mercoledì, Aprile 2, 2025
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In ricordo della tragedia di Hiroshima e Nagasaki

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Oggi ricordiamo il 74° anniversario dello scoppio del primo ordigno atomico sulla città di Hiroshima.

Nel ricordare il tragico avvenimento il sindaco della città giapponese ha rinnovato le richieste di eliminazione di tutte le armi atomiche. “Oggi in tutto il mondo vediamo un nazionalismo egocentrico in ascesa, tensioni accentuate dall’esclusività internazionale e dalla rivalità, con il disarmo nucleare a un punto morto“, ha affermato Matsui nella sua dichiarazione di pace. Ha esortato le giovani generazioni a non dimenticare mai i bombardamenti atomici e la guerra derubricandoli a semplici eventi descritti nei libri di storia, ma a pensarli come propri, mentre ha invitato i leader mondiali a venire a visitare le città bombardate dalle armi nucleari per capire cosa è successo.

Matsui ha anche chiesto al governo giapponese di rappresentare le volontà dei sopravvissuti ai bombardamenti atomici e di firmare un trattato di divieto delle armi nucleari delle Nazioni Unite.

Era il 6 agosto del 1945 quando, alle 8:16 di quel lunedì, «Little Boy» la bomba che l’aereo bombardiere Enola Gay sganciò su Hiroshima, uccise 80 mila esseri umani, e tanti ne morirono negli anni successivi.

Un nomignolo apparentemente canzonatorio per un’ordigno che con quasi 65 chilogrammi di uranio arricchito all’80 per cento, aveva un’attività fissile della massa critica che durava 1,35 millisecondi, e nell’esplosione liberò un’energia compresa tra i 12,5 e i 20 chilotoni. Ma questi sono freddi dettagli, misure e numeri ai quali siamo poco abituati e che non danno il giusto risalto alla carneficina che l’arma provocò.

Fu un caso, uno scherzo del destino a portare l’Enola Gay con il suo carico di morte su Hiroshima, le condizioni meteo avverse fecero mutare l’obiettivo designato che inizialmente era la città di Kokura. Cosi la rotta cambiò e la bomba prese un’altra via.

Gli americani sganciarono un secondo ordigno atomico dopo tre giorni su Nagasaki. L’ordigno conteneva 6 chili e mezzo di plutonio 239, secondo le stime morirono quasi 40 mila esseri umani, per il Giappone fu la resa incondizionata.

A Los Alamos costruirono “solo” tre ordigni atomici, il primo dei quali era stato fatto detonare come test nel deserto di Alamagordo, nel Nuovo Messico. Dietro i calcoli e la realizzazione di quelle bombe c’era uno scienziato, e senza il suo genio quelle bombe non ci sarebbero mai state. Ma lui il test di Alamogordo non lo guardò nemmeno, si limitò a far cadere alcuni pezzettini di carta per calcolare la potenza della bomba misurandone lo spostamento dalla verticale, forse non trovò il coraggio.

Quel lunedì mattina del 6 agosto lo scienziato senza il quale la bomba atomica non si sarebbe mai potuta realizzare, uscì dalla sua casa di Los Alamos per raggiungere i laboratori, come sempre.

Quello scienziato si chiamava Enrico Fermi, genio della Fisica e premio Nobel grazie alla ricerca sui neutroni lenti nel laboratorio di Via Panisperna.

Doveva fare un lavoro e lo aveva fatto.

Fonti: corriere.it; time.com; wikipedia

L’Unione Sovietica e lo sbarco sulla Luna (seconda parte)

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Il modulo lunare Russo

Pesante 5,5 tonnellate e alto poco meno 5 metri, il modulo lunare sovietico Lunnyj Korabl (LK) era composto essenzialmente da due parti distinte, una piattaforma per l’atterraggio morbido e una cabina pressurizzata in grado di ospitare un solo cosmonauta. Il modulo di atterraggio era dotato di un motore di 24 kN a tetrossido di azoto e dimetilidrazina che aveva il compito di rallentare nelle fasi di avvicinamento al suolo lunare e di consentire anche il decollo della sola cabina nella fase di ritorno lasciando sulla Luna la base con le quattro gambe che costituivano il carrello di atterraggio, un sistema più semplice di quello utilizzato dai moduli lunari statunitensi, composti da due stadi separati, uno di discesa e uno di risalita ma con un’importante innovazione visto che il modulo LK era dotato di un motore di riserva, che in caso di malfunzionamento del motore principale, avrebbe assicurato il decollo del cosmonauta dal suolo lunare.

All’epoca i sovietici avevano studiato anche la realizzazione di una cosmonave più grande capace di condurre sulla Luna tre cosmonauti. Tuttavia, questa ipotesi avrebbe richiesto il lancio contemporaneo di due vettori N-1 e le spese troppo elevate, assieme alla cancellazione successiva del programma, ne causarono la chiusura.

Il modulo lunare LK fu visto per la prima volta oltre vent’anni dopo da un gruppo di ingegneri aerospaziali guidati dal professor Jack L. Kerrebrock, del Massachussets Institute of Technology (MIT), che alla fine degli anni Ottanta si erano recati in visita ai colleghi dell’Istituto Moscovita per l’Aviazione. All’interno di un magazzino dell’istituto, i tecnici americani poterono vedere e fotografare il modulo lunare sovietico perfettamente conservato. Furono i primi occidentali a poterlo fare.

Il piccolo modulo lunare LK portava pochi strumenti scientifici e pochissimo carburante a bordo, che avrebbe consentito un breve tentativo di allunaggio di 20 secondi e un unico tentativo per ricongiungersi alla cosmonave in orbita lunare.

La missione UR500K/L1

All’epoca era stato progettato un secondo vettore che era entrato in competizione con l’N-1 di Korolëv. Il vettore era l’UR-500 ed era stato ideato inizialmente come missile balistico intercontinentale dalla fertile mente dell’ingegnere Valentin Gluško, capace di trasportare testate nucleari da 100 megatoni su distanze di oltre 13.000 chilometri. Venne impiegato nei test sperimentali della “bomba tsar” agli inizi degli anni Sessanta. Il suo esordio avvenne nel 1964, dopodiché il missile subì ulteriori modifiche fino a raggiungere la versione attualmente utilizzata con successo dall’Agenzia Spaziale Russa.

Nella versione prevista per le missioni di circumnavigazione lunare, il vettore UR500K/L1 era un tri stadio alto 44,3 metri. Il primo stadio dal peso di 450 tonnellate era dotato di sei motori RD-253 progettati da Gluško ciascuno dei quali collegato ad un proprio serbatoio di propellente di diametro di 2 metri. Durante l’accensione, per circa 120 secondi, i motori producevano una spinta di 8.767 kN.
Il secondo stadio alto 17 metri e dal peso di 170 tonnellate e con un diametro di 4,2 metri era dotato di tre RD-465 (RD-0208) ed un RD-468 (RD-0209), tutti progettati dal bureau OKB-154 di Semyon Kosberg. generava una spinta di 2.402 kN per la durata di circa 215 secondi.

L’ultimo stadio misurava solo 6,6 metri e aveva un unico motore, un RD-473 da 628 kN. Per correggere l’assetto era invece fornito di sei piccoli razzi Vernier.
Il compito di questo vettore era inserire in orbita terrestre per il volo translunare il blocco D e l’astronave L-1 Zond.

Durante ii lanci con equipaggio, la sonda era sormontata da un sistema di emergenza che, in caso di pericolo sulla rampa, avrebbe automaticamente allontanato la nave portando in salvo l’equipaggio. Il vettore UR500K/L1 era controllato da un sistema elettronico ideato da Nikolai Pilugin, membro del bureau NII-855.

Il progetto fu approvato dalle autorità sovietiche che consentirono l’avvio della produzione dei veicoli con l’obiettivo di circumnavigare la Luna entro il 1967, un anno prima degli americani che la circumnavigarono alla fine del 1968 con la missione spaziale Apollo 8.

Furono, però, gli americani a compiere l’impresa, appunto nel 1968, a causa dell’incidente capitato alla Sojuz 1, e altri problemi di affidabilità comportarono ulteriori rinvii. Il vettore in seguito fu aggiornato prendendo il nome di Proton. Tali aggiornamenti, apportati dal direttore dell’OKB-52 Vladimir Chelomej furono la risposta agli sviluppi del super-vettore di Korolëv

Il progetto di circumnavigazione lunare affidato a questo razzo si sarebbe prima realizzato nel lancio diretto verso la Luna di una capsula Sojuz modificata L-1, dotata di uno stadio supplementare, successivamente lo stesso vettore avrebbe collocato in orbita intorno alla Luna la capsula e il blocco D senza equipaggio in attesa che un altro vettore (R-7) avrebbe portato nella stessa orbita una seconda Sojuz con tre cosmonauti a bordo per il trasferimento nella capsula L-1 adibita alla circumnavigazione lunare.

Il razzo Proton UR-500K era pronto già nel 1967. Il 4 febbraio il Consiglio dei Ministri aveva dichiarato il programma di circumnavigazione lunare L-1, priorità assoluta dell’intero programma spaziale sovietico.

Come abbiamo visto, però, sovvennero doversi incidenti e difficoltà e lo sbarco degli americani sulla Luna nel 1969 portò il Soviet supremo ad annullare le fasi successive del costoso programma.

(Prima parte)

Quasi pronti per il volo di collaudo i prototipi della Starship. Il 24 agosto Musk farà il punto della situazione

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Secondo quanto rivelato da Elon Musk su Twitter, due diversi prototipi dell’astronave di SpaceX chiamata Starship potrebbero avere il loro battesimo del volo entro la fine di questo mese. Il CEO di SpaceX non ha però chiarito se si tratterà di un piccolo balzo o se sarà tentato, addirittura, uno storico primo volo orbitale.

Il 24 agosto SpaceX terrà una presentazione a Boca Chica, in Texas, durante la quale verranno rilasciati aggiornamenti sul programma Starship. Durante una serie di tweet in cui si è discusso della presentazione, Musk ha osservato che SpaceXdovrebbe avere la versione MK1 della Starship con 3 motori Raptor quasi pronti a volare già in occasione dell’evento” Le rivelazioni di Musk potrebbero essere il segno che la compagnia ritiene essere molto avanti nello sviluppo della nave spaziale, destinata, nelle intenzioni di Musk, a riportare gli uomini sulla Luna prima della NASA per poi puntare direttamente verso Marte nel 2024.

SpaceX ha attualmente due team che costruiscono due diversi prototipi della Starship, uno a Boca Chica e l’altro a Cocoa, in Florida .

Il 19 luglio, Musk fece sapere tramite twitter che entrambi i prototipi sarebbero stati pronti per volare entro “2-3 mesi“, quindi, se per il 24 agosto fossero davvero “quasi pronti“, sarebbe evidente un anticipo sui tempi previsti. Naturalmente, dire che i razzi dovrebbero essere pronti a volare non è la stessa cosa che dire che SpaceX li manderà in orbita prima della fine del mese.

In ogni caso, il tweet di sabato sembra implicare che Musk sia ottimista sui progressi della sua compagnia sul razzo, e questo aggiunge certamente un po’ di eccitazione alla presentazione che si svolgerà a Boca Chica.

Nel frattempo, SpaceX ha incassato un significativo riconoscimento dalla NASA che ha messo a disposizione il Glenn Research Center in Ohio e il Marshall Space Flight Center in Alabama per far avanzare la tecnologia necessaria per trasferire propellente in orbita da astronave ad astronave, unendo le competenze già acquisite dal personale NASA, che ha già da tempo iniziato a studiare il problema, con quelle del team di SpaceX deputato a questo progetto.

La Starship, infatti, per trasportare il suo carico utile fino su Marte, atterrandovi, in tempi più brevi di quelli impiegati attualmente dalle sonde, dovrebbe fare il pieno di carburante una volta posizionatosi in orbita. Questo permettere all’astronave di SpaceX di compiere in accelerazione buona parte della distanza tra i due pianeti, accorciando notevolmente i tempi di percorrenza.

In ogni caso, non resta che aspettare il 24 per sapere le ultime novità e gli sviluppi dei progetti di SpaceX e del suo fondatore, che appare deciso più che mai a portare gli uomini sulla Luna e su Marte.

Scoperto un buco nero assolutamente gigantesco, ha una massa di 40 miliardi di soli

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I buchi neri possono diventare piuttosto grandi, ma ce ne sono alcuni che appartengono ad una classe tutta loro, composta di buchi neri mostruosi e davvero grandi. Gli astronomi ritengono di avere individuato il campione assoluto di questa classe, dato che, a quanto risulta, avrebbe una massa 40 miliardi di volte la massa del Sole.

Questo mostro è stato individuato al centro di una galassia chiamata Holmberg 15A, una galassia ellittica enorme posta a circa 700 milioni di anni luce di distanza, che a sua volta si trova al centro del cluster di galassia Abell 85.

L’oggetto è uno dei più grandi buchi neri mai trovati e il più grande individuato tracciando il movimento delle stelle attorno ad esso.

I calcoli precedenti basati sulla dinamica della galassia e dell’ammasso avevano portato a stime di massa di Holm 15A * fino a 310 miliardi di volte la massa del Sole. Tuttavia, queste erano tutte misure indirette del buco nero. Questa nuova ricerca segna la prima misurazione diretta; il documento è stato inviato al The Astrophysical Journal e attende la peer review.

Utilizzando modelli di Schwarzschild assiali e basati sull’orbita per analizzare la cinematica stellare di Holm 15A da nuove osservazioni spettrali ad ampio campo ad alta risoluzione ottenute con MUSE presso il VLT, abbiamo trovato un buco nero supermassiccio (SMBH) con una massa di (4,0 ± 0,80) × 10 10 masse solari al centro di Holm 15A“, hanno scritto i ricercatori nel loro articolo. Questo è il buco nero più massiccio individuato con un rilevamento dinamico diretto nell’universo locale“.

Questo non è il buco nero più massiccio mai rilevato – quello dovrebbe essere il quasar TON 618, che apparentemente ha un buco nero con un clock di 66 miliardi di volte la massa del Sole, basato su misurazioni indirette.

Ma Holm 15A * è lassù. Con 40 miliardi di masse solari come massa, l’orizzonte degli eventi di questo buco nero (noto anche come raggio di Schwarzschild) sarebbe enorme, in grado di inghiottire tutto il nostro sistema solare fino all’orbita di Plutone e parecchio oltre.

Plutone è, in media, a 39,5 unità astronomiche (AU) dal Sole. Si ritiene che l’eliopausa – il punto dove il vento solare cessa di avere effetti e inizia lo spazio interstellare – sia a circa 123 UA dal Sole.

In base alla massa calcolata di Holm 15A *, come determinato dal nuovo documento, il suo raggio di Schwarzschild sarebbe di circa 790 UA.

Se proviamo ad immaginare qualcosa di quelle dimensioni. La mente vacilla.

In effetti, è persino più grande di quanto suggerito dalle altre misurazioni prese dai ricercatori, il che potrebbe spiegare perché la massa di Holm 15A * sia stata difficile da definire con metodi indiretti.

L’SMBH di Holm 15A non è solo il più massiccio fino ad oggi, è anche da quattro a nove volte più grande del previsto, data la massa stellare del rigonfiamento della galassia e la dispersione stellare della velocità della galassia“, hanno scritto i ricercatori.

Tutto ciò, si adatta alle predizioni di un modello relativo alla collisione tra due galassie di tipo precoce con nuclei esauriti. Questo accade quando non ci sono molte stelle nel nucleo, in base a ciò che ci si aspetta dal numero di stelle nelle regioni esterne della galassia.

Scopriamo che le masse dei buchi neri al centro di galassie di questo tipo, tra cui Holm 15A, si scalano inversamente con la luminosità della superficie stellare centrale e la densità di massa, rispettivamente“, hanno scritto i ricercatori.

Ora, l’enorme oggetto sarà sottoposto ad ulteriori studi, producendo modelli più complessi e dettagliati, confrontando i risultati con le osservazioni, per cercare di capire esattamente come si è formato il buco nero.

A sua volta, ciò può aiutare a capire con quale frequenza si verifica una tale fusione – e quindi quanti buchi neri ultramassivi potrebbero ancora essere scoperti.

La ricerca è stata inviata a The Astrophysical Journal ed è disponibile su arXiv.

Creato un robot minuscolo e inquietante che resiste se viene calpestato, come uno scarafaggio – video

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Nonostante pesi meno di un decimo di grammo, il nuovo robot realizzato all’Università della California, Berkeley, può sopportare il peso di una persona di 60 chilogrammi che lo calpesti, facendo confronti con un noto parassita.

Qualcuno potrebbe aver provato la sensazione frustrante di calpestare uno scarafaggio per vederlo poi scappare integro e vivace come prima“, ha detto il ricercatore Liwei Lin in un comunicato stampa.

Abbiamo provato a calpestare il nostro robot applicando un peso straordinariamente grande, ma lui funziona ancora, funziona ancora“.

In un articolo pubblicato sulla rivista Science Robotics, il team UC Berkeley descrive come ha costruito il suo robot simile a uno scarafaggio da un sottile foglio di fluoruro di polivinilidene rivestito in un polimero elastico.

Quando i ricercatori alimentano il robot con una tensione elettrica oscillante attraverso un filo attaccato, il suo piccolo corpo si piega e si raddrizza. Questo costringe il robot a “saltare in avanti come una rana” sulla sua singola zampa anteriore.

La forza non è l’unica somiglianza tra il robot e gli insetti che alcuni credono erediteranno la Terra. È anche estremamente veloce per le sue dimensioni, sfreccia ad una velocità di circa 20 lunghezze del proprio corpo al secondo.

Questa combinazione di robustezza e velocità potrebbe rendere il minuscolo robot ideale per le applicazioni di ricerca e salvataggio.

Ad esempio, se si verifica un terremoto, è molto difficile per le macchine di grandi dimensioni, o per i cani di grossa taglia, trovare la vita sotto i detriti“, ha detto il ricercatore Yichuan Wu nel comunicato stampa, “ecco perché abbiamo bisogno di un robot di piccole dimensioni che sia anche agile e robusto“.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Futurism. Leggi l’ articolo originale .

La Parker Solar Probe della NASA ha inviato 22 GB di dati sui primi due Flyby del Sole

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La Parker Solar Probe della NASA, la sonda che sta analizzando da vicino il Sole, ha inviato con successo i dati sui suoi primi due approcci ravvicinati al Sole. L’agenzia spaziale ha annunciato il raggiungimento di questo primo traguardo della missione il 1° agosto, rivelando che il downlink finale dei dati inviati dalla sonda Parker Solar è stato di 22 GB; ciò, secondo quanto afferma la NASA, è il 50 percento in più di dati di quanto il team si aspettasse di ricevere in questo momento.

La sonda solare Parker ha completato due flybys del Sole, entrambi destinati a raccogliere dati sulla stella per aiutare a rispondere alle domande e aumentare la nostra comprensione di questo straordinario corpo celeste. Il downlink dei dati del veicolo spaziale ha avuto luogo un mese dopo il completamento del suo secondo flyby solare.

parker insert

Secondo la NASA, il sistema di telecomunicazione della sonda sta funzionando meglio di quanto gli scienziati avessero stimato, nonostante i molti disturbi dovuti agli effetti dei campi magnetici solari.

Il team si aspetta di ricevere altri 25 GB di dati aggiuntivi sul secondo flyby entro il 15 agosto. La NASA prevede di rendere pubbliche le informazioni raccolte da queste prime due missioni entro la fine dell’anno, sebbene non fornisca una data stimata per il rilascio. Per allora, la sonda avrà completato anche il terzo incontro ravvicinato con il Sole che, secondo il programma, dovrebbe iniziare il 27 agosto.

La NASA riferisce che il terzo perielio della sonda avrà luogo il 1° settembre, raccogliendo e registrando ancora più informazioni sulla nostra stella. Un totale di quattro suite di strumenti sulla sonda solare Parker sta raccogliendo queste informazioni, compresi dati su campi, particelle e onde relativi alla corona solare e all’ambiente circostante.

I mondi “snowball” e la vita

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I ricercatori ipotizzavano già che la vita può presentarsi su freddi pianeti a “palla di neve“, anche se sono ricoperti di ghiaccio fino ai loro equatori. Dopotutto, anche la Terra ha attraversato diverse fasi “snowball” durante la sua lunga esistenza.
Ma tutta la vita era nei nostri oceani in quel momento“, ha detto in una nota l’autore principale dello studio Adiv Paradise, astronomo e fisico dell’Università di Toronto . “Non c’era vita sulla terra ferma“.

Il nuovo studio cerca di colmare questo gap di conoscenza. Paradise e i suoi colleghi hanno eseguito migliaia di simulazioni al computer in 3D, modellando il clima di pianeti teorici “snowball” con un’ampia varietà di configurazione dei continenti, input di energia stellare e livelli di anidride carbonica.

La CO2 è una variabile molto importante per chi crea i modelli, poiché la concentrazione di questo gas che intrappola il calore è uno dei principali fattori climatici su un pianeta. Oggi lo vediamo sulla Terra, dove le temperature stanno aumentando a un ritmo allarmante perché stiamo immettendo enormi quantità di CO2 nell’atmosfera.

Quando la CO2 in atmosfera non è abbastanza, un pianeta può diventare una vera e propria “palla di neve”. Secondo i geologi, le piogge e l’erosione possono far sì che ciò accada, come? l’acqua reagisce con la CO2, generando acido carbonico, che reagisce con le rocce e viene legato ai minerali. Questi minerali alla fine si dirigono verso l’oceano, dove vengono intrappolati sul fondo del mare.

Ma alcuni ricercatori hanno scoperto che questo processo non esclude necessariamente la possibilità che esista vita di tipo terrestre (nel senso di vita sulla terraferma). Alcuni dei loro modelli di mondi “palla di neve” presentavano macchie di terra potenzialmente abitabile – in particolare, le aree interne vicino all’equatore, che in alcuni casi indicavano temperature superiori ai 50 gradi Fahrenheit o 10 gradi Celsius.

Hai questi pianeti che tradizionalmente potresti considerare non abitabili, e questo suggerisce che forse possono esserlo“, ha detto Paradise.

Il lavoro del team offre anche altre informazioni sui mondi “palla di neve” e sull’abitabilità planetaria.

Ad esempio, le eruzioni vulcaniche possono scuotere un pianeta dallo stato di una palla di neve, immettendo nell’atmosfera grandi quantità di CO2 e altri gas serra. Ma questo, suggerirebbe il nuovo studio, non succede sempre; le simulazioni dei ricercatori hanno scoperto che l’erosione può bilanciare la produzione di CO2 dei vulcani.

Quindi la distinzione tra mondi che possono e non possono sostenere la vita come la conosciamo probabilmente non è così chiara come pesavano finora i ricercatori, hanno concluso i membri del team di studio.
Quello che troviamo è, in realtà, che la linea è un po ‘sfocata“, ha detto Paradise.
Il nuovo studio è stato pubblicato il 18 luglio sul Journal of Geophysical Research: Planets.

Tradotto e adattato dal sito “Space.com”

Scoperto un antico tempio sommerso e altri tesori nell’Atlantide egizia

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L’antica città egizia di Heracleion, nota anche come Thonis, era un tempo un vivace porto commerciale. Ora, si trova a 45 metri sotto il Mar Mediterraneo. Di recente, i subacquei hanno rivelato forse la migliore scoperta da quando la città sommersa è stata riscoperta due decenni fa.

Nella loro più recente spedizione subacquea, esperti egiziani ed europei hanno trovato resti significativi di un grande tempio sotto il mare, nonché diverse navi cariche di tesori come monete e gioielli.

Gli archeologi guidati da Franck Goddio, che era già stato responsabile della prima esplorazione subacquea di Heracleion, pensano di aver trovato le colonne di pietra del tempio principale della città (chiamato Amun Garp), così come i resti di un tempio greco più piccolo.

I notevoli tesori mostrano come l’incantevole sito sveli ancora i suoi segreti molti anni dopo che è stato esplorato per la prima volta, mentre migliaia di anni di sedimenti e fango vengono setacciati.

Queste scoperte sono state rese possibili grazie a una gamma di sofisticati strumenti di scansione in grado di discernere gli oggetti sul fondo del mare e persino al di sotto di esso, nonostante i sedimenti accumulati.

Unendo i dati geofisici di posizionamento satellitare, ecoscandagli, magnetometri a risonanza magnetica nucleare e  sonar a scansione laterale, i ricercatori hanno acquisito scansioni così complete che il team ha scoperto un gruppo di porte vicine a Heracleion che non erano ancora state individuate.

Armati di queste informazioni, gli archeologi sommozzatori si sono immersi nei resti dell’antica città per un esame più approfondito. Per quanto riguarda gli altri reperti oltre ai templi, i sommozzatori hanno riferito di avere trovato monete di bronzo del regno di Tolomeo II (dal 283 al 246 a.C.), oltre a ceramiche, gioielli e utensili per la conservazione trovati nei resti di diverse navi.

Gli archeologi hanno anche estratto monete dell’era bizantina, il che significa che è probabile che la città sia stata abitata almeno fino al IV secolo. Un’altra scoperta effettuata è stata il ritrovamento della parte mancante di una barca cerimoniale che era stata trovata in uno scavo precedente.

Ulteriori scoperte sono state fatte a Canopo, un’altra città sommersa nelle vicinanze. Tra i ritrovamenti effettuati in quest’ultimo sito, monete dell’era tolemaica e bizantina, oltre ad anelli e orecchini di epoca tolemaica.

acqua 2Monete e gioielli recuperati. (Christoph Gerigk / Franck Goddio / Fondazione Hilti)

Si ritiene che Heracleion sia stata costruita nell’VIII secolo a.C. nei pressi del delta del fiume Nilo, ed è così chiamata perché una leggenda vuole che l’eroe Ercole una volta la visitò. Ora è anche informalmente nota come l’Atlantide egiziana.

Gli oggetti recuperati dagli scavi illustrano la bellezza e la gloria delle città, la magnificenza dei suoi grandi templi e l’abbondanza di prove storiche“, afferma una descrizione del progetto sul sito web di Goddio.

Statue colossali, iscrizioni ed elementi architettonici, gioielli e monete, oggetti rituali e ceramiche – una civiltà congelata nel tempo“.

Perché sia finita sott’acqua rimane un mistero per gli storici, ma la migliore ipotesi è che l’innalzamento del livello del mare, l’attività sismica e le fondamenta fatiscenti abbiano fatto scivolare l’intera città sul fondo del Mediterraneo, almeno 1.000 anni fa.

Ora il team di archeologi si sta apprestando ad illustrare le scoperte effettuate in una pubblicazione su una rivista scientifica. Resta, però, moltissimo lavoro da fare, secondo una stima effettuata da Goddio solo il 5 percento della città è stato rivelato.

Molte altre scoperte importanti potrebbero ancora giacere sul fondo del Mediterraneo in attesa di essere riscoperte.

Orion, missione Luna

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Presto la NASA tornerà sulla Luna con missioni umane e tutto questo si avvicina sempre di più perché, finalmente, la compagnia aerospaziale Lockheed Martin ha terminato la costruzione della capsula Orion che volerà sulla missione di prova Artemis 1 la prossima estate.

La notizia è stata annunciata sabato 20 luglio dal vice presidente degli Stati Uniti Mike Pence per il 50° anniversario dello storico sbarco sulla luna dell’Apollo 11. I rappresentanti della Lockheed Martin hanno aggiunto che la capsula è stata trasferita al Kennedy Space Center della NASA, in Florida, e montata in cima al suo modulo di servizio costruito in Europa.

Durante tutto il montaggio, il team ha testato e convalidato i numerosi sistemi in centinaia di modi diversi per garantire che funzionassero come previsto nella rigidità dello spazio profondo” ha dichiarato Mike Hawes, responsabile del programma Orion per Lockheed Martin.

L’Orion, o Multi-Purpose Crew Vehicle (MPCV), è un veicolo spaziale in grado di trasportare un equipaggio e secondo i piani attuali della NASA, sarà destinato all’esplorazione umana degli asteroidi e degli spazi cislunari, in vista di un futuro sbarco su Marte.

Negli anni della presidenza Obama, l’Orion ha rischiato di diventare una “semplice navetta di salvataggio” per la Stazione Spaziale Internazionale. Fortunatamente, nel settembre 2010, il Senato degli Stati Uniti votò per ripristinare i finanziamenti per missioni oltre l’orbita bassa terrestre, a favore della Orion, che si trovava già in fase avanzata di sviluppo, e dello Space Launch System, un razzo vettore concettualmente simile all’Ares V.

La navetta spaziale Orion, come sapete, ha volato in precedenza, per la prima volta durante la missione di prova senza equipaggio in orbita terrestre, decollata nel dicembre 2014 in cima a un missile Delta Launch Alliance Delta IV Heavy, ha compiuto due orbite terrestri raggiungendo una quota di 5700 km prima di ammarare nell’Oceano Pacifico, al largo della California.

Le prossime missioni, una volta a regime, prevederanno un vero e proprio equipaggio, e il nuovo razzo SLS.  “Il volo Artemis 1 metterà alla prova il design e la lavorazione della capsula e del suo modulo di servizio durante la missione di tre settimane intorno alla luna e ritorno“, ha detto Hawes. “Siamo entusiasti di questa missione perché apre la strada alla prima missione con equipaggio del 2022, Artemis 2“.

Artemis è il nome dato all’ambizioso programma di esplorazione lunare della NASA, che è intenzionata a far allunare due astronauti vicino al polo sud della luna nel 2024. Il programma mira inoltre a costruire una presenza sostenibile a lungo termine su e intorno alla luna.

Orion è la chiave di volta del piano di ri-conquista della Luna, così come lo è l’enorme razzo chiamato Space Launch System o SLS, ancora in fase di sviluppo. La missione Artemis 1 segnerà il primo volo dello SLS.

I piani per il programma Artemis sono molto ambiziosi e includono anche la realizzazione di una piccola stazione spaziale in orbita lunare chiamata Gateway. Questo servirà come punto di sosta per i viaggi, sia con equipaggio che senza equipaggio, sulla superficie lunare.

La NASA, però, non vuole fermarsi sulla Luna ma andare oltre, con l’obiettivo principale, grazie alla missione Artemis, di imparare a vivere e lavorare nello spazio profondo, per apprendere capacità e testare le tecnologie per preparare viaggi umani verso la destinazione principale del volo spaziale umano di questo secolo: Marte.

La NASA spera di portare esseri umani sul Pianeta Rosso prima della fine degli anni ’30.

Fonti: Space.com; aerospacecue.it

Gli scienziati riuniti per discutere il problema costituito dal valore della Costante di Hubble

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Astronomi, astrofisici e fisici delle particelle si sono riuniti di recente presso il Kavli Institute for Theoretical Physics dell’Università della California per discutere della gravità delle diverse misurazioni della costante di Hubble. Si sono incontrati per parlare di un problema che è diventato una delle maggiori preoccupazioni in astrofisica: capire quanto velocemente l’universo si stia effettivamente espandendo.

Le stime del suo valore basate sullo studio della luce emessa dal Big Bang differiscono da quelle calcolate utilizzando i dati ricavati dalle supernova. In parole povere, i ricercatori che utilizzano i dati degli studi che riguardano la storia più antica dell’universo hanno calcolato un valore diverso per la costante di Hubble rispetto a quelli coinvolti nello studio di attività più recenti. E la ragione per cui è diventato un argomento così caldo è perché se non si riesce a trovare una buona ragione per le differenze nei risultati, gli scienziati del settore potrebbero dover ripensare completamente il modo in cui l’universo funziona.

Si tratta di un dibattito iniziato negli anni ’20, quando Edwin Hubble notò che gli oggetti più lontani nell’universo sembrano allontanarsi l’uno dall’altro più velocemente. I teorici suggerirono che un numero fisso potesse essere usato per esprimere la velocità con cui l’universo si stava espandendo, così nacque la Costante di Hubble. È definito come il tasso di espansione dell’universo. Come suggerisce il nome, la teoria suggerisce che si tratta di un singolo numero invariato. Ma gli esperimenti per trovare il vero valore della costante di Hubble hanno prodotto risultati contrastanti.

Una tecnica prevede l’utilizzo di dati provenienti da dispositivi che misurano lo sfondo cosmico a microonde. Tali studi hanno dimostrato che la costante di Hubble è 67,4 km/s/Mpc, con un tasso di errore di soli 0,5 km/s/Mpc. Nel frattempo, altri studi che hanno coinvolto l’uso di dati provenienti dalle supernova hanno riscontrato che la costante corrisponde a 74,0 km/s/Mpc, un risultato molto diverso dal primo tasso di errore. Chiaramente, non possono essere corretti entrambi, a meno che non sia stato qualcosa di strano durante la prima espansione dell’universo. Alcuni fisici ritengono possibile che, all’epoca, esistesse un diverso tipo di energia oscura che spingeva l’universo, e questo spiegherebbe la differenza.

In ogni caso, i ricercatori del recente incontro sembrano aver concluso che ci sia un errore da qualche parte da individuare, tanto più che che sono pochi i ricercatori sul campo pronti a lanciare nuove teorie alternative per spiegare come funziona l’universo, almeno non in questo momento.