domenica, Aprile 20, 2025
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La quarta rivoluzione industriale potrebbe portare a un futuro oscuro

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Riporta indietro la tua mente di un decennio circa e considera come appariva il futuro.
Un orizzonte pubblico di “sì, possiamo” intriso di Obama e un’alta marea di speranza e tolleranza espresse alle Olimpiadi di Londra forniscono un tema narrativo; un’altra pressione fu indotta dalla crisi economica globale. Nessuno dei due eventi parla direttamente del nostro attuale mondo fatto di politica divisiva di parte, dell’uso tossico che si fa dei social media attraverso narrazioni dei fatti in competizione tra loro e finzioni facilmente credibili.
Questo dovrebbe essere istruttivo. Il futuro è un fatto non scoperto, eppure siamo costantemente confusi dal futuro quando diventa presente. Ciò in cui crediamo, diciamo, facciamo, organizziamo e votiamo per la materia sfugge costantemente alla nostra comprensione. Spesso ci si prospettano futuri che preferiremmo evitare. Il nostro futuro ecologico e climatologico rappresenta uno di questi e se e come lavoreremo, un altro.
Ci sono organizzazioni che cercano costantemente di anticipare per capire cosa significherà per noi e trarne vantaggi economici. La “quarta rivoluzione industriale” è l’ultima versione di questo. È comunemente definita come una combinazione di nuove tecnologie, tra cui l’intelligenza artificiale (AI), l’apprendimento automatico, la codifica del linguaggio naturale, la robotica, i sensori, il cloud computing, la nano-tecnologia, la stampa 3D e Internet delle cose. Secondo i sostenitori della quarta rivoluzione industriale, queste tecnologie sono destinate a trasformare le società in cui viviamo e le economie in cui lavoriamo. E, a quanto pare, è probabile che questo futuro sarà ben avviato entro il 2030.
È importante capire, tuttavia, che la quarta rivoluzione industriale è solo un concetto, un tentativo di catturare il significato di ciò che sembra accadere. L’idea incita titoli che inducono ansia per quanto riguarda le minacce all’occupazione e un tema generale di positività per quanto riguarda i benefici della tecnologia.

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Quanti lavori saranno interessati? Kate.sade / Unsplash , FAL

Un futuro splendente

I principali sostenitori dell’idea di una quarta rivoluzione industriale sono think tank e società di consulenza che lavorano con modellisti, economisti ed esperti di tecnologia (e ovviamente le stesse società tecnologiche). Questo lavoro fornisce temi, approfondimenti e gran parte dell’analisi dei dati che informa l’attuale politica del governo sotto forma di strategia industriale.
Al centro di ciò c’è il lavoro del World Economic Forum, guidato dal suo presidente esecutivo Klaus Schwab e quello del McKinsey Global Institute. L’attenzione di entrambi è ponderata sull’esprimere i benefici delle trasformazioni imminenti se investiamo rapidamente e investiamo pesantemente.
Ad esempio, immagina un mondo in cui il tuo water dice al tuo frigorifero che il tuo colesterolo è alto. Il tuo frigorifero, a sua volta, regola il tuo ordine di prodotti lattiero-caseari per quella settimana (consegnato da un veicolo automatizzato o un drone da un magazzino di generi alimentari) e invia un avviso all’intelligenza artificiale sanitaria il cui database monitora il tuo sistema cardiovascolare. Questa IA, a sua volta, è in collegamento con la struttura di chatbot del tuo hub di casa (che ti rimprovera e ti suggerisce di ridurre i grassi e fare più uso dell’abbonamento alla palestra) e, se ritenuto necessario, imposta una visita medica domiciliare o un appuntamento in realtà virtuale con il tuo medico di base.
Secondo la letteratura sulla quarta rivoluzione industriale, questa, come molte altre possibilità, è fantascienza sulla cuspide dell’essere fatto scientifico. È un futuro commercializzato, un sistema dalla culla alla tomba. Un sistema che, a quanto pare, può aiutarci a sopravvivere al nostro passato e presente disastrosi e promette anche un futuro sostenibile, in cui un insieme connesso di tecnologie crea la possibilità di un uso controllato di energia e risorse, la creazione minima di rifiuti e il massimo riciclaggio.
Ma questi think tank e consulenze difficilmente saranno ritenuti direttamente responsabili per il futuro che aiuteranno a realizzare. Non sono organizzazioni sinistre, ma neppure neutrali. La “quarta rivoluzione industriale” non è semplicemente un’opportunità. Quello che importa che tipo di opportunità è per chi e in quali termini. E di questo si discute molto più raramente.

Un futuro per chi?

L’enfasi sui vantaggi e l’attenzione sulla necessità di investimenti distoglie sottilmente la questione principale di chi sarà il proprietario dell’infrastruttura di base del nostro futuro. Le grandi aziende mirano a controllare la proprietà intellettuale delle tecnologie che influenzeranno ogni aspetto della vita.
Allo stesso tempo, coloro che scrivono sulla quarta rivoluzione industriale riconoscono che potrebbe esserci quella che chiamano “disoccupazione tecnologica. Alcune ricerche sostengono che tra il 30% e il 50% delle attuali forme di lavoro potrebbero scomparire. Alcuni suggeriscono che sia più probabile che accada a circa il 10%, ma nessuno sembra garantire che i posti di lavoro persi saranno sostituiti da altri in settori differenti.
Il messaggio implicito trasmesso dalle società di consulenza, che influirà sulla maggior parte dei settori che compongono il tessuto sociale, è che “il futuro sta arrivando e faresti meglio ad abituarti“.
I messaggi e le politiche dei governi tendono ad assorbire questo punto di vista. Per il governo, le opportunità sono state tradotte in un linguaggio di minacce competitive : “Se non facciamo queste cose, altri lo faranno“. Ciò focalizza sottilmente l’attenzione su inevitabili conseguenze economiche senza fornire spazio per considerare le ramificazioni sociali più ampie che potrebbe essere necessario gestire.
Nel Regno Unito, ad esempio, non esiste ancora alcuna iniziativa governativa per l’educazione pubblica, la consultazione e la deliberazione su un argomento che può comportare profondi cambiamenti nelle nostre società. Solo il comitato ristretto sull’intelligenza artificiale della House of Lords ha segnalato questo problema.
L’attenzione si è concentrata su “occupabilità“. Si presume che potremo generare nuovi posti di lavoro se riqualifichiamo e miglioriamo il nostro capitale umano, competiamo con il capitale dei robot e ci abituiamo a collaborare con le tecnologie.
Eppure le tecnologie della quarta rivoluzione industriale potrebbero mettere a rischio le relazioni funzionali di base di un’economia capitalista. Il lavoro salariato è ciò che consente il consumo, che a sua volta diventa un profitto per le aziende, che a sua volta mantiene le aziende, il lavoro salariato e la capacità di contribuire con le tasse. Se l’adozione di nuove tecnologie è rapida e pervasiva, la disoccupazione potrebbe finire per sopraffare la capacità delle economie di fornire forme alternative di lavoro.
Questa è una possibilità estrema, ma sulla quale l’attuale politica del governo sta facendo ben poco per confrontarsi. Al momento, nel Regno Unito ma è così ovunque, solo una parte dei sindacati sta pensando alla portata inerente le nuove tecnologie per i diversi tipi di società che si prospettano. Questo deve cambiare e in fretta.

La stevia, un sostituto dello zucchero privo di calorie

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La Cooperativa Stevia Hellas, afferma che le sue vendite aumentano del 12% ogni anno.

Un gruppo di agricoltori, sette anni fa, smise di coltivare il tabacco per passare ad un alternativa di tendenza che sostituiva lo zucchero: La Stevia.

Il gruppo di agricoltori, ha deciso di cambiare la tipologia della coltivazione dopo esser stati convinti da un ingegnere meccanico, Christos Stamatis, emulando cosi il successo di sei coltivatori di tabacco in California, che avevano deciso di coltivare la pianta di Stevia.

L’estratto dalle foglie della pianta di Stevia, costituisce un sostituto allo zucchero ed è privo di calorie. La Stevia, si produce da secoli, ma è solo dall’ultimo decennio che ha cominciato ad affermarsi.
Christos Stamatis, ha cercato gli agricoltori, presenti nella sua regione di origine, la Fthiotida, mentre erano intenti a lavorare, per convincerli a piantare la Stevia, al posto delle piantagioni di tabacco meno redditizie.
Sono stati 150 gli agricoltori che si sono fatti coinvolgere, che a loro volta hanno contribuito con 500 €, per costituire la cooperativa Stevia Hellas. Stamatis, ha affermato che, “Abbiamo scoperto il crowdsourcing, molto prima che diventasse un mainstream nel mio villaggio, le persone possono realizzare quello cui ambiscono e noi lo abbiamo dimostrato”Pianta di stevia

Le foglie della pianta di Stevia, vengono lavorate per poter produrre l’estratto, che può essere sia liquido che in polvere.

La cooperativa Stevia Hellas, è stata la prima azienda in Europa, a produrre la stevia, ed ora conta ben 300 impiegati. L’azienda, creata nel 2012, è situata a poca distanza dal nord di Atene, e vende estratti di Stevia, sia liquidi che in polvere con il proprio marchio, “La Mia Stevia”, ed esporta all’ingrosso in Europa occidentale, Canada, Stati Uniti e Emirati Arabi Uniti.
La cooperativa, è entrata in un settore che ha un enorme potenziale di crescita, e le vendite globali di Stevia, secondo uno studio della società di consulenza Ricerca e mercati, potrebbero quasi raddoppiare arrivando cosi a 818 milioni di dollari entro il 2024.
Nonostante il successo la Stevia, si trova ancora molto indietro rispetto alle vendite degli edulcoranti artificiali, come l’aspartame o il sucralosio, che hanno un valore nel mercato mondiale di 2,7 miliardi di dollari all’anno, mentre per lo zucchero si prevede nel mercato mondiale un fatturato annuo di 89 miliardi di dollari, con una crescita leggermente più lenta.

guardando le piante
Christos Stamatis, ha convinto gli agricoltori locali, a convertire le loro colture di tabacco in stevia.

Andrew Ohmes, presidente dell’ente internazionale Stevia Council, dichiara che la Stevia, è un prodotto che deve ancora prendere piede nel mercato, e che il consumo aumenterà, visto la scelta dei consumatori di limitare le quantità di zucchero nelle diete. Dichiara inoltre che, “Gli altri dolcificanti come l’aspartame o il sucralosio sono in circolazione da molto più tempo, ma nonostante ciò il consumo di Stevia, crescerà del 19-21% nei prossimi 5-10 anni”.
La Stevia, a prima vista potrebbe sembrare costosa. Il costo della Stevia in polvere, sugli scaffali del supermercato ha un costo di circa 120 € al chilo rispetto al prezzo dello zucchero, che è pari a 0,83 € al chilo. Ma Stamatis, afferma che la Stevia, è in realtà più economica, essendo 200 volte più dolce dello zucchero. Inoltre, i sostenitori della Stevia, affermano che è un prodotto molto ecologico, visto che necessità del 96% in meno di acqua rispetto allo zucchero di canna, e inferiore del 92% rispetto allo zucchero di barbabietola; inoltre, necessita di circa il 20% del terreno necessario per produrre la stessa quantità di dolcificante. 
La Stevia, è originaria del Paraguay e del Brasile ed il nome completo della pianta è Stevia Rebaudiana. Le sue proprietà sono note da secoli ai gruppi indigeni, e nella lingua guarani è nota come “kaa he-he”, che tradotto significa erba dolce.
La Stevia, in Giappone si iniziò a produrre, su scala commerciale, dal 1971. Negli Stati Uniti e in Europa, il lancio della Stevia, fu molto più lento, poiché i regolatori non erano sicuri della sicurezza del prodotto. Infatti, nel 1987, la Food and Drug Administration (FDA) americana, vietò la commercializzazione della Stevia.
La situazione è cambiata dal 2008, da quando la FDA, ha dato la sua approvazione all’estratto di Stevia purificato. La UE, l’Australia e la Nuova Zelanda, dal 2011 hanno seguito l’esempio americano.
Ma nonostante l’approvazione ci sono ancora dibattiti a riguardo. Kimberly Snyder, nutrizionista certificato, afferma che “L’estratto di Stevia, a differenza delle controparti chimiche, come l’aspartame, non forma acido nel corpo, né aumenta le malattie cardiache e le carie, e non ha alcun impatto sui livelli di zucchero nel sangue. Purtroppo, il liquido di Stevia venduto nei negozi di alimentari viene lavorato con additivi, che potrebbero causare gonfiore, diarrea o mal di testa. Un altra problematica è sulla dolcezza, questa caratteristica potrebbe aumentare la voglia di gusti dolci, facendo più male che bene alle persone che sono tendenzialmente portate ad abusarne”.
Andrew Ohmes, afferma che l’uso della Stevia, al posto dello zucchero, “consente una significativa diminuzione di apporto calorico”.
Membri della cooperativa Stevia Hellas
La cooperativa Stevia Hellas, beneficia del clima caldo della Grecia.

Tuttavia, la dietologa Rachel Fine, incoraggia l’utilizzo dello zucchero di canna, consigliando ai suoi clienti comunque un utilizzo limitato, ad eccezione delle persone diabetiche, che possono usare la Stevia, come alternativa, diminuendo così l’impatto del livello dello zucchero nel sangue.
La Cooperativa Stevia Hellas, in Grecia, punta ad un ulteriore crescita, e Stamatis, dichiara che, “Il nostro prossimo passo è quello di formare una filiera per la produzione di Stevia, nei paesi mediterranei, precisamente in Italia, Spagna, Francia e in Portogallo”.
Le piante di Stevia, che produce la cooperativa, attualmente sono inviate in Francia, per essere trasformate, e nei prossimi due anni è prevista l’apertura di un secondo impianto di trasformazione nei Balcani. Stamatis, aggiunge che “Noi abbiamo un clima unico per la coltivazione di Stevia”.
Michael Budziszek, esperto di riscaldamento globale e professore associato presso il Johnson and Wales University College of Arts and Sciences, afferma che “anche altri paesi potranno sviluppare un clima adatto per produrre la Stevia, man mano che avranno un clima sempre più tropicale”. 
Nonostante tutto, garantire la crescita della produzione di Stevia, non sarà semplice. Ad esempio, nel 2014 la Coca Cola ha lanciato mercato britannico una versione della sua bevanda dolcificata con la Stevia, che però non ha prodotto molti consensi, al punto da costringere l’azienda a sospenderne la produzione dopo solo tre anni.

Il buco nero supermassiccio M87 “spara” particelle energeticamente cariche al 99% della velocità della luce – video

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Una delle leggi inviolabili della fisica è che nulla può muoversi più velocemente della luce“, ha affermato Brad Snios del Centro di astrofisica di Harvard-Smithsonian sui risultati di una nuova ricerca sul getto di particelle ad alta energia emesso del buco nero M87 * in radio, ottica e Luce a raggi x. “Non abbiamo violato la fisica, ma abbiamo trovato un esempio di un fenomeno straordinario chiamato movimento superluminale“.
L’Event Horizon Telescope Collaboration ha rilasciato la prima immagine di un buco nero con osservazioni del massiccio oggetto oscuro al centro di Messier 87, o M87, lo scorso aprile. Il team EHT ha teorizzato che il buco nero M87 sia cresciuto fino alle sue enormi dimensioni fondendosi con molti altri buchi neri.
M87 è la galassia più grande e massiccia dell’universo vicino e si pensa che sia stata formata dalla fusione di circa 100 galassie più piccole. La massa mostruosa del buco nero supermassiccio al suo centro è circa 6,5 ​​miliardi di volte quella del sole e si trova a 55 milioni di anni luce dalla Terra.

Il buco nero M87
La prima immagine di un buco nero supermassiccio, M87, è stata fornita dall’Event Horizon telescope nell’aprile del 2019

Questa è la prima volta che sono state registrate velocità così estreme da un buco nero utilizzando i dati dei raggi X“, ha dichiarato Ralph Kraft del Center of Astrophysics Harvard & Smithsonian (CfA), che ha partecipato all’incontro della American Astronomical Society ad Honolulu. “Avevamo bisogno della visione a raggi X nitida di Chandra per effettuare queste misurazioni
Per anni, gli astronomi hanno osservato le radiazioni del getto di particelle ad alta energia – alimentate dal buco nero – che esplodevano dal centro di M87 *. Hanno studiato il jet in radio, ottica e luce a raggi X, anche con Chandra. E ora, usando le osservazioni di Chandra, i ricercatori hanno visto che sezioni del getto si muovono quasi alla velocità della luce.
Quando la materia si avvicina abbastanza a un buco nero, entra in un sistema vorticoso chiamato disco di accrescimento. Parte del materiale proveniente dalla parte interna del disco di accrescimento cade nel buco nero e parte di esso viene reindirizzato all’esterno dal buco nero sotto forma di fasci stretti o getti di materiale lungo le linee del campo magnetico. Poiché questo processo di caduta è irregolare, i getti sono fatti di grumi o nodi che a volte possono essere identificati con Chandra e altri telescopi.
M87 Jet
I ricercatori hanno utilizzato le osservazioni di Chandra del 2012 e del 2017 per tracciare il movimento di due nodi di raggi X situati all’interno del getto a circa 900 e 2.500 anni luce di distanza dal buco nero. I dati dei raggi X mostrano un movimento con velocità apparenti di 6,3 volte la velocità della luce per il nodo di raggi X più vicino al buco nero e 2,4 volte la velocità della luce per l’altro. (Credito: NASA / CXC / SAO / B. Snios et al.)

Il movimento superluminale si verifica quando gli oggetti viaggiano vicino alla velocità della luce lungo una direzione vicina alla nostra visuale. Il getto viaggia verso di noi quasi altrettanto rapidamente della luce che genera, dando l’illusione che il moto del getto sia molto più rapido della velocità della luce. Nel caso di M87 *, il getto punta vicino alla nostra direzione, determinando queste esotiche velocità apparenti.
Gli astronomi avevano precedentemente visto un tale movimento nel getto di M87 * alle lunghezze d’onda radio e ottiche, ma non sono stati in grado di dimostrare definitivamente che la materia nel getto si sta muovendo molto vicino alla velocità della luce. Ad esempio, le caratteristiche in movimento potrebbero essere un’onda o uno shock, simile a un boom sonico proveniente da un piano supersonico, piuttosto che tracciare i movimenti della materia.
Quest’ultimo risultato mostra la capacità dei raggi X di agire come un’accurata pistola a velocità cosmica. Il team ha osservato che la funzionalità che si muoveva con una velocità apparente di 6,3 volte la velocità della luce si è sbiadita di oltre il 70% tra il 2012 e il 2017. Questo sbiadimento è stato probabilmente causato dalla perdita di energia delle particelle a causa della radiazione prodotta mentre si muovono a spirale attorno a un campo magnetico. Perché ciò avvenga, il team deve vedere i raggi X dalle stesse particelle in entrambe le occasioni e non un’onda in movimento.
 

Il nostro lavoro fornisce la prova più forte che le particelle nel getto di M87 * stanno effettivamente viaggiando vicino al limite di velocità cosmica“, ha detto Snios.
I dati Chandra sono un complemento eccellente ai dati di EHT. La dimensione dell’anello attorno al buco nero visto con il telescopio Event Horizon è circa cento milioni di volte più piccola della dimensione del jet visto con Chandra.
Un’altra differenza è che l’EHT ha osservato M87 * per sei giorni nell’aprile 2017, producendo la famosa istantanea del buco nero. Le osservazioni di Chandra indagano sul materiale espulso all’interno del getto lanciato dal buco nero centinaia e migliaia di anni prima.
È come se Event Horizon Telescope stesse dando una visione ravvicinata di un lanciarazzi“, ha dichiarato Paul Nulsen del CfA, un altro coautore dello studio, “e Chandra ci sta mostrando i razzi in volo“.
Oltre a essere presentati alla riunione dell’AAS, questi risultati sono anche descritti in un articolo su The Astrophysical Journal che è disponibile online.
Fonte: Bradford Snios et al. Detection of Superluminal Motion in X-Ray Jet of M87 , The Astrophysical Journal (2019). DOI: 10.3847 / 1538-4357 / ab2119

L’importanza delle anomalie gravitazionali

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Può sembrare strano ma dall’osservazione e dallo studio di alcune anomalie gravitazionali sono stati fatti dei veri e propri balzi in avanti nella conoscenza delle leggi che regolano il nostro Universo, mettendo in discussioni veri e propri paradigmi della fisica.
La prima anomalia gravitazionale che ha rivelato una falla nelle consolidatissime leggi di Newton fu scoperta nel 1859 dall’astronomo Urbain Le Verrier, dell’Osservatorio astronomico di Parigi. Questa anomalia riguardava l’orbita di Mercurio, il pianeta più vicino al Sole. Calcolando la sua precessione complessiva causata dagli altri pianeti, aveva ottenuto una risposta sbagliata: la precessione misurata era più grande di quella che i pianeti avrebbero potuto produrre di circa 0,1 secondi d’arco ogni volta che Mercurio percorreva la propria orbita.
Questo risultato per quanto numericamente modestissimo picconava duramente la legge di Newton dell’inverso del quadrato della distanza. Le Verrier si convinse che questa anomalia gravitazionale potesse essere spiegata soltanto con la presenza di un pianeta ancora sconosciuto che si trovasse ancora più vicino al Sole di Mercurio. Battezzò questo pianeta misterioso Vulcano ma naturalmente ne lui ne nessun altro astronomo riuscì ad individuarlo.
Nel 1890 appariva ormai chiaro che l’intoccabile legge di Newton sull’inverso del quadrato presentava più di una falla, ma ci vorranno ancora 25 anni ed il genio di Einstein per dare una spiegazione sperimentalmente attendibile a questa anomalia gravitazionale. Le leggi relativistiche spiegavano perfettamente questo minuscolo scostamento nel calcolo dell’orbita di Mercurio.
Nel 1933, l’astrofisico del Caltech,  Fritz Zwicky annunciò di aver scoperto un’enorme anomalia gravitazionale nelle orbite di alcune galassie attorno ad altre. Le galassie in questione si trovavano nell’ammasso della Chioma, un raggruppamento di circa mille galassie situato a circa 300 milioni di anni luce dalla Terra, nella costellazione della Chioma di Berenice.
Basandosi sull’effetto Doppler Zwicky riuscì a stimare la velocità con la quale alcune galassie si muovevano rispetto alle altre e raggiunse il convincimento che soltanto la presenza di una materia sconosciuta, che fu chiamata per l’appunto, “oscura”, dotata di una gravità abbastanza forte, sarebbe stata in grado di tenere insieme l’ammasso stesso.
La terza anomalia che ha aperto un nuovo scenario nel campo dell’astrofisica è stata osservata da uno studio condotto indipendentemente da due distinti gruppi di ricerca nel 1998. Per quella scoperta, i capigruppo (Saul Perlmutter e Adam Reiss, dell’Università della California di Berkeley, e Brian Schmidt, della Australian National University) avrebbero vinto, nel 2011, il premio Nobel per la fisica.
I ricercatori per semplificare grossolanamente scoprirono che l’universo si stava espandendo ad una velocità superiore a quella prevista ed ipotizzarono che questo fenomeno fosse dovuto ad una forma di energia sconosciuta che con la solita fantasia fu ribattezzata “energia oscura”. Questa energia repulsiva causa dell’espansione accelerata dell’universo consentirebbe di mantenere inalterate le leggi relativistiche di Einstein.
Se la causa dell’anomalia è di fatto l’energia oscura (di qualunque cosa possa trattarsi), ne segue che le odierne osservazioni gravitazionali ci dicono che il 68% della massa dell’universo sta nell’energia oscura, il 27% nella materia oscura e solo il 5% in quella materia ordinaria di cui noi, i pianeti, le stelle e le galassie siamo fatti.
Insomma tre casi di anomalie gravitazionali che hanno messo in discussioni collaudate leggi della fisica, aperto nuovi scenari nella composizione e nel funzionamento dell’universo, instillata qualche piccola pulce sulla totale adesione alla realtà delle leggi relativistiche su cui si è basata con grande successo la moderna cosmologia.

Anni ’20: vivremo molto più a lungo

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La prima persona che vivrà 1.000 anni potrebbe già essere già nata, grazie ai probabili passi avanti nella tecnologia di estensione della vita.

Penso che potremmo essere facilmente a 10 o 20 anni di distanza, o anche a cinque anni di distanza da qualcosa che consentirà alla maggior parte delle persone che hanno preso la terapia di prolungare la durata della vita“, ha dichiarato Ben Goertzel, fondatore e CEO della società di intelligenza artificiale SingularityNET, alla conferenza sull’Intelligenza Artificiale a livello umano organizzata da GoodAI a Praga, Repubblica Ceca, lo scorso settembre.

Il movimento per la longevità umana è vivace nel suo potenziale di trovare una soluzione all’invecchiamento umano. Aubrey de Gray, cofondatore della SENS Research Foundation, ha dichiarato a dicembre 2017 che il primo essere umano che vivrà per 1.000 anni è già nato. Durante una intervista Goertzel ha detto che “è abbastanza chiaro per me” che De Gray abbia ragione a pensarlo.

Si prevede che, ad un certo punto negli anni 2020, emergerà una svolta che potrebbe aprire la strada a un importante incremento della durata della vita umana.

Longevità umana: la corsa alla fine della morte

De Gray, attraverso il SENS, afferma di aver identificato sette tipi di danni da invecchiamento. Risolverli potrebbe consentire alle persone di sconfiggere l’invecchiamento, frequentando regolarmente strutture sanitarie adeguate per il trattamento.

Questi danni sarebbero i seguenti: aggregati intracellulari, cellule resistenti alla morte, irrigidimento della matrice extracellulare, aggregati extracellulari, atrofia tissutale, cellule cancerose e mutazioni mitocondriali.

Individuare le cause di questi processi e curarli sarebbe l’obiettivo. Goertzel spera che l’intelligenza artificiale raggiunga il punto in cui inizierà a innescare ricerche che potrebbero accelerare il processo.

Ci sono molti soldi investiti nella ricerca sulla longevità. Calico, una società che si trova sotto la casa madre di Alphabet che possiede anche Google, ha ricevuto $ 2,5 miliardi di finanziamenti a giugno 2018 per trovare cure per l’invecchiamento e le malattie correlate.

L’analisi della Bank of America ritiene che il mercato della longevità umana già varrà 600 miliardi di dollari entro il 2025. Gli analisti hanno affermato in un rapporto del maggio 2019 che le aziende sono sulla cuspide di “portare incrementi senza precedenti della qualità e della durata della vita umana“.

Questa industria, però, ha già affrontato un forte scetticismo in passato. Sherwin Nuland ha affermato in un’edizione del 2005 del MIT Technology Review di “non poter immaginare che sarà possibile poter spingere il limite massimo teorico della durata della vita umana oltre i 120 anni“.

Le aziende potrebbero essere sull’orlo di una svolta, ma potrebbero essere necessario effettuare altri investimenti per attrarre un maggior numero di ricercatori.

Il cannibale di Parigi

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Issei Sagawa, è un minuscolo settantenne giapponese, alto poco più di un metro e mezzo e magrissimo, che oggi vive a Kawasaki in un piccolo appartamento, dopo aver superato un lieve ictus.

Nato a Tokyo l’11 giugno del 1949 da una facoltosa famiglia giapponese (il padre Akira era presidente della Kurita Waters Industries), bambino molto gracile e mentalmente disturbato, Issei iniziò a essere ossessionato dalla voglia di cibarsi di un essere umano, arrivando addirittura a sognare ciò che molti anni più tardi metterà drammaticamente in atto.

Le prime avvisaglie di questa agghiacciante pulsione si manifestano durante l’adolescenza quando entra di nascosto, con indosso una maschera di Frankestein, nella camera di una studentessa che stava dormendo. L’intento del giovane Sagawa non è quello di uccidere la ragazza ma di morderle le natiche, ma la ragazza si sveglia di colpo e mettendosi ad urlare manda in fuga il ragazzo. Lo scandalo viene prontamente messo a tacere dall’influente padre Akira, attraverso un mix di pressioni ed elargizioni di denaro.

Nel 1981, a 32 anni troviamo Issei a Parigi, a seguire dei corsi presso la Sorbona, già profondamente ossessionato da una precisa tipologia di donna occidentale: la sua donna ideale è Grace Kelly per la quale nutre un’insana venerazione.

Durante i corsi di letteratura conosce una giovane e bellissima studentessa olandese Renèe Hartevelt e se ne innamora. Il pomeriggio di giovedi 12 giugno 1981, Sagawa invita Renèe a casa sua con la scusa di un ultimo ripasso prima dell’esame finale del corso. Improvvisamente prende un fucile calibro 22 e fredda la ragazza con un unico colpo alla nuca.

Poi la spoglia e consuma un rapporto sessuale con il suo cadavere, ma l’orrore è appena all’inizio. Sagawa con un coltello elettrico sega le gambe della ragazza, le mutila un seno che si preparerà con contorno di piselli e patate.

Tutto l’incontro, dal momento dell’uccisione al pasto antropofago è registrato su un audiocassetta, rivelando cosi in modo inequivocabile come l’assassinio della povera ragazza olandese fosse stato pianificato e non opera di un improvviso raptus di follia. Da quel momento e fino all’arresto Sagawa mangerà ben 7 kg del corpo della povera Renèe.

Dopo aver consumato un altro atto sessuale con il cadavere ormai dilaniato di Renèe e scattato diverse fotografie, Sagawa infila i poveri resti della ragazza in due borsoni per liberarsi del corpo. Si fa portare in taxi, nel Bois de Boulogne, vicino al ristorante Chalet des les dove abbandona i borsoni che iniziano a perdere sangue.

Questa soluzione improvvisata e pasticciata per l’eliminazione del corpo della venticinquenne studentessa ne causeranno l’arresto da parte degli inquirenti in poche ore. Basandosi infatti sulle testimonianze del tassista che lo aveva portato nel Bois de Boulogne e di una coppia che lo aveva notato abbandonare i due borsoni, la polizia arriva a Sagawa che una volta arrestato confesserà senza problemi e senza alcuna parvenza di pentimento.

E qui inizia il corto circuito della giustizia francese.

Il 30 marzo del 1983 il tribunale di Parigi dispose di non procedere contro colui che era stato soprannominato il mostro di Parigi, dichiarandolo incapace di intendere e di volere al momento dell’omicidio. Pertanto Issei Sagawa venne internato nell’ospedale psichiatrico Henri Collin di Villejuif, dove rimase fino al 22 maggio del 1984.

E qui interviene ancora una volta il padre di Issei che, nonostante l’opposizione della famiglia della vittima ed approfittando dell’imbarazzo della giustizia francese incapace di gestire un caso cosi clamoroso e dirompente, ottiene l’estradizione per il figlio.

Akira Sagawa, uomo con buone conoscenze politiche, riesce a far approvare  a tempo di record dal Parlamento nipponico la legge per l’espiazione delle condanne nel paese di origine, inoltre, grazie all’interesse di alcuni intellettuali come Inuhiko Komota e soprattutto Juro Kara, riuscì a far diventare il figlio un vero e proprio personaggio. Tanto è vero che Issei sconterà soltanto altri 15 mesi di internamento in una clinica giapponese e poi, appena 5 anni  dopo il brutale e sconvolgente omicidio di Parigi torna libero.

Non soltanto, ma sfruttando il bestiale crimine mai sconfessato scalerà ben presto le vette del successo e dell’arricchimento personale.

Il cannibale di Parigi scriverà quattro libri, il primo dei quali che narra il suo terribile crimine da solo vende  200.000 copie, reciterà nel 1992 nel film The Bedroomed anche in alcune pellicole pornografiche.

Trent’anni dopo, il 9 aprile 2015, in un’ennesima intervista Sagawa dichiarerà: “In realtà non volevo ucciderla, volevo solo mangiarla. Anche solo un pezzetto. Se non fossi stato così timido, se avessi avuto il coraggio di chiederle anche solo di assaggiare le sue unghie, una ciocca di capelli, o di peli pubici, magari intrisi di urina, oggi Renèe sarebbe ancora viva”.

Non possiamo che rimanere  sconcertati se la giustizia umana consente non soltanto una sostanziale impunità all’autore di un così efferato delitto,  ma anche che egli per tutta la vita utilizzi quest’aberrazione per conseguire fama, soldi e fare l’apologia di una simile mostruosità.

Il mistero degli strani ronzii avvertiti in tutta la Terra

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Nel maggio 2018 le agenzie globali di monitoraggio dei terremoti rilevarono migliaia di scosse sismiche vicino a Mayotte, tra questi un terremoto di magnitudo 5,9 il più grande mai registrato nella regione.
Mayotte è una Regione d’oltremare della Repubblica francese costituita principalmente da due isole: Grande-Terre e Petite-Terre. È situata nell’Oceano Indiano, all’estremità nord del Canale di Mozambico, tra la parte settentrionale del Madagascar e quella del Mozambico.
Qualche mese dopo, nel novembre 2018, i sismologi registrarono dei ronzii sismici in tutto il pianeta, alcuni della durata di 40 minuti. Questi ronzii attirarono immediatamente l’attenzione della comunità scientifica.
Nel 2019, una missione oceanografica francese ha scoperto l’esistenza di un nuovo vulcano nelle vicinanze di Mayotte. Il vulcano “neonato” lungo 5 chilometri e alto quasi un chilometro, secondo i ricercatori potrebbe essere legato ai misteriosi ronzii. La nascita del vulcano avrebbe causato il restringimento della camera magmatica sottostante causando lo spostamento di Mayotte di diversi centimetri.
Anne Lemoine e altri ricercatori hanno associato i misteriosi ronzii alla nascita del vulcano utilizzando i dati raccolti in tutto il mondo, poiché non esistono dati sismici locali disponibili da Mayotte. Le analisi mostrano che il processo si è svolto in due fasi. Inizialmente il magma proveniente da un serbatoio largo 15 km scorreva in diagonale verso l’alto fino a raggiungere il fondo del mare, causando un’eruzione sottomarina. Il magma in movimento ha dato vita a numerosi terremoti lungo tutto il percorso di risalita in superficie.
Nella fase seguente, il magma ha percorso una sorta di “autostrada” che ha permesso il passaggio dal serbatoio al fondale marino dove è nato il vulcano. Durante questa fase il serbatoio si è via via svuotato cosi da “affondare” Mayotte di 20 centimetri. Anche l’area sopra il serbatoio si è indebolita e abbassata creando delle fratture.
I terremoti legati alla formazione del vulcano e alle placche tettoniche hanno scosso questa particolare area sopra il serbatoio, innescando la risonanza del serbatoio profondo e generano segnali peculiari, molto lunghi.
I ricercatori hanno calcolato che qualcosa come 1,5 km cubici di magma sono stati drenati dal serbatoio e questa è una stima per difetto. Il vulcano si è formato ma è possibile che i terremoti scuotano ancora la zona.
Oggi ci sono ancora possibili pericoli per l’isola di Mayotte“, ha detto in una nota il ricercatore senior e capo della sezione Fisica dei terremoti e dei vulcani del GFZ Torsten Dahm, “La crosta terrestre sopra il profondo bacino potrebbe continuare a crollare, scatenando terremoti più forti“.
Lo studio è stato pubblicato online il 6 gennaio sulla rivista Nature Geoscience.
Fonte: https://www.livescience.com/underwater-volcano-hum.html

Stelle ibride nella nostra galassia

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Ci sono alcune migliaia di stelle molto giovani in un angolo remoto della Via Lattea anche se quella regione non produce nuove stelle, visto che il “materiale da costruzione” è già stato quasi del tutto consumato.
La risposta al mistero la troviamo in due articoli pubblicati il 5 e il 15 dicembre dello scorso anno su The Astrophysical Journal che hanno concluso che la nostra galassia prima di smembrare alcune piccole galassie ne ha catturato dei frammenti.
Questi frammenti, secondo i ricercatori, sono composti da alcune migliaia di stelle giovani situate oggi ai margini della Via Lattea, “rubate” dalla Piccola e dalla Grande nube di Magellano, una coppia di galassie nane che presto la nostra galassia ingloberà.
Analisi più approfondite hanno mostrato che le stelle sembrano composte da ingredienti insoliti. Analizzando la luce proveniente da quei luoghi cosi remoti gli scienziati hanno scoperto che almeno le 27 stelle più luminose del cluster hanno un contenuto di metallo insolitamente basso, indicando che il materiale che le ha generate non appartiene alla Via Lattea.
Secondo quanto riportato nel documento pubblicato il 15 dicembre scorso, con ogni probabilità il colpevole è il braccio principale del Magellanic Stream, una nuvola di gas che si estende dalle Nubi di Magellano verso la Via Lattea ma che non è abbastanza densa per produrre stelle. La conclusione dei ricercatori spiega come la nuvola di gas a un certo punto ha attraversato la Via Lattea creando una pressione o “colpo d’ariete”, il gas si è scontrato con il gas della Via Lattea e la pressione combinata alla gravità della nostra galassia hanno fatto si che una parte di esso si sia addensato andando a formare nuove stelle.
La scoperta, secondo i ricercatori, potrebbe aiutare gli scienziati a capire esattamente dove si trova lo Stream Magellanico nello spazio perché molti dei metodi che vengono utilizzati per misurare la distanza tra una stella (o una galassia) e la Terra non funziona bene con le nubi di gas libero, queste stelle dunque, potrebbero essere utilizzate come punti di riferimento per determinare la distanza di questi oggetti. Grazie alle misurazioni effettuate sulle nuove stelle, i ricercatori hanno concluso che il flusso di gas si trova a circa 90.000 anni luce dalla Via Lattea, più vicino del previsto.
Secondo David Nidever, assistente professore di fisica alla Montana State University “Se il Magellanic Stream è più vicino, in particolare il braccio principale più vicino alla nostra galassia, è probabile che venga incorporato nella Via Lattea prima di quanto preveda il modello attuale” (Nidever è co- autore del documento del 5 dicembre).
La raccolta di questi dati aiuterà gli astronomi a costruire modelli migliori delle nubi e dello streaming di Magellano, per capire dove andrà il sistema in futuro e come si è spostato in passato.
Alla fine, quel gas si trasformerà in nuove stelle nel disco della Via Lattea“, ha detto Nidever. “In questo momento, la nostra galassia sta esaurendo il gas più velocemente di quanto non venga rifornito. Questo ulteriore gas in arrivo aiuterà a reintegrare quel serbatoio e fare in modo che la nostra galassia continui a prosperare e formare nuove stelle“.
Fonte: https://www.livescience.com/magellanic-stars-inside-milky-way.html

LIGO-Virgo rivendica un’altra fusione di stelle di neutroni

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Le onde gravitazionali derivanti dalla fusione di due stelle di neutroni sono state osservate dal rivelatore LIGO a Livingston il 25 aprile 2019, secondo un team internazionale di astrofisici nelle collaborazioni LIGO e Virgo. Questa è la seconda volta che viene visto un segnale da un tale evento e la fusione sconcerta gli astrofisici perché sembra aver creato un oggetto con “massa insolitamente alta”.
In un documento che è stato presentato a The Astrophysical Journal Letters, i ricercatori affermano che la fusione è avvenuta a circa 500 milioni di anni luce di distanza. Il video sopra è una simulazione del processo di fusione e delle onde gravitazionali che ha prodotto.
Il segnale (soprannominato GW 190425) non è stato registrato dal rivelatore LIGO ad Hanford, che al momento non funzionava, e neppure dal rivelatore Virgo.
Impulsi di raggi gamma?
Una recente prestampa di un team indipendente di astronomi in Russia suggerisce che durante la fusione di aprile 2019 sono stati emessi anche due impulsi di raggi gamma.
LIGO comprende due interferometri lunghi 4 km negli Stati Uniti: uno a Livingston, in Louisiana e l’altro a Hanford, Washington. L’interferometro Virgo si estende per oltre 3 km nella campagna italiana vicino a Pisa. Nell’agosto 2017 i due rivelatori LIGO hanno individuato le onde gravitazionali dalla fusione di due stelle di neutroni – la prima volta in assoluto che una tale osservazione è stata fatta. Il segnale non è stato visto da Virgo, ma questa mancata rivelazione ha permesso agli scienziati di individuare meglio la fusione nel cielo.
La fusione ha creato un’enorme esplosione di “kilonova” e gli astronomi hanno osservato segnali attraverso un’ampia gamma dello spettro elettromagnetico dalle onde radio ai raggi gamma. Questa è stata la prima osservazione in assoluto di “astronomia multimessenger” che coinvolge onde gravitazionali e ha già fatto luce su importanti problemi di astrofisica, tra cui la creazione di elementi pesanti nell’universo.
Sebbene GW 190425 non sia stato accompagnato da  luci spettacolari, ha una caratteristica intrigante: l’oggetto creato nella fusione ha la massa di circa 3,4 soli. Questo è molto più grande di 2,9 masse solari, che è la massa massima possibile prodotta dalla combinazione di stelle di neutroni in sistemi binari noti nella Via Lattea.
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Dalle osservazioni convenzionali, conoscevamo già 17 sistemi binari di stelle di neutroni nella nostra galassia e abbiamo stimato le masse di queste stelle“, spiega Ben Farr, membro del team LIGO . “La cosa sorprendente è che la massa combinata di questo binario è molto più elevata di quanto ci si aspettasse“, aggiunge Farr, che opera all’Università dell’Oregon.
Questa elevata massa aveva portato alle prime ipotesi che GW 190425 avrebbe potuto essere il risultato di una fusione di una stella di neutroni e un buco nero, rendendolo il primo evento del genere ad essere osservato. Ciò, tuttavia, da allora è stato escluso dal team LIGO-Virgo.
Surabhi Sachdev della Penn State University spiega: “Ciò che sappiamo dai dati sono le masse e le singole masse probabilmente corrispondono a stelle di neutroni“. Dice anche che una massa insolitamente alta del sistema “potrebbe avere implicazioni interessanti sul modo in cui originariamente si è formata la coppia di stelle di neutroni“. In effetti, il team LIGO-Virgo suggerisce che devono essere sviluppati nuovi modelli di formazione di queste coppie per spiegare l’osservazione.
Indipendentemente dal team LIGO-Virgo, Alexei Pozanenko, dell’Accademia delle scienze russa, e colleghi sottolineano che uno spettrometro a raggi gamma a bordo del satellite INTEGRAL ha osservato due deboli scoppi di raggi gamma 0,5 s e 5,9 s dopo che le onde gravitazionali GW 190425 erano state rivelate da LIGO. INTEGRAL ha anche osservato un’esplosione di raggi gamma poco dopo la fusione della stella di neutroni del 2017, così come il telescopio spaziale Fermi Gamma-ray.
Pozanenko e colleghi suggeriscono che Fermi non ha rivelato esplosioni nel 2019 poiché la Terra era tra di essa e le stelle di neutroni che si fondevano quando arrivò il segnale. Questo, sottolineano, potrebbe aiutare a localizzare ulteriormente GW 190425 nel cielo.
Siccome è stato rivelato solo da LIGO a Livingston (e non rivelato da Virgo), la posizione della fusione può essere limitata solo al 20% del cielo – un’area molto più grande dello 0,04% del cielo limitato per l’evento del 2017.
Mentre il team LIGO-Virgo afferma che non ci sono osservazioni elettromagnetiche “confermate” associate a GW 190425, esse riconoscono l’osservazione INTEGRAL nel loro documento presentato.
[GW190425: Observation of a Compact Binary Coalescence with Total Mass ∼3.4M⊙ –
LIGO/Virgo Scientific  Collaborations, 2020]
[Observation of the second LIGO/Virgo event connected with binary neutron star merger GW190425z in the gamma-ray range – Pozanenko et al. 2019]

Gli alieni al cinema

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Nel 1981 Steven Spielberg era insoddisfatto. Nonostante avesse messo al lavoro venti tra i migliori artisti concettuali per la realizzazione del piccolo alieno che sarebbe stato il protagonista del suo “ET l’extraterrestre” nessuna delle idee proposte lo convinceva.
Chiamò allora l’italiano Carlo Rambaldi che aveva già lavorato con lui in “Indontri ravvicinati del terzo tipo” che chiese nove mesi per realizzare il progetto.
Spielberg gliene concesse sei.
E fu cosi che nacque ET.
Un piccolo alieno, basso, tarchiato, rugoso, pelato, dalla pelle marrone, con una grande testa, collo periscopico, braccia simili a quelle umane, mani con quattro dita, gambe cortissime, piedi con tre dita e un cuore bioluminescente.
La testa era lunga circa mezzo metro e veniva controllata da dodici uomini; un modello elettronico, azionato da controlli radio, usato nei primi piani, per poter conferire una vasta gamma di espressioni facciali; una tuta a grandezza naturale, usata da nani.
Il successo del film fu planetario, basti dire che a fronte di un budget di spesa di circa 10,5 milioni di dollari (una bella somma per l’epoca), ne incassò qualcosa come oltre un miliardo di dollari in tutto il mondo.
ET però non rappresenta l’eccezione nella rappresentazione degli alieni cosi’ come si augurava il grande regista americano.
Il cinema di fatto ha sempre rappresentato gli alieni, o perlomeno nella stragrande maggioranza dei casi, come umanoidi, insettoidi o umanoidi a forma di insetti.
Insomma diamo per scontato che gli alieni ci somiglino molto. Lo facciamo a volte per ragioni di budget ma molto più spesso per un eccesso di antropocentrismo.
Nella saga di Star Trek gli sceneggiatori hanno risolto il problema incollando un po’ di gomma sulla faccia degli attori (vedi i Klingon) oppure colorando la loro epidermide di verde, giusto per segnalare la loro provenienza extraterrestre.
Stessa sorte per l’universo di Guerre Stellari ed il celebrato blockbuster Avatar, dove il massimo dello sforzo è stato ideare umanoidi molto alti, con la faccia da gatto, una lunga coda e la pelle blu.
Pensare che in un altro mondo l’evoluzione abbia prodotto una specie senziente simile alla nostra è sciocco oppure arrogante.
L’alieno di ET, ma anche di Incontri ravvicinati del terzo tipo e di molti altri film di fantascienza reinterpretano la stessa tipologia di extraterrestri: i Grigi, umanoidi intelligenti, con corpi affusolati, grandi occhi e grosse teste, quasi a sottolineare la loro superiorità intellettuale e culturale sulla razza umana.
Eppure se mai riusciremo ad identificare l’esistenza di vita aliena, molto probabilmente essa sarà di tipo unicellulare, un po come batteri e virus che popolano il nostro pianeta.
Organismi che i film di fantascienza usano talvolta, ma per contrastare la classica invasione aliena come nella “Guerra dei mondi” dove ci salvano dallo sterminio facendo ammalare e morire i cattivi invasori.
L’altra categoria che la fa da padrona, soprattutto quando vogliamo sottolineare, l’alienità della vita extraterrestre è quella degli insettoidi o degli artropodi in generale.
Da “Starship Toopers” ad “Independence Day”, da “District 9” a “Men in Black” il cinema ci propina la stessa rappresentazione degli alieni, sia che essi svolgano la funzione di malvagi invasori che di razza discriminata ed oppressa come in “District 9”.
Nel 1979 con “Alien” ed i suoi successivi sequel, ci troviamo di fronte ad un insettoide con vaghe fattezze umane. L’alieno è interpretato da un attore nigeriano alto 2,18 metri che indossa il costume di xenomorfo che come sappiamo termina con un pungiglione dalle fattezze falliche.
Nonostante si tratti fondamentalmente di un uomo in costume almeno la base scientifica di questi letali xenomorfi è abbastanza credibile, trattandosi fondamentalmente di parassiti. In natura abbiamo esempi di comportamenti parassitari ancora più feroci e crudeli di quelli rappresentati da “Alien”.
Forse uno dei modi migliori per rappresentare gli alieni nei film di fantascienza è… Non mostrarli, come avviene per altro nel magnifico “L’invasione degli ultracorpi” (1956) dove gli esseri venuti dallo spazio si impossessano dei corpi umani per i loro subdoli fini.
In alternativa rendere l’alieno un rompicapo, incomprensibile come ad esempio nel film Solaris sia nella versione russa che in quella di Soderbergh.
In conclusione c’è da augurarsi che astrofisici ed astrobiologi si affranchino concettualmente da come la vita aliena viene rappresentata dal cinema, perché semmai saremo in grado in un futuro di incontrarla, dovremo essere in grado di riconoscere qualcosa di molto diverso da noi.