Dal momento che, nell’universo, tutto si riduce a una particella, ci si pone la cruciale domanda di cosa sia, di fatto, una particella.
Una risposta superficiale si dimostra di per sè insoddisfacente. Cioè, elettroni, fotoni, quark e altre particelle fondamentali, presumibilmente non hanno una sottostruttura o un’estensione fisica. Mary Gaillard, una fisica teorica delle particelle della University of California – Berkeley, che negli anni 70 aveva previsto le masse di due tipi di quark, afferma che siamo soliti immaginare una particella come un oggetto puntiforme. Ma le particelle sono caratterizzate da grandezze ben specifiche, quali la carica e la massa. E quindi, la descrizione della particella senza dimensioni sarebbe incompatibile con la presenza di un peso.
Definendo le particelle fondamentali, è solo un modo per non rispondere alla domanda cruciale: “Cosa è una particella?” Di fatto, non possediamo ancora la risposta giusta.
Le proprietà di un oggetto dipendono, in ultima analisi, dalle particelle che lo costituiscono. Ma le proprietà di queste particelle non derivano da loro costituenti, ma sono il risultato di schemi matematici. Le particelle dunque rappresentano dei punti di contatto tra la matematica e la realtà, e quindi si trovano in entrambi i mondi, ma sono sostenute da una base molto incerta.
Se si intervistano diversi fisici delle particelle sul significato di particella, è molto probabile che ognuno di essi dia una risposta diversa. La diversità delle risposte sta nel fatto che ognuno fornisce una sfaccettatura differente della verità.
Oggi, vi sono almeno due linee di ricerca dominanti sull’argomento, che certamente non convergeranno su un punto di vista unico, ma che daranno differenti punti di vista, ognuno dei quali ha la sua importanza.
Particella come funzione d’onda collassata
Il primo che si pose il problema della comprensione dei mattoni fondanti della natura fu il filosofo greco Democrito, il quale ipotizzò proprio l’esistenza di queste particelle. Due millenni dopo, Isaac Newton e Christiaan Huygens instaurarono un dibattito sulla natura ondulatoria o particellare della luce. Circa 250 anni dopo, la scoperta della meccanica quantistica provò che entrambi gli scienziati avevano ragione: la luce si sposta in pacchetti singoli di energia chiamati fotoni, che si comportano sia come particelle che come onde.
La dualità onda-particella si è subito rilevata oggetto di approfondimento da parte dei fisici. La meccanica quantistica, negli anni ’20, aveva rivelato che i fotoni e gli altri oggetti quantistici possono essere meglio descritti non come onde o particelle, ma come delle funzioni d’onda astratte – delle funzioni matematiche in evoluzione che descrivono la probabilità di una particella di possedere diverse proprietà.
Per esempio, la funzione d’onda che rappresenta un elettrone è distribuita spazialmente, in modo che l’elettrone possa assumere più posizioni possibili, e non una sola. Ma, stranamente, quando, attraverso un rilevatore, si va a misurare la posizione dell’elettrone, la sua funzione d’onda collassa rapidamente su un punto, e la particella si trova esattamente nella posizione in cui la osserva il rilevatore.
Quindi, una particella può essere considerata come una funzione d’onda collassata. Ma, nella vita reale, cosa significa tutto ciò? Per quale motivo un’osservazione fa sì che una funzione matematica distribuita possa collassare, determinando la presenza della particella? E cosa influisce sul risultato dell’osservazione? A distanza di circa un secolo, i fisici non hanno ancora delle risposte certe a queste domande.
Particella come eccitazione quantistica di un campo
Con il passare del tempo, la situazione diventava sempre più strana. Negli anni ’30, i fisici si resero conto che le funzioni d’onda di molti fotoni singoli, si comportano, collettivamente, come una singola funzione d’onda che si propaga attraverso dei campi elettrici e magnetici congiunti – esattamente la descrizione classica della luce che era stata definita nel 19° secolo da J.C.Maxwell.
I fisici quindi scoprirono che era possibile quantizzare la versione classica della teoria dei campi, restringendo i campi in modo che essi possano oscillare solamente in quantità discrete, definite quanti di campo. Oltre che ai fotoni – i quanti di luce – Paul Dirac e altri scienziati scoprirono che l’idea della quantizzazione del campo classico si poteva applicare anche agli elettroni e a qualunque altra particella: in accordo con la teoria quantistica dei campi, le particelle sono eccitazioni dei campi quantistici che riempiono tutto lo spazio.
Nel postulare l’esistenza di questi campi più fondamentali, la teoria quantistica dei campi ha caratterizzato le particelle come semplici frammenti di energia che fanno vibrare i campi.
La teoria quantistica dei campi permette quindi ai ricercatori di calcolare con estrema precisione cosa accade quando le particelle interagiscono: le interazioni tra le particelle sono, a livello base, il modo attraverso il quale la materia è tenuta insieme.
Man mano che i fisici scoprivano sempre più particelle, con i loro campi associati, si andava sviluppando una prospettiva parallela. Le proprietà di queste particelle, e dei campi associati, davano l’impressione di seguire degli schemi numerici. Utilizzando questi schemi, i fisici sono stati in grado di prevedere l’esistenza di molte particelle. Una volta che si riesce a codificare gli schemi che scaturiscono dalla matematica, allora la matematica riesce a estrapolare più informazioni rispetto alla stessa osservazione.
Particelle come rappresentazione di un Gruppo
Secondo un’altra prospettiva, una particella può essere anche una rappresentazione di un gruppo di Poincarè, ovvero rappresentazione di gruppi di simmetria, cioè trasformazioni che possono essere eseguite sugli oggetti.
Si prenda, per esempio, un triangolo equilatero. Ruotandolo di 120 o di 240 gradi, o riflettendolo lungo la linea che collega ogni angolo con il punto medio del lato opposto, o non eseguendo su esso alcuna azione, il triangolo mantiene sempre la stessa forma. Queste sei simmetrie formano un gruppo. Il gruppo può essere espresso come un insieme di matrici matematiche – matrici di numeri che, moltiplicati per le coordinate di un triangolo equilatero, forniscono le medesime coordinate. Questo insieme di matrici è una rappresentazione del gruppo di simmetria.
Allo stesso modo, gli elettroni, i fotoni e altre particelle fondamentali sono oggetti che essenzialmente rimangono se stessi se sottoposti all’azione di un certo gruppo. Ovvero, le particelle sono rappresentazioni del gruppo di Poincarè: un gruppo che presenta 10 modi di spostamento all’interno del continuo spazio-temporale. Gli oggetti possono spostarsi nelle tre direzioni spaziali o in quella temporale; possono inoltre ruotare nelle tre direzioni o ricevere una spinta in ognuna di queste direzioni. Nel 1939, il fisico matematico Eugene Wigner, ha definito le particelle come i più semplici oggetti possibili che possono essere spostati, ruotati e spinti.
Affinché le 10 trasformazioni di Poincarè agiscano in maniera adeguata su un oggetto, questo deve possedere una serie di proprietà, che le particelle di fatto detengono. Una di queste proprietà è l’energia, ovvero una grandezza che rimane la stessa quando l’oggetto si sposta nel tempo. Un’altra proprietà è il momento, che rimane costante quando un oggetto si sposta nello spazio.
Per specificare come si trasformano le particelle durante una rotazione nello spazio-tempo, è necessario definire una terza proprietà: lo spin. Quando Wigner aveva costruito la sua teoria, i fisici sapevano già che le particelle sono dotate di spin, una sorta di momento angolare intrinseco da cui è possibile determinare se esse si comportano come materia (elettroni) o come una forza (fotoni). Wigner ha dimostrato che, in fondo, lo spin è un’etichetta che le particelle hanno perché il mondo ha rotazioni.
Rappresentazioni differenti del gruppo di Poincarè sono date da particelle con numeri differenti di spin, o gradi di libertà che sono influenzati dalle rotazioni. Per esempio, vi sono delle particelle con tre gradi di libertà legati agli spin. Queste particelle ruotano così come ruotano gli usuali oggetti tridimensionali. Tutte le particelle che costituiscono la materia, invece, hanno due gradi di libertà legati allo spin: spin up e spin down, che ruotano in modo differente. Ruotando un elettrone di 360 gradi, il suo stato sarà invertito, come una freccia che torna indietro, puntando nella direzione opposta.
In natura vi sono anche delle particelle elementari con uno, o cinque, valori dello spin. Per il momento, manca ancora la rappresentazione di un gruppo di Poincarè con quattro valori di spin.
La corrispondenza tra particelle elementari e rappresentazioni è così netta che alcuni fisici tendono addirittura ad equipararle. Per altri fisici invece particelle e rappresentazioni sono la stessa cosa. Sheldon Glashow, un teorico delle particelle e vincitore di un Premio Nobel, riferisce che la rappresentazione non è la particella; la rappresentazione è il modo con cui si descrivono alcune proprietà delle particelle. Non bisogna confondere i due concetti.
Le particelle hanno diversi strati
A prescindere dall’esistenza o meno di una distinzione, la relazione tra la fisica delle particelle e la teoria dei gruppi, nel corso del 20° secolo, si è fatta sempre più ricca e più complicata. Le scoperte hanno dimostrato che le particelle elementari non solo hanno l’insieme minimo di valori, necessari per navigare lo spazio-tempo, ma detengono anche altre caratteristiche, a volte superflue.
Le particelle che hanno la stessa energia, lo stesso momento e lo stesso spin, in relazione alle 10 trasformazioni di Poincarè, si comportano tutte allo stesso modo, mentre possono differire per altri aspetti. Per esempio, possono trasportare delle quantità differenti di carica elettrica. Quando, a metà del 20° secolo, tutte le particelle erano state scoperte, sono scaturite delle ulteriori differenze tra le particelle, per le quali si sono dovute introdurre nuove caratteristiche, come il colore e il sapore.
Così come le particelle sono rappresentazioni del gruppo di Poincarè, i teorici hanno compreso che le loro proprietà extra riflettono dei modi aggiuntivi attraverso i quali esse possono essere trasformate. Ma invece di spostare gli oggetti nello spazio-tempo, queste nuove trasformazioni sono più astratte; esse cambiano gli stati interni delle particelle.
Si prenda la proprietà colore: negli anni ’60, i fisici accertarono che i quark, i costituenti elementari dei nuclei atomici, esistono secondo una combinazione probabilistica di tre possibili stati, definiti rosso, verde e blu.
Ovviamente, la denominazione di questi stati non ha nulla a che vedere con i colori, così come li conosciamo. Quello che conta è il numero delle caratteristiche: i quark, con le loro tre caratteristiche, sono delle rappresentazioni di un gruppo di trasformazioni chiamato SU(3), che racchiude gli infiniti modi di poter mescolare matematicamente tre etichette.
Se da una parte le particelle con un colore sono rappresentazioni del gruppo di simmetria SU(3), le particelle con proprietà interne legate al sapore e alla carica elettrica, sono rappresentazioni, rispettivamente, del gruppo di simmetria SU(2) e SU(1). Inoltre, si è soliti dire che il Modello Standard della fisica delle particelle – la teoria dei campi quantistici di tutte le particelle elementari note e delle loro interazioni – sia una rappresentazione del gruppo di simmetria SU(3)xSU(2)xSU(1), formato da tutte le combinazioni delle operazioni di simmetria ammesse nei tre sottogruppi.
Anche se, a distanza di cinquant’anni, il Modello Standard, è ampiamente riconosciuto, tuttavia non riesce a descrivere completamente l’universo. Di fatto, il Modello non prende in considerazione la forza di gravità, che la teoria quantistica dei campi non riesce a gestire pienamente. La teoria generale della relatività di Einstein descrive la gravità come delle curve nel tessuto dello spazio-tempo. Inoltre, la struttura in tre parti SU(3)xSU(2)xSU(1) del Modello Standard solleva diversi interrogativi.
Particelle come stringhe vibranti
Intorno agli anni ’70, alcuni fisici hanno cercato di adattare le simmetrie SU(3), SU(2) e SU(1) all’interno di un singolo, e anche più ampio, gruppo di trasformazioni, partendo dal presupposto che, all’inizio dell’universo, le particelle fossero rappresentazioni di un singolo gruppo di simmetria. Il candidato più naturale per una tale grande teoria unificata era un gruppo di simmetria chiamato SU(5), ma ben presto gli esperimenti hanno escluso questa possibilità. Quindi restano in gioco altre possibilità.
I ricercatori nutrono forti speranze nel successo della teoria delle stringhe: l’idea secondo la quale se si ingrandisse abbastanza sulle particelle, non si vedrebbero punti, ma stringhe vibranti unidimensionali. Si vedrebbero inoltre anche altre sei dimensioni spaziali, che, secondo la teoria delle stringhe, sono arricciate su ogni punto del tessuto spazio-tempo tetradimensionale. La geometria delle piccole dimensioni determina le proprietà delle stringhe e quindi il mondo macroscopico.
Le simmetrie interne delle particelle, come le operazioni SU(3) che trasformano i colori dei quark, hanno un significato fisico: queste operazioni si mappano, nell’immagine della stringa, su rotazioni nelle piccole dimensioni spaziali, così come lo spin riflette le rotazioni nelle grandi dimensioni. La geometria fornisce la simmetria derivante dalle particelle, e tutto procede congiuntamente.
Tuttavia, non è possibile sapere se esistono stringhe o dimensioni extra, perché sarebbero troppo piccole per essere rilevate. Sono state quindi sviluppate altre idee, due delle quali sono risultate più interessanti per la comunità scientifica.
Particelle come deformazione di qubit
La prima di queste idee parte dall’ipotesi che ogni cosa nell’universo – tutte le particelle, così come il tessuto spazio-temporale che queste particelle circondano – scaturisca da bit quantistici di informazione, i qubit. I qubit sono combinazioni probabilistiche di due stati, 0 e 1. (I qubit possono essere archiviati in sistemi fisici, così come i bit classici possono essere archiviati nei transistor). Quando vi sono più qubit, i loro possibili stati possono legarsi per effetto entanglement, in modo che lo stato di uno dipenda dagli stati di tutti gli altri. Attraverso questo particolare tipo di legame, un piccolo numero di qubit può codificare una grande quantità di informazione.
Il concetto espresso da questa idea prende il nome di it-from-qubit. In esso, se si vuole comprendere cosa siano le particelle, è necessario capire prima cosa sia lo spazio-tempo. Nel 2010, il fisico Van Raamsdonk, ha sostenuto, in un suo saggio, che i qubit legati per effetto entanglement potrebbero essere gli elementi che tengono insieme il tessuto spazio-tempo.
Calcoli ed esperimenti mentali suggeriscono che lo spazio-tempo ha delle proprietà olografiche: è possibile codificare tutta l’informazione relativa a una regione dello spazio-tempo in gradi di libertà in una dimensione in meno – spesso sulla regione della superficie.
Uno degli aspetti più sorprendenti di questa relazione olografica è che lo spazio-tempo è flessibile perché include la gravità. Ma il sistema di dimensione inferiore che codifica l’informazione relativa a quello spazio flessibile è un sistema quantistico puro, privo del concetto di curvatura, di gravità o di una qualunque geometria. Può essere considerato come un sistema di qubit legati per entanglement.
Nell’ipotesi it-from-qubit, le proprietà dello spazio-tempo, derivano essenzialmente dal modo in cui gli 0 e 1 sono legati insieme. Pertanto, la descrizione quantistica della gravità si traduce nell’identificazione del modello di entanglement dei qubit, che codifica il particolare tipo di tessuto spazio-temporale che si trova nell’universo.
Finora, i ricercatori sono riusciti a capire come funziona tutto ciò per universi che hanno delle curvature negative, in quanto tale geometria risulta più facile da studiare. Anche se il nostro universo ha una curvatura positiva, i ricercatori hanno comunque scoperto che ogni volta che lo spazio-tempo, curvo negativamente, si apre come un ologramma, le particelle vengono attratte. Cioè, ogni volta che un sistema di qubit codifica olograficamente una regione dello spazio-tempo, vi è sempre un modello di entanglement di qubit che corrisponde a bit localizzati di energia che fluttuano nel mondo di dimensioni superiori.
Inoltre, quando le operazioni algebriche sui qubit vengono trasferite in termini di spazio-tempo, si comportano proprio come le rotazioni che agiscono sulle particelle.
Il fatto che lo spazio-tempo olografico abbia sempre questi stati di particelle è uno degli aspetti più importanti che distingue questi sistemi olografici da altri sistemi quantistici.
Si è cercato di immaginare qubit con una sorta di disposizione spaziale che andasse a creare l’universo olografico. Ma, di fatto, le relazioni e le interdipendenze tra i qubit sono qualcosa di molto più astratto, senza alcuna disposizione fisica reale. Si può parlare solo di un’esistenza astratta di 0 e 1, e di come un operatore agisca su 0 e 1.
C’è ancora molto lavoro da fare, ma se la descrizione it-from-qubit fosse corretta, allora le particelle sarebbero degli ologrammi, proprio come lo spazio-tempo. La loro definizione più corretta sarebbe quindi in termini di qubit.
Le particelle sono ciò che i rilevatori misurano
Esiste una categoria di ricercatori, i quali sostengono che la teoria quantistica dei campi racconti una storia troppo complicata. I fisici usano la teoria quantistica dei campi per calcolare delle formule essenziali, chiamate ampiezze di dispersione. Quando le particelle collidono, le ampiezze indicano come le particelle possano trasformarsi o disperdersi. Il mondo è costituito da interazioni di particelle, pertanto il modo con cui i fisici testano la loro descrizione del mondo è quello di paragonare le loro formule di ampiezza di dispersione con i risultati delle collisioni delle particelle negli esperimenti tipo quelli effettuati al Large Hadron Collider.
Questa categoria di fisici, che si rifanno quindi alle ampiezze di dispersione, ritiene che la teoria dei campi abbia oscurato la più semplice modellizzazione matematica, tanto da definire i campi quantistici come delle finzioni di convenienza. Spesso, infatti, in fisica, si cade nell’errore di sopravvalutare un certo formalismo. Secondo la teoria dei campi quantistici, le particelle dovrebbero essere virtuali, ma in questo caso non si spiegherebbe il loro rivelarsi agli strumenti di osservazione.
Pertanto, gli ideologi delle ampiezze, ritengono che debba necessariamente esistere una spiegazione matematica dell’interazione fra le particelle, più semplice e più realistica.
In alcuni casi, si sta scoprendo che la prospettiva della teoria dei gruppi, fornita da Wigner, possa essere estesa per descrivere anche le interazioni , senza passare attraverso il meccanismo dei campi quantistici. Per fare ciò, i ricercatori hanno utilizzato le rotazioni di Poincarè studiate da Wigner per dedurre direttamente la ampiezza a tre punti – una formula che descrive lo sdoppiamento di una particella. E’ stato inoltre dimostrato che le ampiezze a tre punti costituiscono la base per ampiezze a quattro – o anche più – punti, che coinvolgono molte più particelle.
L’aspetto interessante è che le ampiezze di diffusione che coinvolgono i gravitoni, le particelle che si ipotizza trasportino la gravità, risultano essere il quadrato delle ampiezze che coinvolgono i gluoni, le particelle che tengono uniti i quark. Si associa la gravità con lo stesso tessuto spazio-temporale, mentre i gluoni si muovono attorno allo spazio-tempo. Per questo è plausibile ipotizzare che gravitoni e gluoni rispondano alle stesse simmetrie.
Nel frattempo, i fautori della corrente delle ampiezze di diffusione, hanno trovato un nuovo apparato matematico, definito amplituhedron, un oggetto geometrico che codifica le ampiezze di diffusione di una particella nel suo volume. Sembra sia superata l’immagine di particelle che collidono nello spazio-tempo e danno vita a una catena di reazioni di causa ed effetto. Si sta cercando di trovare questi oggetti nel mondo platonico delle idee, da dove scaturiscono automaticamente delle proprietà casuali.
La prospettiva it-from-qubit e quella delle ampiezze di diffusione si approcciano al problema della definizione di cosa sia una particella, in modo così diverso, che non è possibile oggi stabilire se sono fra di loro complementari o si contrappongono.
Una cosa certa è che esiste una qualche struttura matematica alla base della gravità quantistica, e su di essa i fisici stanno lavorando. Per cercare di capire quali siano gli elementi costituenti dell’universo, sulle dimensioni fondamentali, è necessaria una teoria quantistica della gravità e dello spazio-tempo.
Per il momento, l’unica risposta che si riesce a dare è: “Non lo sappiamo“!
Fonte: quantamagazine.org