I livelli del mare della Terra dovrebbero essere nove metri più in alto di quello che sono e il drammatico scioglimento dei ghiacci dell’Antartide potrebbe presto colmare questo divario.
Le temperature globali di oggi sono le stesse di 115.000 anni fa, un periodo in cui gli umani moderni stavano appena cominciando a lasciare l’Africa. Una nuova ricerca dimostra che nel periodo noto come l’Eemiano, le temperature dell’oceano provocarono un catastrofico scioglimento dei ghiacci, con la conseguenza, che i livelli del mare si alzarono dai sei ai nove metri rispetto ai livelli attuali.
Ma se le moderne temperature oceaniche sono le stesse di quelle dell’Eemiano, ciò significa che al nostro pianeta “manca” un imporatnte aumento dei livelli del mare. È stato calcolato che se gli oceani dovessero alzarsi di appena 1,8 metri, molte città costiere finirebbero per ritrovarsi sott’acqua, trasformando le strade in canali e sommergendo completamente gli edifici più bassi
La distesa di ghiaccio dell’Antartide occidentale oggi, a causa dell’aumento globale delle temperature, si sta nuovamente ritirando, cosa che potrebbe provocare un rapido innalzamento dei livelli del mare. il dott. Rob DeConto, che insieme al suo team ha creato modelli computerizzati all’avanguardia, ha dimostrato come il ghiaccio antartico fosse condizionato dalle calde temperature oceaniche durante l’Eemian. In particolare, i modelli sviluppati mostrano due processi, che hanno chiamato collasso marino della cresta di ghiaccio e instabilità del ghiaccio marino, che mostrano quanto rapidamente si sciolse la calotta glaciale dell’Antartide occidentale.
I grandi e spessi ghiacciai che formavano parte della calotta glaciale si staccarono dalla massa per finire nel mare dove si sciolsero rapidamente, aggiungendo migliaia di tonnellate di acqua agli oceani del mondo.
Gli scienziati avvertono se le piattaforme di ghiaccio in Antartide stanno subendo processi simili, questo potrebbe significare un disastro per la Terra. Gli effetti combinati dello scioglimento dei ghiacciai antartici e della Groenlandia, potrebbero provocare un innalzamento del livello del mare di quasi due metri in questo secolo.
Nel prossimo secolo, la perdita di ghiaccio peggiorerebbe ulteriormente.
“Ciò che abbiamo sottolineato è che se ciò che vediamo accadere oggi in Groenlandia dovesse iniziare ad attivarsi in modo analogo in Antartide, doce c’è molto più ghiaccio, le conseguenze sarebbero potenzialmente davvero devastanti con il mare che potrebbe alzare il suo livello fino a 8-9 metri“, ha spiegato il dott. DeConto.
Il mese scorso, la NASA ha avvertito che il ghiacciaio Thwaites dell’Antartide potrebbe sciogliersi nel giro di pochi decenni e causare un innalzamento del livello degli oceani che potrebbe sommergere molte città costiere, dopo la scoperta di una cavità enorme nascosta sotto il ghiacciaio, probabilmente causata dallo scioglimento del ghiaccio, probabilmente a causa di una fonte di calore geotermica.
La NASA ha annunciato una missione spaziale di due anni per studiare l’inizio e l’evoluzione dell’universo e determinare quanto comuni siano gli ingredienti per la vita all’interno dei sistemi planetari della nostra galassia, la Via Lattea.
Lo Spectro-Photometer, Epoch of Reionization e Ices Explorer, soprannominato SPHEREx, è previsto per il lancio nel 2023 ed è costato 242 milioni di dollari, esclusi i costi di lancio.
“Questa straordinaria missione sarà un tesoro di dati unici per gli astronomi“, ha dichiarato Thomas Zurbuchen, amministratore associato per la Direzione delle missioni scientifiche della NASA. “Fornirà una mappa della galassia senza precedenti contenente le impronte digitali dell’universo fin dai suoi primi momenti e ci darà nuovi indizi su uno dei più grandi misteri della scienza: cosa ha fatto espandere l’universo così rapidamente meno di un nanosecondo dopo il Big Bang?“
SPHEREx utilizzerà la luce nel vicino infrarosso, oltre che ottica, per scandagliare il cielo con cicli di sei mesi e raccogliere dati da oltre 100 milioni di stelle nella Via Lattea, oltre a 300 milioni di galassie. Queste saranno le galassie nel nostro vicinato cosmico insieme ad alcune che sono così lontane che ci sono voluti 10 miliardi di anni perché la loro luce raggiungesse i nostri telescopi.
La tecnologia utilizzata per creare SPHEREx è stata adattata da ciò che viene utilizzato sui nostri satelliti e sulla sonda spaziale Mars, ha fatto sapere la NASA in una dichiarazione.
Durante la sua ricerca sulla Via Lattea, SPHEREx cercherà molecole organiche e acqua nelle aree in cui nascono le stelle, chiamate vivai stellari. Questi vivai, così come i dischi attorno alle stelle che formano nuovi pianeti, potrebbero contenere gli ingredienti per la vita così come la conosciamo. Recentemente, in queste aree sono state individuate sostanze sorprendenti come il sale.
Grazie a questa missione sarà possibile creare una mappa del cielo usando 96 diverse bande di colore con una risoluzione maggiore rispetto a qualsiasi precedente mappa del cielo. E come altre missioni NASA, SPHEREx aiuterà ad identificare gli obiettivi per le prossime missioni come il James Webb Space Telescope.
“Sono davvero entusiasta di questa nuova missione“, ha dichiarato l’amministratore della NASA Jim Bridenstine. “Si tratta di un ulteriore tassello nel grande spiegamento di forze delle missioni spaziali degli Stati Uniti dedicate alla scoperta dei misteri dell’universo, come parte di un programma scientifico equilibrato che include missioni di varie dimensioni“.
I partner della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) stanno facendo progressi nel trovare un accordo, ma sono ancora in attesa di un piano preciso per la fase di rientro dell’avamposto orbitale, da utilizzare in caso di evento di emergenza o durante il suo scenario finale di End Of Life (EOL). Il piano attualmente in fase di studio è guidato da Roscosmos e richiedere almeno due veicoli Progress per spingere la Stazione fuori dall’orbita per un rientro distruttivo controllato.
Anche se lo sforzo si sta evolvendo, il comitato di consulenza sulla sicurezza della NASA, da molto tempo sostenitore della necessità di avere una “Strategia di Deorbit della ISS e un piano di emergenza” pronto all’uso, ha notato che la finalizzazione delle valutazioni sta facendo progressi, ma sta procedendo più lentamente di quanto auspicabile.
La ISS continua ad essere un gioiello nella corona dello spazio dell’umanità e ha ancora molti anni di vita operativa residua. Attualmente è previsto che la ISS continuerà a essere completamente utilizzato dai partner internazionali fino al 2028 circa, aiutato da ulteriori entità commerciali che ne sfrutteranno le capacità.
Tuttavia, la Stazione Spaziale un giorno arriverà alla fine della sua vita, sia per vetustà o per via di un qualche grave incidente che comporterà la necessità di procedere con l’attuazione dei piani di emergenza. Quest’ultimo scenario è probabilmente il motivo principale per cui i membri del comitato consultivo sulla sicurezza aerospaziale (ASAP) hanno insistito con la NASA per elaborare un piano per la deorbitazione, una sfida importante in quanto la ISS sarà il più grande “artificiale” avviato ad un rientro distruttivo.
I partner della ISS, NASA e Roscosmos, hanno condotto un incontro bilaterale di interscambio tecnico (TIM) nel 2016 per perfezionare le procedure relative allo smaltimento della stazione alla fine della suo servizio o in caso di emergenza. La funzionalità di deorbit burn doveva essere disponibile nel 2017.
Nel frattempo, la NASA ha un piano stabilito nel 2013, in base al quale i vari veicoli attraccati dovrebbero accendere i propulsori contemporaneamente per spingere la Stazione verso la sua fine infuocata. È da notare che lo scenario di emergenza richiederebbe una decisione e approvazione rapide per deorbitare una Stazione paralizzata, per avviare una finestra di 180 giorni per preparare il terreno per gli eventi End Of Life (EOL).
“La NASA ha un protocollo in base al quale, nel caso in cui la stazione debba essere evacuata, ci sarà un periodo di 14 giorni durante i quali decidere se deorbitare o meno la ISS. Il programma sta fissando il piano di emergenza, sebbene ci sia ancora molto lavoro da fare”.
Tale piano iniziale prevedeva un periodo di 180 giorni per consentire alla stazione di decadere verso la quota del deorbit.
Durante questo periodo, la Russia lancerebbe due veicoli progress per trasferire propellente ai propulsori del modulo di servizio e prepararsi a fornire ulteriore propulsione per il deorbit. Successivamente, si è pensato di aggiungere una Soyuz per un’eventuale ulteriore spinta.
Un veicolo russo Progress attraccato alla ISS – via Roscosmos
L’ASAP sta però spingendo per un piano dettagliato, e le agenzie spaziali statunitense e russa stanno lavorando ad un “Documento strategico” scritto e ad un “Piano d’azione di contingenza“, con l’obiettivo di firmare un accordo multilaterale sulla strategia EOL.
Il motivo per cui il piano di emergenza richiede un lavoro aggiuntivo sta nella stima dell’estensione del campo di detriti, meglio nota come parametri Delta-v della distruzione finale della Stazione, destinata a rompersi in moltissimi pezzi, la maggior parte dei quali finiranno inceneriti durante la caduta in atmosfera. L’obiettivo è quello di “minimizzare” i danni potenziali che potrebbero provocare i detriti che colpissero le aree popolate.
Sono stati inoltre citati ulteriori lavori per il requisito relativo alle stime del controllo di assetto, dato che sarà un attore chiave nei momenti finali della vita della ISS. “Per quanto riguarda la strategia di Deorbit ISS e il piano d’azione per imprevisti, la NASA ha ricevuto e continua a valutare le informazioni da Roscosmos e chiede al partner internazionale di concorrere con la documentazione esistente attraverso il sistema di revisione Cosmos Change Request“, ha osservato l’ASAP nel rapporto annuale che è stato pubblicato questa settimana.
ASAP ha aggiunto che allo stato attuale, i punti aperti dello studio riguardano: Manutenzione del propulsore di carico funzionale al vuoto; aggiornamenti software per abilitare il rientro; orientamento e assetto della ISS, navigazione e studi di controllo; sopravvivenza della ISS al vuoto; sviluppo di prodotti di draft per il deorbit regolare e di contingency.
“Sebbene i progressi siano stati più lenti del previsto, lo sforzo è sicuramente in evoluzione e il gruppo di esperti scientifici è incoraggiato dai progressi compiuti“. A condizione, ovviamente, che l’ISS non presenti all’improvviso un evento critico che richieda un deorbit precoce,
L’ASAP ha anche parlato della tempistica nominale delle operazioni per la Stazione.
“Attualmente, vi è un ampio dibattito su quale dovrebbe essere la vita della ISS e su come passare a una piattaforma diversa per fornire una presenza permanente di LEO. Vi è un accordo generale sul fatto che gli Stati Uniti hanno un bisogno costante di capacità nel LEO e che non ci dovrebbe essere un “vuoto” nelle capacità dopo che l’ISS non è più disponibile. La NASA sta attualmente sollecitando idee dall’industria su quali capacità specifiche siano appropriate dopo l’ISS.”
Questo sarà un fattore chiave nella longevità della Stazione, non ultimo dal punto di vista finanziario, ma anche nel permettere alla Stazione orbitale di continuare a svolgere il suo ruolo permettendo alla NASA di spostare più risorse verso l’esplorazione dello spazio profondo, inclusa la realizzazione di un’altra stazione spaziale denominata “Lunar Gateway” da realizzare in orbita cislunare.
Il proposto Lunar Gateway (ultima versione) – immaginato da Nathan Koga per NSF / L2
“Riconoscendo che ci sono molti punti di vista diversi su quale dovrebbe essere la commercializzazione di LEO, il gruppo di esperti scientifici vede una continua necessità della presenza della NASA nel LEO per condurre operazioni che riducano i rischi delle future esplorazioni spaziali. Anche il mantenimento di competenze adeguate sarà fondamentale“.
“Trasformare LEO nel settore commerciale sembrerebbe essere un passo successivo ragionevole, permettendo alla NASA di concentrarsi sull’esplorazione dello spazio profondo. Questo approccio fornirebbe anche un mercato per le entità commerciali che potrebbero vendere servizi.”
“Per integrare lo sviluppo di questo piano sarà necessario capire quali siano le attività scientifiche che devono essere compiute prima delle operazioni verso la Luna e Marte, sia per la salute umana che per l’affidabilità dei sistemi.”
La Luna sta diventando sempre più il punto focale per le missioni umane della NASA oltre l’orbita terrestre bassa, sia attraverso il Gateway ( Lunar Orbital Platform – Gateway (LOP-G) ) in orbita lunare sia attraverso una potenziale base lunare che sarà supportata anche dai lander lunari commerciali previsti dal piano forward.
Gli scienziati americani proprio non si danno pace del fatto che siano stati scienziati italiani a scoprire la presenza di un lago subglaciale con acqua liquida al di sotto del polo sud di Marte.
È il caso di una nuova ricerca che, pur non prendendo posizione sul fatto che su Marte esista acqua liquida, pone una serie di paletti e condizioni relativamente al fatto che sul pianeta rosso possa esserci acqua liquida. Gli autori di questo studio suggeriscono che, affinché sia possibile la presenza di acqua liquida sotto la superficie di Marte, deve esserci stata un’attività magmatica relativamente recente, come la formazione di una camera magmatica nelle ultime centinaia di migliaia di anni. Questo perché sotto la superficie di Marte possa esserci abbastanza calore per mantenere l’acqua liquida ad un chilometro e mezzo di profondità, sotto una spessa calotta di ghiaccio, come asserito dagli scienziati italiani.
Questa ricerca lascia implicitamente intendere che se non si identificasse un’attività magmatica relativamente recente, non sarebbe possibile la presenza di acqua liquida sotto la calotta glaciale. “Siamo interessati a capire come la comunità scientifica reagirà a questa ricerca“, ha dichiarato Michael Sori, del Lunar and Planetary Laboratory presso l’Università dell’Arizona, uno dei co-autori del documento.
La potenziale presenza di recente attività magmatica sotterranea su Marte darebbe peso all’idea che Marte sia un pianeta attivo, geologicamente parlando. Questo fatto potrebbe fornire agli scienziati una migliore comprensione di come i pianeti si evolvono nel tempo.
Il nuovo studio intende approfondire il dibattito sulla possibilità di acqua liquida su Marte. La presenza di acqua liquida sul Pianeta Rosso ha implicazioni importanti sulla ricerca della vita al di fuori della Terra e non solo: secondo i progetti relativi all’esplorazione umana di Marte, la presenza di acqua liquida rappresenterebbe una importante risorsa.
“Pensiamo che se c’è una vita, probabilmente deve essere nel sottosuolo, protetta dalle radiazioni che bombardano al superficie attraverso la sottile atmosfera marziana“, ha spiegato Ali Bramson, anche lui del Lunar and Planetary Laboratory e co-autore dello studio. “Se vi fossero ancora processi magmatici attivi oggi, probabilmente nel recente passato erano più comuni, e potrebbero fornire una fusione basale diffusa, che potrebbe fornire un ambiente più favorevole per l’acqua liquida e quindi, forse, per la vita“.
Marte ha due grandi calotte di ghiaccio ai suoi poli, entrambi con uno spessore di un paio di chilometri. Sulla Terra, è comune che l’acqua liquida sia presente sotto le spesse lastre di ghiaccio, questo grazie al calore del pianeta che fa sì che il ghiaccio si sciolga dove incontra la crosta terrestre.
In un articolo pubblicato lo scorso anno su Science, alcuni scienziati (sic) affermarono di aver rilevato un fenomeno simile su Marte. Secondo le osservazioni del radar MARSIS ci sarebbe acqua liquida alla base della calotta polare sud di Marte. Tuttavia, nessuno studio ha chiarito come sia possibile questo fenomeno.
Marte è molto più freddo della Terra, quindi non sarebbe chiaro quale tipo di ambiente sarebbe stato necessario per sciogliere il ghiaccio alla base della calotta glaciale. In realtà, gli scienziati italiani hanno spiegato che il grande lago subglaciale potrebbe avere mantenuto acqua allo stato liquido grazie all’alta salinità presente.
“A nostro avviso, per capire se [l’acqua liquida] sia reale, bisogna capire che tipo di condizioni ambientali possono favorire lo scioglimento del ghiaccio, che tipo di temperature sarebbero necessarie e di che tipo di processo geologico potrebbe produrle, perché in condizioni normali, dovrebbe essere troppo freddo per mantenere l’acqua allo stato liquido“, ha spiegato Sori.
Gli autori del nuovo studio hanno inizialmente ritenuto che il rilevamento dell’acqua liquida sotto la calotta glaciale fosse corretto e quindi hanno lavorato per capire quali parametri fossero necessari. Hanno eseguito la modellazione fisica di Marte per capire quanto calore proviene dall’interno del pianeta e se ci sia abbastanza sale alla base della calotta di ghiaccio per sciogliere il ghiaccio. Il sale abbassa significativamente il punto di fusione del ghiaccio, infatti nello studio italiano si ipotizza che sia proprio un’alta concentrazione di sale ad aver portato alla fusione alla base della calotta glaciale.
Secondo il modello sviluppato, però, il sale da solo non basterebbe a giustificare la presenza di acqua liquida. per questo, infatti, gli autori hanno proposto la presenza di una camera magmatica al di sotto del lago in grado di fornire il calore necessario. Gli autori dello studio sostengono che il magma accumulatosi nelle profondità di Marte potrebbe aver elevato la temperatura del sottosuolo a partire da circa 300.000 anni fa. Secondo lo studio, la camera magmatica continuerebbe a fornire calore ancora oggi.
L’idea di attività vulcanica su Marte non è nuova: ci sono molte prove di vulcanismo sulla superficie del pianeta. Ma la maggior parte dei segni di vulcanismo su Marte risalgono a milioni di anni fa, portando gli scienziati a credere che l’attività vulcanica al di sotto e al di sopra della superficie del pianeta si sia fermata molto tempo fa.
Il nuovo studio, tuttavia, propone che ci potrebbe essere stata un’attività vulcanica sotterranea più recente. E, se ci fosse stata un’attività vulcanica avvenuta centinaia di migliaia di anni fa, secondo gli autori dello studio c’è una possibilità che potrebbe esserci tuttora. “Ciò implicherebbe che ci sia ancora attiva formazione di camere magmatiche all’interno di Marte oggi che, quindi, non sarebbe solo un pianeta freddo e morto“, ha detto Bramson.
Jack Holt, professore presso il Lunar and Planetary Laboratory, ha sostenuto che “sia stata una grande idea fare questo tipo di modellazione e analisi perché devi spiegare l’acqua, se è lì, e quindi è davvero un pezzo cruciale del puzzle. L’acqua potrebbe esserci, ma devi spiegarla, e questi ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro nel dire ciò che è richiesto e che il sale non è sufficiente“.
Studio originale: “Acqua su Marte, con un granello di sale: sono necessarie anomalie termiche locali per la fusione basale del ghiaccio al polo sud oggi” Geophysical Research Letters (2019). agupubs.onlinelibrary.wiley.co … 10.1029 / 2018GL080985
Secondo un nuovo studio, oggi la Terra potrebbe essere un mondo oceanico senza terre emerse se non fosse avvenuta l’esplosione di una supernova.
Una grande stella non lontana del nostro sole esplose 4,6 miliardi di anni fa, proprio mentre si formavano i pianeti del nostro nascente sistema solare. Questa esplosione inondò il nostro sistema solare con elementi radioattivi, tra cui l’alluminio-26 (Al-26), che ha poi riscaldato e asciugato i blocchi rocciosi noti come planetesimi, secondo quanto è risultato dai modelli sviluppati dalla nuova ricerca.
Questa fenomeno ha avuto un effetto enorme, perché si pensa che la Terra abbia ottenuto la maggior parte della sua acqua dai planetesimi che per primi si sono aggregati costituendo il nucleo del pianeta.
“I risultati delle nostre simulazioni suggeriscono che ci sono due tipi di sistemi planetari, qualitativamente diversi“, ha scritto in una nota Tim Lichtenberg, autore principale della ricerca come dottorando presso l’Istituto di geofisica dell’ETH di Zurigo.
“Ci sono sistemi solari simili al nostro i cui pianeti hanno poca acqua, al contrario, ci sono quelli in cui esistono mondi oceanici primari. La presenza di Al-26 durante la formazione planetaria può fare una grande differenza nei bilanci planetari dell’acqua tra queste due specie di sistemi planetari“.
Capire perché alcuni pianeti sono così ricchi d’acqua e altri, come il nostro, hanno una buona percentuale di terre emerse è di notevole interesse per gli astrobiologi. Questo perché gli esopianeti oceanici non sembrano essere ospitali come i pianeti con terre emerse per la vita come noi la conosciamo.
I modelli sviluppati suggeriscono che gli oceani globali profondi sostengono spesso enormi strati di ghiaccio, che impedirebbero a molte sostanze di circolare tra le profondità di un pianeta e la sua superficie. Quindi, molti mondi acquatici probabilmente non possono presentare un ciclo del carbonio di tipo terrestre, che garantisce il riciclaggio di questo elemento chiave e aiuta a stabilizzare il clima del nostro pianeta.
Nel nuovo studio, Lichtenberg ed i suoi colleghi hanno simulato la formazione di migliaia di pianeti, osservando il ruolo svolto dall’Al-26 nel determinare l’abbondanza finale di acqua su un pianeta.
Lo studio è stato pubblicato online l’11 febbraio sulla rivista Nature Astronomy .
Il Pentagono valuterà la certificazione per i veicoli di lancio della famiglia Falcon di SpaceX per determinare se l’aeronautica militare americana ha rispettato le linee guida previste per le certificazioni dei nuovi appaltatori, secondo un promemoria pubblicato sul sito della difesa lo scorso lunedì.
“Il nostro obiettivo è determinare se l’US Air Force si è conformata ai dettami della Guida alla certificazione dei nuovi appaltatori èer i servizi di lancio nel certificare la progettazione del sistema di lancio per i veicoli di lancio Evolx Expendable Launch Vehicle-class SpaceX Falcon 9 e Falcon Heavy“. Ha dichiarato il generale Michael Roark.
La revisione inizierà questo mese.
A dicembre, un razzo SpaceX che trasportava un satellite di navigazione militare statunitense è stato lanciato da Cape Canaveral, e ha segnato la prima missione spaziale svolta per conto della sicurezza nazionale degli Stati Uniti dalla compagnia di Elon Musk. Il successo del lancio è stato una significativa vittoria per Elon Musk, che ha passato anni a cercare di entrare nel redditizio mercato dei lanci spaziali militari dominati da Lockheed Martin Corp e Boeing Co.
Le due grandi compagnie stanno incontrando grandi difficoltà nelle loro attività con la NASA a causa degli altissimi costi del sistema in fase di sviluppo SLS+Orion e da più parti si parla di sospendere il progetto per affidare i lanci spaziali proprio a SpaceX. Che sia iniziata la controffensiva dei due giganti dalla crescente invasività della compagnia di Elon Musk, ora anche in settori da sempre dominati da loro?
A pensare male, si sa, si fa peccato ma, come diceva un uomo politico di qualche anno fa, qualche volta ci si azzecca.
Il 13 aprile 1897, mentre attraversavano il lago Elmo, nel Minnesota, diretti a Hudson, nel Wisconsin, Frederick Chamberlain e OL Jonesavvistarono una figura oscura in una radura a due isole di distanza. La figura portava una lanterna e sembrava cercare qualcosa nei dintorni. Pensando che potesse esserci qualche problema, Chamberlain e Jones si diressero verso la radura, ma la figura con la lanterna sparì tra gli alberi. Qualche istante dopo sentirono lo scoppiettio di ramoscelli e rami, seguito da un “rumore impetuoso … come il vento che soffia attorno ai cornicioni di una casa“, Raccontò Chamberlain al St. Paul Pioneer Press (15 aprile). “Un secondo dopo e abbiamo distinto un oggetto lungo e alto di un colore bianco grigio.”
Sebbene i due uomini non potevano avere una chiara visione perché avvolti nell’oscurità, l’oggetto, che aveva due file di luci rosse, verdi e bianche su ciascun lato, sembrava “la maggior parte della cima di una ‘goletta‘”. raccontò Chamberlain. “Si sollevò ad angolo acuto, poi si diresse a sud, appena sopra le cime degli alberi.”
Nella radura, i due testimoni trovarono, impresse sul terreno umido, 14 impronte lunghe due piedi, larghe sei pollici e disposte secondo un motivo oblungo sette su ogni lato. Apparentemente, queste erano le tracce lasciate dalla misteriosa macchina volante.
Intorno alla stessa ora Adam Thielen, un contadino nella zona del Lago Elmo, sentì un ronzio sopra la sua testa. Quando alzò lo sguardo, vide un oggetto scuro con le luci rosse e verdi che veleggiava nel cielo.
La storia delle aeronavi misteriose è ricca di fascino ma sappiamo che il volo più leggero dell’aria era iniziato, ad opera di alcuni coraggiosi, diversi decenni prima. Per citarne uno in particolare, l’inventore Solomon Andrews, aveva iniziato a cercare dei finanziatori che gli consentissero di impegnarsi nella costruzione di un dirigibile negli Stati Uniti.
Un progetto da lui creato, risalente al lontano 1847, per il quale non riuscì a ottenere alcun sostegno finanziario.
Tuttavia, il suo progetto riemerse di nuovo nel 1860, come discusso in questo estratto da un articolo della Smithsonian National Portrait Gallery:
Mentre prestava servizio nell’esercito dell’Unione nel 1862, Andrews si convinse che un’imbarcazione navigabile, più leggera dell’aria, sarebbe risultata di gran lunga superiore ai palloni legati che erano stati usati per la ricognizione militare. Si dimise dalla sua commissione e, a sue spese, iniziò a costruire il primo dirigibile a propulsione autonoma al mondo. Composto da tre palloncini a forma di sigaro, un timone e un’auto dell’operatore equipaggiata con pesi mobili, l’ Aereon fece il suo volo inaugurale il 1 giugno 1863. Impiegando lo stesso principio che consente a una barca a vela di navigare nel vento, Andrews dimostrò l’abilità di Aereon viaggiare in qualsiasi direzione mentre faceva il giro del suo velivolo sopra una folla incredula.
Incoraggiato dal successo del suo prototipo, Andrews iniziò un’energica campagna per interessare i funzionari federali nell’aeronave che il New York Herald definì “l’invenzione più straordinaria dell’epoca”. Si assicurò un’audience con il presidente Lincoln, fece una petizione al Congresso e fece volare un modello del Aereon nella Sala Grande del Smithsonian “Castello” per membri di una speciale commissione scientifica che hanno incluso il segretario Smithsonian Joseph Henry. Gli sforzi di Andrews non furono ricompensati, tuttavia, perché Aereon non riuscì a ottenere il sostegno del governo.
Insomma, cercare di capire chi, verso la fine del XIX secolo, stupì migliaia di persone con i prototipi sperimentali delle macchine volanti che, a breve, sarebbero diventate comuni e popolari ma, vista l’epoca, si può facilmente desumere che molti, se non tutti, questi avvistamenti, forse non erano poi cosi tanto extraterrestri come alcune riletture posteriori pretendono di credere.
Nel 1861 William Mumler lavorava come incisore di gioielli a Boston e si dilettava nella fotografia. Un giorno, dopo aver sviluppato una foto autoritratto, notò quella che sembrava essere la figura di una ragazza che galleggiava accanto alla sua stessa immagine. Mumler pensò che ci fosse stato un errore in fase di sviluppo, la traccia di un precedente negativo, ma alcuni amici gli dissero che la figura somigliava alla sua cugina deceduta.
Presto la foto arrivò all’attenzione della comunità spiritica, che la proclamò la prima foto mai eseguita a catturare l’immagine di uno spirito. Mumler, senza esitare, decise di fare affari vantandosi di essere il primo fotografo di “fantasmi” al mondo. Diventò rapidamente ricco producendo foto di spiriti per tante persone che avevano perso un proprio caro durante la guerra civile.
Lo spiritismo ebbe origine proprio in quegli anni negli Stati Uniti e si estese nei decenni successivi in Inghilterra e da qui in gran parte del continente europeo, poi in Argentina e Brasile. È stato ripetutamente condannato dalla Chiesa cattolica per le sue pratiche e per la sua dottrina.
Lo spiritismo riconosce l’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima affermando la possibilità di contatti tra gli spiriti dell’aldilà e i vivi, e attribuisce all’intervento di spiriti di defunti molti fenomeni parapsichici e medianici. La dottrina fu formulata intorno al 1860 dal francese Allan Kardec.
Mumler grazie alle sue fotografie attrasse un enorme numero d sostenitori ma non di meno attrasse un consistente numero di critici, tra questi, molti fotografi di professione. Mumler ebbe molti critici anche nella stessa comunità spiritistica, il fotografo dilettante venne spesso accusato di frode in quanto gli “spiriti” ritratti nelle sue fotografie assomigliavano spesso in modo sospetto a persone tutt’altro che defunte. Anche i suoi rivali lo attaccarono, spaventati dalla sua grande notorietà, pensavano che stesse minando la credibilità del loro lavoro.
Nel 1869, dopo essersi trasferito a New York City, venne accusato di frode dal dipartimento di polizia che aveva inviato un agente sotto copertura che posò per lui. In tribunale dovette rispondere delle accuse di frode e il processo si protrasse per sette giorni. Tra i testimoni a favore di Mumler anche un ex Giudice “spiritista” mentre dalla parte dell’accusa sedevano diversi fotografi che sostenevano le fotografie che Mumler eseguiva erano riproducibili con dei trucchi, Anche PT Barnum sedeva tra gli accusatori in quanto acquistò delle fotografie da esporre nel suo museo. Il fotografo Abraham Bogardus preparò per l’accusa una foto spiritica “falsa” in cui l’immagine spettrale di Abraham Lincoln poteva essere vista mentre fluttuava dietro la spalla del famigerato showman P.T. Barnum. Tuttavia, la difesa di Mumler portò alcuni dei suoi clienti che testimoniarono la loro convinzione che le sue foto di loro parenti defunti in forma di spiriti fossero reali. Alla fine, Mumler fu assolto dalle accuse e tornò a Boston.
Fu a Boston che Mumler realizzò la sua foto spiritica più famosa, era il 1871 quando la vedova di Lincoln, Mary Todd Lincoln,si recò al suo studio presentandosi con un nome falso, “Mrs Lindall”, almeno cosi raccontano alcune vecchie cronache. La fotografia che ritrae “Mrs Lindall” alias Mary Todd Lincoln mostra la di lei figura apparentemente abbracciata dallo spirito del defunto marito, forse l’ultima fotografia scattata alla signora Lincoln che mori nel 1882.
Mumler forte della grande fama raggiunta con la fotografia della signora Lincoln pubblicò un opuscolo con la sua autobiografia che pubblicò nel 1875. Ma poi, il suo scontro con la legge presentò il suo tributo, sia per la sua reputazione che per le sue finanze. Mumler per la sua difesa spese, per l’epoca, l’enorme cifra di 3000$ e non si rifece mai della perdita. Distrusse tutti i suoi negativi e morì in miseria nel 1884.
Fonti: photographymuseum.com; hoaxes.org; wikipedia
Un nuovo studio ha esaminato il rapporto che c’era, nei secoli passati, tra sopravvivenza dei bambini e la presenza, vicino a lui, di una nonna relativamente giovane
Le nonne sono grandi – in generale. Ma dal punto di vista evolutivo, per gli scienziati è sconcertante che le donne vivano così a lungo una volta esauriti gli anni della loro utilità riproduttiva.
L’età della nonna e quanto vicino vive con i suoi nipoti può influenzare perfino la sopravvivenza di quei bambini, come suggeriscono due nuovi studi pubblicati nei giorni scorsi su Current Biology. Si è scoperto che, tra le famiglie finlandesi nel 1700-1800, il tasso di sopravvivenza dei giovani nipoti aumentava del 30% quando le loro nonne materne vivevano nelle vicinanze e avevano tra i 50 ed i 75 anni. Il secondo studio ha esaminato se quel beneficio per la sopravvivenza persiste anche quando la nonna abita lontano. (Spoiler: non è così).
Questi studi fanno parte di un lavoro più ampio, atto a spiegare la menopausa, una rarità nel regno animale. La cosiddetta “ipotesi della nonna” stabilisce che, da un punto di vista evolutivo, la longevità delle donne è dovuta al loro contributo alla sopravvivenza dei loro nipoti, estendendo così la propria discendenza ( SN: 3/20/04, p 188 ).
Nello studio finlandese, i ricercatori hanno tentato di capire se c’è un limite di età a questo ruolo benefico svolto dalle nonne. Il team ha utilizzato documenti raccolti tra i nati dal 1731 al 1895, per un totale di 5.815 bambini. Le donne in quel periodo avevano famiglie numerose, con una media di quasi sei figli e circa un terzo dei bambini morivano prima dei 5 anni.
Il team ha scoperto che quando le nonne materne vivevano nelle vicinanze e avevano un’età compresa tra i 50 ed i 75 anni, i loro nipoti tra i 2 ed i 5 anni avevano una probabilità di sopravvivenza maggiore del 30% rispetto ai bambini le cui nonne materne erano decedute. Allo stesso modo, stando ai dati, la presenza di nonne paterne e materne oltre i 75 anni non sembra che influenzasse la percentuale di sopravvivenza generale dei bambini.
Addirittura, è uscito fuori che la presenza di nonne paterne oltre i 75 anni, influenzava negativamente le probabilità che i loro nipoti morissero prima dei 2 anni, è risultata infatti più alta del 37% la probabilità che un bambino sotto i due anni decedesse, perfino più alte di quelle di un bambino con la nonna paterna già deceduta alla sua nascita.
In genere, in quell’epoca, le nonne paterne abitavano con le famiglie dei loro figli, David Coall, un antropologo dell’università Edith Cowan di Joondalup, in Australia, sospetta che, in queste famiglie, i genitori potevano trovarsi schiacciati tra le necessità di assistenza delle nonne più anziane e magari malate e quelle dell’allevamento dei figli. “Quello che probabilmente vediamo qui è una versione storica della generazione sandwich“, afferma Coall, che non è stato coinvolto nello studio.
Nel secondo studio, i ricercatori volevano sapere se i benefici di avere una nonna entro i 75 anni persistevano anche quando le famiglie vivevano lontane. Il team ha utilizzato dati raccolti tra il 1608 ed il 1799, comprendendo 3.382 nonne materne e 56.767 nipoti nati nella Valle del San Lorenzo in Canada. Come per la popolazione finlandese, quei primi coloni francesi avevano famiglie numerose e un’alta mortalità infantile, inoltre le famiglie si spostavano spesso alla ricerca di nuovi territori in cui stabilirsi.
I ricercatori hanno scoperto che, per ogni 100 chilometri di distanza tra madri e figlie, le figlie avevano 0,5 bambini in meno. Le sorelle più anziane le cui mamme erano vive quando queste hanno iniziato ad avere figli, in genere avevano più figli, e quei bambini avevano più probabilità di sopravvivere fino ai 15 anni, rispetto alle sorelle più giovani che hanno iniziato ad avere figli dopo la morte della madre.
Questi risultati possono spiegare una ragione evolutiva per la menopausa, ma potrebbero non valere nel mondo moderno di oggi, dove le persone tendono ad avere meno figli e vivono più lontano da casa. Ciò che sarebbe interessante, dice Chapman, è valutare se la presenza della nonna allevia il tipo di problemi di salute mentale che affliggono oggi molti bambini.
Entrambi gli studi forniscono un’interessante sbirciatina alla vita di queste comunità nordamericane ed europee, afferma Melissa Melby, antropologa medica presso l’Università del Delaware a Newark. La Melby resta, però, scettica sull’ipotesi della nonna, perché la menopausa potrebbe essere stata un evento casuale. Secondo lei, forse le donne vivono oltre i loro anni riproduttivi perché l’evoluzione favoriva gli uomini che potevano riprodursi in età avanzata, che poi trasmettevano quei geni della longevità ai loro figli e figlie.
La Melby nota che nello studio finlandese, le donne continuavano ad avere bambini fino ai 40 anni circa. Quindi quelle nonne potrebebro essere sopravvissute perché stavano ancora allevando i propri figli. La vita post-riproduttiva viene spesso definita come menopausa, “Ma non si tratta solo di partire un bambino. Dopo devi allevare quel bambino.”
Richard Sharpe Shaver iniziò a pubblicare sulla rivista Amazing stories nel 1945 alcuni racconti ambientati nel perduto continente di “Lemuria” che lo vedevano come protagonista. Fin qui nulla di strano ma Shaver sosteneva che i suoi racconti fossero reali. La vicenda viene raccontata nel libro di Claudio Foti, edito da 73mm nella collana Weird Tales. Lo strano caso di Richard Sharpe Shaver.
Lemuria è un ipotetico continente scomparso, alcuni lo collocano nell’Oceano Indiano altri in quello Pacifico. La teoria dell’esistenza di Lemuria, fu formulata nel contesto della biogeografia del XIX secolo, dallo zoologo Philip Sclater a metà dell’ottocento, quando osservando che esistevano alcune specie simili di lemuri in Madagascar e India suppose che l’isola africana e il subcontinente asiatico fossero stati in un remoto passato collegati da un continente “ponte” poi sprofondato nell’Oceano Indiano.Tale ipotesi è stata scartata in seguito alla scoperta e alla comprensione della tettonica a zolle su cui concorda la maggior parte degli scienziati.
Sebbene Lemuria sia scomparsa dalle discussioni scientifiche, è sopravvissuta grazie a tanti scrittori dell’occulto che condividono quasi in toto le storie sulla fine catastrofica che avrebbe fatto sprofondare il continente nelle profondità dell’oceano, analogamente alla fine di Atlantide, misterioso continente raccontato da Platone nei dialoghi.
La storia si complica quando qualcuno sostiene di aver avuto contatti diretti con gli alieni, di poter leggere il pensiero o che ha visitato un “continente scomparso” del quale non si ha nessuna prova sia esistito veramente. Richard Sharpe Shaver non era presentato come scrittore di fiction, ma le sue narrazioni venivano presentate come esperienze reali. Sotto la guida di Ray Palmer (noto per aver “inventato” i dischi volanti), che aveva “scoperto” Shaver, Amazing Stories virò verso la pseudoscienza, assicurando a Shaver uno spazio sempre maggiore finché nel 1949 l’editore licenziò Ray Palmer sostituendolo con Howard Browne, che tornò ad occuparsi seriamente di fantascienza, evitando di dare in pasto la rivista alla pseudoscienza, sempre sulla cresta dell’onda anche grazie al nascente fenomeno ufologico che, grazie a molti giornali scandalistici e sensazionalistici trovava sempre più terreno fertile.
Negli anni Quaranta le opere di Shaver pubblicate sulla rivista Amazing Stories, ebbero un successo tale da trasformarlo in un fenomeno editoriale mai visto prima, che all’epoca gli diede una successo maggiore di quello raggiunto da altri illustri colleghi come H.P. Lovecraft o Robert E. Howard.
Le storie narrate da Shaver non erano solo racconti ma esperienze reali, almeno questa era l’affermazione che lo scrittore statunitense faceva, e nei suoi racconti affermava di essere entrato in contatto con entità superiori che gli avevano rivelato la vera storia dell’umanità, che da secoli era posta sotto gli influssi di una popolo “alieno” che vive sotto la superficie del pianeta Terra. L’antica civiltà figlia di esseri che avevano in passato abbandonato la Terra a causa delle radiazioni solari era in possesso di una tecnologia molto avanzata e viveva in costruzioni sotterranee dalle quali rapiva esseri umani o lanciava con dei raggi misteriosi dei messaggi psichici che tormentavano in passato i nostri antenati umani.
Shaver sostenne che era entrato in contatto con questi esseri che venivano chiamati “Deros” e che era stato, per anni, loro prigioniero nelle profondità della terra. Le pubblicazioni delle storie di Shaver cessarono nel 1948, troppi lettori entusiasti dei racconti finirono per credere che fossero reali, cosi le pubblicazioni cessarono. Negli ultimi anni della sua vita Shaver si dedicò ai “book rock“, pietre che credeva fossero state create dalle antiche razze avanzate e incorporate con immagini e testi leggibili. produsse dipinti basandosi sulle immagini tratte da queste rocce, fotografandole. Postumo, Shaver ha guadagnato la reputazione di artista e i suoi dipinti e fotografie sono state esposte in diversi luoghi oltre a Los Angeles e New York.
Negli anni ’30 Richard Sharpe Shaver, sentì delle voci attraverso i suoi strumenti di saldatura, voci spiacevoli, ossessionate dalla tortura e dalla perversione sessuale. Le loro chiacchiere lo spinsero verso atti disperati che lo portarono negli ospedali psichiatrici e nelle prigioni. Mentre Shaver stava scontando la sua pena in una prigione, una donna si materializzò e lo portò in una caverna sotto la superficie Terrestre…
Così iniziò la carriera di scrittore che vi abbiamo raccontato.
Fonti: Claudio Foti, Lo strano caso di Richard Sharpe Shaver, , Weird Tales, 73MM, Wikipedia