Decodificato lo schema a raggi X proveniente da una stella di neutroni

Nelle stelle di neutroni,  stelle giganti collassate e superdense che sono esplose ma non hanno prodotto una singolarità - i raggi X provengono da esplosioni termonucleari sulle loro croste esterne

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Gli astronomi hanno scoperto un raro schema nelle esplosioni di raggi X provenienti da un sistema binario composto da una stella e da una stella di neutroni a non più di 16.300 anni luce di distanza dal Sole.

Il sistema stellare, chiamato MAXI J1621-501, è apparso per la prima volta il 9 ottobre 2017, nei dati del sondaggio del piano galattico profondo, Swift / XRT, come un punto nello spazio che irradia raggi X in modo del tutto imprevedibile.

I ricercatori hanno scritto in un nuovo documento, di un sistema binario contenente sia una stella normale che una stella di neutroni o un buco nero. Sia le stelle di neutroni che i buchi neri possono dare origine a schemi a raggi X imprevedibili mentre assorbono la materia dalle loro stelle compagne, ma in modi molto diversi.

Nei buchi neri i raggi X provengono dalla materia che accelera a velocità estreme e genera un enorme attrito mentre cade verso il pozzo gravitazionale.

Nelle stelle di neutroni,  stelle giganti collassate e superdense che sono esplose ma non hanno prodotto una singolarità – i raggi X provengono da esplosioni termonucleari sulle loro croste esterne. Qualcosa fa gli atomi nelle parti più esterne di queste strane stelle, rilasciando enormi energie che di solito si trovano solo nei nuclei delle stelle. Parte di quell’energia fuoriesce come luce a raggi X.



Quando la materia proveniente da una stella viene risucchiata da una stella di neutroni avvengono esplosioni termonucleari che creano emissioni abbastanza potenti da essere viste con i telescopi a raggi X.

Gli autori di questo nuovo articolo, pubblicato online il 13 agosto sul sito di prestampa ArXiv, mostrano che le esplosioni di raggi X del sistema MAXI J1621-501 provengono da esplosioni termonucleari sulla superficie della stella di neutroni e che la luce emessa da quelle esplosioni termonucleari segue uno schema che si ripete all’incirca ogni 78 giorni.

Il modello di quella tipologia di emissioni però non è del tutto chiaro. Gli scienziati hanno scoperto solo una trentina di emissioni simili. Si riferiscono a modelli come questo definendoli “periodi superorbitali“. Questo perché il modello segue un ciclo che dura molto più a lungo dell’orbita delle stelle binarie l’una attorno all’altra che, nel caso del sistema MAXI J1621-501 impiega da 3 a 20 ore.

La migliore spiegazione per questo periodo di 78 giorni, hanno scritto gli autori, viene proposto da un articolo pubblicato sulla rivista Avvisi mensili della Royal Astronomical Society nel 1999. Le stelle di neutroni in sistemi binari come questo, scrivono gli autori, sono circondate da nuvole vorticose di materiale che viene risucchiato dalla stella normale  verso la stella di neutroni, creando un disco di accrescimento in rotazione.

Un semplice modello di quei dischi di  accrescimento suggerisce che sono sempre allineati in una direzione: sembrerebbero proprio come gli anelli che circondano Saturno. In quel modello, non si noterebbe alcun cambiamento nella luce a raggi X, perché si osserverebbe  sempre lo stesso punto sul disco di accrescimento tra noi e la stella di neutroni. L’unico cambiamento nelle emissioni di raggi X verrebbe dalle esplosioni termonucleari.

Secondo i ricercatori, quello che accade è più complesso, come se il disco di materia che ruota vorticosamente attorno alla stella di neutroni oscillasse rispetto al nostro punto di osservazione, a volte l’oscillazione ci da la possibilità di osservare una superficie maggiore del disco, a volte una minore.

Gli astronomi hanno osservato il sistema MAXI J1621-501 per 15 mesi dopo la scoperta del 2017 e hanno visto ripetere lo schema sei volte. Non si ripeteva perfettamente e c’erano altri piccoli cali nella luce a raggi X. Ma il disco oscillante rimane di gran lunga la migliore spiegazione possibile per questo strano schema a raggi X nello spazio.

Fonte: Live Science

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