di Oliver Melis
29 agosto 1964, al largo dei Capo Horn.
La nave oceanografica americana Eltanin Horn, fotografò uno strano oggetto a circa 4.115 m di profondità. A prima vista sembrava un’antenna uscita da qualche film di fantascienza.
La misteriosa struttura era composta da un’asta di 60 cm di lunghezza da cui si sporgevano perpendicolarmente dodici segmenti con una sfera posta all’estremità.
Cosa mai poteva essere quella misteriosa struttura? Chi l’aveva costruita?
Al ritorno ad Auckland la storia venne pubblicata dal “New Zeland Herald”, il 5 dicembre 1964 e molti iniziarono a interrogarsi sul misterioso oggetto. Se ne occupò anche un biologo marino, Thomas Hopkins, che prestava servizio proprio a bordo della Eltain, il quale escluse la possibilità che la struttura fosse una pianta, essendo troppo in profondità per effettuare la fotosintesi clorofilliana e nemmeno un corallo sembrava essere la risposta adeguata, troppa simmetria, che nei coralli non è presente.
Poteva essere qualcosa di artificiale, un oggetto costruito da qualcuno e depositato a quella profondità per chissà quale scopo.
Ma se si trattava di un oggetto artificiale, chi mai, nel 1964 aveva a disposizione la tecnologia necessaria per depositarlo a tale profondità? I sottomarini più all’avanguardia all’epoca raggiungevano solo i 600 metri di profondità e i batiscafi non avevano braccia meccaniche con le quali operare.
Forse un oggetto caduto da una nave? Apparentemente l’oggetto era ben adagiato sul fondale. Le speculazioni continuarono e alcuni fecero ipotesi più bizzarre, forse, la strana struttura era il frutto di una tecnologia in possesso di una civiltà ormai scomparsa, una civiltà finita sotto migliaia di metri di acqua.
Subito qualcuno evocò la mitica Atlantide.
Qualche anno dopo, nel 1968 un certo Brad Steiger pubblicò su “Saga”, un giornale per appassionati di misteri, un articolo in cui identificava l’oggetto come un’apparecchiatura aliena o di qualche gruppo segreto terrestre per monitorare l’attività sismica. Le ipotesi erano quindi diventate talmente esotiche che sconfinarono nella numerologia.
Anche Bruce Cathie, un pilota neozelandese che, dopo aver visto un UFO aveva iniziato a studiare il fenomeno per cercare di scoprire il loro sistema di propulsione, si occupò della misteriosa antenna, Cathie pensava che gli UFO utilizzassero per muoversi una fonte di energia terrestre che permeava tutto il pianeta. Esaminò la foto dell’oggetto e ne valutò la posizione e ne dedusse che i segmenti erano posizionati con angoli di 15 gradi e grazie a questo costruì una mappa del pianeta suddivisa in che si sviluppavano su tutta la superficie della Terra; quelle linee, secondo la sua teoria, venivano utilizzate dagli UFO per assorbire l’energia che alimentava il loro sistema di propulsione. La teoria, che di scientifico non aveva nulla, riscosse un grande successo e fu ripresa dai numerologi che utilizzarono la grigia scovando addirittura una lista di numeri sacri.
Un certo Michael Lawrence Morton, che si definiva “archeocrittografo”, fuse la griglia ideata da Cathie con quella studiata da Carl Munck, associando ogni punto della griglia a un determinato valore credendo di individuare con questo sistema dei luoghi chiave identificati dai punti: l’antenna stessa, la Torre Eilffel, Nazca e cosi via.
Il mistero dell’antenna sparì, sommerso da queste astruse teorie ufologiche prima e numerologiche poi, fino al 2003, quando l’ufologo Joseph Trainor, ne parlò in una rubrica dedicata ai “misteri vintage” sulla rivista “UFO Rondup”. Un altro ufologo, Tom DeMary, specialista in acustica sottomarina, scoprì che in realtà il mistero era già stato risolto nel 1971.
I biologi Bruce Heezen e Charles Hollister avevano infatti analizzato la famosa fotografia e indentificato “l’antenna” con una spugna, la Cladorhiza concrescens, pubblicando le loro conclusioni in “The Face of the Deep”.
Fonti: Cicap, Queryonline.