Simulate le più antiche strutture dell’universo

Realizzando la simulazione delle’ antiche strutture dell’universo neonato, i ricercatori hanno potuto osservare lo sviluppo di regioni di maggiore densità, tenute insieme dalla loro stessa forza gravitazionale. Nella simulazione lo spazio fisico che è stato rappresentato potrebbe entrare all'interno di un protone un milione di volte

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Non è possibile osservare direttamente le più antiche strutture dell’universo perché quella che viene definita “prima luce” è stata emessa 380 mila anni dopo il Big Bang.

Il Big Bang è la definizione data al fenomeno da cui avrebbe avuto origine l’universo; secondo la teoria cosmologica del Big Bang e osservazioni sperimentali, l’universo sarebbe nato circa 13.8 miliardi di anni fa, a partire da uno stato caratterizzato da temperatura e densità elevatissime, e da allora in continua espansione.

La prima luce emessa dal’universo, che in seguito si sarebbe trasformata nella radiazione cosmica di fondo, venne predetta da George Gamow nel 1948, e in seguito scoperta nel 1963 da due Ingegneri, che facevano delle misure con un’antenna radio.

I due ricercatori si accorsero che era impossibile eliminare una componente di rumore che sembrava provenire da ogni direzione del cielo con la stessa intensità in ogni periodo dell’anno.

I due, Arno Penzias e Robert Wilson, ovvero coloro che trovarono “casualmente” il rumore cosmico di fondo, ricevettero il premio Nobel per la loro scoperta. Quella prima luce che oggi riceviamo sotto forma di microonde ci porta un’immagine primordiale dell’universo.

Sebbene sia impossibile guardare oltre la prima luce per osservare le più antiche strutture dell’universo i fisici delle università di Gottingen e Auckland  (in Nuova Zelanda) sono riusciti a ricostruirle mediante una simulazione computerizzata, scoprendo che già nel primo trilionesimo di secondo dopo il Big Bang potrebbe essersi formata una complessa rete di strutture.



Questa rete di strutture sembra ricalcare la distribuzione delle galassie nell’universo osservabile. Ma tra le strutture simulate al computer, che dovrebbero ricalcare le antiche strutture dell’universo primordiale e le strutture che osserviamo oggi, c’è una grande differenza.

Microscopiche antiche strutture dell’universo

Le antiche strutture dell’universo primordiale sono microscopiche e i grumi di questa antica materia ha una massa di pochi grammi, adattandosi ai volumi incredibilmente ridotti presenti all’interno delle particelle elementari. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Physical Review D.

Realizzando la simulazione delle antiche strutture dell’universo neonato, i ricercatori hanno potuto osservare lo sviluppo di regioni di maggiore densità, tenute insieme dalla loro stessa forza gravitazionale.

Nella simulazione, lo spazio fisico che è stato rappresentato potrebbe entrare all’interno di un protone un milione di volte. Ad affermarlo Jens Niemeyer, a capo del Gruppo di cosmologia e astrofisica presso l’Università di Göttingen.

Queste strutture, hanno scoperto i ricercatori, possono raggiungere una massa di 20 chilogrammi e un raggio di 10-20 metri all’incirca 10-24 secondi dopo il Big Bang.

Questa, spiega Niemeyer, probabilmente è la più grande simulazione della più piccola area dell’universo che sia stata effettuata finora. Queste simulazioni permettono di fare previsioni più precise delle proprietà di questi grumi di materia a partire dalle primissime fasi dell’evoluzione dell’universo.

La rete simulata al computer, che rappresenta le più antiche strutture dell’universo, avrebbe una durata molto breve e si trasformerebbe in particelle elementari standard.

Tuttavia, le tracce di questi grumi di materia primordiale potrebbero essere rilevate in futuro grazie a nuovi e più potenti strumenti di indagine.

Benedikt Eggemeier, uno studente di dottorato nel gruppo di Niemeyer e primo autore dello studio sostiene che la nascita di queste strutture, i movimenti e le interazioni devono aver prodotto un qualche tipo di rumore di fondo oggi rilevabile attraverso la registrazione delle onde gravitazionali che hanno prodotto.

Grazie a queste simulazioni, osserva Eggemeier, si potrà calcolare in futuro la forza del segnale emesso dalle onde gravitazionali primordiali. Queste strutture, portano anche a un’altra interessante ipotesi.

Il loro collasso potrebbe portare alla formazione dei PBH o Primordial Black Hole, quei tanto ricercati buchi neri primordiali che potrebbero spiegare alcuni misteri irrisolti della cosmologia.

Materia oscura

Se queste strutture si fossero formate effettivamente, poco dopo il Big Bang avvenuto 13,8 miliardi di anni fa, potrebbero avere delle conseguenze osservabili ancora oggi e potrebbero spiegare anche l’esistenza della materia oscura.

La materia oscura alla quale dobbiamo l’esistenza delle più antiche strutture dell’universo, è una materia che non emette nessuna radiazione elettromagnetica, sia nello spettro della luce visibile che in quello dei raggi X ad alta energia.

Per questo motivo la materia oscura non può essere rilevata se non attraverso i suoi effetti gravitazionali.

Sappiamo che l’universo è pervaso dalla materia oscura. Secondo i modelli cosmologici prevalenti, circa il 26% dell’Universo è composto da materia oscura, il 69% dalla ancora più misteriosa energia oscura e soltanto il 5% di materia “ordinaria”, quella di cui sono fatte le strutture macroscopiche e microscopiche che possiamo osservare, atomi, stelle e galassie.

“D’altra parte”, conclude Richard Easther dell’Università di Auckland, “se le simulazioni prevedessero la formazione di buchi neri primordiali che noi non vediamo, allora avremmo trovato un nuovo modo per testare i modelli dell’universo primordiale”.

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