mercoledì, Aprile 2, 2025
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Una stella vecchia quasi quanto l’Universo

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Gli astronomi hano individuato nella via Lattea un’altra stella antichissima. A circa 35.000 anni luce di distanza da noi, una gigante rossa di nome SMSS J160540.18-144323.1 che risulta avere i livelli di ferro più bassi di qualsiasi stella mai analizzata nella galassia.

Ciò significa che è una delle stelle più antiche dell’Universo, probabilmente appartenente alla seconda generazione di stelle dopo la nascita dell’Universo 13,7 miliardi di anni fa.

Questa stella incredibilmente anemica, che probabilmente si è formata a poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, ha livelli di ferro 1,5 milioni di volte inferiori a quello del Sole“, ha spiegato l’astronomo Thomas Nordlander dell’ARC Center of Excellence per All Sky Astrophysics in 3D e Australian National University.

È come una goccia d’acqua in una piscina olimpionica“.

Ed è così che possiamo dire quanti anni ha la stella, perché l’Universo all’inizio non aveva affatto metalli. Le prime stelle erano costituite principalmente da idrogeno ed elio e si pensava che fossero molto massicce, molto calde e di breve durata. Queste stelle si chiamano Popolazione III e non le abbiamo mai viste.

Le stelle sono “alimentate” dalla fusione nucleare, attraverso la quale i nuclei atomici di elementi più leggeri vengono combinati per creare quelli più pesanti. Nelle stelle più piccole, questa è principalmente la fusione dell’idrogeno nell’elio. Ma nelle stelle più grandi – come si pensa che siano state le stelle della Popolazione III – si possono forgiare elementi fino al silicio e al ferro inclusi.

Quando tali stelle finiscono la loro vita in spettacolari esplosioni di supernova, proiettano quegli elementi nell’Universo. Man mano che si formano nuove stelle, gli elementi rimangono intrappolati in esse – e quindi, il contenuto in metallo di una stella è un indicatore affidabile di quando si è formata.

Ad esempio, sappiamo che il Sole si è formato parecchie generazioni, forse 100, dopo il Big Bang, basandoci sul contenuto in metalli della nostra stella.

Ma abbiamo trovato altre stelle nella Via Lattea che hanno un basso contenuto in metalli, indicando un’origine prossima all’Universo primordiale. Uno di questi oggetti è 2MASS J18082002–5104378 B, il precedente detentore del record per il più basso contenuto di ferro di [Fe/H]=−4,07 ± 0,07 – circa 11.750 volte meno metallico del Sole.

Ma SMSS J160540.18–144323.1 è a [Fe/H]=−6,2 ± 0,2. Come ha detto Nordlander, questo è circa 1,5 milioni di volte meno metallico.

È improbabile che le stelle di Popolazione III siano sopravvissute abbastanza a lungo da consentirci di studiarle. Ma attraverso le stelle che sono seguite, le loro storie possono essere svelate.

I ricercatori ritengono che la stella che ha dato a SMSS J160540.18-144323.1 il suo ferro avesse una massa relativamente bassa per l’Universo primordiale, solo circa 10 volte la massa del Sole. Abbastanza massiccia da produrre una stella di neutroni; e, dopo una supernova relativamente debole, il team crede che sia quello che ha fatto.

Un’esplosione di una supernova può innescare un rapido processo di cattura dei neutroni o r-process. Questa è una serie di reazioni nucleari in cui i nuclei atomici si scontrano con i neutroni per sintetizzare elementi più pesanti del ferro.

Non c’erano prove significative di questi elementi nella stella, il che potrebbe significare che questi elementi sono stati catturati dalla stella di neutroni appena morta. Ma è fuoriuscito abbastanza ferro da essere incorporato nella formazione di SMSS J160540.18-144323.1.

Era probabilmente uno dei primissimi membri di quella seconda generazione di stelle.

E sta morendo. È un gigante rosso, il che significa che la stella è alla fine della sua vita, sta consumando le sue ultime riserve di idrogeno prima di passare alla fusione dell’elio.

Il team ritiene che studiarla più da vicino potrebbe fornire ulteriori informazioni sulle stelle della popolazione III.

La ricerca è stata pubblicata in Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Perché è così preoccupante che luglio 2019 è stato il mese più caldo di sempre

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Luglio è sempre caldo nell’emisfero settentrionale, ma il mese scorso è stato particolarmente caldo, con un numero di paesi europei che hanno visto la colonnina di mercurio raggiungere nuove vette.

E, complessivamente, la temperatura globale per luglio 2019 è stata la più calda mai registrata, secondo il servizio Copernicus sul cambiamento climatico dell’Unione Europea.

Il record precedente per il mese più caldo nel set di dati di Copernicus era luglio 2016 e il mese scorso lo ha superato, in particolare di 0,04° C. Oltre ai picchi di temperatura di sempre, questo luglio è stato di 0.56° C più caldo della media dei mesi di luglioo dal 1981 al 2010 e 1,2° C sopra i livelli preindustriali.

Tanto per ricordarlo, l’accordo sul clima di Parigi mirava a limitare l’aumento della temperatura globale media a 1,5° C al di sopra dei livelli preindustriali. Se il mese scorso è indicativo, non siamo proprio sulla buona strada.

Ciò che rende particolarmente preoccupante l’ondata di caldo di luglio è che non è stata associata a un forte evento come El Nino, come fu per il precedente record stabilito a luglio 2016. El Nino è un fenomeno climatico che tende ad alimentare un picco nelle temperature calde, ma quest’anno il fenomeno è stato relativamente debole il mese scorso, il che significa che non è responsabile di questa estate particolarmente afosa.

Oltre a stabilire record in Europa, anche l’Alaska ha temperature record, ad Anchorage per esempio, e ha registrato i minimi dell’estensione di ghiaccio marino nel mare di Chukchi. Nel frattempo, il mese si è concluso con un’ondata di caldo in Groenlandia che ha portato a un grande evento di fusione della calotta glaciale. E, intanto, enormi incendi stanno incenerendo le foreste della Siberia, aumentando gli effetti del caldo sull’Artico.

La NASA, il NOAA e altre agenzie devono ancora pubblicare le proprie recensioni sulla temperatura media mondiale del mese scorso, ma probabilmente lo faranno nelle prossime settimane.

Un appassionato di astrofotografia ha ripreso l’impatto di un bolide su Giove

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In questi giorni Giove è ben visibile nel cielo notturno ed è quindi un ottimo periodo per osservare il colosso del sistema solare con il telescopio. Ebbene, un astrofotografo ha potuto fare la foto della vita riprendendo quello che sembra essere il lampo di un impatto, provocato da qualcosa che è esploso nella densa atmosfera superiore del pianeta.

Il 7 agosto 2019, alle 4:07 UTC, Ethan Chappel è riuscito ad immortalare il rarissimo episodio sulla sua macchina fotografica.

Immagine di Giove stasera“, ha scritto su Twitter. “Sembra un lampo da impatto nella [cintura equatoriale meridionale]“.

Dopo aver controllato il video e aver visto il flash, la mia mente ha iniziato a correre! Ho sentito con urgenza la necessità di condividerlo con persone che avrebbero trovato utili i risultati“, ha detto Chappel a ScienceAlert.

Sulla striscia marrone della nuvola appena sotto l’equatore, all’estrema sinistra, un punto si illumina visibilmente prima di sbiadire – niente come uno dei normali processi di Giove, come un lampo o un’aurora.

In effetti, non assomigliava affatto a un evento di impatto.

Non ho mai visto nulla di simile prima”, ha detto a ScienceAlert l’astronomo Jonti Horner dell’Università del Queensland meridionale in Australia. “È semplicemente mozzafiato“.

L’impatto di un bolide su Giove non è un evento raro. I bolidi, meteore che esplodono a mezz’aria a causa dell’ingresso atmosferico, sono abbastanza comuni sulla Terra, e il nostro pianeta è certamente un bersaglio molto più piccolo e molto meno gravitazionalmente intenso di Giove.

Inoltre, Giove è circondato da oggetti che può attrarre con la sua gravità: sia comete a breve che a lungo termine, nonché asteroidi dalla cintura posta tra il gigante gassoso e Marte.

In effetti, uno studio del 1998 scoprì che il tasso di grandi impatti su Giove è probabilmente compreso tra 2.000 e 8.000 volte il tasso di impatti sulla Terra. Ma ciò non significa che sia facile vederli; in effetti sono stati pochissimi gli impatti ripresi fino ad oggi.

Molti ricorderanno la cometa Shoemaker-Levy 9 che, nel 1994, si spezzò a causa delle forze di marea di Giove e produsse una serie di impatti. Questi avvennero sul lato opposto del pianeta, ma il telescopio da 2,2 metri nelle Hawaii fotografò le firme del calore di questi siti di impatto mentre orbitavano in vista, e Hubble catturò le macchie scure lasciate sulle nuvole di Giove.

Altri impatti sono stati ripresi nel 2009 e di nuovo nel 2010 ma, nonostante la frequenza stimata, vederli accadere è molto raro.

View image on TwitterView image on Twitter“Si tratta di eventi fugaci, appaiono e scompaiono in pochi secondi”, ha detto Horner a ScienceAlert.

Limitandosi ad osservare attraverso l’oculare del telescopio possono facilmente sfuggire. Molte volte queste cose passeranno inosservate. Inoltre, la metà di questi impatti accade dalla parte opposta del pianeta“.

Il fatto che abbiamo un video in tempo reale dell’evento, e che possiamo vederlo chiaramente illuminarsi e sfumare, è la parte più eccitante“, ha detto. “Significa che possiamo confrontarlo l’impatto con altri bolidi, come la meteora di Chelyabinsk del 2013, per vedere come varia il tempo impiegato da ogni evento per illuminarsi e sfumare“.

Stavo guardando il cielo per vedere le Perseidi quando è successo, quindi non ho visto il flash durante la registrazione“, ha raccontato Chappel a ScienceAlert. “L’ho notato solo in seguito grazie a un ottimo software chiamato DeTeCt di Marc Delcroix, progettato appositamente per trovare questi flash“.

È anche possibile che l’impatto abbia lasciato una cicatrice che può essere studiata da altri strumenti, ad esempio la sonda di Giove JunoI primi rapporti suggeriscono che l’impatto è stato troppo piccolo per produrre una cicatrice, ma potremmo essere fortunati.

Non sappiamo ancora quanto fosse grande l’oggetto, ma dovrebbe essere relativamente grande per produrre un evento visibile dalla Terra.

Per chi volesse tentare la fortuna con la fotografia di Giove, Chappel ha gentilmente fornito un elenco delle sue attrezzature su Twitter.

In ogni caso, un evento indimenticabile per un astronomo dilettante.

Fonte: ScienceAlert

Scanner OBD2 per la diagnostica dell’auto e telecamera subacquea in promozione su Amazon

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Le funzionalità vanno dalla lettura dei codici di errore generati dal motore (è così sapere cosa non va nella propria auto) fino al monitoraggio dei parametri riguardanti la misurazione precisa della temperatura dell’acqua e il consumo di carburante. Può inoltre spegnere le spie che si attivano senza alcun motivo concreto sul cruscotto.

 

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Scoperte 39 antichissime e lontanissime galassie risalenti all’Universo primordiale

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Si può pensare che farsi sfuggire per decenni delle enormi galassie sia impossibile, eppure gli astronomi hanno appena individuato ben 39 nuove galassie lontane miliardi di anni luce, rimaste fino ad ora invisibili, cambiando così la nostra comprensione dell’Universo primordiale.

Questa è la prima volta che una così grande popolazione di enormi galassie è stata confermata, risalgono ai primi 2 miliardi di anni della vita dell’universo. In precedenza non eravamo riusciti a vederle“, ha detto l’astronomo Tao Wang dell’Università di Tokyo.

Questa scoperta è in contrasto con i modelli attuali per quel periodo di evoluzione cosmica e aiuterà ad aggiungere alcuni dettagli, che finora mancavano“.

L’Universo ha circa 13,8 miliardi di anni, il che significa, almeno in teoria, che possiamo scrutare il passato per vedere come erano le condizioni nel momento in cui si accesero le luci.

La luce di galassie poste a 10 miliardi di anni luce di distanza, ad esempio, impiega 10 miliardi di anni per viaggiare nello spazio per raggiungerci; quindi, quando vediamo qualcosa da così lontano, lo vediamo com’era 10 miliardi di anni fa.

In termini pratici, è molto più difficile. La luce più viene da lontano, più è debole quando ci raggiunge. Immaginiamo di vedere una torcia da una distanza di 10 metri e un’altra posta a oltre cento metri. Quest’ultima ci apparirà più piccola e più debole. A 1.000 metri, potremmo non essere nemmeno in grado di vederla ad occhio nudo.

E l’Universo si sta espandendo, il che allunga le onde luminose mentre viaggiano attraverso lo spazio, spostandole verso l’estremità rossa dello spettro. Questo fenomeno si chiama redshift, e più qualcosa è lontano, più lo spazio si espande tra noi e l’oggetto, aumentando così il redshift.

Quando il telescopio spaziale Hubble ha guardato più lontano che mai nello spazio-tempo per la sua serie di immagini Deep Field, ha catturato un ampio spettro di lunghezze d’onda, dall’ultravioletto al vicino infrarosso, catturando alcune delle galassie più distanti che abbiamo mai visto.

Ma queste galassie appena scoperte avevano un’ulteriore complicazione.

Li abbiamo rilevati nella lunghezza d’onda dell’infrarosso medio e del submillimetro [tra infrarosso e microonde]“, ha spiegato Wang a ScienceAlert.

Queste galassie sono così scure nell’ultravioletto al vicino infrarosso perché contengono un’enorme quantità di polvere che assorbe la luce a lunghezze d’onda più brevi“.

confronto delle prime galassieImmagine di Hubble Deep Field (a sinistra) e osservazioni ALMA nella lunghezza d’onda del submillimetro (a destra). (© 2019 Wang et al.)

A queste lunghezze d’onda, è difficile caratterizzare queste galassie. La spettroscopia, ad esempio, la tecnica utilizzata per determinare le proprietà delle stelle in base a uno spettro di radiazioni elettromagnetiche, diventa estremamente difficile con una gamma così limitata di lunghezze d’onda.

Tuttavia, i ricercatori sono stati in grado di determinare che queste galassie sono sostanziali, con una densità spaziale di due ordini di grandezza superiore alle galassie stellari estreme (la densità spaziale è la quantità di materiale cosmico – stelle, pianeti e così via – impacchettata nello spazio che una galassia occupa; alcune galassie sono più piene di altre).

Secondo le osservazioni, queste antiche, enormi galassie stanno ancora formando nuove stelle a una velocità 100 volte superiore a quella della Via Lattea oggi.

E più una galassia è massiccia, più enorme è il buco nero supermassiccio al suo interno. Uno studio all’inizio di quest’anno ci ha mostrato che questi buchi neri erano molto più comuni nell’universo primordiale di quanto pensassimo in precedenza, sfidando la nostra comprensione su come possano essersi formati così velocemente

Le galassie appena individuate sono un altro pezzo del puzzle.

L’esistenza di questo gran numero di galassie imponenti e polverose è inaspettata negli attuali modelli o simulazioni, il che dimostra che l’Universo, nella sua prima fase di vita, poteva formare sistemi enormi in modo più efficiente di quanto pensassimo“, ha detto Wang a ScienceAlert. “Ciò comporta nuove sfide per teorici e modellisti“.

E aiutano anche a risolvere un altro problema che aveva infastidito gli astronomi: la grande popolazione di enormi galassie con bassi spostamenti verso il rosso. I precedenti sondaggi dell’Universo primordiale non avevano trovato abbastanza galassie per spiegare la formazione delle enormi galassie che avvenne in seguito.

Sulla base dei risultati ottenuti, il team ha stimato che sono molto numerose queste galassie ad alto spostamento verso il rosso con masse masse inferiori che non abbiamo ancora rilevato – forse circa 530 per grado quadrato di cielo (per capire, la Luna piena ha un diametro di mezzo grado se vista dalla Terra).

La grande densità numerica di questa nuova popolazione di enormi galassie aiuterà a risolvere questa tensione“, ha detto Wang.

Il team sta pianificando di condurre ulteriori osservazioni con l’Aracama Large Millimeter / Submillimeter Array per cercare di ottenere informazioni più dettagliate sullo spostamento verso il rosso delle 39 galassie, nonché sui tassi di formazione delle stelle e sul contenuto di polvere.

Ma l’analisi spettroscopica delle galassie potrebbe dover attendere fino a quando il James Webb Space Telescope, successore di Hubble, verrà lanciato nel 2021.

Sono impaziente che i prossimi strumenti per l’osservazione dell’universo, come il James Webb Space Telescope, comincino  mostrarci come sono fatte davvero queste bestie primordiali“, ha concluso Wang.

La ricerca è stata pubblicata su Nature.

Geoingegneria, irrorazioni e vulcani

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David Keith, docente di fisica applicata, è un sostenitore della cosiddetta geo-ingegneria, ossia dell’idea di modificare il clima grazie l’intervento antropico. Il suo piano consiste nell’abbassare la temperatura globale riversando grandi quantità di anidride solforosa nell’atmosfera, replicando l’effetto che si ottiene quando avviene una grande eruzione vulcanica.

L’anidride solforosa è una sostanza che permette di bloccare una parte dei raggi solari, con un effetto inverso “all’effetto serra”. Lo si è osservato, ad esempio, quando nel 1991 eruttò il vulcano Pinatubo, nelle Filippine: le emissioni di anidride solforosa invertirono, per un breve periodo, il riscaldamento climatico.

Secondo David Keith, si dovrebbe replicare ciclicamente questo effetto, che in questo caso non dipenderebbe da eruzioni vulcaniche ma da aerei che irrorano anidride solforosa nell’atmosfera. Keith aveva avanzato la tesi nel suo libro A Case for Climate Engineering (MIT Press, 2013) un libro che, sicuramente, ha fatto saltare sulla sedia molti cospirazionisti che seguono la teoria delle scie chimiche, che prevede appunto, l’irrorazione tramite aerei che rilasciano sostanze chimiche nell’atmosfera.

L’idea è stata poi rilanciata da Bloomberg BusinessWeek in occasione del vertice di Parigi. “L’idea è replicare l’effetto-Pinatubo con una flotta di aerei modificati che irrorano minuscole gocce di acido solforico nella stratosfera, dove combinandosi con il vapore acqueo formeranno particelle di solfato capaci di deflettere la luce del sole”, si legge. “Gli scienziati stimano che pochi grammi di solfato sarebbero in grado di contrastare il riscaldamento causato da tonnellate di anidride carbonica”.

Il piano, secondo Bloomberg BussinessWeek, sarebbe poco costoso, forse si attesterebbe attorno allo 0,01% del Pil mondiale.

Un approccio del genere al problema del riscaldamento globale è fattibile? Probabilmente si, ma è anche auspicabile? Secondo il magazine dello Smithsonian uno dei problemi associati con la geo-ingegneria sta nel fatto che “potrebbero esserci dei rischi per ora non ancora conosciuti dal momento che il processo non è mai stato testato, fatta eccezione per delle simulazioni al computer”.

Oltre a questa proposta esiste un nuovo documento pubblicato in Geophysical Research Letters che prova a capire se è possibile controllare il clima immettendo anche in questo caso sostanze chimiche nell’atmosfera.

Come abbiamo visto, la geoingegneria è un approccio teorico per contenere gli effetti dei cambiamenti climatici inseminando l’atmosfera con uno strato di particelle di aerosol rilasciate in modo intenzionale. I sostenitori di questo approccio lo descrivono come un vulcano “creato dall’uomo“.

A nessuno piace l’idea di armeggiare intenzionalmente con il nostro sistema climatico su scala globale“, ha dichiarato Ken Caldeira del Carnegie. “Anche se speriamo che questi approcci non debbano mai essere utilizzati, è davvero importante capirli perché un giorno potrebbero essere necessari per aiutare ad alleviare la sofferenza”. Anche Ken Caldeira insieme a Lei Duan del Carnegie, Long Cao della Zhejiang University e Govindasamy Bala dell’Indian Institute of Science, hanno iniziato a confrontare gli effetti sul clima indotti da un’eruzione vulcanica e della geoingegneria solare.

I ricercatori hanno usato modelli sofisticati per studiare l’impatto di un singolo evento vulcanico, che rilascia particelle che rimangono nell’atmosfera per pochi anni e di una distribuzione geoingegneristica a lungo termine, che richiede il mantenimento di uno strato di aerosol nell’atmosfera. Grazie a questi modelli sono arrivati alla conclusione che indipendentemente da come le particelle vengono iniettate in atmosfera, si verifica una rapida diminuzione della temperatura superficiale, con un raffreddamento del terreno più veloce dell’oceano.

Tuttavia, l’eruzione vulcanica aveva creato una differenza di temperatura maggiore tra la terra e il mare rispetto alla simulazione della geoingegneria. Ciò ha comportato diversi modelli di precipitazione tra i due eventi. In entrambe le situazioni, le precipitazioni sulla terra diminuiscono – il che significa meno acqua disponibile per le popolazioni, anche se la diminuzione è stata più significativa in seguito a un’eruzione vulcanica rispetto al caso della geoingegneria.

Quando un vulcano si spegne, la terra si raffredda sostanzialmente più velocemente dell’oceano. Ciò interrompe i modelli di pioggia in modi che non ci si aspetterebbe da un dispiegamento prolungato di un sistema di geoingegneria“, ha detto l’autore principale Duan.

Nel complesso, gli autori affermano che i loro risultati dimostrano che le eruzioni vulcaniche sono analoghi imperfetti per la geoingegneria e che gli scienziati dovrebbero essere cauti nell’estrapolare troppi dati da loro.

Sebbene sia importante valutare le proposte di geoingegneria da una posizione informata, il modo migliore per ridurre il rischio climatico resta quello di ridurre le emissioni“, ha concluso Caldeira.

Fonte: Carnegie Institution for Science; .rivistastudio.com.

Facebook ha beffato i 2 milioni di persone che volevano occupare l’area 51

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Facebook ha rimosso l’evento mega-virale chiamato “Storm Area 51“, sostenendo che violava gli standard della community.

Prima di essere rimosso, l’evento era stato sottoscritto da oltre 2 milioni di utenti di Facebook, attirando l’attenzione dei media mainstream.

L’idea, secondo la descrizione, era di formare un vero e proprio esercito di appassionati di ufologia ed alieni per fare irruzione nella base militare top-secret dell’Aeronautica militare chiamata AREA 51, situata nel mezzo del deserto del Nevada.

Vediamoli alieni“, diceva la descrizione dell’evento.

L’area 51 è stata a lungo oggetto di speculazioni incontrollate e teorie cospirative. La base, grande 13.000 chilometri quadrati ha ospitato centinaia di test di armi nucleari ed è servita come banco di prova per una serie di nuovi velivoli stealth che hanno dato adito alle molte voci di attività ufologica nei suoi cieli.

L’Aereonautica Militare statunitense aveva preso sul serio la minaccia ed un suo portavoce aveva riferito al Washington Post che “la US Air Force è sempre pronta a proteggere l’America e i suoi beni“.

L’uomo dietro l’evento, Mathew Roberts, sta pianificando di realizzare un vero e proprio festival dell’Area 51 che si svolgerà in Nevada il 20 settembre, secondo quanto riferisce CNET. Nel frattempo, una serie di persone si sta arricchendo vendendo magliette ed altri gadgets a tema UFO ed Area 51 tra i sostenitori dell’evento.

Nonostante il grande apprezzamento da parte degli utenti, Facebook, per evitare problemi, ha rimosso sia la pagina dell’evento che quella del festival.

Al via i lavori di rimozione del sarcofago intorno al reattore numero 4 di Chernobyl

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L’incidente della centrale nucleare di Chernobyl è probabilmente uno dei peggiori disastri nucleari della storia.

Il 26 aprile 1986, il nucleo di uno dei reattori nucleari dell’impianto si ruppe durante un normale test di sicurezza, inviando una grande nuvola di materiale radioattivo nell’aria. L’esplosione e i successivi incendi favorirono la diffusione nell’ambiente della contaminazione che si diffuse in tutta Europa, ma la maggiore contaminazione rimase sotto il reattore numero 4, quello danneggiato nell’incidente.

Meno di due mesi dopo il disastro, furono impiegati circa 600.000 addetti alla decontaminazione per costruire un “sarcofago“, una spessa copertura di cemento armato, attorno al reattore per bloccare la fuoriuscita di materiali radioattivi come il corio, l’uranio e il plutonio.

L’opera espose molti dei lavoratori a livelli pericolosi di radiazioni e almeno 31 persone morirono per malattia acuta da radiazioni.

La copertura era progettata per essere robusta (400.000 metri cubi di cemento e circa 16 milioni di libbre di acciaio) ma la costruzione fu fatta in fretta. Si lavorò in fretta per limitare l’esposizione dei lavoratori alle radiazioni ma questo causò troppe approssimazioni e non si riuscì a sigillare completamente l’edificio.

Rimasero crepe nei soffitti, ad esempio, che permisero all’acqua piovana di filtrare e di corrodere l’interno.

Ora, l’intero sarcofago deve essere smantellato prima che precipiti.

La società ucraina che gestisce l’impianto di Chernobyl, la SSE Chernobyl NPP, ha comunicato in una dichiarazione diffusa online che le valutazioni di esperti hanno rivelato che il sarcofago ha una “altissima” probabilità di collasso. Solo la gravità sta tenendo la struttura legata ai suoi blocchi di supporto, secondo quanto affermato la compagnia.

Quindi, il 29 luglio, ha firmato un contratto da 78 milioni di dollari con una società di costruzioni per smantellare il sarcofago entro il 2023. L’operazione prevede di rinforzare la struttura smontando e sostituendo le sue parti, mentre quelle smontate (con l’aiuto di gru robotizzate) verranno ripulite e spedite in appositi centri per il riciclaggio o lo smaltimento.

La rimozione di ogni elemento aumenterà il rischio di collasso della volta che a sua volta causerà il rilascio di grandi quantità di materiali radioattivi“, ha comunicato la società in una nota.

In ogni caso, il sarcofago originale si trova racchiuso all’interno di un guscio composto da 32.000 tonnellate di cemento le cui parti furono assemblate in Italia e consegnate tramite 18 navi e 2.500 camion mettendo la struttura in sicurezza relativamente al pericolo di nuove fughe radioattive.

Il guscio completo, noto come struttura di Nuovo Confinamento Sicuro, è stato portato nella sua posizione finale nel 2016, ed è diventato il più grande oggetto terrestre mai mosso dagli umani. La nuova struttura, è stata rivelata al pubblico lo scorso luglio.

Si prevede che l’area dovrà restare confinata per un altro secolo. Nel frattempo, completato lo smantellamento del sarcofago, inizierà la gigantesca opera di bonifica delle scorie radioattive che rimangono ancora nel reattore numero 4.

Il processo prevede l’aspirazione delle particelle radioattive e l’eliminazione della miscela di “lava” formatasi quando i sovietici scaricarono sabbia, piombo e boro nel reattore in fiamme.

Si prevede che questi sforzi dureranno fino al 2065. A quel punto, gli scienziati stimano che le radiazioni liberate dall’incidente avranno provocato oltre 40.000 casi di tumore.

Fonte: Washington Post

Software di clonazione del disco rigido: cos’è e perché averlo

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Un clone è una copia perfettamente duplicata di qualcosa. La scienza è arrivata a clonare pecore ed altri animali e forse un giorno sarà possibile clonare anche le persone, ma a noi, ora, interessa la clonazione del disco rigido cui è possibile ricorrere attraverso un software apposito per gestire e proteggere i dati in caso di malfunzionamenti dell’hardware.

Cosa fa un software di clonazione del disco rigido? Diamogli un’occhiata da vicino.

Fondamentalmente, la clonazione del disco rigido è un processo atto a produrre una copia perfetta di ogni bit di informazione da un disco rigido del computer a un altro disco, interno od esterno.

Spesso, il contenuto del primo disco viene scritto in un file di immagine come passaggio intermedio. Il secondo disco viene quindi creato con il contenuto dell’immagine.

Che cos’è un software di clonazione del disco rigido?

Un software di clonazione del disco rigido replica specularmente il disco, quindi il sistema operativo, le unità, il software e le patch di un computer.

In pratica elimina il lungo processo tecnico di reinstallazione e riconfigurazione manuale di un sistema in modo da poter eseguire una o più delle seguenti operazioni:

Riavvio e ripristino di un computer a una versione precedente oppure installare più computer con la stessa configurazione, in pratica crea tanti computer duplicati del primo.

È anche possibile aggiornare un disco rigido ormai troppo piccolo con uno di capacità maggiore mantenendo la stessa configurazione del PC, così come si può sostituire sostituire un disco rigido danneggiato con uno nuovo senza perdere molto tempo o ripristinare il sistema in caso di problemi del software o guasti al computer.

Perfetto, è ovvio che voglio proteggere i miei dati ma queste cose non si fanno già con un normale backup?

Non del tutto.

Un software di backup a immagine intera o un software di backup di file e cartelle non sono la stessa cosa di un software che esegue la clonazione del disco, sebbene i motivi per utilizzarli possano sovrapporsi. Ecco alcune buone linee guida su quando usare l’uno o l’altro:

Utilizzare il software di backup per i seguenti scopi:

  • Eseguire il backup di singoli file o cartelle sul cloud per la protezione offsite e l’accesso remoto.
  • Eseguire periodicamente il backup di un intero computer. Il backup dell’immagine del disco include tutte le informazioni di avvio, applicazioni, impostazioni e dati e li archivia su un disco rigido locale esterno o sul cloud. Quando i dati e le applicazioni cambiano, il software di backup salva queste modifiche “incrementali”. I backup incrementali richiedono molto meno tempo rispetto a un nuovo backup (o immagine del disco) di un’intera unità di origine. Inoltre, consente di ripristinare tutto ciò che è accaduto dalla prima installazione del disco rigido.

Il miglior software di backup dati che ho utilizzato è EaseUS Todo Backup Free 11.5 che non posso fare a meno di consigliare a tutti i lettori che avessero esigenze di questo genere.

Utilizzare un software di clonazione quando l’obbiettivo è:

  • Duplicare le configurazioni di più computer in modo che ogni macchina sia configurata in modo identico. Configurare un computer nel modo desiderato, clonare il disco rigido, quindi installare il clone su ciascun computer successivo.
  • Se è necessario aggiornare l’hardware del computer, il semplice inserimento di un disco clonato nell’hardware potrebbe non funzionare. Sarà necessario utilizzare alcune funzionalità di configurazione del sistema operativo per assicurarti che sia supportato tutto l’hardware più recente o utilizzare uno strumento di backup e ripristino per supportare il ripristino di un disco su un computer con hardware diverso rispetto al computer originale.

I vantaggi del software di clonazione

Rispetto ai software di backup, il più grande vantaggio dei software per software di clonazione del disco rigido, per la maggior parte degli utenti di computer domestici, è che in questo modo si ottiene un’immagine completa del tuo computer in un determinato momento.

Ad esempio, potresti voler avere la “configurazione perfetta” per la tua famiglia o l’ufficio, con tutte le applicazioni e le impostazioni riutilizzabili in qualsiasi momento. I file di dati (come documenti, foto e video di Microsoft Word) possono trovarsi su un disco rigido o volume separato.

In questo modo, tutti i computer sono sincronizzati; hanno gli stessi programmi e gli utenti avranno la stessa esperienza indipendentemente dalla macchina che usano.

Tuttavia, ogni computer può contenere dati diversi. Quindi, ci possono essere diversi documenti Word ed Excel su ciascun computer, ma le versioni Word ed Excel e l’interfaccia utente – come si accede a questi programmi – sono uguali su ogni computer.

Funzionalità chiave del software di clonazione

Essere semplice: utilizza la migrazione dei dati per trasferire i dati. In genere offre il modo più semplice per eseguire il backup e il ripristino del sistema. Assicurarsi che il software di clonazione dell’unità sia intuitivo.

Flessibile: offre opzioni per definire quando, cosa e dove eseguire il backup dei dati.

Sicuro: Garantisce che i tuoi dati siano protetti e sicuri utilizzando la sicurezza più rigorosa disponibile.

Anche in questo caso, nella mia esperienza  EaseUS Todo Backup Free rappresenta il meglio dei due mondi, rendendo possibile di effettuare Backup e ripristino dei dati oppure di creare un clone, la copia speculare del tuo disco rigido, già pronto ad essere utilizzato come disco di avvio.

La maggior parte degli utenti richiede soluzioni che permettano sia il backup che la clonazione. EaseUS Todo Backup Free fornisce in modo efficiente e sicuro una protezione continua dei dati, ottimizzando al contempo le prestazioni del computer durante i backup e riducendo al minimo i requisiti di spazio di archiviazione.

Con EaseUS Todo Backup Free, si ha il vantaggio di poter utilizzare strumenti di backup e clonazione del disco, incluse opzioni di pianificazione flessibili, backup di imaging incrementale, possibilità di scegliere di quali file e programmi eseguire il backup e una serie di scelte su dove e come archiviare l’immagine del disco clonato.

Tutto questo è anche semplice da usare. Anche i neofiti del computer possono utilizzare la guida alle procedure guidate facile da seguire durante il processo di configurazione. Una volta completata la configurazione iniziale, il software di clonazione dell’unità viene eseguito automaticamente, eliminando ulteriori tempi o sforzi.

Il software di clonazione e backup del disco è il modo perfetto per proteggere e gestire i tuoi dati.

Uno studio sui topi ha identificato alcuni potenziali danni che potrebbero subire gli astronauti durante lunghe missioni nello spazio profondo

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L’umanità progetta di andare sulla Luna ed oltre nei prossimi due decenni. Ma mentre la nostra tecnologia fa progressi costanti verso questi ambiziosi obiettivi, i nostri corpi possono essere l’unico vero ostacolo per i viaggi nello spazio sulle lunghe distanze. Un articolo pubblicato sulla rivista ENeuro rivela alcuni “potenziali problemi inattesi” con cervelli dei mammiferi che potrebbero significare che non siamo pronti ad intraprendere viaggi nello spazio.

Utilizzando una nuova struttura a radiazioni “a basso dosaggio” situata presso la Colorado State University, un team di scienziati ha osservato che i topi, dopo avere trascorso mesi esposti a radiazioni simili a quelle che si trovano nello spazio profondo, iniziano a comportarsi in modo strano.

I topi coinvolti nello studio hanno mostrato “gravi disabilità” nell’apprendimento e nella memoria e sono diventati estremamente ansiosi. Il team ha anche riscontrato cambiamenti fisici nel cervello dei topi che potrebbero spiegare i cambiamenti.

Nel documento, scritto da Charles Limoli, professore di oncologi presso la UC Irvine School of Medicine, il team sostiene che le sue scoperte “comprometterebbero chiaramente le capacità degli astronauti che hanno bisogno di rispondere rapidamente, in modo appropriato ed efficiente a situazioni impreviste che potrebbero verificarsi nel corso di una missione su Marte“.

ISS, stazione spaziale internazionale.
Andare oltre l’orbita terrestre bassa potrebbe comportare rischi significativi per i cervelli dei futuri astronauti.

Questo studio è stato condotto su topi, quindi non possiamo dire con certezza che i risultati si applicheranno agli umani. Tuttavia, arriverà un momento cruciale. Ad aprile i risultati dello studio sui gemelli effettuato dalla NASA hanno mostrato che l’astronauta Scott Kelly,  dopo avere trascorso un anno a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, ha subito alcuni piccoli cambiamenti fisiologici rispetto al suo gemello terrestre, ma nulla di  irreversibile o pericoloso per la vita. Tali scoperte suggeriscono che gli umani reagiscono bene durante le missioni spaziali estese nell’orbita terrestre bassa, il che è un buon punto di partenza.

L’orbita terrestre bassa, però, è una cosa, ma andare su Marte (e oltre) è un’altra cosa. Le missioni nello spazio profondo dovranno fare i conti con la radiazione cosmica galattica (GCR), particelle che stanno accelerando così velocemente da essere spogliate dei loro elettroni, che lasciano indietro solo il nucleo. Quelle particelle possono “passare praticamente senza ostacoli attraverso una navicella spaziale tipica o la pelle di un astronauta“, ponendo minacce alla salute umana, ha osservato la NASA.

Limoli e il suo team della UC Irvine hanno cercato di imitare al meglio questo ambiente inospitale confinando i topi per sei mesi in una struttura dove sono rimasti esposti a radiazioni a basso dosaggio. Non è perfetto, ma sostengono che il loro protocollo di esperimento “simula ragionevolmente le esposizioni di GCR durante una missione prolungata nello spazio profondo“.

Nel tempo, hanno osservato preoccupanti cambiamenti fisici e comportamentali. In particolare, hanno visto che i neuroni nell’ippocampo dei topi esposti alle radiazioni erano molto meno eccitabili di quanto non fossero nei topi di controllo. Tale effetto ha creato una riduzione della segnalazione, che secondo loro spiega alcuni cambiamenti comportamentali nei topi sottoposti a test di memoria e interazione sociale.

 

Ma hanno anche notato che anche il potenziamento a lungo termine dei neuroni nell’ippocampo è stato ostacolato. Il potenziamento a lungo termine è una forma di plasticità cerebrale che permette a due neuroni di “imparare” a interagire formando una forte connessione che si ritiene sostenga l’apprendimento e la memoria. L’esposizione a lungo termine alle radiazioni, notano questi autori, sembra interrompere questo processo cruciale.

Gli autori, comunque, osservano che la traduzione di una scoperta sul cervello di un topo in qualcosa che la NASA può utilizzare per aiutare a informare i viaggiatori dello spazio umani “rimane ancora una sfida“. Le radiazioni spaziali possono anche influenzare persone diverse in modi diversi, ma in base ai loro calcoli nei topi, il il team stima che un numero significativo di astronauti potrebbe avere difficoltà con le funzioni cognitive (come ad esempio la memoria) quando saranno nello spazio profondo:

Pertanto, in un equipaggio di cinque astronauti che viaggiano su Marte, ci aspetteremmo che almeno un membro mostrasse gravi deficit delle funzioni cognitive al rientro sulla Terra“, scrivono i membri del team.

Considerando che gli imprenditori spaziali stanno già progettando di costruire vere e proprie colonie su Marte, l’idea che una persona su cinque possa avere grossi problemi cognitivi durante il viaggio potrebbe rappresentare un enorme ostacolo. Ma non insormontabile. Anche se gli autori descrivono questi rischi specifici come “imprevisti“, la NASA è consapevole da anni della sfida rappresentata dalle radiazioni dello spazio profondo e sta attivamente cercando soluzioni.

Ad esempio, nel 2003 la NASA ha finanziato il Brookhaven National Lab di New York per creare il NASA Space Radiation Laboratory, che, come il progetto di Limoli, inizialmente aveva lo scopo di valutare i rischi da radiazioni simili a quelle dello spazio profondo. L’idea è che man mano che riusciremo a gestire meglio i rischi, la priorità della ricerca “passerà dalla valutazione del rischio allo sviluppo delle contromisure“.

In effetti, il tempo stringe. Diverse stime suggeriscono che gli umani arriveranno su Marte (e rimarranno lì) entro i prossimi due decenni. Ma si spera di riuscire ad escogitare le necessarie contromisure nei tempi giusti.

Abstract:

Mentre la NASA progetta una futura missione su Marte, sono emerse preoccupazioni riguardo ai rischi per la salute associati all’esposizione alle radiazioni nello spazio profondo. Fino ad ora, gli impatti di tali esposizioni sono stati osservati negli animali solo dopo esposizioni acute, utilizzando dosi di circa 1,5 ± 105 88 superiori a quelli effettivamente riscontrati nello spazio. Utilizzando una nuova struttura di irradiazione di neutroni a basso dosaggio, abbiamo scoperto che esposizioni realistiche a basso tasso di dosaggio producono gravi complicanze neurocognitive associate a neurotrasmissione compromessa. L’esposizione cronica (6 mesi) a bassa dose (18 cGy) e la velocità di dose (1 mGy / giorno) di topi a un campo misto di neutroni e fotoni determinano una ridotta eccitabilità neuronale dell’ippocampo e interruzione dell’ippocampo e potenziamento corticale a lungo termine. Inoltre, i topi hanno mostrato gravi disabilità nell’apprendimento e nella memoria, e l’emergere di comportamenti di autoprotezione. Le analisi comportamentali hanno mostrato un allarmante aumento del rischio associato a queste simulazioni realistiche, rivelando per la prima volta alcuni potenziali problemi inattesi associati al viaggio nello spazio profondo a tutti i livelli della funzione neurologica.

Fonte: Inverse