del 2020. Finora, il Sole non ha presentato macchie per 92 di 156 giorni quest’anno. Nel marzo 2018, ci sono stati 26 giorni in cui non sono apparse macchie solari. All’epoca, alcuni ricercatori suggerirono che si era già raggiunto il minimo solare, il che avrebbe comportato un ciclo insolitamente breve.

Il ciclo solare che sta terminando adesso ha attirato molta attenzione perché il suo massimo è stato molto più debole rispetto ai precedenti sette (dal 1935), e il minimo sembrava stesse durando più a lungo del solito“, ha aggiunto il dott. Williams. “Questo periodo di tempo copre il periodo durante il quale abbiamo avuto un grande sviluppo tecnologico ed è iniziata l’era spaziale, un’epoca in cui abbiamo osservato con molta attenzione i fenomeni spaziali. Questo ciclo, però, sarebbe stato considerato abbastanza tipico nel periodo tra 1880 ed il1935.”

Raccogliere dati sul ciclo solare e sulle macchie solari è fondamentale per le nostre infrastrutture globali. Le macchie solari sono associate ai brillamenti solari e alle tempeste solari, che possono bombardare il nostro pianeta con ondate di particelle elettricamente cariche che possono danneggiare l’elettronica su cui si basa gran parte della nostra civiltà.

I ricercatori sperano di utilizzare uno degli strumenti a bordo del Solar Orbiter dell’ESA per sondare gli strati più profondi del Sole studiando la propagazione delle onde sonore al suo interno. La missione verrà lanciata nel prossimo febbraio, data che potrebbe coincidere con l’inizio del nuovo ciclo solare.

I cicli solare vengono misurati da minimo a minimo. Il Sole è attualmente nel suo 24esimo ciclo da quando è iniziata la registrazione su vasta scala delle macchie solari, nel 1755.

Fonte: Spaceweather

Breaking news: in uno strano tweet Trump sembra stabilire un nuovo obbiettivo per la NASA

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In un sorprendente tweet, il presidente Trump ha dichiarato che la NASA “dovrebbe [non] parlare di andare sulla Luna“, ma dovrebbe concentrarsi su “cose ​​molto più grandi“.

Per tutti i soldi che stiamo spendendo, la NASA NON dovrebbe parlare di andare sulla Luna – L’abbiamo fatto 50 anni fa“, ha scritto Trump in un tweet inviato dall’Air Force One. “Dovrebbero concentrarsi sulle cose molto più grandi che stiamo facendo, incluso Marte (di cui la Luna è una parte), Difesa e Scienza!

La Casa Bianca e la NASA non hanno ancora risposto alle richieste di commenti.

La scoperta delle onde gravitazionali

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Cento anni dopo che Albert Einstein ha predetto l’esistenza delle onde gravitazionali, gli scienziati hanno finalmente individuato queste increspature sfuggenti nello spazio-tempo.

ondeNell’annuncio molto atteso dell’11 febbraio 2016, i fisici dell’ Advanced Laser Interferometer Gravitational – Wave Observatory (LIGO) confermarono che  gli interferometri gemelli avevano rivelato onde gravitazionali prodotte dalla collisione di due buchi neri a  circa 400 MegaParsec (1,3 miliardi di anni luce) di distanza dalla Terra; un buco nero di circa 36 volte la massa del Sole, e l’altro di circa 29, si son fusi in un unico più massiccio buco nero di 62 masse solari. Le 3 masse solari mancanti al totale della somma equivalgono all’energia emessa durante il processo di fusione dei due buchi neri, sotto forma di onde gravitazionali, appunto.

Queste sorprendenti osservazioni sono l’ulteriore conferma della teoria della gravità di Einstein: l’equazione di campo di Einstein (linearizzata), infatti, ammette soluzioni ondulatorie per il tensore metrico, così come avviene per il campo elettromagnetico e le equazioni di Maxwell.

Le onde gravitazionali possono essere quindi considerate a tutti gli effetti una forma di radiazione gravitazionale. Al passaggio di un’onda gravitazionale, le distanze fra punti nello spazio tridimensionale si contraggono ed espandono ritmicamente: effetto difficile da rilevare, perché anche gli strumenti di misura della distanza subiscono la medesima deformazione.

Fronti d’onda di particolare intensità possono essere generati da fenomeni cosmici in cui enormi masse variano la loro distribuzione in modo repentino (e con un momento di quadrupolo non nullo), ad esempio nell’esplosione di supernovae o nella collisione di oggetti massivi (come la fusione dei due buchi neri che hanno permesso di rivelarle).onde 4

 

Questa è stata anche la prima osservazione della fusione di due buchi neri; l’evento è stato così violento ed intenso che ha irradiato temporaneamente più energia – sotto forma di onde gravitazionali – di tutta l’energia delle stelle dell’universo osservabile emessa come luce nella stessa quantità di tempo.

onde 5A questo punto, si è aperto un nuovo campo, l’astronomia delle onde gravitazionali, in cui gli scienziati potranno studiare le onde per conoscere meglio gli oggetti che le possono produrre, tra cui buchi neri, stelle di neutroni e supernovae. Questo è solo il primo passo di uno sviluppo molto più grande perché le onde gravitazionali si uniranno ai raggi gamma, ai raggi X e alle onde radio come parte del ‘kit di strumenti’ che gli scienziati hanno a disposizione per comprendere l’universo.

onde 2L’attore principale di questa scoperta è la collaborazione dell’esperimento LIGO, che aveva già trascorso un decennio alla ricerca del segnale negli anni 2000 prima dell’aggiornamento da  200 milioni di dollari che ha migliorato la sensibilità dei suoi rivelatori gemelli, uno a Livingston, in Louisiana, e l’altro ad Hanford, nello stato di Washington.

La scoperta in sé è stata fatta prima che la versione aggiornata, Advanced Ligo, avesse ufficialmente iniziato a prendere dati scientifici. Alle 11:50 ora italiana del 14 settembre 2015, durante il ‘run‘ per la prima osservazione dell’esperimento,  il fisico del LIGO Marco Drago, dell’Istituto Max Planck per la Fisica della Gravitazione ad Hannover, in Germania, ha visto uno strano segnale sul suo computer. Il software che analizza i dati in tempo reale stava indicando che entrambi gli interferometri avevano visto un’onda simile al cinguettio di un uccello con un passo in rapido aumento. Nel giro di un’ora, la notizia aveva raggiunto il capo di Drago, il fisico Bruce Allen.

La registrazione sembrava troppo bella per essere vera. All’inizio si era pensato fosse una ‘iniezione’: in passato, alcuni membri senior del team LIGO avevano testato la capacità del gruppo di convalidare una potenziale scoperta con l’inserimento di nascosto di ‘iniezioni cieche’ di onde gravitazionali false nel flusso di dati per verificare se il gruppo di ricerca fosse in grado di distinguere tra i segnali reali e falsi.

Ma la rilevazione di settembre è accaduta prima che fossero immesse iniezioni cieche, per cui si è capito subito che ci si trovava davanti ad un segnale da un vero e proprio fenomeno astrofisico nell’Universo.onde 3

 

onde 6 1
I segnali captati dai due LIGO. Sulle ordinate è riportato il rapporto tra la variazione di distanza tra le masse test indotta dall’onda gravitazionale e la lunghezza di un braccio dell’interferometro, pari in entrambi i casi a 4 km. Si vede che l’ordine di grandezza delle variazioni di distanze misurate è: 10-21×103 m = 10-18 m (fonte: LIGO collaboration)

E’ stata un’oscillazione iniziata a 35 cicli al secondo (hertz) che rapidamente è aumentata a 250 hertz. Poi rapidamente  è diventata caotica, spegnendosi; il tutto era cominciato e finito entro un quarto di secondo. Entrambi i rivelatori hanno effettuato la misura più o meno allo stesso tempo – il rivelatore di Livingston prima, e Hanford 7 millisecondi dopo. Questo ritardo è un’indicazione di come le onde hanno investito la Terra.

Altri rilevatori di onde gravitazionali – l’interferometro Virgo vicino a Pisa, e l’interferometro GEO600 vicino a Hannover – non operavano al momento e quindi non hanno potuto confermare il segnale. Se Advanced Virgo fosse stato operativo, avrebbe probabilmente rilevato l’evento, così dice il suo portavoce, Fulvio Ricci, un fisico dell’Università di Roma La Sapienza.

Per individuare la fonte delle onde gravitazionali, i ricercatori hanno dovuto triangolare il segnale notato da diversi dispositivi sparsi intorno alla Terra. Ora che VIRGO è operativo, gli scienziati si aspettano di essere meglio in grado di individuare le future sorgenti di onde gravitazionali. Un altro interferometro in Giappone è in fase di sviluppo, e un terzo sito LIGO in India è stato proposto. Una maggiore diffusione geografica di rivelatori rafforzerebbe la fiducia in tutti i segnali.

Il 15 giugno 2016 è stato annunciato il secondo rilevamento di un’onda gravitazionale, anch’essa provocata dalla fusione di due buchi neri, rilevata il 26 dicembre 2015. La massa dei due buchi neri, distanti 1,4 miliardi di anni luce, coinvolti nell’evento è stimata tra le 14 e le 8 masse solari, molto inferiore a quella del primo evento, infatti, l’evento è stato evidenziato solo dall’elaborazione dei dati degli osservatori, in collaborazione con VIRGO.

La prima osservazione indiretta di onde gravitazionali è stata nel 1974, i fisici Joseph Taylor e Russell Hulse dell’Università del Massachusetts Amherst hanno confermato l’esistenza delle onde gravitazionali guardando lampi radio emessi da una coppia di stelle di neutroni che spiraleggiavano l’un l’altra; i cambiamenti nei tempi dei lampi si abbinavano alle previsioni di Einsten di come le onde gravitazionali porterebbero l’energia lontano dall’evento. Questa scoperta valse il premio Nobel per la Fisica del 1993.

Ma la rivelazione diretta delle onde ha dovuto attendere la sensibilità raggiunta da Advanced Ligo, che può rilevare allungamenti e compressioni dello spazio-tempo nell’ordine di una parte su 1022  – paragonabili a un cambiamento piccolo come un capello nella distanza dal Sole ad Alpha Centauri, la stella più vicina al sistema solare. I doppi interferometri LIGO rimbalzano raggi laser tra specchi alle estremità opposte di tubi lunghi 4 chilometri  che sono impostati perpendicolarmente l’uno all’altro. Un’onda gravitazionale che gli passa attraverso altera la lunghezza di uno dei bracci, spostando leggermente fuori sincronia i raggi laser.

Più di 1.000 scienziati ora appartengono alla collaborazione LIGO. Studiando le onde gravitazionali, questa nuova generazione di ricercatori prevede di sondare  nuovi regni della fisica, tra cui strong-field gravity, l’universo primordiale e come si comporta la materia ad altissima densità.

LSC – LIGO SCIENTIFIC COLLABORATION

Observation of Gravitational Waves from a Binary Black Hole Merger B. P. Abbott et al. (LIGO Scientific Collaboration and Virgo Collaboration) Phys. Rev. Lett. 116, 061102 – Published 11 February 2016

LIGO Bags Another Black Hole Merger

Stefania de Luca è owner del gruppo facebook Astrofisica, cosmologia e fisica particellare

NASA: La stazione spaziale internazionale è aperta per le attività commerciali in orbita

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La NASA, impegnata a spostare le sue priorità sull’atterraggio degli astronauti sulla luna nel 2024, ha aperto la Stazione Spaziale Internazionale alle attività commerciali dei privati. Lo hanno annunciato funzionari dell’agenzia spaziale statunitense durante una conferenza stampa al Nasdaq MarketSite

Le compagnie private possono ora candidarsi per lanciare missioni commerciali con equipaggio di breve durata sulla Stazione Spaziale Internazionale per condurre attività economiche come produzione basata nello spazio, il marketing e la pubblicità. 

Anche se gli astronauti privati ​​non lavoreranno per la NASA, continueranno a ricevere il rigoroso addestramento degli astronauti della NASA per consentire all’agenzia spaziale di assicurarsi che siano qualificati per il volo spaziale. Questi astronauti potranno volare fino alla stazione spaziale utilizzando le navette commerciali di SpaceX e di Boeing.

Nei piani della NASA, il supporto tecnologico ed economico alla ISS dovrebbe terminare entro il 2024, lo stesso anno in cui, secondo il programma Artemis, gli astronauti della NASA dovrebbero tornare sulla superficie della luna. Con o senza la NASA, la stazione, ormai ventennale, si sta avvicinando alla fine della sua vita

In pratica, piuttosto che abbandonare la Stazione Spaziale, la NASA sta trasferendone l’utilizzazione al settore privato per stimolare lo sviluppo di un’economia spaziale in bassa orbita terrestre e concedere alle aziende impegnate nel programma Artemis un posto ideale per la dimostrazione ed i test delle tecnologie necessarie per l’atterraggio della luna del 2024

Commercializzare la ISS “consentirà alla NASA di concentrare le risorse per sbarcare il prossimo uomo e la prima donna sulla luna entro il 2024“, ha detto Jeff DeWit, responsabile finanziario della NASA. 

Dopo il 2024, la ISS sarà gestita dai partner commerciali e internazionali della NASA, ma l’agenzia non si ritirerà completamente dalla stazione. Piuttosto, la NASA diventerà uno dei molti clienti che acquisteranno servizi presso la ISS a un costo inferiore per i contribuenti rispetto a quello che attualmente costa, ha detto DeWit

Più di 50 aziende stanno già utilizzando la ISS per la ricerca e lo sviluppo. Secondo la nuova politica della NASA, le entità commerciali avranno l’opportunità di ampliare la portata delle loro attività nel laboratorio orbitante, includendo attività di produzione, marketing, pubblicità e altre attività for-profit, ha detto Robyn Gatens, vicedirettore della NASA per il programma ISS, concludendo la conferenza stampa. 

La NASA ha pubblicato linee guida dettagliate per le società private che desiderano candidarsi per l’uso della ISS, linee guida che possono essere lette direttamente sul sito dell’Agenzia Spaziale Americana.

Fonte: space.com

In questi giorni Giove è così vicino alla Terra che è possibile vedere le sue lune con un binocolo

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Qualche notte fa, un amico ha chiesto, “Che stella è quella?” Stavamo guardando un punto luminoso che brillava sopra l’orizzonte, ma non era una stella, era Giove. Il gigante gassoso del sistema solare in questi giorni è alla sua minima distanza dalla Terra.

Giove arriverà all’opposizione lunedì 10 giugno, un evento annuale che segna il momento in cui la Terra si trova direttamente tra il gigante gassoso e il Sole. Questo significa che Giove è alla distanza minima dell’anno rispetto alla Terra ed è possibile vederlo in cielo per tutta la notte, magari con un binocolo ed un piccolo telescopio per poter osservare anche le sue quattro lune galileiane.

Guardare in queste notti il pianeta più grande del sistema solare attraverso un binocolo potrebbe permettere di vedere anche, oltre alle quattro lune, un accenno dei f asci di nuvole che circondano il pianeta. Gli astronomi dilettanti dotati di attrezzature un po’ più evolute potranno osservare lo spettacolo offerto dal signore dei pianeti del sistema solare come non capita altre volte durante l’anno. Perfino la NASA suggerisce agli appassionati di astronomia di non perdere l’occasione.

Per sfruttare al meglio l’occasione, sarà opportuno trovarsi in un’area a basso inquinamento luminoso e, come detto, essere dotarsi almeno di un piccolo binocolo.

Dove si troverà Giove nel cielo in questi giorni?

Giove, come scritto sopra, si troverà all’opposizione il giorno 10 giugno. Staremo nella situazione di massima visibilità del pianeta, che sarà osservabile per tutta la notte. Al tramontare del Sole, Giove appare ad oriente sull’orizzonte e ed è possibile seguirlo in cielo fino all’alba. In questo periodo Giove raggiungerà anche la massima luminosità e la minima distanza dalla Terra per quest’anno. Questo mese Giove rimane nella costellazione dell’Ofiuco.

I 4 satelliti galileiani (IoEuropaGanimede e Callisto), si mostreranno come piccoli puntini bianchi che danzano da un lato all’altro del pianeta sulla linea dell’equatore creando spettacolari configurazioni.

Altre osservazioni

L’osservazione di Giove potrebbe essere, per appassionati e non, anche l’occasione per effettuare altre osservazioni. Per esempio, in questi giorni, Saturno si mostra in cielo intorno a mezzanotte, ed è osservabile a Sud-Est. Saturno si muove con modo retrogrado nel Sagittario.

Giugno è anche il momento migliore del 2019 per tentare l’osservazione di Mercurio. A metà mese infatti, tramonta circa un’ora e quarantacinque minuti dopo il Sole e la sua distanza angolare dal Sole (chiamata elongazione) supererà i 25 gradi intorno al giorno 23. Mercurio si può individuare sull’orizzonte occidentale, vicino a Marte, con il quale sarà in congiunzione il giorno 18.

ATTENZIONE: se si usa uno strumento ottico per osservare Mercurio, NON inquadrare MAI il Sole se non si è dotati di apposito filtro. Potrebbero verificarsi conseguenze gravissime per la vista!

 

Una misteriosa e preoccupante eco radar in cielo ma era una nuvola di coccinelle

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I meteorologi della California del Sud, qualche sera fa, hanno avuto una strana sorpresa quando si sono trovati sul radar del Servizio meteorologico nazionale un enorme blob. Le dimensioni di questo bizzarro fenomeno erano notevoli, arrivava a misurare circa 130 per 130 chilometri e veniva ripreso mentre si spostava verso sud sulla contea di San Bernardino.

I meteorologi, per capire di cosa si trattasse hanno chiesto ad un osservatore meteorologico locale di mettere a fuoco la massa misteriosa, il LA Times ha riferito che non c’erano fenomeni di pioggia in quel momento, anche se il segnale radar indicava la presenza di molti oggetti a forma di goccia di pioggia. Alla fine, gli osservatori sono riusciti a mettere a fuoco numerose coccinelle e hanno concluso che il bizzarro “blob” era un gigantesco sciame dei piccoli coleotteri rossi maculati in movimento.

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Non è chiaro quale fosse la tipologia di coccinelle, dal momento che la California ospita circa 200 specie differenti. Un ipotesi probabile potrebbe essere la Hippodamia convergens, comunemente chiamata coleottero convergente, un insetto tipicamente utilizzato per il controllo biologico dei parassiti da giardino, gli afidi, di cui sono ghiotti.

Si è presunto che la massa dell’ipotetico sciame, volando ad un’altitudine compresa tra 1,5 e 2,7 chilometri non poteva essere grande come appariva sul radar. Si è visto infatti che la maggior parte degli insetti erano concentrati in un’area di soli 16 chilometri e anche in quel momento non era una massa addensata bensì estesa.

Questa insolita situazione ha inizialmente creato una certa apprensione. In effetti anche se le coccinelle sono insetti che migrano, è raro vederne cosi tante in questo determinato periodo dell’anno. Generalmente cercano luoghi caldi per riuscire a sopravvivere all’inverno nevoso, tornando poi in primavera per nutrirsi di afidi.

aggregazione per adulti di ladybeetles convergenti
Aggregazione di coccinelle convergenti adulte. ( Drobincorvette / CC BY-SA 3.0 / Wikimedia )

Questo fenomeno e comparso un po’ prima di quanto mi sarei aspettato“, ha dichiarato alla Reuters l’entomologo dell’UC Riverside, Ring Cardé. A suo avviso, essendo stato lo scorso inverno insolitamente umido e piovoso, un numero maggiore del solito di coccinelle ha potuto sopravvivere al letargo e, con l’aumento delle temperatura, ci si poteva aspettare che queste avrebbero iniziato a muoversi in massa.

“Potrebbe essere una conseguenza di qualcosa provocato dal clima o nella popolazione delle prede? Ovviamente, lo scenario migliore sarebbe che in questo momento ci siano le condizioni ottimali per la sopravvivenza delle coccinelle in California”. 

Qualcuno, però, pensa che potrebbe anche non essere uno sciame di coccinelle. Sebbene il team abbia lavorato sodo per confermarlo, non sono riusciti a raccogliere alcuna prova a sostegno di questa supposizione. L’entomologo Steve Heydon, del Bohart Museum of Entomology, ha dichiarato al Guardian, che le temperature di quella sera erano comunque più fresche di quelle generalmente preferite dalle coccinelle.

Inoltre, l’ecologista James Cornett, ha dichiarato al Desert Sun, che trova difficile credere alla “teoria delle coccinelle“, dal momento che gli insetti di solito si muovono in sciami di poche migliaia e non di decine di milioni, numero che sarebbe servito a creare lo sciame visibile sui radar.

Nel frattempo, il “blob”o nuvola, è letteralmente scomparso dal radar, quindi è possibile che non sapremo mai cosa abbia causato questo misterioso fenomeno.

Un nuovo test per l’EmDrive

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DALLA NASCITA dell’era spaziale, il sogno di viaggiare verso un altro sistema solare è stato appannaggio esclusivo della fantascienza, ostacolato nella realtà dalla tirannia “dell’equazione del razzo“, che pone limiti precisi alla velocità e alle dimensioni dei veicoli spaziali che lanciamo nello spazio. Anche con i motori a razzo più potenti oggi disponibili, gli scienziati stimano sarebbero necessari almeno 50.000 anni per raggiungere Alpha Centauri, la stella a noi più vicina Se gli umani sperano di vedere, un giorno, un’alba aliena, i tempi di viaggio dovranno diminuire in modo significativo.

Per questa ragione, alcuni scienziati sono andati a mutuare proprio dalla fantascienza alcuni concetti avanzati di propulsione che, se realizzati, potrebbero permetterci di ridurre drasticamente i tempi dei viaggi spaziali. Tra questi, pochi hanno generato altrettanta eccitazione – e controversie – come l’EmDrive. Descritto per la prima volta quasi due decenni fa, l’EmDrive funziona, o dovrebbe funzionare, convertendo l’elettricità in microonde e convogliando questa radiazione elettromagnetica attraverso una camera conica. In teoria, le microonde dovrebbero esercitare una forza contro le pareti della camera per produrre una spinta sufficiente a spingere un veicolo spaziale, una volta arrivato nello spazio.

Per ora, però, l’EmDrive esiste solo come prototipo di laboratorio e non è ancora chiaro se sia in grado di produrre davvero una spinta. Se lo fa, le forze che genera non sono abbastanza forti da essere registrate ad occhio nudo, e tanto meno spingere un veicolo spaziale.

Negli ultimi anni, tuttavia, alcuni gruppi di ricerca, tra cui uno della NASA, ci hanno lavorato sopra e affermano di aver prodotto con successo una spinta con un EmDrive. Se fosse confermato, otterremmo uno dei più grandi progressi nella storia dell’esplorazione spaziale. Il problema è che la spinta osservata in questi esperimenti è così piccola che è difficile dire se è reale.

Per capirci definitivamente qualcosa è necessario progettare uno strumento in grado di misurare queste minuscole quantità di spinta. Così una squadra di fisici della Technische Universität di Dresda ha deciso di creare un dispositivo in grado di soddisfare questa esigenza.

Guidato dal fisico Martin Tajmar, il progetto SpaceDrive mira a creare uno strumento così sensibile e immune da interferenze che metterebbe fine al dibattito sull’effettivo funzionamento dell’EmDrive una volta per tutte. A ottobre, Tajmar e il suo team hanno presentato il loro secondo set di misurazioni EmDrive sperimentali al Congresso internazionale di astronautica ed i loro risultati saranno pubblicati in Acta Astronautica questo agosto. Sulla base dei risultati di questi esperimenti, Tajmar afferma che una risoluzione della saga dell’EmDrive potrebbe essere solo a pochi mesi di distanza.

Molti scienziati e ingegneri sostengono che l’EmDrive non può funzionare perché sembra violare le leggi della fisica. Le microonde che spingono sulle pareti di una camera EmDrive sembrano generare una spinta ex nihilo, che funziona in contrasto con la conservazione del momento: è tutta azione e nessuna reazione.
I sostenitori dell’EmDrive, a loro volta, fanno appello a interpretazioni marginali della meccanica quantistica per spiegare come l’EmDrive possa funzionare senza violare la fisica newtoniana. “Dal punto di vista della teoria, nessuno prende questo sul serio”, dice Tajmar. “Se l’EmDrive è in grado di produrre una spinta, come hanno sostenuto alcuni gruppi, non abbiamo la minima idea su da dove questa spinta provenga”. Quando c’è una spaccatura teorica di questa portata nella scienza, per Tajmar esiste solo un modo per risolvere la controversia: sperimentazione.
Alla fine del 2016, Tajmar e altri 25 fisici si sono riuniti a Estes Park, in Colorado, per la prima conferenza dedicata all’EmDrive e ai relativi sistemi di propulsione esotica. Una delle presentazioni più emozionanti è stata fatta da Paul March, un fisico del laboratorio Eagleworks della NASA, dove lui e il suo collega Harold White hanno testato vari prototipi EmDrive. Secondo la presentazione di marzo e un successivo articolo pubblicato sul Journal of Propulsion and Power, lui e White hanno osservato diverse dozzine di micro-newton di spinta nel loro prototipo EmDrive. (Per fare un paragone, un singolo motore SpaceX Merlin produce circa 845.000 Newton di spinta al livello del mare.) Il problema per Harold e White, tuttavia, era che la loro configurazione sperimentale consentiva diverse fonti di interferenza, quindi non potevano dire di sicuro se ciò che hanno osservato era effettivamente spinta.
Tajmar e il gruppo di Dresda hanno usato una replica del prototipo EmDrive usato da Harold e White nei loro test alla NASA. Consiste in un tronco di rame, un cono con la parte superiore mozzata, lunga poco meno di un piede. Questo disegno può essere ricondotto all’ingegnere Roger Shawyer, che per primo descrisse l’EmDrive nel 2001. Durante i test, il cono EmDrive è posto in una camera a vuoto. Fuori dalla camera, un dispositivo genera un segnale a microonde che viene trasmesso, utilizzando cavi coassiali, alle antenne all’interno del cono.
Non è stata la prima volta che il team di Dresda ha cercato di misurare quantità di forza quasi impercettibili. Costruirono aggeggi simili per il loro lavoro sui propulsori ionici, che sono usati per posizionare con precisione i satelliti nello spazio. Questi propulsori che generano micro-newton di spinta sono il tipo utilizzato dalla missione LISH Pathfinder, che richiede una capacità di posizionamento estremamente precisa per rilevare fenomeni deboli come le onde gravitazionali. Ma per studiare l’EmDrive e simili sistemi di propulsione propellantless, è necessaria una risoluzione nell’ordine dei nano-newton.
Per approcciare la questione, il team ha deciso di utilizzare un equilibrio di torsione, un equilibrio di tipo a pendolo che misura la quantità di coppia applicata all’asse del pendolo. Una versione meno sensibile di questo equilibrio è stata utilizzata anche dal team della NASA quando pensavano che il loro EmDrive producesse spinta. Per misurare con precisione una quantità di forza così piccola, il team di Dresda ha utilizzato un interferometro laser per misurare lo spostamento fisico delle scale di equilibrio prodotte dall’EmDrive. Secondo Tajmar, la loro scala di torsione ha una risoluzione di nano-newton e supporta i propulsori che pesano parecchi chili, rendendola la più sensibile esistente all’equilibrio di spinta.

Ma un thrust veramente sensibile non è molto utile a meno che non si possa anche determinare se la forza rilevata sia effettivamente spinta e non un artefatto da interferenza esterna. E ci sono molte spiegazioni alternative per le osservazioni di Harold e White.

Per determinare se un EmDrive produce effettivamente una spinta, i ricercatori devono essere in grado di proteggere il dispositivo dalle interferenze causate dai poli magnetici della Terra, dalle vibrazioni sismiche provenienti dall’ambiente e dall’espansione termica dell’EmDrive a causa del riscaldamento delle microonde.

Le modifiche al design del bilanciamento della torsione, per controllare meglio l’alimentazione dell’EmDrive e proteggerlo dai campi magnetici, hanno risolto alcuni dei problemi di interferenza. Un problema più difficile è stato come verificare la “deriva termica“. Quando la potenza fluisce verso l’EmDrive, il cono di rame si riscalda e si espande, spostando il suo centro di gravità quel tanto che basta per far sì che l’equilibrio torsionale registri una forza che può essere scambiata per spinta. Tajmar e la sua squadra speravano che cambiare l’orientamento del propulsore aiutasse a risolvere questo problema.

Nel corso di 55 esperimenti, Tajmar e i suoi colleghi hanno registrato una media di 3,4 micro-newton di forza dall’EmDrive, un risultato molto simile a quanto rilevato dal team della NASA. Purtroppo, queste forze non sembrano passare il test di deriva termica. Le forze viste nei dati erano più indicative di espansione termica che di spinta.

In ogni caso, non tutto è perduto per l’EmDrive. Tajmar e i suoi colleghi stanno sviluppando due ulteriori tipi di bilanci di spinta, tra cui un equilibrio superconduttore che, tra le altre cose, aiuterà ad eliminare i falsi positivi prodotti dalla deriva termica. Se rileveranno una forza da un EmDrive su questi equilibri, c’è un’alta probabilità che si tratti effettivamente di spinta. Ma se nessuna forza verrà registrata su questi equilibri, probabilmente tutte le precedenti osservazioni di spinta sull’EmDrive sono stati falsi positivi. Tajmar dice che spera di avere un verdetto finale entro la fine dell’anno.

Anche un risultato negativo, comunque, potrebbe non uccidere l’EmDrive per sempre. Ci sono molti altri progetti di propulsione propellantless da perseguire. E se gli scienziati svilupperanno mai nuove forme di propulsione debole, i sensori di equilibrio iper-sensibili sviluppati da Tajmar e dal team di Dresda, quasi sicuramente avranno un ruolo nell’estrarre la scienza dalla fantascienza.

Fonte: Wired

La scienza ha definito i limiti della resistenza umana

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Gli scienziati non hanno solo dimostrato che esiste un limite alla resistenza umana, ma sono anche riusciti a definirla in numeri.

In un articolo pubblicato su BBC News viene descritto uno studio di alcuni scienziati effettuato su alcuni dei migliori atleti di sport estremi del mondo per determinare quali siano i limiti della resistenza umana. I risultati di questo studio sembrerebbero definire una volta per tutte fino a che punto possa spingersi il corpo umano.

La ricerca, condotta dagli scienziati della Duke University, ha esaminato un gruppo di atleti impegnati su un percorso di 22,659 chilometri effettuato per 140 giorni negli Stati Uniti e hanno osservato l’effetto che l’evento ha avuto sui loro corpi. Gli scienziati hanno misurato il tasso metabolico a riposo (RMR) o il numero di calorie bruciate dal corpo quando non è attivo, sia prima che durante la gara e hanno anche misurato il numero di calorie bruciate durante l’evento stesso.

Lo studio, pubblicato su Science Advances, ha rilevato che all’inizio il valore delle calorie bruciate era abbastanza alto, per poi cadere nel tempo e livellarsi a circa 2,5 volte l’RMR del concorrente.

Puoi fare cose davvero intense per un paio di giorni“, ha detto Herman Pontzer della Duke University a BBC News , “ma negli sforzi prolungati nel tempo la tua disponibilità energetica è limitata a quanto riesci a nutrirti.”

Ad esempio, correre una maratona, poco più di 42 chilometri, gli atleti hanno consumato 15,6 volte il numero di calorie bruciate durante nell’RMR, ma eventi di tale intensità, di solito, durano solo un giorno. Più lunga è la durata nel tempo dell’evento, più vicino al valore di 2,5 volte l’RMR è il consumo di calorie. Durante i 23 giorni del Tour de France, ad esempio, i ciclisti bruciano giornalmente calorie al ritmo di 4,9 volte il loro RMR, mentre un trekking di 95 giorni attraverso l’Antartide ha visto i partecipanti bruciare calorie a 3,5 volte il loro RMR.

Essenzialmente, più a lungo il corpo è chiamato a impegnarsi, più si avvicina ad un valore di consumo pari a 2,5 volte l’RMR.

Abbiamo  mappato la resistenza umana momento per momento“, ha detto Pontzer.Nessuno lo aveva mai fatto.”

Il limite di 2,5 volte l’RMR potrebbe essere correlato al modo in cui il corpo umano digerisce le sostanze nutritive e converte il cibo in energia. I ricercatori hanno scoperto che il corpo umano, semplicemente, non può digerire e processare abbastanza cibo per generare più di 2,5 volte l’RMR nell’assunzione calorica a lungo termine. Inizialmente, il corpo può approfittare di altri accumuli di energia, permettendo un iniziale sforzo maggiore che brucia calorie ad un tasso molto più alto ma, una volta bruciate le scorte di grasso e di muscoli in eccesso nel corpo, tutto ciò che rimane è l’apporto calorico, che è in definitiva il limite di ciò che il corpo umano può fare.

Fonte: BBC

ESA: le radiazioni rendono missioni umane verso Marte troppo pericolose

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Le agenzie spaziali e le compagnie private guardano ad un futuro fatto di esseri umani  che vivono nello spazio, sulla luna e su Marte, ma, per adesso, dobbiamo fare i conti con una realtà spiacevole: le radiazioni presenti oltre il guscio protettivo del campo magnetico della Terra sono letali. Qualsiasi tentativo di inviare esseri umani su Marte, con la tecnologia oggi disponibile, comporterebbe gravi rischi per la salute, ma gli scienziati dell’Agenzia spaziale europea (ESA) stanno studiando il problema nella speranza di rendere lo spazio sicuro per l’umanità.

Siamo tutti esposti a bassi livelli di radiazioni cosmiche sulla superficie della Terra, questo perché la maggior parte di esse è deviata dalla nostra spessa atmosfera e dal campo magnetico generato dal nostro pianeta. Marte ha un’atmosfera troppo tenue e praticamente nessun campo magnetico, e persino i veicoli spaziali progettati per proteggere i nostri fragili corpi non possono fermare tutti i pericolosi raggi cosmici.

Uno breve periodo nello spazio sottopone gli astronauti allas tessa quantità di radiazioni che assorbirebbero in un anno sulla Terra. L’ESA stima che gli astronauti in missione su Marte assorbirebbero dosi di radiazioni fino a 700 volte più alte che sulla Terra.

Da esperimenti come lo studio sui gemelli della NASA, abbiamo scoperto che passare il tempo nello spazio può causare cambiamenti a lungo termine nell’espressione genica ed i problemi rischiano di aumentare durante missioni di lunga durata nello spazio profondo.

Anche sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) in condizioni controllate, gli astronauti sono esposti a radiazioni 200 volte superiori rispetto ai piloti d’aereo o ai tecnici di radiologia.

Il controllo di missione può far interrompere le passeggiate nello spazio e la routine di manutenzione se ritiene che gli eventi solari produrranno un aumento dei livelli di radiazione. Durante una missione a lungo termine su Marte questa Potrebbe non essere sempre un’opzione possibile.

L’ESA sta attualmente lavorando con ricercatori di cinque laboratori di acceleratori di particelle in Europa. Queste strutture possono simulare la radiazione cosmica accelerando gli atomi a una frazione significativa della velocità della luce. Bombardare materiali e campioni biologici con queste particelle possono aiutare a valutare l’impatto della radiazione cosmica e testare nuovi modi per schermarle.

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L’imminente lancio di test della capsula Orion della NASA, attualmente in programma per l’estate 2020, offrirà al team dell’ESA un’altra possibilità di studiare le radiazioni lontano dall’influenza protettiva della Terra. I manichini di prova di quella missione avranno integrati sensori e monitor per misurare l’esposizione alle radiazioni durante la missione di tre settimane attorno alla luna.

La ricerca del modo di schermare le radiazioni cosmiche sta già facendo progressi. I ricercatori dell’ESA hanno scoperto che il litio è particolarmente efficace nella schermatura di campioni dalle radiazioni pericolose. Naturalmente, il litio è instabile in presenza di umidità. Ci vorrà molta ricerca materiale prima che il litio possa trovare spazio nella schermatura del veicolo spaziale.

In ogni caso, i piani per mandare esseri umani su Marte nei prossimi anni sembrano ancora un po ‘prematuri.

La fisica è alla ricerca di una particella di Higgs più pesante. Potrebbe sigillare il destino dell’universo

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Conosciamo tutti il bosone di Higgs, che con rammarico dei fisici è stato erroneamente etichettato dai media come la “particella di Dio“, una particella subatomica individuata per la prima volta con il Large Hadron Collider (LHC) nel 2012. Quella particella è una pezzo di un campo che permea tutto lo spazio-tempo; interagisce con molte particelle, come elettroni e quark, fornendo quelle particelle di massa, il che è piuttosto interessante.

Ma il bosone di Higgs si è rivelato sorprendentemente leggero. Secondo le migliori stime dei fisici avrebbe dovuto essere molto più pesante. Questo apre una domanda interessante: certo, abbiamo individuato un bosone di Higgs, ma si tratta l’unico bosone di Higgs? Ci sono altre cose che ancora non abbiamo trovato che integrano la massa mancante al bosone di Higgs?

Anche se non abbiamo ancora nessuna prova dell’esistenza di un bosone di Higgs più pesante, un gruppo di ricercatori con sede al LHC, il più grande collisore atomico del mondo, sta tentando di approfondire la cosa e si dice che quando i protoni vengono fatti a pezzi all’interno del collisore ad anello, bosoni di Higgs pesanti e persino particelle di Higgs composte da vari tipi di bosoni di Higgs potrebbero uscire allo scoperto.

Senza il bosone di Higgs, l’intero modello standard non funziona. Ma per parlare del bosone di Higgs, dobbiamo prima capire come il modello standard vede l’universo.

Nella nostra migliore concezione del mondo subatomico utilizzando il Modello standard, le cose che concepiamo come particelle non sono in realtà molto importanti. Invece, ci sono i campi. Questi campi permeano e assorbono tutto lo spazio e il tempo. C’è un campo per ogni tipo di particella. Quindi, c’è un campo per gli elettroni, un campo per i fotoni, e così via. Ciò che immaginiamo come particelle sono vibrazioni locali molto piccole nei loro campi specifici. E quando le particelle interagiscono (per esempio rimbalzando l’una sull’altra), sono le vibrazioni nei campi che stanno facendo una danza molto complicata.

Il bosone di Higgs ha un tipo speciale di campo. Come gli altri campi, permea tutto lo spazio e il tempo, e inoltre può interagire in vari modi con i campi di tutte le altre particelle. Il campo di Higgs ha due compiti molto importanti da svolgere che non possono essere svolti da nessun altro campo.

Il suo primo compito è parlare con i bosoni W e Z (attraverso i rispettivi campi), i portatori della forza debole nucleare. Parlando con questi bosoni, l’Higgs è in grado di dare loro massa e assicurarsi che rimangano separati dai fotoni, i portatori di forza elettromagnetica. Senza il bosone di Higgs che causa interferenze, tutti questi vettori sarebbero uniti e così le loro due forze.

L’altro lavoro del bosone di Higgs è parlare con altre particelle, come gli elettroni; attraverso queste conversazioni, anche a loro dà massa. Tutto funziona bene, perché non abbiamo altro modo di spiegare la massa di queste particelle.

Tutto questo è stato risolto negli anni ’60 attraverso una serie di complicate ma sicuramente eleganti equazioni matematiche, purtroppo, però, c’è solo un piccolo intoppo alla teoria: non esiste un modo reale per prevedere la massa esatta del bosone di Higgs. In altre parole, quando vai alla ricerca della particella (che è la piccola vibrazione locale del campo molto più grande) in un collettore di particelle, non sai esattamente cosa troverai e dove.

Nel 2012, gli scienziati dell’LHC hanno annunciato la scoperta del bosone di Higgs dopo aver scoperto che alcune particelle che rappresentano il campo di Higgs erano state prodotte quando i protoni si erano distrutti scontrandosi l’uno con l’altro ad una velocità vicina a quella della luce. Queste particelle avevano una massa di 125 gigaelectronvolts (GeV), o circa l’equivalente di 125 protoni – quindi è un po’ pesante ma non così incredibilmente enorme.

A prima vista, tutto ciò suona bene. I fisici non avevano una previsione certa per la massa del bosone di Higgs, quindi poteva uscire qualunque risultato; è capitato di trovare la massa all’interno del range di energia dell’LHC. Hanno stappato lo spumante e hanno festeggiato.

A parte il fatto che ci sono alcuni mezzi pronostici sulla massa del bosone di Higgs basati sul modo con cui interagisce con un’altra particella, il top quark. Questi calcoli prevedono un numero superiore a 125 GeV. Certo, potrebbero essere sbagliate le previsioni, ma poi bisognerebbe riprendere in mano le equazioni e capire dove sta l’inghippo. Oppure la discrepanza tra le previsioni e la realtà di ciò che è stato trovato all’interno dell’LHC potrebbe significare che c’è di più nella storia del bosone di Higgs.

Insomma, potrebbe esserci un’intera pletora di bosoni di Higgs troppo pesanti per poterli individuare con l’attuale generazione di collisori di particelle. (La faccenda dell’energia di massa risale alla famosa equazione di E = mc^2 di Einstein, che mostra che l’energia è massa e la massa è energia. Più alta è la massa di una particella, più energia ha e più energia ci vuole per creare quella pesante cosa.)

In effetti, alcune teorie speculative che spingono la nostra conoscenza della fisica oltre il Modello Standard predicono l’esistenza di questi bosoni pesanti di HiggsLa natura esatta di queste identità aggiuntive di Higgs dipende dalla teoria, naturalmente, che va da uno o due campi Higgs extra-pesanti a, persino, strutture composite con più tipi di bosoni di Higgs attaccati insieme.

I teorici stanno lavorando per trovare ogni modo possibile per testare queste teorie, poiché la maggior parte di esse sono semplicemente inaccessibili alla tecnologia attuale. In un recente articolo presentato al Journal of High Energy Physics e pubblicato online nella rivista di preprint arXiv, una squadra di fisici ha avanzato una proposta per individuare l’esistenza di più bosoni di Higgs, in base al modo particolare in cui le particelle potrebbero decadere in particelle più leggere, più facilmente riconoscibili, come elettroni, neutrini e fotoni. Tuttavia, questi decadimenti sono estremamente rari, quindi, sebbene in linea di principio potremmo trovarli con LHC, ci vorranno ancora molti anni di ricerca per raccogliere dati sufficienti.

Quando si tratta di Higgs, occorre sempre avere molta pazienza.

Fonte: Live Science.