Alla ricerca della vita guardando la firma del metano

Una delle firme biologiche che ci aspettiamo di trovare nell'atmosfera di un esopianeta è certamente l'ossigeno. Un gruppo di ricercatori però ritiene che anche il metano possa essere un composto affidabile come biosignature. Ora si attende il lancio del nuovo James Webb Space Telescope per scoprirlo

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Il James Webb Space Telescope verrà presto lanciato e una volta raggiunto il punto 2 di Lagrange Terra-Sole potrà dimostrare tutte le sue capacità. Una volta operativo il potentissimo strumento potrà esaminare le atmosfere degli esopianeti alla ricerca delle firme biologiche.
Una delle firme sarà sicuramente l’ossigeno anche se il segnale potrebbe non essere del tutto affidabile. Il James Webb potrà concentrare le sue capacità su un altro gas: il metano che può indicare la presenza della vita.
L’ossigeno potrebbe sembrare la cosa più ovvia da cercare nell’atmosfera di un esopianeta quando si cercano tracce di vita, ma non è così. La sua presenza (o la sua assenza) non è un indicatore affidabile. La storia della Terra ce lo fa capire.
Oggi, l’atmosfera della Terra contiene circa il 21% di ossigeno e la maggior parte di questo gas proviene dagli organismi presenti negli oceani. L’ossigeno in un remoto passato è stato prodotto dai cianobatteri che hanno iniziato a produrre questo gas come sottoprodotto della fotosintesi, e ci è voluto un tempo estremamente lungo prima che l’atmosfera si ossigenasse, almeno un miliardo di anni.
E se esaminassimo un esopianeta, non trovassimo l’ossigeno e lo scartassimo senza renderci conto che c’era vita all’inizio dell’ossigenazione di quel mondo? La ricerca potrebbe semplicemente essere in anticipo di un miliardo di anni e la vita presente non avrebbe speso ancora quel tempo per ossigenare il pianeta. Un pianeta roccioso può avere dei meccanismi biologici che producono ossigeno, ma se gli stessi meccanismi non hanno prodotto una certa quantità di ossigeno non potremo mai rilevarlo e associarlo alla vita.
Questo è quello che è successo sul nostro pianeta, ed è quello che potrebbe accadere su altri mondi rocciosi. Sulla Terra, l’attività geologica trasporta il magma del mantello sulla crosta. Parte del materiale presente nel mantello, ad esempio il ferro, si lega all’ossigeno dell’atmosfera impoverendola.
Questa è uno dei motivi per cui i planetologi si concentrano su altri gas come il metano (CH 4 ). In un nuovo documento, i ricercatori hanno esaminato le potenzialità del metano nel segnalare la presenza di attività biologica. I planetologi affermano che l’abbondanza del metano nell’atmosfera di un esopianeta non proviene dall’attività vulcanica ma da un’origine biologica.

Il titolo del documento è “Abundant Atmospheric Methane from Volcanism on Terrestrial Planets Is Unlikely and Strengthens the Case for Methane as a Biosignature”. L’autore principale è Nicholas Wogan del Dipartimento di Scienze della Terra e dello Spazio, Università di Washington e del Virtual Planetary Laboratory della U of W. L’articolo è pubblicato su The Planetary Science Journal.
Rilevare firme biologiche come il metano nelle atmosfere degli esopianeti è difficile. Ma se si rileva il metano, il lavoro da fare diventa ancora più complesso, la sua presenza deve essere valutata nel contesto del pianeta stesso.
I ricercatori di Biosignature non hanno aspettato il lancio del telescopio spaziale James Webb. Hanno prestato molta attenzione al rilevamento delle firme biologiche con il telescopio. Gli scienziati hanno proposto che le atmosfere planetarie che presentano abbondanza di metano e anidride carbonica in disequilibrio potrebbero essere una forte firma biologica. Nel loro articolo, gli autori sottolineano che “… pochi studi hanno esplorato la possibilità di CH 4 e CO 2 non biologici e relativi indizi contestuali”. In questo caso, non biologico significa che i gas vengono emessi dai vulcani.
Gli autori volevano utilizzare un modello termodinamico per verificare se il degassamento dal magma vulcanico su pianeti simili alla Terra potesse o meno immettere CH 4 e CO 2 nell’atmosfera. In sostanza, hanno scoperto che è improbabile che i vulcani producano le stesse quantità di metano che potrebbero produrre fonti biologiche. Non è impossibile, solo improbabile.
Ciò è in gran parte dovuto al fatto che l’idrogeno resta intrappolato nel magma. mentre l’acqua (H 2 O) è altamente solubile nello stesso magma, limitando la quantità di H degassato e di conseguenza limita la quantità di CH 4 presente nell’atmosfera di un pianeta. Un altro motivo è che il CH 4 stesso degassa da magma a bassa temperatura, mentre la maggior parte del magma terrestre è a temperatura più alta.
Gli autori hanno scoperto che in quegli improbabili casi in cui il vulcanismo potrebbe produrre grandi quantità di metano, produrrebbe anche anidride carbonica. La Terra arcaica era molto più vulcanicamente attiva della Terra odierna. Durante l’Eone Archeano, il flusso di calore della Terra era fino a tre volte superiore a quello attuale. Secondo lo studio, avrebbe potuto produrre 25 volte più magma della Terra moderna e molto più metano. Ma la stessa attività che ha prodotto tutto quel metano produrrebbe anche molta più anidride carbonica. Questo, sottolineano gli autori, è un falso positivo rilevabile. Ma se viene rilevata abbondanza di metano senza quantità di CO 2 rilevanti, allora questa abbondanza di metano diventa una firma biologica più affidabile.
Gli autori sostengono che sarebbe difficile spiegare il rilevamento di metano e anidride carbonica senza invocare fonti biologiche, almeno per pianeti simili alla Terra. Hanno concluso che una quantità piccola o trascurabile di monossido di carbonio rilevata in un’atmosfera rafforza la biosignatura CH 4 + CO 2 perché “… la vita consuma prontamente CO atmosferica, mentre la riduzione dei gas vulcanici probabilmente causa la formazione di CO nell’atmosfera di un pianeta “.
I ricercatori concludono con una nota, sottolineando che il loro documento è basato su tutto ciò che sappiamo della Terra e di altri pianeti nel nostro sistema solare. Non è chiaro quanto questa conoscenza possa essere applicata alle migliaia di esopianeti presenti nella nostra galassia.
Gli autori hanno concluso scrivendo: “Queste conclusioni dovrebbero essere prese con cautela perché si basano su ciò che si comprende sui processi che si verificano sulla Terra e sul nostro sistema solare, che potrebbe essere un campione molto scarso di ciò che è possibile”.
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