Lo sviluppo delle città fa pagare sempre un prezzo alle aree verdi. Sin dalla preistoria, gli esseri umani hanno tagliato foreste per fare spazio ai loro insediamenti. Andando avanti fino ai nostri giorni, quando abbiamo cominciato a reinserire la vegetazione nelle nostre città, e per ottimi motivi.
La vegetazione, infatti, aiuta gli insediamenti urbani a diventare habitat migliori per la fauna e le persone, inoltre rende l’aria più salubre. In quest’ottica, gli alberi hanno un ruolo davvero importante nella riduzione dell’inquinamento dell’aria che respiriamo e molte città nel mondo si stanno focalizzando su questo aspetto.
Nel gennaio del 2019, il sindaco di Londra, Sadiq Aman Khan, ha annunciato che 7.000 alberi sarebbero piantati nella capitale britannica prima della fine del 2020. Nel frattempo nella provincia di Hebei, in Cina, stanno lavorando a una cintura verde di piante che potrà aiutare a ridurre l’inquinamento atmosferico intorno alla capitale cinese.
Anche a Parigi si sta pianificando una foresta urbana che abbraccerà tutti i quartieri più famosi, in uno sforzo di adattamento al cambiamento climatico e per migliorare la qualità dell’aria cittadina.
Se è semplice affermare l’effetto positivo degli alberi sulla qualità dell’aria, meno facile è capire se solo aumentando il numero delle piante si otterrà immediatamente un’aria migliore. Alcuni alberi infatti hanno un effetto migliore di altri. Quindi, per aver il risultato migliore, bisogna trovare le piante più adatte alla riduzione dell’inquinamento atmosferico.
Ovviamente gli alberi sono solo un modo per filtrare l’inquinamento; la cosa migliore resta sempre riuscire a ridurre le emissioni inquinanti, sostiene David Nowak, eminente scienziato del Forest Service del Ministero dell’Agricoltura degli USA, che sta studiando il contributo delle piante sulla qualità dell’aria da 30 anni.
”Gli alberi potranno dare un grande aiuto”, ha detto.
Le piante miglioreranno la qualità dell’aria in modo diretto e indiretto. Indirettamente, facendo ombra e riducendo le temperature. Infatti se i palazzi godono dell’ombra degli alberi, si spera che si ridurrà l’uso dei condizionatori e le conseguenti emissioni di gas serra. Inoltre, le più basse temperature riducono anche il rischio che inquinanti tossici come l’ozono possano scendere al livello del suolo, cosa che comunemente accade nelle aree urbane nei giorni più afosi.
Gli alberi giocano un ruolo vitale nella rimozione dell’inquinamento dell’aria. Le piante sono spesso viste come i ‘polmoni’ di un ecosistema perché assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno, spiega Rita Baraldi, una biologa fisiologa delle piante all’istituto di Bioeconomia del C.N.R. (Consiglio Nazionale della Ricerche) di Roma.
In realtà gli alberi filtrano l’inquinamento atmosferico eliminando biossido di azoto e zolfo le loro foglie. La maggior parte di queste particelle misura meno di 10 micron (noti come PM10). Gli alberi sono particolarmente efficienti per rimuovere le sostanze particellari (il particolato, PM), aggiunge Novak.
Il PM si trova nell’aria nella forma di minuscole particelle di sostanze chimiche organiche, acidi, metalli e polveri emessi dai carburanti di origine fossile usati da autoveicoli, riscaldamenti, fabbriche e cantieri edili. La maggioranza di queste particelle misura tra 1 e 10 micron, circa 1/5 della normale larghezza di un capello umano. Ci sono anche le PM 2,5 (2,5 micron) e nanoparticelle inquinanti più piccole. Il PM particolarmente sottile penetra facilmente nel sistema respiratorio umano, causando malattie polmonari e cardiovascolari, aggravandole. Secondo alcune stime, nel mondo ogni anno 8,9 milioni di persone perdono la vita per questa ragione.
Pulire l’aria
Da una prospettiva focalizzata sulla pianificazione urbana, le piante agiscono come uno strumento per la purificazione del PM. ”Gli alberi aiutano a ridurre il PM in due principali modi”, sostiene Prashant Kumar, il direttore e fondatore del Centro Globale per la Ricerca sull’Aria dell’Università del Surrey. Il primo concerne la dispersione, attraverso la potatura e la caduta di alberi e piante che permettono a una parte di queste minuscole particelle di andare disperse e diluite nell’aria, così che da diminuirne il rischio di inalazione da parte dell’uomo. Il secondo riguarda la deposizione.
Le PM possono facilmente restare intrappolate in alcuni tipi di foglie più viscose o pelose, sia di alberi che di arbusti. Quando piove la maggior parte di queste PM vengono portate via dalle acque nei canali di scarico.
“L’estensione di questa attività di filtraggio fatta da ogni specie dipende principalmente dalla grandezza della chioma degli alberi, delle foglie e dalla struttura delle stesse”, dice la dottoressa Baraldi. Le chiome più grandi possono trattenere più PM di quelle piccole, e lo stesso concetto vale per le foglie. Il miglior filtro per le PM viene dalle foglie con superfici grandi, robuste e spinose.
Recenti ricerche suggeriscono che la peluria delle foglie può giocare un ruolo importante per intrappolare le particelle liquide e solide che formano le PM. In un recente studio, Barbara Maher e i suoi colleghi dell’Università di Lancaster hanno testato le capacità di nove specie di alberi nel catturare le PM attraverso alcuni esperimenti nel tunnel del vento.
Betulle, tassi e alberi anziani sono risultati i migliori nel catturare le particelle, specialmente i peli delle loro foglie hanno contribuito in modo preponderante alla riduzione delle PM, in misura rispettivamente del 79%, 71% e 70%. Al contrario, le ortiche sono risultate le ultime in questa speciale classifica tra le specie studiate per ottenere una riduzione delle PM, pur se con un rispettabile 32% di funzionalità.
Aria alpina
Anche le conifere (pini e cipressi) sono dei purificatori naturali. Nel 2015, Jun Yang, un ecologista urbano del Centro per la Scienza del Sistema Terra dell’Università di Tsinghua a Pechino, ha classificato le principali specie di vegetazioni maggiormente presenti nelle città, basandosi sul grado di assorbimento delle PM 2,5. Nella classificazione si è tenuto conto anche di quelle specie particolarmente abili a sopravvivere in un contesto urbano e di ogni cosa avente un impatto negativo sulla qualità dell’aria, come la produzione di allergeni e di composti organici volatili (VOC), un mix di sostanze che possono interagire con i gas emessi dagli autoveicoli come il biossido di azoto.
Alla presenza della luce del sole, queste reazioni possono combinarsi all’ozono al livello del suolo, molto pericoloso per la salute umana. Quando un’ondata di calore investì Berlino nel 2006, l’ozono creato dall’interazione tra i VOC delle piante e l’inquinamento veicolare produsse un improvviso decremento della qualità dell’aria. Sorprendendo Yang, la sua classificazione mostrò che le specie maggiormente diffuse di alberi non furono i migliori filtri attesi per l’inquinamento.
”Delle 10 specie più diffuse, solo i platani, gli aceri e le acacie riuscirono ad avere un risultato sopra la media”, ha notato Yang. Furono le conifere a dimostrarsi come il miglior filtro, i pini e i cipressi. Yang concluse che in una città come Pechino queste conifere darebbero un grande aiuto per la riduzione delle PM 2,5. La capitale cinese registra abitualmente un livello di 125 micron di PM per metro cubo, oltre 10 volte il livello raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che è di 10 micron per mc.
La ragione del successo delle conifere nella riduzione delle PM è da ricercare nella struttura delle loro chiome, molto dense, e delle loro foglie che tendono a intrappolare gli agenti inquinanti. E anche i loro comportamenti durante le stagioni aiutano. “Le conifere offrono la migliore riduzione di PM perché sono specie sempre verdi”, spiega Novak.
Diversamente dagli alberi che perdono le loro foglie in inverno, le specie sempre verdi agiscono tutto l’anno. “Ma questo non significa che vanno bene in ogni contesto”.
Il problema con le conifere è che sono molto sensibili ai cambiamenti della concentrazione dei sali nel suolo, che tende ad essere alta nelle realtà urbane, soprattutto dove il sale viene usato per rendere meno scivolose le strade ghiacciate nei periodi invernali. Peggiorando ulteriormente la questione, le ampie e spesse chiome delle conifere possono bloccare la luce del sole ed impedire quindi un rapido scioglimento di neve e ghiaccio, che può diventare un problema di traffico sulle strade delle città soggette a temperature molto fredde. Questi due svantaggi relativi alle conifere sono citati anche da Yang nei suoi studi.
Alberi problematici
Alcuni alberi caduchi possono avere delle contro indicazioni, dice Novak. Ad esempio, gli alberi che comunemente si trovano nelle città dell’emisfero nord (come il pioppo o il tupelo nero, la nyssa sylvatica) possono emettere alti livelli di VOC.
“Idealmente, cerchiamo di identificare le specie che possono massimizzare l’assorbimento di PM e allo stesso tempo minimizzare la produzione di ozono”, dice Margarita Préndez, una chimica dell’Università del Cile, che ha studiato come differenti specie di alberi abbiano influito sulla qualità dell’aria di Santiago.
Novak cita le conifere come gli abeti canadesi, i ginepri e gli alberi caduchi come gli olmi, i castagni e i tigli come esempi di piante a basso rilascio di VOC. “Seguendo gli studi fatti a Santiago e in altre città del Cile, gli alberi nativi producono più bassi livelli di VOC rispetto a quelli non originari del posto”, dice Préndez.
A Santiago, le specie venute da fuori come prugni e platani possono produrre oltre 30 volte più VOC di quelle native. Ma questo non succede dappertutto e Yang sostiene che non si possa generalizzare rispettivamente alle comparazioni tra alberi indigeni e non. “Alcune di queste specie più adatte alla riduzione dell’inquinamento sono non native”, afferma Yang. “Non dovremmo escluderle da questi ragionamenti per motivi ideologici”, aggiunge lo studioso cinese.
La questione è riuscire a trovare un equilibrio giusto per ogni città. Ma questo sarebbe solo l’inizio. Il problema successivo sarà dove piantare questi alberi. Molti interessanti progetti hanno fallito a causa di una pianificazione non corretta del luogo di insediamento degli alberi. “Alcune città come Pechino o Città del Messico hanno piantato alberi un po’ troppo lontani dai centri cittadini”, sostiene Rob McDonald, lo scienziato capo di The Nature Conservancy, un’associazione benefica ambientalista con sede in Virginia (USA), e “questo non ha dato i benefici attesi”.
McDonald, che lavora con le amministrazioni comunali per gestire il verde nelle città, afferma che, come regola generale, gli alberi devono essere piantati vicini a dove si muove la gente e alle fonti di inquinamento. Inoltre, anche la direzione usuale del vento e la struttura del verde possono incidere sul diffondersi dell’inquinamento, di conseguenza quando si piantano gli alberi bisogna tenerne conto.
Nelle strette strade circondate da grattacieli come quelle di Manhattan a New York, il flusso dell’aria può intrappolare l’inquinamento sul terreno. In questa situazione, piantare alberi alti con grandi chiome può peggiorare la situazione, impedendo agli agenti inquinanti di disperdersi.
Un recente piano per piantare alberi a Pechino in alcune aree ha fallito proprio per queste ragioni. Kumar e la sua squadra hanno recentemente predisposto specifiche raccomandazioni su questo punto.
Siepi e piante rampicanti sono generalmente preferite nelle strade strette con grattacieli o alti palazzi. Mentre nelle strade larghe con palazzi bassi, come quelle tipiche dei sobborghi americani, l’aria può defluire liberamente e quindi con meno rischio di trattenere gli agenti inquinanti, così che sia gli alberi sia le siepi possono essere altrettante opzioni valide.
Esempi di siepi ottimali per le vie sono il viburno, la photinia, il ligustro e il lauro, afferma Baraldi. Anche assicurare la biodiversità è essenziale. Anche se una di queste specie dovesse essere di gran lunga la migliore per ridurre gli agenti inquinanti.
Kumar raccomanda che non più del 5-10% di un bosco urbano dovrebbe essere composto da una stessa specie o famiglia. Un ultimo fattore, annota Novak, deve riguardare una realistica valutazione su cura e longevità delle piante, favorendo quelle che hanno bisogno di meno cure possibili e che durano più a lungo.
Attraverso il labirinto
Con tutte queste variabili da tenere a mente, conoscendo quali specie lavoreranno meglio in un posto specifico, la sfida può essere accettata. “Ci sono molte questioni su cui ragionare e diverse aspettative sui possibili benefici degli alberi e delle piante nella lotta all’inquinamento dell’aria”, dice Stephanie Carlisle, ecologista urbana dell’Università della Pennsylvania (USA), che studia le interazioni tra ambienti naturali e non.
Sicuramente diversi studi affermano che la vegetazione riduce le PM trattenute negli spazi interni, con un tasso di riduzione estremamente variabile compreso tra 1 e 60%. Ma gli scienziati stanno anche mettendo a punto degli aiuti specifici per i progettatori degli spazi urbani, individuando le migliori specie possibili per ogni area. Ad esempio, un programma gratuito messo a disposizione dal Ministero dell’Agricoltura americano, iTree species, classifica le specie secondo una serie di variabili, comprese le abilità per la riduzione dell’inquinamento, il deposito di carbonio e le emissioni di VOC.
La città di Oakville in Ontario (Canada), è stata una delle prime ad adottare iTree, ed è ora un buon esempio di come sia complesso trovare un giusto equilibrio. Il Comune ha ritenuto che, in accordo col software, l’acero norvegese garantiva più di ogni altro albero i maggiori benefici nella lotta all’inquinamento. Ma siccome questo tipo di acero era già diffuso nella città per oltre il 10% delle superfici verdi, l’amministrazione comunale ha deciso di non piantarlo più per preservare la biodiversità.
E ancora, la municipalità canadese ha anche fermato la diffusione del biancospino dopo che la piattaforma governativa ha rilevato la sua scarsa incidenza sulla qualità dell’aria. Il biancospino è stato gradualmente sostituito dall’olmo americano, anche se poi sono state tutte affette gravemente dalla malattia dell’olmo olandese.
Come spiega Novak, le specie classificate in iTree danno un’indicazione generale su quali siano le migliori, senza chiaramente approfondire il particolare contesto urbano dove devono essere inserite. “Le specie migliori di questa classifica potrebbero non essere le più adatte per un particolare posto o essere troppo invasive per uno specifico ecosistema”, spiega Novak. “Per questo è sempre meglio confrontarsi con gli esperti locali prima di decidere quali specie avranno un risultato ottimale in quel particolare contesto urbano”.
Nowak e il suo gruppo stanno ora pianificando di proseguire lo studio su come gli ecosistemi locali influiscano sulla decisione di quali alberi piantare e quali caratteristiche naturali poter sfruttare al meglio.
L’importanza del contesto locale è sottolineata anche da Kumar. All’inizio del 2020, è stato coautore di una guida per aiutare gli amministratori delle città a selezionare le specie migliori per ridurre l’inquinamento stradale. Ha selezionato 61 specie con 12 caratteristiche per questo scopo, tra le quali, ad esempio, quelle con foglie robuste. La guida tiene anche conto di alcune variabili non auspicabili, come la presenza di polline, i VOC, e il molto tempo da spendere per la cura di queste piante.
“Le querce sempre verdi, i pini e i tassi sono state selezionati come potenzialmente le migliori”, dice Kumar, “perchè sono relativamente resistenti all’inquinamento, sempre verdi, e includono anche una serie di benefici provenienti dal loro particolare fogliame”.
Questo tipo di informazioni non sono utili solo agli amministratori delle città. Ognuno ora può contare su una maggiore scelta di opzioni per prendere questo tipo di decisioni.
Jennifer Gabrys, una sociologa dell’Università di Cambridge (Regno Unito) ha sviluppato una soluzione digitale che lascia ad ognuno un ruolo nella riduzione dell’inquinamento atmosferico. Chiamata Phyto-sensor; sviluppato quando Gabrys era ancora all’Università Goldsmiths di Londra, il software elenca le piante che hanno effettivamente ridotto le PM, come la violacciocca perenne e l’edera, e consiglia su dove piantarle. Infine, è sempre il contesto che determina se una specie darà un beneficio o no.
“Anche gli alberi con i migliori risultati possono deludere le aspettative in alcuni casi”, dice Kumar. “Per esempio, non consiglieremmo mai di piantare i tassi vicino i campi sportivi delle scuole perchè sono velenosi”.
Se tutto questo prova qualcosa, sicuramente significa che fissarsi sui benefici che astrattamente può dare un albero non porta molto lontano. “Alcuni progettisti hanno la tendenza a pensare alle cose come fossero solo oggetti, ma un complesso sistema ecologico è molto più di questo”, dice Carlisle. “Ma senza una comprensione olistica degli ecosistemi urbani, il rischio è di fare più danno che altro”.
In questo senso, piantare la vegetazione per fermare l’inquinamento è come altri aspetti del design urbano, e la chiave del successo si nasconde nelle sfumature locali ed ambientali. È quello che determinerà se gli alberi nelle città saranno un respiro di aria fresca o un rimedio peggiore.