Elefantina è il nome di origine greca di un’isola che si trova al centro del Nilo poco dopo la prima cateratta di fronte ad Assuan, l’antica Syene.
In epoca egizia, I dinastia aveva il nome di Abw oppure Yebu, ovvero “Città dell’Elefante”ed era la capitale del I distretto dell’Alto Egitto detto Terra degli archi. Il sito, già abitato durante l’epoca predinastica, aveva come divinità principale Satet a cui successivamente si unirono Khnum ed Anuqet.
L’isola conserva numerosi ed importanti resti archeologici come il tempio divino dedicato al dio Khnum, un importante nilometro, una piccola piramide risalente all’Antico Regno ed un calendario chiamato “Calendario di Elefantina“ risalente al regno di Thutmose III della XVIII dinastia.
Il sovrano Djoser in memoria di una sua visita nel tempio di Khum per porre termine ad una carestia, fece erigere una stele detta Stele della carestia mentre un’altra stele celebra il sovrano Sesostri III per il restauro operato sulla fortezza di Elefantina. Successivamente il sovrano Ahmose I della XVIII dinastia stabilì ad Elefantina la sede amministrativa del viceré della Nubia mentre risale ad epoca tolemaica un piccolo tempio.
L’isola viene chiamata così per la forma caratteristica delle proprie rocce. Nel 230 a.C. da quest’isola, il matematico greco Eratostene di Cirene, calcolò per la prima volta la circonferenza della Terra.
Gli ebrei d’Egitto usarono l’isola come fortezza e vi costruirono un grande tempio che venne distrutto nel 411 o 410 a.C. Il sito presenta una peculiare singolarità che lo rende estremamente interessante per la scienza delle religioni. La colonia ebraica che visse su quest’isola, vi si recò probabilmente per sfuggire dalla deportazione a Babilonia da parte di Nabucodonosor nel VII secolo a.C..
Come si sa, l’ebraismo cambiò radicalmente dopo il ritorno dalla cattività babilonese, tanto che da quel momento in poi non si parla più di ebraismo ma di giudaismo. La comunità ebraica di Elefantina, tuttavia – come fatto supporre da alcune prove archeologiche ritrovate all’interno degli scavi avvenuti negli anni Trenta del XX secolo sull’isola – sembrerebbe un raro caso di comunità ebraica che ha mantenuto concezioni, tradizioni religiose e costumi sociali che caratterizzarono l’ebraismo pre-esilico e come tale ha riscosso un particolare interesse tra gli studiosi delle religioni.
La città dà il nome ad alcuni famosi papiri come quello risalente alla XIII dinastia e quello del V secolo a.C., scritto in lingua aramaica ritrovati agli inizi del XIX secolo.
Oggi l’isola ospita il Museo della Nubia.
Come dicevamo, l’isola di Elefantina si trova al centro del Nilo e, secondo i cultori del mito degli antichi astronauti, la sua forma ricorderebbe quella dell’elefante, animale che gli antichi egizi non potevano conoscere, visto che popola zone del pianeta ben lontane dall’Egitto.
Inoltre, l’unico modo che avrebbero avuto gli antichi egizi di conoscere la forma di un elefante sarebbe stato, sempre secondo i fautori dell’ipotesi dell’antico astronauta, quello di osservare l’isola dall’alto. La conseguenza ovvia, sarebbe che gli egizi possedessero chissà quali mezzi volanti o che fossero in contatto con qualche razza aliena che era scesa sulla Terra per informarli sulla forma dell’isola.
Uno dei tanti ricercatori del mistero, diventato famoso per i suoi libri che definire fanta archeologia è generoso, è un certo Von Däniken che nel suo celebre “Chariots of the Gods?”, pubblicato inItalia con il titolo “Gli extraterrestri torneranno”, Armenia, Milano, 1969, afferma che l’isola si chiamava Elefantina anche nell’antichità, perché la sua forma ricordava quella di un elefante.
Secondo lui, questa forma sarebbe riconoscibile unicamente volando ad alta quota, perché nei pressi non c’è alcun punto rialzato a sufficienza che offra una vista dell’isola e possa far pensare che l’isola somigli a un pachiderma.
All’epoca dei faraoni su questo lembo di terra era posta una cittadina commerciale chiamata Swenet, che usava la turbolenza delle correnti del fiume per proteggersi degli attacchi nemici. La sua posizione ne fece un importante crocevia commerciale, in cui le carovane provenienti dal sud scaricavano le proprie merci, per poi essere trasportate verso nord.
Nell’antichità l’isola si chiamava Yeb o Yebu, cioè “avorio”, perché era un deposito commerciale per l’avorio importato dall’Africa subsahariana e, infatti, il nome attuale dell’isola deriva dalla traduzione greca del termine egiziano elephantinos che significa infatti “avorio” in greco.
Sull’isola comunque ci sono delle rocce grigie che possono sembrare pacifici elefanti al pascolo ma, se osservata dall’alto, non sembra proprio un pachiderma, al più può assomigliare vagamente a una goccia allungata o a una zanna. Di certo, la sua forma non ricorda nessun animale, elefante o altro.
Troppo semplice fantasticare, molto più complicato consultare una cartina.