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L’antenna misteriosa

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di Oliver Melis

29 agosto 1964, al largo dei Capo Horn.

La nave oceanografica americana Eltanin Horn, fotografò uno strano oggetto a circa 4.115 m di profondità. A prima vista sembrava un’antenna uscita da qualche film di fantascienza.
La misteriosa struttura era composta da un’asta di 60 cm di lunghezza da cui si sporgevano perpendicolarmente dodici segmenti con una sfera posta all’estremità.

Cosa mai poteva essere quella misteriosa struttura? Chi l’aveva costruita?

Al ritorno ad Auckland la storia venne pubblicata dal “New Zeland Herald”, il 5 dicembre 1964 e molti iniziarono a interrogarsi sul misterioso oggetto. Se ne occupò anche un biologo marino, Thomas Hopkins, che prestava servizio proprio a bordo della Eltain, il quale escluse la possibilità che la struttura fosse una pianta, essendo troppo in profondità per effettuare la fotosintesi clorofilliana e nemmeno un corallo sembrava essere la risposta adeguata, troppa simmetria, che nei coralli non è presente.

Poteva essere qualcosa di artificiale, un oggetto costruito da qualcuno e depositato a quella profondità per chissà quale scopo.

Ma se si trattava di un oggetto artificiale, chi mai, nel 1964 aveva a disposizione la tecnologia necessaria per depositarlo a tale profondità? I sottomarini più all’avanguardia all’epoca raggiungevano solo i 600 metri di profondità e i batiscafi non avevano braccia meccaniche con le quali operare.

Forse un oggetto caduto da una nave? Apparentemente l’oggetto era ben adagiato sul fondale. Le speculazioni continuarono e alcuni fecero ipotesi più bizzarre, forse, la strana struttura era il frutto di una tecnologia in possesso di una civiltà ormai scomparsa, una civiltà finita sotto migliaia di metri di acqua.

Subito qualcuno evocò la mitica Atlantide.

Qualche anno dopo, nel 1968 un certo Brad Steiger pubblicò su “Saga”, un giornale per appassionati di misteri, un articolo in cui identificava l’oggetto come un’apparecchiatura aliena o di qualche gruppo segreto terrestre per monitorare l’attività sismica. Le ipotesi erano quindi diventate talmente esotiche che sconfinarono nella numerologia.

Anche Bruce Cathie, un pilota neozelandese che, dopo aver visto un UFO aveva iniziato a studiare il fenomeno per cercare di scoprire il loro sistema di propulsione, si occupò della misteriosa antenna, Cathie pensava che gli UFO utilizzassero per muoversi una fonte di energia terrestre che permeava tutto il pianeta. Esaminò la foto dell’oggetto e ne valutò la posizione e ne dedusse che i segmenti erano posizionati con angoli di 15 gradi e grazie a questo costruì una mappa del pianeta suddivisa in che si sviluppavano su tutta la superficie della Terra; quelle linee, secondo la sua teoria, venivano utilizzate dagli UFO per assorbire l’energia che alimentava il loro sistema di propulsione. La teoria, che di scientifico non aveva nulla, riscosse un grande successo e fu ripresa dai numerologi che utilizzarono la grigia scovando addirittura una lista di numeri sacri.

Un certo Michael Lawrence Morton, che si definiva “archeocrittografo”, fuse la griglia ideata da Cathie con quella studiata da Carl Munck, associando ogni punto della griglia a un determinato valore credendo di individuare con questo sistema dei luoghi chiave identificati dai punti: l’antenna stessa, la Torre Eilffel, Nazca e cosi via.

Il mistero dell’antenna sparì, sommerso da queste astruse teorie ufologiche prima e numerologiche poi, fino al 2003, quando l’ufologo Joseph Trainor, ne parlò in una rubrica dedicata ai “misteri vintage” sulla rivista “UFO Rondup”. Un altro ufologo, Tom DeMary, specialista in acustica sottomarina, scoprì che in realtà il mistero era già stato risolto nel 1971.

I biologi Bruce Heezen e Charles Hollister avevano infatti analizzato la famosa fotografia e indentificato “l’antenna” con una spugna, la Cladorhiza concrescens, pubblicando le loro conclusioni in “The Face of the Deep”.

Fonti: Cicap, Queryonline.

Come il cervello “sceglie” di imparare

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Per conoscere il mondo, un animale deve fare qualcosa di più che prestare attenzione a ciò che lo circonda. Ha anche bisogno di imparare quali aspetti, suoni e sensazioni nel suo ambiente sono più importanti e monitorare come l’importanza di questi dettagli cambia nel tempo.

Tuttavia, in che modo gli umani e altri animali seguano questi dettagli è rimasto un mistero.

Ora, i biologi della Stanford University, come riportato sul numero di Science del 26 ottobre, pensano di aver capito come gli animali riescono a dare un ordine di priorità ai dati ambientali.

Una parte del cervello chiamata talamo paraventricolare, o PVT, opera come una sorta di gatekeeper, assicurandosi che il cervello identifichi e rintracci i dettagli più salienti di una data situazione. Anche se la ricerca, finanziata in parte dalla Wu Tsai Neuroscience Institute’s Neurochoice Initiative, è limitata ai topi, in futuro i risultati potrebbero aiutare i ricercatori a capire meglio come gli umani imparano dall’ambiente. E potrebbero addirittura aiutare a curare la tossicodipendenza, come ha sostenuto l’autore dello studio, Xiaoke Chen, assistente alla cattedra di biologia.

I risultati ottenuti sono sorprendenti“, ha spiegato Chen, “perché pochi avevano sospettato che il talamo potesse agire in modo così sofisticato. Abbiamo dimostrato che le cellule del talamo svolgono un ruolo molto importante nel tenere traccia del significato comportamentale degli stimoli, come nessuno aveva mai fatto prima“, ha concluso Chen, che è anche membro dello Stanford Bio-X e del Wu Tsai Neurosciences Institute.

Decidere cosa imparare

Nella sua forma più elementare, l’apprendimento si ricollega al “feedback“. Ad esempio, se hai mal di testa e prendi un farmaco, ti aspetti che il farmaco faccia andare via il mal di testa. Se hai ragione, prenderai quel farmaco la prossima volta che avrai mal di testa. Se ti sbagli, proverai qualcos’altro. Psicologi e neuroscienziati hanno studiato questo aspetto dell’apprendimento in modo esteso e lo hanno persino tracciato in specifiche parti del cervello che elaborano il feedback e guidano l’apprendimento.

Tuttavia, la struttura dell’apprendimento è ancora incompleta, ha spiegato Chen. Anche in esperimenti di laboratorio relativamente semplici, per non parlare della vita nel mondo reale, gli esseri umani e gli altri animali hanno bisogno di capire da cosa imparare – in sostanza, qual’è il feedback e cosa invece scartare. Nonostante la necessità di capire come nasce l’apprendimento, secondo lo scienziato cinese finora psicologi e neuroscienziati non hanno prestato la dovuta attenzione a questo processo.

Per raggiungere il loro scopo, Chen e i suoi colleghi hanno insegnato ai topi ad associare odori particolari ad eventi positivi e negativi. Un odore specifico segnalava ai topi che stava arrivando dell’acqua da bere, mentre un altro segnalava l’arrivo di soffio d’aria sui musi. In seguito, i ricercatori hanno sostituito il soffio d’aria con una leggera scossa elettrica, qualcosa che presumibilmente avrebbe suscitato maggiore attenzione.

Il team ha scoperto che i neuroni nel PVT si adattavano a questo cambiamento. Durante la fase del soffio d’aria, due terzi dei neuroni PVT rispondevano ad entrambi gli odori, mentre un ulteriore 30 percento veniva attivato solo dall’odore associato al sorso d’acqua. In altre parole, durante questa fase il PVT ha risposto sia ad esiti positivi che negativi, con grande preponderanza degli esiti positivi.

Durante la fase di stimolazione elettrica, invece, l’equilibrio si è spostato. Quasi tutti i neuroni del PVT hanno risposto alla stimolazione, mentre circa tre quarti di essi hanno risposto a esiti positivi e negativi. Il cambiamento si è verificato dopo che i topi avevano bevuto. In pratica, quando i topi non sentivano lo stimolo della sete il PVT era meno reattivo all’acqua e più reattivo ai soffi d’aria, il che dovrebbe significare che il PVT diventa reattivo ai risultati negativi e meno a quelli positivi. Presi insieme, secondo l’interpretazione degli scienziati, i risultati hanno dimostrato che il PVT tiene traccia di ciò che è più importante in un dato momento – l’esito positivo quando supera il negativo e viceversa.

Un nuovo punto di osservazione

“I risultati ottenuti sembrano indicare diverse conclusioni,” è stato il commento di Chen. “Forse la più importante è che ora gli altri ricercatori hanno un nuovo posto in cui guardare – il PVT – qualora intendano studiare come l’attenzione a dettagli diversi influenzi il “come” e il “cosa” imparano gli animali.

Anche i neuroscienziati hanno ora nuove modalità per controllare l’apprendimento. In ulteriori esperimenti con topi geneticamente modificati in modo che il team potesse tracciare l’attività del PVT, i ricercatori hanno scoperto che potevano inibire o migliorare l’apprendimento – ad esempio, potevano insegnare più velocemente ai topi che un dato odore non avrebbe più segnalato l’arrivo dell’acqua, contrariamente a quanto insegnato fino a quel momento, oppure che un altro odore si trasformava da segnalatore di acqua a segnalatore di stimolo elettrico. Questi risultati potrebbero indicare nuovi modi per modulare l’apprendimento – nei topi, per il momento – stimolando o sopprimendo a comando l’attività del PVT.

Nel lungo termine, queste ricerche potrebbero portare a nuovi sistemi per supportare la cura dalla tossicodipendenza, aiutando i tossicodipendenti a disimparare l’associazione tra l’assunzione di un farmaco, il piacere e la successiva dipendenza.

FONTE: https://news.stanford.edu/2018/10/25/brain-decides-learn/

Il mostro della palude di Sesto San Giovanni

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di Oliver Melis

La notte di maggio, tra domenica 22 e lunedì 23 del 1966 giunse una telefonata presso il Commissariato di Polizia di Sesto San Giovanni. La voce al telefono invitava la Polizia a recarsi presso una strada di periferia, adiacente ad un’area paludosa posta dietro le mura della grande acciaieria Falck, in quanto era stato avvistato uno strano animale.

Gli agenti non furono i primi a giungere sul posto, erano stati preceduti da un gruppo di persone che aveva aperto una vera e propria caccia al mostro, illuminando l’area con torce elettriche e con i fari delle auto.

Il Corriere della Sera uscito il 23 raccontò che alcuni abitanti avevano sentito un serpente antidiluviano che emetteva “ululati” all’imbrunire, dopo l’accensione dell’illuminazione notturna stradale.

Nessuno però affermò mai di aver avvistato il mostro in nessun punto della palude.

Le ricerche proseguirono tutta la notte e vennero riprese il mattino del lunedi. Dal comune giunsero alcuni tecnici e il commissario di Sesto dell’ENPA (Ente Nazionale per la Protezione degli Animali), Luigi Rossi, che ipotizzò che l’animale fosse giunto nella palude dal Lambro, che scorre a poco più di un chilometro ad est di quel punto.

Oggi quei piccoli specchi d’acqua non ci sono più e un muro di recinzione separa la strada dall’area verde posta alle spalle dell’ex-acciaieria, teatro del presunto avvistamento che generò una sorta di mania che si protrasse per una settimana.

Non ci sono molte notizie sulla storia del mostro ma forse la caccia durò fino al 24 maggio, mentre grazie a un articolo del Corriere della sera abbiamo notizie certe il 25 maggio, un articolo scritto dal corrispondente Bruno Lucisano, che poi diventerà un ottimo divulgatore di notizie scientifiche e mediche in particolare.

L’animale aveva una caratteristica, urlava in modo agghiacciante e, a quanto si racconta, la notte del 25 almeno 3000 persone si radunarono nei pressi della palude illuminando la zona con falò e torce elettriche; una trentina, tra i più coraggiosi, almeno cosi si legge, armati di bastoni, mazze e sbarre di ferro diedero la caccia al presunto mostro addentrandosi nella palude, la polizia intervenne regolando il traffico e imponendo il silenzio.

La ricerca proseguì finché il presunto mostro non lanciò di nuovo e per tre volte il suo urlo. Stavolta quasi una sfida.

il fatto scatenò la folla. Decine di persone si gettarono nell’acquitrinio. Qualcuno diede fuoco alle sterpaglie. Arrivarono altre pattuglie della “Volante” con il commissario capo Benvegna; Anche i Vigili del Fuoco furono inutilmente coinvolti. Fortunatamente non si verificarono incidenti.

Il mostro, però, non fu stanato.

La mattina del 24 o del 25, non sappiamo con esattezza, vennero ritrovati i poveri resti del cane dell’uomo che nella notte fra il sabato 21 e domenica 22 era stato il primo a sentire “le urla del mostro”. Secondo il cronista del Corriere, il cane presentava dei segni che facevano pensare a unghiate e altri segni per i quali si ipotizzò che il cane fosse stato azzannato e finito a morsi…

Ma da chi?

Nonostante le centinaia di persone coinvolte nella ricerca, nessuno vide né vedrà mai niente. L’essere veniva descritto solo in base agli “ululati”.

Ma la storia prese una piega differente, quando da Roma, un divulgatore di argomenti zoologici, molto noto grazie alla tv, Angelo Lombardi (1910-1996), decise mettere una taglia di 50.000 lire sull’animale. Secondo il Lombardi l’essere non era altro che una  rana-toro, la sua idea fu condivisa anche da Luigi Rossi, della Protezione animali sestese.

All’epoca, come oggi, nella zona, le rane-toro non erano presenti, quindi tra diversi esperti si accese un dibattito sull’ipotesi.
Ormai la psicosi aveva raggiunto il culmine quando nella giornata del 26 i vigili del fuoco decisero di svuotare la palude ma, anche loro, una volta terminate le operazioni non trovarono nulla e un graduato dichiarò: “il mostro è fuggito o non è mai esistito”.

Come volevasi dimostrare, la mattina del 27 il Corriere scriveva che nella serata del giorno 26 due abitanti di Sesto si presentarono con “il mostrouna rana-toro di 700 grammi catturata proprio nella palude. L’esemplare fu portato al centro culturale di via Cavour, dove la gente accorse per vederlo.

Poi la signora Maria Molinar (1901-1978), direttrice dello zoo dei Giardini Pubblici milanesi di via Manin, chiese che le fosse portata, cosa che i due operai fecero la sera del 27 (Corriere della Sera, 28 maggio 1966).
Da li in poi i ritrovamenti di rane-toro si susseguirono, infatti nella tarda serata del 26 un muratore sedicenne di Cinisello ne trovò una seconda, ma poi “sparì insieme con l’esemplare” (Corriere d’Informazione, 27-28 maggio).

Secondo una ricostruzione il giovane aveva “girato tutta la città per far vedere la sua preda”, fino a quando uno sconosciuto che si sarebbe qualificato come “agente di pubblica sicurezza” non la sequestrò (Corriere della Sera, 28 maggio).
In seguito un terzo individuo dichiarò che poteva essercene un’altra perché Un anno prima ne aveva portate tre, due delle quali femmine, in modo che si riproducessero nello stagno dove le aveva gettate (Corriere d’Informazione del 27-28 maggio e Corriere della Sera del 30 maggio).

Il mistero però continuava a permanere in quanto il primo esemplare, quello portato allo zoo dei Giardini pubblici di Milano, secondo gli esperti del Museo Civico di Storia Naturale non era un’autentica rana-toro, ma soltanto una rana comune, sia pure di dimensioni considerevoli.
La spiegazione della rana-toro non fu accettata da tutti e si faceva sempre più strada la leggenda metropolitana secondo la quale il mostro era un serpente leggendario:

…una giovane sposatasi di recente… diceva: “non è una rana-toro; è un bisso (N.d.R., biscia). Ce n’era uno in uno stagno a Besana, dove sono nata. Ogni notte urlava come il mostro di questo acquitrino. Era lungo un metro e mezzo e a strisce bianche e nere e grosso come un bambino e aveva un brillante in bocca. Un giorno un cacciatore l’uccise e gli strappò il brillante dalla bocca. Ma tre giorni dopo il cacciatore è morto di un male misterioso. Tutti a Besana conoscono la storia del bisso e del cacciatore”.

Le voci di un “mostro dello stagno” però non erano nuove, già nel maggio 1957, presso lo specchio d’acqua di Santa Maria Codifiume, vicino ad Argenta, nel Ferrarese, un “mostro muggente” con occhi fosforescenti e grossa testa attrasse una vera e propria folla sulle rive.

Fu identificato con una rana-toro (Corriere della Sera, 21 maggio 1957).

NASA: un serial in podcast sulla missione InSight – video

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La NASA ha pensato ad un modo diverso per consentire agli appassionati di seguire l’evolversi della missione InSight verso e su Marte, pubblicando una serie di podcast.

La serie, intitolata “On a Mission”, consta di otto episodi e segue il lander InSight mentre percorre i centinaia di milioni di chilometri nello spazio che separano la Terra da Marte e tenta di raggiungere il suolo del pianeta rosso, cosa che accadrà il 26 novembre. “On a Mission” è il primo podcast prodotto dal Jet Propulsion Laboratory (JPL) a tracciare una missione durante il volo, attraverso interviste con il team di gestione della missione InSight direttamente presso la loro sede al Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, in California.

I primi due episodi sono disponibili sul sitp della NASA, il sito web della missione InSightSoundCloud e Podcast Apple. Il primo episodio parla delle probabilità di raggiungere la superficie in sicurezza; ad oggi, meno della metà delle missioni lanciate verso Marte ci riescono.

Razzo Atlas V che trasporta Mars InSight

Il razzo Atlas V che trasporta Mars InSight poggia sul launchpad prima del decollo il 4 maggio 2018, presso la Base Aerea di Vandenberg in California. Credito: NASA / Charles Babir

Quando le cose vanno bene sembra tutto facile, ma non è facile per niente“, spiega Sue Smrekar, vice responsabile della missione InSight. “Nessun tipo di esplorazione a milioni di chilometri è semplice o garantita, mai.”

Narrato dal giornalista scientifico Leslie Mullen e dai membri del team di InSight, ogni episodio mescola umorismo e una narrazione accattivante nell’approfondire il viaggio del lander e la storia delle persone che hanno trascorso anni a lavorarci. I nuovi episodi, della durata tra i 20 ed i 30 minuti, saranno pubblicati settimanalmente mentre InSight si avvicina a Marte. L’episodio finale coprirà le ultime ore di avvicinamento e la fase di atterraggio di InSight sul Pianeta Rosso.

In caso di successo, il lander sarà il primo esploratore robotico a studiare l’interno di Marte, la sua crosta, il mantello ed il nucleo, nel tentativo di comprendere meglio come si sono formati i pianeti rocciosi del nostro sistema solare interno (Mercurio, Venere, Terra e Marte) e gli esopianeti rocciosi.

Le future stagioni del podcast si concentreranno sulle nuove missioni e porteranno gli ascoltatori in nuovi viaggi attraverso l’universo.

Per gli ultimi aggiornamenti su InSight, segui la missione su Facebook e Twitter .

Per scaricare e ascoltare “On a Mission” e altri podcast NASA, visitare:
https://www.nasa.gov/podcasts

Per ulteriori informazioni su InSight, visitare:
https://mars.nasa.gov/insight/

SpaceX ha testato il Falcon 9 che utilizzerà per il volo di prova della Dragon Crew

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SpaceX ha appena fatto un altro passo verso il lancio di una navicella con astronauti a bordo.

Il 25 ottobre, la compagnia di Elon Musk ha effettuato un test di accensione dei motori del Falcon 9 che lancerà la capsula Crew Dragon nel suo primo volo verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) con un contratto commerciale per il trasporto di un equipaggio.

Sarà una missione dimostrativa, attualmente prevista per il gennaio 2019, e non porterà astronauti a bordo. Il lancio successivo di un Falcon 9-Crew Dragon, però, avrà a bordo un equipaggio e decollerà nel giugno 2019, se tutto andrà secondo i piani.

Le missioni ISS del Dragon Crew lasceranno la Terra dallo storico complesso di lancio 39A Apollo del Kennedy Space Center della NASA in Florida. in realtà, il test antincendio di lancio statico del Falcon 9 della scorsa settimana ha avuto luogo nell’area di sviluppo dei missili di SpaceX presso la base McGregor, in Texas, secondo quanto risulta dal comunicato rilasciato da SpaceX.

spaceX

SpaceX e Boeing hanno contratti multimiliardari con la NASA per il trasporto di astronauti delle agenzie spaziali occidentali da e verso la ISS. Boeing utilizzerà una capsula chiamata CST-100 Starliner, la cui prima missione dimostrativa priva di equipaggio è in programma per il marzo 2019, mentre il primo volo con equipaggio è schedulato per agosto 2019.

Starliner utilizzerà come lanciatori razzi United Launch Alliance Atlas V, almeno per il prossimo futuro.

Il Dragon Crew è basato sulla capsula cargo Dragon di SpaceX, che conduce regolarmente missioni automatiche di rifornimento alla ISS ormai da anni. Sia Dragon Crew che la Starliner possono trasportare fino a sette astronauti per viaggio.

Quando Dragon Crew e Starliner inizieranno a svolgere servizio regolare saranno le prime navicelle con equipaggio umano ad essere lanciate dal territorio degli Stati Uniti da quando la NASA ha ritirato la sua flotta di space shuttle nel 2011.

Nuove tendenze: disperdere le ceneri dei propri cari nei parchi tematici Disney

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Un rapporto sul Wall Street Journal ha rivelato una pratica piuttosto macabra, sussurrata ma non confermata fino ad ora, che si svolge nei parchi a tema Walt Disney in Florida e in California.

Circa una volta al mese, sembra che un ospite sparga i resti di una persona amata da qualche parte nel parco, in quanto il parco avrebbe avuto un posto speciale nel cuore del caro estinto. E lo staff avrebbe persino un codice segreto per gestire la pratica.

Nessun codice viene tenuto più segreto da DisneyWorld e Disneyland di quello relativo alla richiesta di una pulizia HEPA “, ha osservato il Journal. “Significa che, ancora una volta, un ospite del parco ha disperso le ceneri cremate di una persona amata da qualche parte nel parco, e un aspirapolvere ultrafine (o” HEPA “) è necessario per risucchiarle.

La pratica è, ovviamente, illegale, in quanto i parchi di divertimento sono proprietà privata, il che significa che è necessario ricevere il permesso dal proprietario di sparpagliare le ceneri in terra privata. Chiunque venga sorpreso a farlo in un parco a tema Disney viene immediatamente espulso dal parco, anche se non ci sono ancora segnalazioni di arresti.

Tuttavia, ciò non ha impedito a molta gente di spargervi ripetutamente le ceneri dei propri cari, con alcune attrazioni, come la Haunted Mansion, particolarmente popolari per questa pratica.

Per portare i resti nel parco, gli aspiranti spargitori utilizzano bottiglie di pillole vuote, sacchetti Ziploc o altri metodi per riuscire ad ingannare la sicurezza.

È un modo dolce per ridere e ricordare – lui è qui … e là … e un po ‘laggiù … sì, anche lì“, ha raccontato al WSJ Caryn Reker di Jacksonville, in Florida, che nel 2006 ha disperso le ceneri a Disney World.

Come ha notato il sito Gizmodo, specializzato in leggende metropolitane, tuttavia, questa non è stata la prima volta che racconti del genere sono stati segnalati in un parco Disney. Un articolo del Los Angeles Times del 2007 raccontava come la polizia abbia colto sul fatto un visitatore del parco di Anaheim mentre disperdeva le ceneri di un parente amato nell’acqua del parco.

Al di là dei motivi sentimentali che possono ispirare il gesto, è necessario ricordare che le ceneri dei nostri parenti disperse nell’ambiente possono infiltrasi nelle falde idriche, inquinandole. Magari ai cari può fare piacere ma per altre persone, trovarsi a bere le ceneri di qualcuno potrebbe non essere esattamente piacevole…

Fonti:  WSJ, Gizmodo

Lunar Gateway, la NASA chiede aiuto ai privati

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La NASA chiede aiuto ai privati per programmare spedizioni di carichi verso la futura stazione spaziale lunare (Lunar Gateway) che sarà posta in orbita cislunare a quasi 400.000 chilometri di distanza dalla Terra. L’agenzia spaziale americana, questa settimana, ha sollecitato le aziende private statunitensi a considerare ciò di cui avrebbero bisogno per consegnare i carichi; le aziende interessate avranno tempo fino al 2 novembre per notificare alla NASA le proprie specifiche.

L’agenzia, come da programma, sta progettando il Lunar Orbital Platform-Gateway, una stazione spaziale che dovrebbe orbitare attorno alla luna e ospitare astronauti, che inizierà ad operare a metà degli anni ’20 e la cui costruzione dovrebbe iniziare intorno al 2024. Mentre la progettazione va avanti, la NASA, in difficoltà con i ritardi del progetto SLS+Orion vuole assicurarsi che i partner commerciali saranno pronti e disponibili sia per il lancio e trasporto delle parti da assemblare della stazione sia per i successivi trasporti di astronauti e rifornimenti.

In questo momento, la NASA sta cercando aziende interessate al trasporto in orbita cislunare di carichi pressurizzati e non pressurizzati, proprio come fa attualmente la navicella Dragon di SpaceX con le sue missioni cargo verso la Stazione Spaziale Internazionale. La NASA, al momento, prevede di acquistare almeno tre missioni di trasporto; la prima, provvisoriamente programmata per il 2024, dovrebbe prevedere il trasporto di “un braccio robotico fornito da un partner internazionale“.

Il bando attuale conferma che la NASA sta avendo problemi con i ritardi nello sviluppo dell’SLS, i cui costi, peraltro, sono ormai lievitati oltre ogni budget programmato. Il breve termine concesso alle aziende per le manifestazioni di interesse dipende probabilmente dal fatto che ricorrere a fornitori esterni per il trasporto delle parti del Lunar Gateway non era inizialmente previsto e l’Agenzia Spaziale ha bisogno di conoscere i probabili costi per inserirli nel budget da richiedere nei prossimi anni.

Ad oggi, l’unica azienda privata che ha effettuato lanci oltre l’orbita bassa è la SpaceX di Elon Musk che effettua lanci commerciali in orbita geostazionaria per il posizionamento di satelliti per telecomunicazioni con il Falcon 9 e ha lanciato un carico pagante fittizio verso l’orbita di Marte in occasione del volo inaugurale del suo lanciatore pesante Falcon Heavy.
SpaceX è, per il momento, anche l’unica azienda in grado di abbattere notevolmente i costi di lancio grazie al recupero dei lanciatori riutilizzabili.
Probabilmente, al momento, SpaceX è l’unica azienda privata realmente in grado di garantire trasporti verso l’orbita lunare, senza considerare che, nei prossimi mesi, la navicella Dragon Crew otterrà la licenza per il lancio e trasporto di astronauti.
Inoltre, SpaceX sta sviluppando una grossa astronave, il Big Falcon Rocket, destinata, nelle intenzioni di Elon Musk, a trasportare equipaggio e grandi carichi verso Marte e per la quale è già programmato un volo turistico con passeggeri paganti intorno alla Luna nel 2023.

In ogni caso, la NASA sta cercando navi cargo che possano essere lanciate sia su razzi commerciali che compatibili per essere montate sull’SLS. Ad oggi, nonostante i continui annunci di ritardi, resta fissato per il 2020 il primo test senza equipaggio del sistema SLS+Orion che dovrebbe effettuare un viaggio di andata e ritorno verso la Luna.

Giova ricordare che il sistema SLS+Orion non è progettato per essere riutilizzabile ed i costi previsti per singolo lancio sono molto alti ed è per questo che la NASA sta cercando partner interessati a partecipare alla realizzazione del Lunar Gateway, probabilmente anche con la disponibilità a concederne l’uso a fini turistici e commerciali di una parte o tutta nei periodi in cui non sarà utilizzata da equipaggi NASA. Infatti per il Lunar Gateway non è, al momento, prevista la presenza di un equipaggio scientifico permanente.

Il Lunar Gateway rientra nella nuova politica spaziale promossa dal presidente Trump, in base alla quale la nuova stazione spaziale in orbita lunare costituisce il primo passo per un ritorno in permanenza sulla Luna, dove sarà anche costruita una base scientifica permanente, non è chiaro che in collaborazione o in concorrenza con il progetto analogo dell’ESA.

Negli anni ’30, infine, il Lunar Gateway dovrebbe essere ampliato e associato al progetto Deep Space Gateway, una ulteriore stazione spaziale in orbita lunare che dovrebbe funzionare da hangar di assemblaggio e rifornimento per le missioni automatiche e con equipaggio umano destinate all’esplorazione dello spazio profondo, a cominciare da Marte.

Nibiru: una previsione ancora più delirante del solito

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Sapete che seguiamo da tempo le peripezie dialettiche di David Meade, lo scrittore-ufologo-biblista-numerologo che ogni tot pubblica un libro su Nibiru e sulle sue interpretazioni circa la data dell’arrivo del fatidico Planet X, continuamente alle prese con il problema di dover giustificare il mancato arrivo di questo mitologico pianeta che, secondo le sue plurime predizione doveva essere già arrivato almeno una ventina di volte durante gli ultimi due anni.

Come si sa, l’arrivo di Nibiru dovrebbe coincidere con la fine del mondo, l’apocalisse biblica, una devastante collisione tra pianeti, la scomparsa dell’umanità o, almeno, di quella numerosa parte di umanità incapace di elevarsi ad un nuovo livello vibrazionale che permetterà a chi invece sarà capace di sopravvivere in un’altra dimensione…

Insomma, un mare di sciocchezze cui, però, un certo numero di persone, che definire ingenue è puro eufemismo, continua a credere in modo morboso.

Un paio di giorni fa un sito web cui non intendo fare pubblicità ha pubblicato un articolo che dimostra come su questa faccenda di Nibiru ormai si sfiorino livelli di assurdità prossimi alla demenza.

L’articolo, intitolato “L’inevitabile finale: Nibiru ottenebrerà la mente della gente e ingloberà la Terra”, suona come una lugubre profezia. Senza mai fare nomi, l’articolo riferisce un messaggio di un anonimo ufologo i cui contenuti sembrano uscire direttamente dai discorsi che fanno i tanti imbonitori o santoni che intrattengono gruppi di disadattati a colpi di annunci sulla fine del mondo, sulla necessità di mondare le anime donando, guarda caso, i propri averi alla loro setta.

 Il pianeta mortale Nibiru schiaccerà in polvere tutti gli esseri viventi sulla Terra per dare all’umanità una vita felice e lussuosa in Paradiso, priva di malattie…” Attacca l’articolo che prosegue spiegando: 

“Nibiru era, forse, il fenomeno più misterioso e segreto nella storia della modernità. La galassia di Sorressean, la morte di un asteroide, una stella che nasce, i tripli suoni dell’Eclisse di Giove all’interno degli anelli di Saturno (????!!!) non possono competere con un Nibiru veramente misterioso. Il suo aspetto è stato descritto dagli antichi nei manoscritti, ma si avrà una comprensione chiara e non ce n’è alcuna. Oggi ci sono diverse versioni dell’aspetto di Nibiru, ma entrambe non si concluderanno con un felice Eiendom per le persone, dice l’ufologo. Secondo lui, l’inevitabile è vicino.

All’inizio apparirà al tramonto vicino al sole e quando la gente si sarà abituata a vederlo, scenderanno gli Anunnaki grazie ai quali Nibiru assorbirà la mente delle persone per alcune ore e inghiottirà la Terra. Seguiranno oscurità, morte e caos. I sopravvissuti saranno molto pochi, ma tutti saranno collocati in un bunker speciale dove verranno utilizzati come cavie per la ricerca“, dice l’ufologo.

Insomma, arriverà questo pianeta enorme che, secondo il fantomatico ufologo, è anche cavo, visto che ingloberà la Terra. Non solo, dal pianeta scenderanno sulla Terra questi Anunnaki (una specie di antichi dei, secondo alcune teorie cospirazioniste e la famosa ipotesi degli antichi astronauti). Questi Anunnaki in qualche modo decimeranno la popolazione umana per poi imprigionare i superstiti in una qualche struttura dove saranno sottoposti ad esperimenti scientifici di qualche tipo.

L’articolo si conclude riportando alcune testimonianze di utenti di social network che pubblicando fotografie della Luna asseriscono che Nibiru è ormai arrivato e solo le menti ottenebrate si rifiutano di riconoscerlo scambiandolo per la Luna e con un appello alla NASA e agli scienziati di dire la verità e smettere di rifiutarsi di riconoscere la realtà.

Insomma, a leggere il delirante articolo pare proprio che siamo prossimi alla fine, questo in contrasto con l’ultima profezia di Meade che ha fissato per il 2022 la data definitiva per l’arrivo di Nibiru. Questo misterioso ufologo, recupera la teogonia di Zecharia Sitchin, inserendo nella profezia i mitici Anunnaki che, però, più che benevoli dei sembrerebbero perfidi alieni invasori, visto che da un lato promettono un paradiso di gioie a pochi, una morte orribile a molti e una vita da cavie a quelli che resteranno…

Direi che resta poco da commentare, semmai viene spontanea una domanda: Questa gente ci fa o ci è? E, in entrambi i casi, che accidenti si è fumato sto ufologo e chi è il suo spacciatore?

Gli esopianeti potenzialmente abitabili scoperti da Kepler sono molti meno di quanto si credesse

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Il numero di pianeti alieni potenzialmente abitabili individuati dal telescopio orbitale Kepler potrebbe dover essere rivisto al ribasso.

Ad oggi, il prolifico telescopio spaziale Kepler della NASA ha scoperto circa 30 esopianeti di dimensioni approssimativamente terrestri posti nella “zona abitabile” delle loro stelle, la fascia di distanze orbitali in cui sulla superficie di un mondo l’acqua può presentarsi allo stato liquido.

O così sembrava. Nuove osservazioni della sonda spaziale Gaia dell’Agenzia spaziale europea (ESA), suggeriscono che il numero effettivo di questi pianeti è, probabilmente, molto inferiore, forse tra 2 e 12.

Gaia è in funzione dal dicembre del 2013, ha lo scopo di creare una mappa 3D ultraprecisa della Via Lattea. Finora, questa mappa include informazioni sulla posizione di circa 1,7 miliardi di stelle e dati sulle distanze di circa 1,3 miliardi di stelle.

Le osservazioni di Gaia suggeriscono che alcune delle stelle individuate da Keplero sono più luminose e più grandi di quanto si credesse in precedenza. I pianeti che orbitano attorno a tali stelle sono, quindi, probabilmente più grandi e più caldi di quanto si pensasse in precedenza.

Il problema “più caldo” è semplice: una stella più grande e più luminosa trasmette più calore. La correlazione “più grande” deriva dalla strategia di caccia al pianeta di Kepler, che è chiamata “metodo di transito“.

In pratica, Kepler registra i piccoli abbassamenti di luminosità causati dal passaggio di un pianeta davanti alla sua stella madre. Le stime delle dimensioni di tali pianeti sono ricavate dalla percentuale di disco stellare che bloccano durante questi “transiti“. Quindi, se il diametro delle stelle è da rivedere verso l’alto, lo è anche il pianeta.

L’intera questione è sempre stata: quanto bene comprendiamo la stella?” Ha commentato Eric Mamajek, scienziato del programma per la ricerca degli esopianeti della NASA.

I nuovi risultati non dovrebbero scoraggiare chi spera che la vita terrestre non sia la sola nella galassia; ci sono ancora molti moltissime stelle che probabilmente ospitano pianeti potenzialmente abitabili nella Via Lattea. I dati di Gaia ci dicono, però, che astronomi, astrobiologi e scienziati planetari hanno ancora molto da imparare sulla valutazione degli esopianeti.

“Non siamo ancora nemmeno sicuri di quanto grande possa essere un pianeta ed essere ancora roccioso”, ha spiegato Jessie Dotson, un’astrofisica dell’AMes Research Center della NASA nella Silicon Valley. Dotson è lo scienziato responsabile del progetto di missione estesa di Kepler, nota come K2.

E poi c’è il concetto di zona abitabile. Basare l’abitabilità unicamente sulla distanza orbitale ignora importanti caratteristiche planetarie, come ad esempio la massa, che influenza la capacità di un mondo di trattene un’atmosfera. inoltre, la stessa composizione atmosferica influisce notevolmente sulla temperatura di un pianeta.

Infine, siamo sicuri che la vita richieda necessariamente acqua liquida sulla superficie? Un certo numero di lune ghiacciate al di fuori della zona abitabile del nostro sistema solare, come la luna di Giove Europa e la luna di Saturno Encelado, sembrano avere oceani di acqua liquida sepolti sotto spessi strati di ghiaccio e alcuni segni fanno sospettare che possano sostenere la vita così come la conosciamo. Senza contare che la vita potrebbe esistere in forme che al momento nemmeno immaginiamo e non avere bisogno dell’acqua come solvente.

Durante la sua missione primaria, durata quattro anni, Kepler ha osservato circa 150.000 stelle simultaneamente, osservandone i transiti planetari.

Nel 2014, Kepler ha iniziato il K2, durante la quale il telescopio ha osservato una varietà di oggetti e fenomeni cosmici oltre ad avere svolto “campagne” di 80 giorni. Alcune di queste campagne sono state vere e proprie cacce al pianeta.

Kepler, che oggi ha finito il suo carburante e, probabilmente anche la sua capacità operativa, ha scoperto il 70 per cento dei circa 3800 esopianeti conosciuti. E il conteggio di Keplero continuerà a crescere; sono quasi 3.000 i “candidati” pianeti che attendono conferma della loro esistenza tramite l’analisi e le osservazioni di follow-up e la maggior parte di questi finirà per essere confermati.

Hubble-Lemaître, gli astronomi hanno detto sì

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di Marco Malaspina

Volete voi cambiare nome alla più famosa legge della cosmologia – la legge di Hubble, quella che descrive la velocità di espansione dell’universo? La domanda era stata posta nel corso dell’ultima Assemblea generale dell’Unione astronomica internazionale (Iua), a Vienna, lo scorso agosto. I presenti, circa tremila, avevano detto sì: la celebre equazione v = HD va rinominata “legge di Hubble-Lemaître”, in onore del fisico e astronomo belga che per primo la formulò – Georges Lemaître, appunto.

Memori, però, dei malumori sollevati da un’altra loro storica decisione, quella di escludere Plutone dalla cerchia dei pianeti, i vertici della Iau questa volta ci sono voluti andare con i piedi di piombo, prendendosi tutto il tempo necessario e allargando la consultazione – con voto elettronico – a tutti i 11072 membri dell’Unione. Alla chiusura delle urne, scattata alla mezzanotte di venerdì scorso, avevano votato in 4060 – circa il 37 per cento degli aventi diritto. E il diritto di Lemaître a veder riconosciuto, con oltre novant’anni di ritardo (l’articolo originale era del 1927), il suo posto nella storia è stato sancito da un’ampia maggioranza: il 78 per cento dei votanti, quasi quattro astronomi su cinque.

Un esito in buona parte scontato, già recepito anche da Wikipedia, e dovuto non solo a ragioni strettamente storico-scientifiche (qui un nostro articolo per chi voglia approfondirle), ma anche alla volontà di premiare l’incredibile modestia di uno scienziato che, rifiutando ogni forma di protagonismo, arrivò addirittura ad “autocensurarsi”. All’origine del mancato riconoscimento iniziale ci fu infatti una scelta dello stesso Lemaître: traducendo, nel 1931, il suo articolo in inglese, tralasciò deliberatamente i riferimenti al cosiddetto “parametro di Hubble”. Questo perché, nel frattempo (nel 1929), giungendo ad analoghe conclusioni, Hubble aveva appunto pubblicato un proprio articolo, rendendo così – secondo il disinteressatissimo Lemaître – non più attuali i risultati illustrati in francese nel lavoro del 1927. Chapeau!

Originariamente pubblicato su Media Inaf con licenza  Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.